Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-05-24, n. 202305133

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-05-24, n. 202305133
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202305133
Data del deposito : 24 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/05/2023

N. 05133/2023REG.PROV.COLL.

N. 02555/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2555 del 2023, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato D G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

- il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
- la Prefettura di Milano, in persona del Prefetto pro tempore , non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2023, il Cons. E F e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. La controversia si appunta sul decreto n. -OMISSIS- emesso dal Ministero dell’Interno il 14 settembre 2020, con il quale è stato disposto il rigetto dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierno appellante, cittadino pakistano, in data 13 gennaio 2016, ai sensi dell’art. 9, comma primo, lettera f ), della legge 5 febbraio 1992, n. 91.

1.2. A fondamento del provvedimento reiettivo è posta dall’Autorità emanante la non coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza, sulla scorta delle ragioni di seguito sintetizzate:

a ) la sussistenza a carico dell’istante del decreto penale di condanna del G.I.P. del Tribunale di Milano emesso il 15 novembre 2011, divenuto esecutivo il 5 aprile 2012, “ per il reato di cui all’art. 5, comma 1, lett. d), legge 30/04/1962, n. 283 e art. 62 bis c.p., violazione delle norme sulla disciplina igienica della produzione e vendita delle sostanze alimentari e delle bevande ”;

b ) l’omessa dichiarazione di tale precedente penale all’atto della presentazione della domanda di cittadinanza;

c ) l’insufficienza del reddito percepito e dichiarato con riferimento agli anni di imposta 2016 e 2017.

2. Il T.A.R., con la sentenza (n. 1198 del 23 gennaio 2023) appellata, premesse alcuna considerazioni sistematiche, tratte anche dalla giurisprudenza, in ordine alla natura del potere di concessione della cittadinanza italiana, ai requisiti necessari per il suo positivo esercizio ed ai limiti del sindacato giurisdizionale che può assumerlo ad oggetto, ha ritenuto “ che, nel caso concreto, il Ministero abbia legittimamente esercitato il potere discrezionale di cui dispone, assolvendo adeguatamente all’onere di motivazione e senza venir meno ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità nel bilanciamento degli interessi ”.

2.1. Il T.A.R. ha posto l’accento a tal fine:

- sul fatto che, “ sebbene la vicenda penale a carico del ricorrente – costituita dal decreto penale di condanna del G.I.P. di Milano del 15.11.2011 per violazione delle norme sulla disciplina igienica della produzione e vendita delle sostanze alimentari e delle bevande – possa apparire ex se di non grave entità sotto il profilo penalistico avuto riguardo alla cornice edittale, questa va correttamente valutata nell’ambito di un più ampio contesto riguardante l’istante, che ha altresì omesso di dichiarare tale precedente all’atto della presentazione della domanda di cittadinanza ”;

- sulla “ irrilevanza dell’elemento soggettivo nell’ambito delle dichiarazioni sostitutive”, dal momento che “la dichiarazione ‘non veritiera’, al di là dei profili penali ove ricorrano i presupposti del reato di falso, nell’ambito della disciplina dettata dal d.P.R. n. 445/2000 preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio (così Consiglio di Stato Sezione Quinta, 9 aprile 2013, n. 1933) ”;

- sul fatto che, quanto alla ulteriore ragione del diniego, relativa alla “ insussistenza del requisito reddituale “per gli anni d’imposta 2016, 2017” ”, “ è sull’odierno ricorrente che gravava l’onere di dimostrare il conseguimento di un reddito non inferiore ai parametri minimi innanzi indicati, in particolare ad € 12.910,05, tenuto conto che l’istante ha espressamente dichiarato nella domanda di avere fiscalmente a carico sia il coniuge che i tre figli minori (il quarto figlio è nato soltanto nel 2019) ”, laddove “ risultano fiscalmente dichiarati i seguenti redditi: €11.346 per l’anno di imposta 2016 ed €10.253 per l’anno di imposta 2017 ”;

- sul fatto che, “ sebbene - come eccepito dal ricorrente - tale flessione reddituale sia stata temporanea, nondimeno deve ritenersi non manifestamente irragionevole o illogica la valutazione cui è pervenuta l’Amministrazione, tenuto conto che il mancato raggiungimento della soglia minima per due annualità consecutive, rientranti nel “periodo di osservazione”, può legittimamente essere posto a base del diniego della cittadinanza unitamente alle altre ragioni innanzi descritte, anche in ragione della già rimarcata propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguati mezzi di sostentamento ”;

- sul fatto che “ non appare sproporzionato il provvedimento che nega la cittadinanza, in via di precauzione adeguatamente avanzata, a quei soggetti di cui si dubita che possano assicurare il rispetto dei valori fondamentali, quali la vita e la incolumità delle persone, la fiducia ed il riguardo per le Istituzioni dello Stato di cui entra a far parte, ed altri beni riconosciuti e tutelati dalla Costituzione ”.

3. La sentenza suindicata costituisce oggetto delle censure formulate dall’odierno appellante, in vista della sua riforma – anche mediante sentenza in forma semplificata da pronunciare all’esito dell’odierna udienza camerale – e del consequenziale accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

3.1. Si è costituito in giudizio per resistere all’appello l’appellato Ministero dell’Interno.

3.2. All’odierna camera di consiglio, il Presidente, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ha dato avviso alle parti della possibile definizione del giudizio con sentenza di merito in forma semplificata.

4. L’appello è meritevole di accoglimento.

4.1. Deve premettersi che, come anche recentemente chiarito dalla Sezione:

- “ il provvedimento di concessione della cittadinanza, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91 del 1992, è atto squisitamente discrezionale di “alta amministrazione”, condizionato all’esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere ”;

- “ si tratta di provvedimento fondato su determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini ”;

- “ l’amministrazione, dopo aver accertato l’esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, effettua una valutazione ampiamente discrezionale, che non può che tradursi in un apprezzamento di opportunità, circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e riguardo alle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale ”;

- “ nella valutazione articolata che spetta all’amministrazione per concedere o meno la cittadinanza assumono rilievo tutti gli aspetti da cui è possibile desumere l’integrazione del richiedente nella comunità nazionale, sotto il profilo della conoscenza e osservanza delle regole giuridiche, civili e culturali che la connotano ”;

- “ vengono, perciò, in rilievo tutti quegli aspetti che farebbero dello straniero un buon cittadino, quali la perfetta integrazione nel tessuto sociale italiano, l’assenza di precedenti penali, considerazioni di carattere economico e patrimoniale per cui si possa presumere che egli sia in grado di adempiere ai doveri di solidarietà economica e sociale richiesti a tutti i cittadini, pur senza stretti limiti reddituali imposti per legge, le condizioni familiari e di irreprensibilità della condotta ”;

- “ tale valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo estrinseco e formale;
il sindacato del giudice non può dunque spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole
” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 16 marzo 2023, n. 2745).

4.2. Ciò premesso, la connotazione eminentemente discrezionale del potere di cui si tratta non esime l’Amministrazione dal dovere di compiere una attenta ed esaustiva valutazione di tutte le circostanze suscettibili di influire sul suo esercizio, in quanto potenzialmente espressive – in un senso o nell’altro – del grado di attaccamento del richiedente alla comunità nazionale della quale aspira a far parte ed ai valori che ne riassumono il patrimonio morale e spirituale: ciò in quanto solo una analisi globale ed imparziale delle suddette circostanze è suscettibile di far emergere, attraverso una adeguata motivazione del provvedimento conclusivo, l’effettiva assimilazione da parte del richiedente la naturalizzazione dei principi ispiratori della convivenza civile tra i cittadini dello Stato ospitante, da consacrare e suggellare, in termini altamente simbolici quanto giuridicamente pregnanti e vincolanti, attraverso il formale conferimento dello status civitatis .

4.3. Deve altresì evidenziarsi che tale complessiva valutazione deve rifuggire da astratti e aprioristici assolutismi eticizzanti, ma tenere conto dell’atteggiamento tenuto dall’interessato nell’ambito dei plurimi contesti – familiare, sociale, lavorativo – in cui si svolge la sua vita di relazione, in una prospettiva temporale sufficientemente ampia, al fine di appurare se esso risulti conforme ai canoni di una ordinata convivenza, rispettosa dei diritti e delle libertà altrui e sensibile ai doveri di solidarietà che costituiscono il collante più genuino della comunità nazionale.

5. In tale cornice, non può non rilevarsi che il provvedimento impugnato in primo grado pecca, in primo luogo, di insufficienza istruttoria a motivazionale laddove assume, a presupposto – invero non isolato, ma comunque decisivo – della sua adozione, il precedente penale a carico dello straniero, identificabile nel decreto penale di condanna emesso a suo carico dal G.I.P. presso il Tribunale di Milano alla pena di € 4.000,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 5, comma 1, lett. d ), l. n. 283/1962, “ per avere impiegato, nell’esercizio dell’attività di produzione alimentare effettuata dalla -OMISSIS-, olio di frittura in stato di alterazione o comunque nocivo… ”.

Invero, pur non potendo sminuirsi la portata pregiudizievole della condotta sanzionata per alcuni rilevanti interessi tutelati dall’ordinamento, come quello della salute dei consumatori, deve osservarsi che l’Amministrazione ha omesso di compiere una complessiva valutazione del suddetto precedente, analizzato nella oggettività della fattispecie sanzionata ed anche alla luce del ruolo assunto ai fini della sua commissione dall’appellante (al quale il reato viene contestato nella qualità di legale rappresentante di una s.n.c.), unitamente agli ulteriori elementi caratterizzanti la situazione – sociale, lavorativa e familiare – dello straniero, tanto più necessaria in considerazione del carattere piuttosto risalente del fatto-reato (consumato in data 29 marzo 2011 ed oggetto peraltro, sebbene in data successiva al provvedimento impugnato, del provvedimento dichiarativo della sua estinzione adottato dal G.I.P. presso il Tribunale di Milano il 28 marzo 2023, depositato in giudizio dall’appellante il successivo 16 aprile).

5.1. Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riguardo alla omessa dichiarazione del suddetto precedente nel contesto della domanda diretta all’ottenimento della cittadinanza italiana, nella quale ugualmente l’Amministrazione ha ravvisato un ulteriore indice di disvalore atto a compromettere l’affidabilità dello straniero quale aspirante al conseguimento dello status civitatis .

Premesso che non è condivisibile la sentenza appellata nella parte in cui ha ritenuto di prescindere da ogni considerazione dell’atteggiamento psicologico del dichiarante (il quale ha giustificato l’omissione facendo leva sulla ritenuta natura solo amministrativa della sanzione), sulla scorta della disciplina della dichiarazione sostitutiva di cui all’art. 75, comma 1, d.P.R. n. 445/2000 (il quale fa discendere, dalla “ non veridicità del contenuto della dichiarazione ”, la decadenza automatica del dichiarante “ dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera ” ), atteso che l’omissione dichiarativa contestata, non avendo ad oggetto un reato ostativo, non è causalmente ricollegabile all’eventuale concessione del beneficio richiesto, deve osservarsi che proprio il carattere risalente del fatto-reato e la specialità del rito mediante il quale è stata applicata la relativa sanzione (in assenza, cioè, di un accertamento dibattimentale della fattispecie criminosa) inducono ad avvalorare la spiegazione fornita dall’appellante e ad evidenziare, di risulta, un ulteriore profilo in relazione al quale il provvedimento impugnato in primo grado manifesta la sua carenza istruttoria e motivazionale.

5.2. Infine, quanto alla questione reddituale, premesso che l’Amministrazione ha assunto a parametro di riferimento il limite di reddito previsto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria dall’art. 3, d.l. 25 novembre 1989, n. 382, convertito in l. 25 gennaio 1990, n. 8, confermato dall’art. 2, comma 15, della l. 28 dicembre 1995, n. 549 (avendo ritenuto detto importo - fissato in € 8.263,31 annui, incrementato ad € 11.362,05 annui in presenza di coniuge a carico e di ulteriori € 516,00 annui per ciascun figlio a carico - indicativo di un livello di adeguatezza reddituale in grado di consentire al richiedente di mantenere in modo idoneo e continuativo sé e la famiglia, senza gravare sulla comunità nazionale), deve osservarsi che proprio il carattere indicativo (e non rigidamente tassativo) di quei parametri impone di attribuire rilievo, nel quadro della natura discrezionale del potere concessorio in discorso, alle circostanze che abbiano potuto ragionevolmente incidere sul raggiungimento della suddetta soglia minima oltre che all’entità del divario tra il reddito percepito e quello necessario.

Ebbene, nella specie l’appellante ha adeguatamente documentato (cfr. l’all. 8 della produzione di primo grado del 28 aprile 2022) che nell’anno 2016 ha subito un infortunio alla mano che ha compromesso la sua capacità lavorativa: se a tanto si aggiunge che lo scarto tra il reddito minimo (pari, come affermato dallo stesso T.A.R., ad € 12.910,05) e quello dichiarato negli anni 2016 e 2017 (pari rispettivamente ad € 11.346 per l’anno di imposta 2016 e ad € 10.253 per l’anno di imposta 2017) non è di significativa entità, ne consegue che dal mancato raggiungimento della suddetta soglia non è desumibile in termini univoci l’inidoneità dello straniero a contribuire al benessere collettivo e/o il pericolo di ricorso a fonti illecite di sostentamento: ciò tanto più in quanto, dovendo collocarsi l’accertamento della capacità reddituale in una dimensione di carattere dinamico rivolta anche alla prognosi della sua futura evoluzione, non può omettersi di rilevare che l’appellante ha documentato di aver conseguito, negli anni 2018-2020, un reddito complessivo annuo pari rispettivamente ad € 17.493, € 14.992 ed € 13.836, importi ampiamente superiori al suindicato livello minimo.

6. Discende, dai rilievi che precedono, che, pur a fronte del carattere globale della valutazione demandata all’Amministrazione, il provvedimento impugnato in primo grado è affetto da lacune istruttorie e motivazionali che non consentono di mandarlo esente dalla invocata statuizione di annullamento, al fine di consentire alla medesima Amministrazione di riesaminare la situazione complessiva dell’appellante – nell’insieme dei suoi risvolti sociali, familiari e lavorativi, alla luce della condotta dal suddetto complessivamente tenuta nei diversi anni della sua permanenza in Italia – ed emettere un rinnovato provvedimento conforme alle illustrate coordinate.

7. Deve solo aggiungersi che le conclusioni qui raggiunte sono in linea con le pregresse acquisizioni giurisprudenziali maturate in relazione ad analoghe fattispecie.

7.1. Va menzionato, in primo luogo, quanto recentemente affermato da questa Sezione, laddove ha ritenuto che “ il provvedimento di diniego non risulti adeguatamente motivato nemmeno con riferimento alla mancata dichiarazione della condanna in sede di richiesta di concessione della cittadinanza italiana e che, dunque, tale circostanza, non possa da sola sorreggere il diniego ivi impugnato. In linea generale, deve ritenersi che la lealtà e la correttezza dello straniero che formula la richiesta sono elementi di assoluto rilievo al fine di apprezzare le condizioni soggettive dell’interessato. In questo senso, la falsa dichiarazione ad un pubblico ufficiale presenta un oggettivo disvalore che l’amministrazione deve considerare con la massima attenzione (da ultimo, Cons. St., sez. III, 2 agosto 2022, n. 6789). Nella vicenda in esame, tuttavia, manca qualsiasi bilanciamento di tale circostanza con gli ulteriori elementi rappresentati dall’interessato già in sede procedimentale. In particolare, lo stesso ha dedotto di aver sempre svolto attività lavorativa, di essere coniugato e con prole e, dunque, di essere pienamente integrato nel tessuto sociale.

Il provvedimento impugnato (…) non ha tenuto conto nell’ordito motivazionale né della complessiva posizione sociale, familiare e lavorativa dello straniero, né del particolare disvalore delle condotte commesse dallo stesso rispetto ai principi fondamentali della convivenza sociale e alla tutela anticipata della incolumità pubblica;
piuttosto, ha semplicemente asserito che la condotta tenuta dal richiedente rappresenta una ulteriore violazione del codice penale e ha constatato in maniera meccanicistica che lo straniero “con il suo comportamento ha palesemente violato norme a fondamento del nostro sistema giuridico, ponendosi in contrasto con la civile convivenza” e che nella fattispecie concreta in considerazione “non si ravvisa la coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza italiana”. Il Collegio condivide l’orientamento della giurisprudenza secondo cui l’amministrazione non solo deve tenere conto dei fatti penalmente rilevanti, ma deve valutare anche l’area della loro prevenzione e, più in generale, della prevenzione di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale (Cons. St., sez. III, 14 maggio 2019, n. 3121);
tuttavia, nel caso di specie, non è stata fatta corretta applicazione di tali principi, in quanto la valutazione di astratta pericolosità e di mancata integrazione nel territorio nazionale risulta aprioristica, non essendo suffragata da idonee motivazioni dell’Autorità competente in grado di far trasparire, indipendentemente dal rilievo penale della condotta tenuta in sede procedimentale, la pericolosità sociale concreta dello straniero e la mancata adesione dello stesso ai valori fondamentali del nostro ordinamento
” (Consiglio di Stato, Sez. III, 27 dicembre 2022, n. 11304).

7.2. Meritevoli di menzione sono anche le statuizioni rese da questo Consiglio di Stato in sede consultiva, laddove in particolare è stato affermato che “ proprio per il particolare rigore che caratterizza la concessione di cittadinanza, grava sull’Amministrazione l’obbligo di una completa rappresentazione della realtà, tramite un’accurata ed estesa istruttoria, di cui la motivazione del provvedimento deve dare contezza, con trasparenza, coerenza, logicità e comprensibilità al fine di consentire il sindacato di legittimità sull’esercizio della discrezionalità stessa, che, per quanto ampia, non può sconfinare in arbitrio ”, aggiungendosi che “ l’ampiezza e la profondità dell’obbligo di motivazione del provvedimento di diniego devono correlarsi alla tipologia di comportamento ritenuto ostativo, alla natura penale del fatto, alla gravità dello stesso, alla circostanza che lo stesso sia stato commesso a distanza di tempo dal momento in cui l’istanza viene proposta e delibata, allo stadio del procedimento ” e che, indipendentemente dalla valutazione del fatto compiuta in sede penale, “ non per questo l’Amministrazione può esimersi da una considerazione in concreto del fatto, delle sue modalità, del suo effettivo disvalore sociale” e “del giudizio prognostico sulla integrazione sociale del ricorrente ”, pervenendo, sulla scorta di tali principi, alla conclusione che “ nel caso in esame, è mancata l’ampia e sufficiente motivazione del provvedimento di diniego correlata alla tipologia di comportamento ritenuto ostativo, alle modalità e caratteristiche del fatto penalmente perseguito, apprezzato in concreto, alla gravità dello stesso e al suo disvalore sociale, alla pena comminata e alla concessione di attenuanti generiche, alla circostanza che si tratti di unico episodio nel periodo di lungo soggiorno del ricorrente in Italia e che sia stato commesso a distanza di tempo (circa 11 anni) dal momento in cui l’istanza è stata esaminata ” e che “ anche l’ulteriore circostanza che il ricorrente abbia omesso di dichiarare la condanna riportata nell’autocertificazione allegata alla domanda di cittadinanza, ad avviso del Collegio, avrebbe dovuto essere valutata discrezionalmente, nella specifica fattispecie, alla luce delle giustificazioni addotte dall’interessato nelle sue osservazioni ” (così Consiglio di Stato, Sez. I, parere del 19 ottobre 2022, n. 1709).

7.3. Infine, non può trascurarsi quanto questa Sezione ha evidenziato in ordine al fatto che “ l’amministrazione, nel riconoscere la cittadinanza ai sensi dell’art. 9, l. n. 91 del 1992, è, dunque, chiamata ad effettuare una delicata valutazione in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero nella società, ma non può limitarsi, pur nel suo ampio apprezzamento discrezionale, ad un giudizio sommario, superficiale ed incompleto, ristretto alla mera considerazione di un fatto risalente, per quanto sanzionato penalmente, senza contestualizzarlo all’interno di una più ampia e bilanciata disamina che tenga conto dei suoi legami familiari, della sua attività lavorativa, del suo reale radicamento al territorio, della sua complessiva condotta che, per quanto non totalmente irreprensibile sul piano morale, deve comunque mostrare, perlomeno e indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento, di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza. Se si prescinde dalle ipotesi ostative al riconoscimento della cittadinanza, contemplate dall’art. 6, l. n. 92 del 1991, non è possibile però ispirare il giudizio sulla integrazione sociale dello straniero richiedente la cittadinanza italiana criterio di assoluta irreprensibilità morale, nella forma dello status illesae dignitatis, o di impeccabilità sociale, del tutto antistorico prima che irrealistico e, perciò, umanamente inesigibile da chiunque, straniero o cittadino che sia. Un simile criterio implicherebbe l’impossibilità di ottenere la cittadinanza per il sol fatto di avere compiuto un reato, prescindendo da una valutazione in concreto della pericolosità sociale dello straniero e dell’effettività del percorso di integrazione realizzato dallo stesso. Si verrebbe a realizzare, in questo modo, una irragionevole chiusura della collettività nazionale all’ingresso di soggetti che, pur avendo tutti i requisiti per ottenere la cittadinanza, si vedono privare di questo legittimo interesse, attinente anche all’esercizio di diritti fondamentali, in assenza di un effettivo, apprezzabile, interesse pubblico a tutela della collettività, e per mere fattispecie di sospetto in danno dello straniero ” (Consiglio di Stato, Sez. III, 2 agosto 2022, n. 6789).

8. L’appello, in conclusione, deve essere accolto e, in riforma della sentenza appellata, deve essere conseguentemente annullato, in accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, il provvedimento ivi impugnato, salve le ulteriori valutazioni dell’Amministrazione.

9. L’originalità dell’oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

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