Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-03-26, n. 201901995

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-03-26, n. 201901995
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201901995
Data del deposito : 26 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/03/2019

N. 01995/2019REG.PROV.COLL.

N. 01069/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1069 del 2008, proposto dal Comune di Bovolone, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M S e M S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M S in Roma, viale Parioli, n. 180;

contro

P F in proprio e nella qualità di legale rappresentante della s.n.c. La Bottega del Fornaio &
C., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A M, R R, con domicilio eletto presso lo studio A M in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 4090/2006, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste la memoria di costituzione della società, nonché le sue memorie di data 18 e 27 febbraio 2019;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2019 il pres. L M e uditi per le parti l’avvocato M S e l’avvocato Paolo Caruso, su delega dell’avvocato A M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

L’appellato ha realizzato una tettoia in aderenza ad un suo fabbricato sito nel territorio del Comune di Bovolone,

Con l’atto n. 17497 del 31 luglio 2006, il Comune ha respinto la domanda di accertamento di conformità presentata dall’appellato e, con il successivo atto n. 49 del 17 agosto 2006, ha ordinato la demolizione della tettoia.

2. Col ricorso n. 2272 del 2006 (proposto al TAR per il Veneto), l’interessato ha impugnato il diniego di accertamento di conformità e l’ordine di demolizione, chiedendone l’annullamento.

3. Il TAR, con la sentenza n. 4090 del 2006, ha accolto il ricorso ed ha compensato le spese del giudizio, rilevando che:

- il diniego di accertamento di conformità non è stato preceduto dalla comunicazione delle ragioni ostative, da valutare ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990;

- l’opera realizzata dovrebbe essere qualificata come pertinenza, per la quale non poteva essere emanato l’ordine di demolizione.

4. Con l’appello indicato in epigrafe, il Comune di Bovolone ha lamentato l’erroneità delle statuizioni del TAR ed ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia accolto.

L’appellato si è costituito in giudizio, con atto di data 14 novembre 2008, ed ha depositato memorie, con cui ha chiesto che l’appello sia respinto.

Anche il Comune ha depositato una memoria difensiva, con cui ha insistito nelle già formulate conclusioni.

5. Ritiene la Sezione che l’appello del Comune sia fondato e vada accolto.

6. Come ha correttamente dedotto il Comune con il primo motivo d’appello, contrariamente a quanto ha rilevato la sentenza impugnata, il contestato provvedimento di diniego di accertamento di conformità non è stato emesso in violazione dell’art. 10 bis.

6.1. Nel ricostruire le vicende che hanno riguardato il procedimento amministrativo, il Comune ha evidenziato che:

- con una relazione di data 10 giugno 2005, il comando della polizia municipale ha rilevato che la società dell’appellato stava realizzando un ‘porticato delle dimensioni di ml 22,20 x ml 2,277 con altezza da ml 2,75 a 3,35, sorretto da pilastri in legno delle dimensioni di cm 20x14 e con copertura in struttura ignea di travi e traversine’, sul fronte dell’edificio di proprietà (con opere ancora non ultimate al momento del sopralluogo);

- in data 22 giugno 2005, è stata notificata l’ordinanza comunale di sospensione dei lavori;

- con la successiva relazione di data 14 settembre 2005, si è accertato che i lavori erano stati ultimati;

- in data 12 dicembre 2005, è stata presentata l’istanza di ‘sanatoria’, cioè di accertamento di conformità;

- in data 30 dicembre 2005 il responsabile dell’ufficio tecnico ha reso noto il parere negativo della commissione edilizia ed ha chiesto chiarimenti circa la natura ed alla posizione della costruzione, rispetto agli altri fabbricati;

- in data 12 maggio 2006 vi è stata la comunicazione di avvio del procedimento per l’archiviazione dell’istanza;

- è seguita la produzione documentale, esaminata dalla commissione edilizia in data 29 giugno 2006, la quale ha anche constatato la violazione della fascia di rispetto stradale;

- è seguito poi il diniego di data 31 luglio 2006, con la conseguente ordinanza di demolizione di data 17 agosto 2006.

Da tale ricostruzione dei fatti accaduti, risulta che il Comune – come è stato fondatamente dedotto con l’atto d’appello – nel corso del procedimento, e prima della emanazione del diniego, ha trasmesso la comunicazione del 30 dicembre 2005 nonché la nota di data 12 maggio 2006, con cui erano già state rilevate le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza.

Contrariamente a quanto ha dedotto l’appellato, l’atto del 12 maggio 2016 ha comunque consentito l’ulteriore partecipazione procedimentale ed ha segnalato le criticità del rilascio del richiesto atto di accertamento di conformità.

In ogni caso, non vi è stato un provvedimento ‘a sorpresa’, né è mancata la possibilità della società di essere consapevole della ragione sostanziale ostativa all’accoglimento della domanda.

6.2. Peraltro, va accolto anche l’ulteriore profilo del primo motivo d’appello, secondo cui la natura vincolata del diniego comporta l’applicabilità dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il quale va interpretato nel senso che il giudice amministrativo, nel valutare il contenuto sostanziale dell’atto, non dispone il suo annullamento qualora vi sia stata una violazione formale che non abbia inciso sulla legittimità sostanziale del provvedimento.

7. Risulta inoltre fondato il secondo motivo d’appello, con il quale il Comune ha lamentato l’errore in cui è incorso il TAR, nel valutare l’opera realizzata senza titolo.

Come si è sopra rilevato, il TAR ha ritenuto che il Comune non avrebbe potuto disporre la demolizione dell’opera abusiva, per la sua natura pertinenziale.

Al riguardo, in questa sede il Comune ha rilevato che il portico:

- ‘è stato realizzato in diretta prosecuzione del fabbricato, di cui rappresenta a tutti gli effetti un ampliamento’;

- ‘ha le dimensioni di 22,70 ml x 2,77’, con ‘superficie coperta così realizzata pari a mq 62,88’;

- ‘è stato realizzato con pilastri in legno delle dimensioni di cm 20x14, traversi e travetti sulla copertura, dotato di canali di gronda e munito di impianto di illuminazione con lampade stabilmente collocate sulla struttura’.

Tenuto conto di tali circostanze, rileva la giurisprudenza di questo Consiglio (che il Collegio condivide e fa propria: cfr. Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1155;
Sez. VI, 16 febbraio 2017, n. 694), per la quale va «rimarcato come occorra il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand’anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze».

«La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica» (cfr. anche Cons. St., Sez. VI, 17 maggio 2017, n. 2348;
Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19;
Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952;
Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817;
Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615).

«Nell’ordinamento statale, infatti, vi è il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente), quando si tratti di un ‘manufatto edilizio’ (cfr. Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952): salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera, come una tettoia, che ne alteri la sagoma».

«Viceversa, il testo unico attribuisce rilevanza urbanistica ed edilizia alle pertinenze, ammettendo all’art. 3, comma 1, lett. e.6) che specifiche regole siano contenute nelle ‘norme tecniche degli strumenti urbanistici’».

Nel condividere tali considerazioni, osserva il Collegio che nel presente giudizio non è stato dedotto che una norma tecnica dello strumento urbanistico del Comune di Bovolone abbia considerato irrilevanti le opere in questione sotto il profilo edilizio: le disposizioni delle n.t.a. invocate dall’appellato hanno riguardato aspetti diversi (riguardanti le definizioni della superficie coperta e del volume del fabbricato), ma non in quanto tali le pertinenze e il loro rilievo sotto il profilo edilizio.

Pertanto, anche per tale ragione va riformata la statuizione con cui il TAR ha accolto la censura sulla qualificazione come ‘pertinenze’ delle opere in questione.

8. Poiché i provvedimenti impugnati si sono basati sulla decisiva circostanza della realizzazione di opere in assenza del necessario permesso di costruire, le corrispondenti deduzioni di primo grado si rilevano infondate.

9. Vanno peraltro presi in esame gli scritti difensivi (depositati in data 20 febbraio 2019) con cui l’appellato ha contestato la fondatezza dei due motivi d’appello (sollevando profili non esaminati nella sentenza impugnata) ed ha riproposto le censure assorbite in primo grado.

Poiché tali deduzioni risultano infondate, non rileva esaminare la questione se, ai sensi dell’art. 101, secondo comma, del c.p.a., l’appellato sia incorso nella relativa preclusione (avendo formulato solo nel 2019 le difese ampliative dell’oggetto del giudizio di appello, per come delimitato dalle censure dell’atto introduttivo).

10. Contrariamente a quanto ha dedotto l’appellato (pur con riferimento al primo motivo d’appello), non rilevano – per contrastare la fondatezza del secondo motivo d’appello - le sue deduzioni sulle caratteristiche del manufatto in questione, non posto a confine con la strada (ma a confine con i parcheggi della lottizzazione), e alla tettoia posta sopra il piano interrato, nonché le sue deduzioni sul rilievo dell’art. 6 delle n.t.a., lettere a) e c) (per le quali ‘non concorrono alla determinazione della superficie coperta … i porticati esterni al perimetro del fabbricato’ e non è computabile il volume ‘dei porticati soggetti ad uso pubblico o dei porticati soggetti ad uso privato purché aperti da due lati’).

Come ha replicato il Comune, per le zone C2 residenziali la distanza minima dei fabbricati dal ciglio stradale deve essere pari ad almeno 7,5 metri, per strade aventi la larghezza quale quella in questione.

Pur se le n.t.a. richiamate dall’appellato dispongono che non vanno computati per il computo della superficie coperta i porticati per come ivi descritti, non v’è dubbio che un porticato – qualunque sia il materiale costruttivo adoperato – non possa essere realizzato in violazione delle distanze dalle strade.

In altri termini, le definizioni contenute nelle n.t.a. sulla superficie coperta e sul volume del fabbricato rilevano per determinare quanto può essere realizzato ‘in verticale’ su un’area di sedime ove può essere realizzato un edificio, e non anche per consentire la realizzazione di opere su aree invece che non devono essere edificate.

Quanto alla circostanza dedotta a p. 8 della memoria di data 20 febbraio 2019 (sulla preesistenza del fabbricato interrato, sopraelevato di 20 cm rispetto al suolo calpestabile), si deve rilevare che non è in discussione la legittimità del titolo che a suo tempo ha consentito la realizzazione del fabbricato interrato, bensì la legittimità degli atti che hanno disposto la rimozione di quanto realizzato senza titolo sul soprassuolo, potenzialmente incidente sulla circolazione.

La distinzione tra il manufatto preesistente e quello realizzato senza titolo ha il suo rilievo, poiché le disposizioni riguardanti la fascia di rispetto stradale mirano non soltanto a consentire un possibile ampliamento della sede stradale, ma anche a salvaguardare l’incolumità delle persone, rispetto a sempre possibili condotte pericolose dei conducenti, contenendo le conseguenze lesive.

Va pertanto riformata la statuizione del TAR che ha rilevato l’illegittimità degli atti, per la natura di ‘pertinenza’ di quanto realizzato.

11. Vanno pertanto esaminati i motivi di primo grado, assorbiti dal TAR e richiamati dall’appellato nelle sue memorie difensive

L’appellato ha riproposto il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso di primo grado, secondo cui:

- l’area in questione è classificata dal PRG come zona C/” SUAV ‘residenziale di espansione con strumento urbanistico attuativo convenzionato vigente’, sicché il Comune non poteva richiamare l’art. 84 delle n.t.a. del PRG, bensì le previsioni della precedente convenzione;

- l’art. 84 delle n.t.a., comunque, consente di realizzare incrementi di volume in fascia di rispetto stradale, laddove si prevede che ‘eventuali incrementi di volume ammissibili non possono sopravanzare dagli allineamenti verso strada preesistenti”;

- la tettoia in questione non avrebbe rilievo, non costituendo una unità abitabile o agibile.

Ritiene il Collegio che tali deduzioni siano infondate e vadano respinte.

Quanto al prospettato rilievo della precedente convenzione, si deve rilevare come pacificamente essa non abbia previsto la realizzazione dell’opera in questione. Peraltro, in relazione all’esigenza di tenere conto delle fasce di rispetto, non può che rilevare l’art. 84 delle n.t.a. del PRG, come ha rilevato il Comune nel corso del procedimento.

Quanto alla questione dell’allineamento, va pure ritenuto condivisibile quanto constatato dal Comune nel corso del procedimento in ordine alla rilevanza da attribuire alle diverse zone C2 e B1.

Le opere in questione sono state realizzate nella zona C2, cui si riferisce l’art. 50, punto 6, delle n.t.a. sicché non può essere affermata l’applicazione della ‘regola dell’allineamento’ rispetto ad edifici siti nella zona B1.

Quanto invece al quarto motivo ed alla irrilevanza del manufatto perché non è stata realizzata una ‘unità abitabile o agibile’, si tratta di una censura sostanzialmente ripetitiva di quelle accolte in primo grado e che sono state respinte, in accoglimento delle censure del Comune, sopra esaminate al § 7.

12. Per le ragioni che precedono, l’appello va accolto, sicché – previa reiezione dei motivi assorbiti in primo grado riproposti dall’appellato – va respinto il ricorso originario n. 2272 del 2006.

13. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

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