Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-09-19, n. 201204975

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-09-19, n. 201204975
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201204975
Data del deposito : 19 settembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01154/2009 REG.RIC.

N. 04975/2012REG.PROV.COLL.

N. 01154/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1154 del 2009, proposto da:
Passiatore O A, rappresentato e difeso dall'avv. E G, con domicilio eletto presso Studio Grez &
Associati S.R.L. in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 04110/2008, resa tra le parti, concernente perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2012 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati E G e Giulio Bacosi (avv. St.);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso al TAR del Lazio, il sig. O A Passiatore, militare dipendente del Ministero della difesa, domandava l’annullamento del decreto n. 123/3-9/2007, emesso in data 16 marzo 2007 e notificato in data 18 aprile 2007 con cui il direttore generale per il personale militare del Ministero della Difesa disponeva nei confronti dello stesso “la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, a decorrere dalla data del presente decreto, ai sensi degli artt. 60, n. 6 e 61 della legge 31 luglio 1954, n. 599 e, per l’effetto, cessa dal servizio permanente ai sensi dell’art. 26 lett. g), legge 31 luglio 1954 n. 599”. Oggetto dell’impugnazione erano anche altri atti del procedimento, che si intendono qui richiamati.

Il menzionato provvedimento disciplinare veniva emesso dall’Amministrazione a seguito di imputazione in processo penale e condanna definitiva del dipendente per il delitto di cui all’art. 81, 110 c.6 c.p., art. 73 D.P.R. 309/1990, a seguito di patteggiamento (sentenza n. 206 del 17 febbraio 2004, irrevocabile il 1 gennaio 2005).

In data 10 novembre 2006, l’amministrazione della Difesa adottava la nota n. 23466 in cui si contestavano al ricorrente i fatti ritenuti emergere dalla citata sentenza n. 206/2004 del tribunale di Taranto relativamente all’accusa di “detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti;
per avere, con tale comportamento, commesso grave mancanza disciplinare verso i propri doveri di militare ai sensi dell’art. 9 e dell’art. 16 della legge 11.7.1978, n. 382”.

La commissione di disciplina si esprimeva per la conservazione del grado da parte dell’odierno ricorrente, ma il direttore generale riteneva di non condividere il parere espresso dalla commissione “avendo il sergente Passiatore Orlando, con le sue condotte reiterate, posto in essere una violazione dei doveri inerenti alla disciplina militare incompatibile con l’ulteriore permanenza in servizio”;
in particolare, il dirigente fondava il proprio discostamento dal parere sulla considerazione che “la commissione di disciplina non ha tenuto in sufficiente conto l’estrema gravità dei fatti contestati e provati, avuto riguardo, peraltro, alla notevole quantità di sostanze stupefacenti il cui possesso è stato acclarato in sede penale come finalizzato allo spaccio”.

Avverso la sanzione irrogata, il Passiatore formulava motivi di ricorso che, dalla sentenza impugnata, risultano così riepilogati:

“1)violazione e falsa applicazione dell’art. 10, L. n. 97/2001 – decadenza dell’azione disciplinare – eccesso di potere per sviamento – violazione dell’art. 97, DPR n. 3/1957 – violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità della P.A.:

1.1)gli atti gravati sono illegittimi per decorrenza dei termini perentori di avvio e conclusione del procedimento disciplinare;

1.2)i fatti per cui il Passatore è stato indagato nel procedimento penale n. 11397/2000 PM, sfociato nella sentenza n. 206/2004, da cui ha tratto origine l’azione disciplinare de qua, sono costituiti dall’unica condotta della detenzione, “fino al 10 gennaio 2001”, di sostanze stupefacenti e comunque da fatti i quali, esauritisi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 97/2001, rientrano nell’operatività della disciplina transitoria dettata dall’art. 10, c. 3°, della citata legge: pertanto, il procedimento disciplinare doveva essere instaurato entro centoventi giorni dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile;

1.3) poiché il procedimento penale che si è celebrato nei confronti del ricorrente non aveva ad oggetto i reati di cui agli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319-ter e 320 c.p. e dell’art. 3 della L. 9/12/1941, n. 1383, l’amministrazione è decaduta dal potere di esercitare l’azione disciplinare a seguito del decorso dei centoventi gg. dalla conclusione del procedimento penale;

-l’amministrazione intimata al momento in cui ha disposto l’avvio del procedimento disciplinare (in data 25 ottobre 2006), conclusosi con il gravato decreto, era già decaduta, ex art. 10, c. 3°, L. n. 97/2001, dalla possibilità di esercitare l’azione disciplinare in quanto la sentenza 206/2004 del tribunale di Taranto, depositata in cancelleria in data 17 febbraio 2004, era già divenuta irrevocabile in data 1 febbraio 2005 e che sin da tale data l’amministrazione intimata ne aveva piena conoscenza;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 9, c. II, legge n. 19/1990 – decadenza dall’azione disciplinare – violazione dell’art. 97, DPR n. 3/1957 – violazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost. – ingiustizia manifesta:

2.1) il giudice delle leggi, con pronuncia n. 197 del 28 maggio 1999, ha affermato, relativamente ai termini di inizio e conclusione del procedimento dettati dall’art. 9, c. II, L. n. 19/1990 che non vale per la conclusione del procedimento il termine introdotto dall’art. 9, c. II, ma la disciplina generale posta dal testo unico del 1957 con ciò, evidentemente, ritenendo applicabile, alle sentenze patteggiate, i soli termini di avvio del procedimento disciplinare prescritti a pena di decadenza dall’art. 9 citati;

2.2) la normativa vigente non può che interpretarsi, conformemente agli artt. 3, 97 e 24 Cost., nel senso di tutelare il diritto alla decisione disciplinare del dipendente condannato a seguito di patteggiamento non diversamente da come è tutelato il medesimo diritto del dipendente prosciolto o di quello condannato in via ordinaria, ritenendo in ogni caso l’azione disciplinare conseguente soggetta a termini di avvio perentori;

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 111, c. II e IV, DPR n. 3/1957 – violazione dell’art. 24 Cost. – violazione degli artt. 64, 65, 72 e 74 della L. n. 599/1954, in correlazione con gli artt. 105, 111 DPR n. 3/1957 – violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa – violazione degli artt. 22 e seg. della legge n 241 del 1990:

3.1) non sono stati rispettati da parte dell’amministrazione procedente i termini essenziali previsti dalle norme in rubrica a difesa dell’incolpato che, siccome posti a garanzia della regolarità del contraddittorio, sono inderogabili;
in particolare, sono inderogabili i termini previsti per la presentazione delle giustificazioni (20 gg, prorogabili di 15: art. 105), quelli previsti per la presa di visione degli atti (20 gg: art. 111, c. 11), i termini stabiliti per il preavviso della trattazione davanti alla commissione (20 gg prima della seduta che va fissata dopo la scadenza del termine precedente: art. 111, c. IV);
i sessanta giorni così individuati sono da considerare non comprimibili perché relativi a termini posti a tutela dell’impiegato;
nel caso di specie, l’amministrazione ha concesso complessivamente soltanto 24 giorni al ricorrente, peraltro negandogli perfino di prendere visione di tutti gli atti e documenti inerenti l’inchiesta disciplinare;

4) violazione degli artt. 3 e seg. della L. n. 241 del 1990 – carenza e contraddittorietà della motivazione – eccesso di potere per sviamento – violazione e falsa applicazione dell’art. 60 e seg. della legge n. 599/1954 – violazione e falsa applicazione dell’art. 65 ed All. C), DPR n. 545/1986 – violazione dei principi di tassatività della sanzione – violazione del principio di corrispondenza fra fatti oggetto di contestazione disciplinare e sanzione – violazione del diritto di difesa – violazione degli artt. 24 e 25 Cost. – violazione degli art. 66 e 67 della L. n. 599/1954 – violazione dei principi del giusto procedimento – Carenza di istruttoria e di motivazione – Ingiustizia manifesta:

4.1) è stato violato il principio di corrispondenza tra fatti oggetto di contestazione disciplinare e quelli oggetto di successiva sanzione disciplinare;
ed invero, con foglio n. 23466 datato 10 novembre 2006 veniva contestato al ricorrente di avere commesso, in relazione alla sentenza 206/2004 del tribunale di Taranto “grave mancanza disciplinare verso i propri doveri di militare ai sensi dell’art. 9 e dell’art. 16 della legge n. 382/1978” mentre con l’atto impugnato, al contrario, veniva inflitta la perdita del grado per rimozione per violazione dei doveri attinenti al giuramento ed al grado, così come previsto dagli artt. 9, 10, 36 del DPR 18 luglio 1986, n. 545 con particolare riferimento all’osservanza delle leggi ed ai valori di fedeltà, disciplina, onore e senso di responsabilità;

4.2) tutte le violazioni contestate al ricorrente sono specificamente e tassativamente previste dall’art. 65, DPR n. 545/1986 tra le fattispecie che danno luogo alla sola consegna di rigore;

4.3) poiché la contestazione addebitata riproduce testualmente una mancanza tassativamente censurabile solo con una sanzione di corpo, non si comprende come si sia giunti alla irrogazione di una sanzione di stato;

4.4)il reato è stato compiuto dal ricorrente da “civile” e, pertanto, non nell’assolvimento dei compiti istituzionali attribuiti alle Forze Armate;

4.5) pareri dell’ufficiale inquirente e della commissione disciplinare, entrambi espressisi per la conservazione del grado, sono stati immotivatamente ed erroneamente disattesi prima dal Comandante in Capo e poi dal Direttore generale;
l’incolpato poteva essere deferito alla commissione solo in base alle risultanze dell’istruttoria escludendosi che l’autorità possa agire non tenendovi conto ed anzi disattendendole;

5) violazione dei principi in tema di valutazione ai fini disciplinari delle sentenze penali patteggiate – travisamento dei fatti – difetto di autonoma valutazione dei fatti del procedimento penale – violazione dell’art. 75, L. n. 599/1954 – difetto di motivazione – carenza di istruttoria – sviamento – ingiustizia manifesta – violazione del principio di legalità – perplessità e contraddittorietà dell’agere amministrativo – violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità:

5.1) sia l’ufficiale inquirente che la commissione di disciplina hanno ritenuto che la condotta rientrasse al più tra quelle sanzionabili con una sanzione di corpo, concludendo per la conservazione del grado;
diversamente, il direttore generale ha ritenuto che non sia possibile condividere il parere della commissione di disciplina;
l’art. 75 della L. n. 599/1954 prevede che “il Ministro può discostarsi dal giudizio della commissione di disciplina a favore del sottufficiale e soltanto in casi di particolare gravità, anche a sfavore”;
nel caso de quo, la motivazione avrebbe dovuto ulteriormente dare atto del perché i fatti oggetto del procedimento disciplinare siano tali da non garantire l’adempimento dei propri doveri e da non consentire il permanere del rapporto;

5.2) l’amministrazione è stata tratta colposamente in inganno, nella valutazione della effettiva condotta tenuta dal Passatore, dalla mera circostanza che il ricorrente abbia subito due arresti con custodia in carcere e da una superficiale lettura del dispositivo della sentenza di patteggiamento , dispositivo che reca un evidente errore materiale;

5.3) apodittica, irragionevole e non inerente alla natura del procedimento disciplinare è la motivazione del decreto impugnato nella parte in cui fa discendere la particolare gravità del comportamento tenuto dal ricorrente dalla “notevole quantità di sostanze stupefacenti”;
non è dato comprendere, infatti, l’iter logico seguito dall’amministrazione secondo cui l’incompatibilità del ricorrente con il permanere del rapporto di servizio discenderebbe dal quantum di sostanza detenuto e non dalla condotta in se tenuta;

6) violazione dei principi di gradualità e proporzionalità della sanzione – travisamento dei fatti – difetto di istruttoria e carenza di motivazione in ordine all’autonoma valutazione dei fatti del procedimento penale – violazione dell’art. 75, L. n. 599/1954 – violazione del diritto di difesa – violazione degli artt. 60, 66 e 67 della L. n. 599/1954 – violazione dell’art. 65e ed all. c), DPR 545/1986 – violazione dei principi di tassatività della sanzione – sviamento – ingiustizia manifesta – violazione del principio di legalità – perplessità e contraddittorietà dell’agere amministrativo – violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità:

6.1)l’assoluta irrilevanza attribuita dal direttore generale alle difficili condizioni di disagio economico, psicologico e familiare in cui il militare si è trovato ad agire, al ruolo di occasionale gregario che egli ha avuto nella vicenda penale nonché ai suoi buoni precedenti di servizio evidenziano l’ulteriore vizio da cui è afflitto l’impugnato decreto e consistente nella violazione del principio di gradualità;

6.2)il comportamento in servizio e nella vita privata successivamente, alla vicenda giudiziaria, è stato ineccepibile sconfessando nei fatti il giudizio dell’amministrazione che ha ritenuto di non potersi più avvalere del suo servizio”.

Con la sentenza epigrafata il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso, adottando motivazioni che tuttavia vengono contrastate dall’interessato con l’appello in esame, passato in decisione alla pubblica udienza del 26 giugno 2012.

DIRITTO

1.- Il primo mezzo d’appello, che avversa una sanzione disciplinare di perdita del grado per rimozione, ripropone il primo motivo di ricorso proposto al TAR e ne contrasta la decisione ove il primo giudice ha respinto la censura di violazione del termine perentorio di 120 giorni (dalla conclusione del procedimento penale) per l'avvio del procedimento, in base all’art. 10, c. 3, della legge 27 marzo 2001, n. 97 (recante “Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche”). Sul punto la sentenza , dopo aver ricordato il contenuto della disposizione (“ I procedimenti disciplinari per fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge devono essere instaurati entro centoventi giorni dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile ”) , ha evidenziato che :

“Come si evince dal tenore letterale della norma in commento, la disciplina transitoria recata dall’art. 10 cit. trova applicazione limitatamente ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore (6 aprile 2001) della legge 97/2001;

“Nel caso di specie, la data di consumazione del reato (continuato) va dal 23 novembre al 9 aprile 2001;
tale circostanza è stata accertata con sentenze del tribunale penale di Taranto n. 206/2004 e n. 3395/2004 e non è, pertanto, in questa sede sindacabile né revocabile in dubbio”.

Al riguardo il Collegio, come già anticipato in sede cautelare (v. ord. n.1216/2009), non può che confermare l’inapplicabilità alla fattispecie del termine perentorio di 120 giorni , in ragione del fatto che la continuazione, come emerge dal processo penale, risulta cessata dopo, e non prima dell’entrata in vigore della legge che detto termine reca.

Ne deriva che , ai fini di detta norma, è irrilevante l’incontestato fatto che tra il passaggio in giudicato della sentenza e l’avvio del procedimento disciplinare siano decorsi ben più di 120 giorni.

2.- Analogamente, il secondo motivo contrasta il rigetto della seconda censura proposta al TAR, inerente la violazione dei termini perentori di avvio del procedimento disciplinare in relazione all’art. 9, c. II, L. n. 19 del 1990. Premesso che “L’art. 9, c II., legge citata, così recita: “ La destituzione può sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni .…”, la doglianza è stata respinta rilevandosi come il ricorrente non abbia dimostrato la data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza. L’appellante ricava la piena conoscenza da parte del Ministero sulla base della natura del reato e della possibilità di determinare come conseguenza la interdizione dai pubblici uffici;
ma si tratta di elementi del tutto estranei alla problematica della “notizia” del “dictum” penale, sicchè essi risultano del tutto inidonei a supportare la censura.

3.-Con un terzo motivo di doglianza (punto A4) , il ricorrente ribadisce la violazione del principio di proporzionalità, recato sia dall’art. 60,n.6 della legge n.599/1954 che dalla legge n. 382/1978 (artt. 9 e 16) in base ai quali, secondo l’appellante, l’amministrazione poteva irrogare unicamente la sanzione di corpo costituita dalla consegna di rigore;
ma, come lo stesso ricorrente riconosce ed aggiunge, il citato art. 60 prevede (comma 1 n.6 ) la perdita del grado per rimozione in caso di violazione del giuramento, confermandosi quindi infondata l’interpretazione per cui la sanzione “de qua” sarebbe irrogabile solo per le sanzioni di corpo. La censura viene poi riformulata previa rivisitazione del contenuto del giuramento, affermando in sostanza che l’infrazione commessa non meritava la sanzione inflitta, non integrando la violazione dei doveri assunti col giuramento ma attenendo esclusivamente alla sfera civile. Anche questa tesi non può trovare accoglimento. La perdita del grado per rimozione può essere adottata tutte le volte che emergano comportamenti o atti del dipendente incompatibili con lo stato di sottufficiale (per il principio v. Cons. di Stato, sez. IV n. 1397/1998). E se si osserva che la norma sul giuramento impone l’osservanza con onore dei doveri derivanti dallo “status” rivestito, non appare illogico che l’Amministrazione abbia considerato il fatto accertato in sede penale incompatibile con i cennati doveri, essendo indiscutibile il principio di difesa sociale cui le forze armate sono ispirate nell’esercizio della proprie funzioni.

Del resto la sostanziale carenza di ogni spazio valutativo, tra la natura dei fatti accertati e le sanzioni per essi “ex lege” adottabili, origina dalla stessa tipologia della sentenza riportata dal Passiatore;
infatti ,come esattamente rilevato dal primo giudice, “l'art. 2 della legge n. 97 del 2001, con la modifica apportata all'art. 445 cod. proc. pen., ha innovato anche la disciplina relativa all'efficacia della sentenza di applicazione della pena su richiesta nel giudizio disciplinare, prevedendo che tale sentenza ha ora efficacia nei procedimenti disciplinari quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (cfr. Corte Cost. 24 giugno 2004, n. 186)”. Da tali rilievi il Collegio non ha motivo di discostarsi.

4.- Per la medesima ragione, infine , non sembrano potere assumere rilevanza i riproposti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, poggiando sufficientemente la sanzione adottata sul comportamento accertato in sede penale e sulla normativa disciplinare che vi ricollega determinate conseguenze.

5.- L’appello, che non ripropone in questa sede le altre censure trattate e respinte dal TAR, deve conclusivamente essere respinto.

6.- Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c).

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