Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-06-07, n. 202104304

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-06-07, n. 202104304
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104304
Data del deposito : 7 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/06/2021

N. 04304/2021REG.PROV.COLL.

N. 07283/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7283 del 2020, proposto da
R B, rappresentato e difeso dall'avvocato V A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza della Libertà n. 20;

contro

W M, L C, G C, G B, G L, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Comune di Capoliveri, rappresentato e difeso dagli avvocati G M e A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A C in Roma, via Emilio de' Cavalieri n. 11;
Ufficio Elettorale Comune di Capoliveri, Ufficio Territoriale del Governo Livorno, Ministero dell'Interno, S B, non costituiti in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4780 del 27 luglio 2020 non notificata, emessa nel giudizio avente R.G. 10620/19


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Capoliveri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 maggio 2021 il Cons. Ezio Fedullo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

Con la sentenza n. 1692 del 12 dicembre 2019, il T.A.R. per la Toscana si pronunciava in senso reiettivo sul ricorso proposto da Montagna Walter, nella sua qualità di candidato sindaco per la lista “Competenze e valori per Capoliveri”, dai candidati della medesima lista Cardelli Leonardo, Carmani Gianluca, Ballerini GianFrancesco, e dal signor Linguanti Giuseppe, elettore nel Comune di Capoliveri, avverso il risultato delle elezioni per il rinnovo delle cariche elettive del Comune di Capoliveri (LI), avente popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, svoltesi in data 26 maggio 2019, così come consacrato nel verbale delle operazioni dell’adunanza dei Presidenti delle Sezioni del 27 maggio 2019, nella parte in cui aveva assegnato alla Lista n. 1 “Competenze e valori per Capoliveri” n. 1148 voti anziché n. 1155 effettivamente riportati e, dunque, nella parte in cui (avendo riportato la lista avversaria n. 2 “Capoliveri Bene Comune“, con candidato sindaco il signor Gelsi Andrea, n. 1148 voti) non aveva proclamato eletto Sindaco del Comune di Capoliveri il candidato della Lista n. 1 sig. W M e non aveva attribuito 8 seggi e proclamati eletti gli otto candidati della medesima Lista n. 1.

Con la medesima sentenza, il T.A.R. toscano si pronunciava negativamente anche sulle censure formulate in via subordinata dagli originari ricorrenti, comprese quelle intese ad ottenere la rinnovazione delle operazioni elettorali e ad invalidare (e quindi ripetere) il risultato del turno di ballottaggio.

Limitando l’esame ricognitivo dell’esito del giudizio di primo grado ai capi della sentenza di primo grado che sono stati interessati dalla statuizione riformatrice resa da questa Sezione con la sentenza n. 4780 del 27 luglio 2020, oggetto come si vedrà del presente giudizio di revocazione, il T.A.R. per la Toscana riteneva, in primo luogo, che, contrariamente alle deduzioni attoree, fosse stata legittimamente annullata la scheda, votata nella sezione 2 e reclamata dai ricorrenti, contenente crocesegno sul simbolo della lista n. 1 e voto di preferenza espresso, tanto nel riquadro della lista n.1 quanto nel riquadro della lista n. 2, per il candidato “BELLISSIMO”, appartenente alla lista 1.

Questa Sezione, con la sentenza suindicata, premesso che “l’art. 57, comma 2, del d.P.R. n. 570 del 1960 prevede che siano inefficaci le preferenze espresse in uno spazio diverso da quello posto a fianco del contrassegno votato, che si riferiscano a candidati della lista votata”, ha rilevato che “nel caso di specie la scheda, lungi dal palesare qualsivoglia segno di riconoscimento, ha solo inteso esprimere due volte la medesima preferenza per il candidato della lista votata non solo nell’apposito riquadro della lista, ma anche in quello dell’altra lista, con la conseguenza che è inefficace il voto di preferenza, peraltro pacificamente riconducibile comunque alla lista n. 1 e “doppiato”, per mero errore, anche nel riquadro della lista n. 2, ciò che rende inefficace, ai sensi dell’art. 57, comma 2, del d.P.R. n. 570 del 1960, la preferenza per il candidato della lista n. 1, stante l’incertezza del doppio voto di preferenza espresso anche nel riquadro della lista n. 2, ma non certo nullo il voto chiaramente espresso per la lista n. 1 senza che detto errore manifesti incertezza nell’attribuzione del voto alla lista n. 1 o integri in alcun modo volontà, da parte dell’elettore di farsi riconoscere”.

Con ulteriore capo decisorio investito in chiave rivisitatrice dalla sentenza di secondo grado, il T.A.R. ha, in senso analogo, ritenuto che il seggio elettorale avesse correttamente disposto l’annullamento delle sei schede, ugualmente votate nella sezione 2, “contenenti croce segno sul simbolo della lista 1 ed espressione del voto di preferenza nel riquadro della medesima lista per un candidato appartenente alla lista n. 2”: si tratta, in particolare, di 3 schede con preferenza al candidato “ROTELLINI” - “R Gabriele” - “GABRIELE ROTELLINI”, di una scheda con preferenza al candidato “PUCCINI” e di una con preferenza al candidato “BARBETTI”.

Questa Sezione, con la citata sentenza n. 4780/2020, ha in senso contrario evidenziato che, nella fattispecie in esame, “deve trovare applicazione la pacifica, consolidata, giurisprudenza di questo Consiglio (v., in particolare, Cons. St., sez. V, 13 aprile 2016, n. 1477;
Cons. St., sez. V, 19 maggio 2016, n. 2087), secondo cui nei Comuni fino a 15.000 abitanti, ai sensi dell’art. 57, comma 7, del d.P.R. n. 570 del 1960 espressivo del principio del favor voti , il voto di lista rimane salvo, mentre è inefficace soltanto la preferenza espressa per il candidato di altra lista”, affermando che “proprio nei Comuni più piccoli, dove è vietato il voto disgiunto (v., ex plurimis , Cons. St., sez. V, 8 maggio 2020, n. 2911), rileva il voto di lista, manifestando esso la consapevolezza, da parte dell’elettore, di volere preferire una certa compagine politica, rispetto alla quale le preferenze assegnate ai singoli perdono di rilievo”.

Conclusivamente, il Collegio ha statuito che “le tre schede nelle quali l’elettore ha apposto la croce sul simbolo della lista n. 1 e ha espresso la preferenza al candidato R e al candidato P, della lista n. 2, sono dunque sicuramente valide, a differenza di quanto ha ritenuto il primo giudice, mentre sono inefficaci le preferenze espresse per detti candidati”.

La Sezione ha quindi rilevato che “l’illegittima sottrazione di almeno quattro voti nella sezione n. 2 alla lista appellante, per le ragioni predette, ha inficiato il risultato elettorale perché è certo che, sommando detti voti a quelli ottenuti e non contestati (1148), la lista n. 1 sarebbe risultata vincitrice e W M sarebbe divenuto Sindaco, senza la necessità di ricorrere al ballottaggio, ai sensi dell’art. 71, comma 6, del d. lgs. n. 267 del 2000, in quanto alla lista n. 1 dovevano essere riconosciuti 1152 voti e non 1148, pari a quelli riconosciuti alla lista n. 2, ciò che ha determinato, erroneamente, il ricorso al ballottaggio”.

Con la sentenza de qua è stata pertanto disposta la correzione dei risultati del turno elettorale delle elezioni amministrative svoltesi il 26 maggio 2019 nel Comune di Capoliveri, “con le conseguenti statuizioni ai sensi dell’art. 130, comma 9, e dell’art. 131, comma 3, c.p.a.:

a) la lista n. 1 “Competenze e Valori per Capoliveri” ha riportato n. 1152 voti validi (1148 + 4);

b) la lista n. 2 “Capoliveri Bene Comune” ha riportato 1148 voti validi.

19. La lista n. 1, quindi, deve essere quindi dichiarata vincitrice delle elezioni amministrative del 26 maggio 2019 del Comune di Capoliveri e W M deve essere dichiarato eletto alla carica del Sindaco del Comune di Capoliveri.

20. Devono essere eletti alla carica di consiglieri comunali gli 8 candidati della lista n. 1, che hanno ottenuto i maggiori voti di preferenza, secondo la graduatoria redatta in base alla cifra individuale di cui alla p. 12 del doc. 1 e, cioè, i seguenti otto candidati: L C, G C, Daniele Luperini, Donatello Rossi, Alessio Bellissimo, Laura Di Fazio, Niccolò Censi e G B.

21. Risultano consiglieri comunali eletti nella lista n. 2 Andrea Gelsi e, avendo dato le dimissioni il primo degli eletti R B, Antonello Colombi, Lorenzo Zini e S B”.

Il paragrafo della sentenza suindicata, da ultimo trascritto (n. 21), costituisce appunto l’oggetto della domanda di revocazione presentata dal sig. B R, il quale deduce, da un lato, che dagli atti versati in giudizio si evince inequivocabilmente che il suddetto era il primo degli eletti della lista n. 2 e che, solo successivamente all’esito del ballottaggio, il medesimo ha rassegnato le proprie dimissioni, al mero fine di consentire ad altro candidato della medesima lista di accedere alla carica di consigliere, dall’altro lato, che le dimissioni presentate dal suddetto in data 24 giugno 2019 (di cui ha preso atto il Consiglio comunale con la delibera n. 45 del 24 giugno 2019, recante la convalida degli eletti alla carica di Sindaco e di Consigliere comunale, procedendo conseguentemente alla surroga del consigliere dimissionario con il primo dei non eletti, dott. I A S) sono intervenute in epoca successiva alla proclamazione degli eletti, cioè a dire in un periodo di tempo seguente a quello in cui il Sig. B è stato eletto ed ha ricevuto la notifica della nomina a Consigliere e, quindi, (testualmente) “non più “esistente” in virtù delle statuizioni della sentenza di cui si chiede la parziale revoca che, accogliendo il ricorso, ha corretto il risultato delle elezioni e sostituito ai candidati illegittimamente proclamati, la Lista n. 1 al posto della Lista n. 2”.

Deduce altresì la parte ricorrente per revocazione che le predette dimissioni non sono state rassegnate per motivi cd. “immutabili” (di incandidabilità, ineleggibilità o incompatibilità), bensì per consentire l’ingresso nel Consiglio Comunale di altro candidato della medesima lista e nominare il ricorrente assessore con la carica di Vice Sindaco, ed espone che, qualora il Consiglio di Stato avesse rilevato che le dimissioni erano intervenute solo successivamente alla proclamazione degli eletti ed alla notificazione della stessa ai Consiglieri eletti, non avrebbe preso in considerazione ai fini decisori le citate dimissioni.

Si è costituito nel giudizio di revocazione il Comune di Capoliveri, per opporsi al suo accoglimento.

Tanto premesso, il ricorso per revocazione in esame deve essere dichiarato inammissibile.

L’elaborazione giurisprudenziale che ha caratterizzato, anche nella sua applicazione processuale-amministrativa, l’istituto revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c., come è noto, ne ha posto in evidenza, coerentemente con la relativa e generale disciplina codicistica, il carattere di rimedio agli errori di fatto che inficiano la sentenza interessata, non quale manifestazione di giudizio (sui profili di fatto e di diritto della controversia), ma quale presa d’atto, di tipo meramente ricognitivo, dei dati fattuali rilevanti ai fini della decisione, in ordine ai quali non vi sia contestazione tra le parti della stessa.

Trattasi, in altre parole, di uno strumento volto a ripristinare la conformità del decisum alla realtà fattuale che fa da sfondo alla res iudicanda , il cui recepimento tra i presupposti della sentenza inficiata dall’errore revocatorio non sia stato mediato da alcuna sorta, nemmeno embrionale, di attività valutativa da parte del giudice: sebbene, quindi, l’errore della cui tipologia si discute sia suscettibile di viziare, in modo non meno decisivo rispetto ai veri e propri errores in iudicando , la qualificabilità della sentenza come “giusta” (la cui prima condizione è rappresentata dalla assunzione, a fondamento della decisione, di una cornice fattuale “veritiera”), esso attiene alla componente “pre-decisoria” della sentenza, ovvero alla ricognizione dei dati fattuali da immettere nel processo decisionale, senza alcuna preventiva selezione di carattere critico-valutativo da parte dell’autorità giudicante.

Tali caratteri del vizio revocatorio sono appunto enucleabili dalla disposizione (art. 395, n. 4, c.p.c., richiamato dall’art. 106 c.p.c.) che ne fissa la disciplina generale, laddove prevede che la sentenza è suscettibile di revocazione laddove sia “l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa”, precisando che “vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

Dalla disposizione citata si evince appunto che, per quanto di interesse:

- la discrepanza tra la sentenza e la realtà fattuale, così come rappresentata negli atti processuali, deve avere carattere “macroscopico”, ovvero essere percepibile attraverso una lettura meramente oggettiva degli “atti o documenti della causa”, senza che, al fine di ricavarla da questi ultimi, sia necessario alcun tipo di attività interpretativa e/o valutativa;

- il dato fattuale erroneamente riportato in sentenza, rispetto alla sua oggettiva consistenza documentale, non deve aver costituito oggetto, sulla scorta delle contrapposte rappresentazioni delle parti, del vaglio giurisdizionale.

Solo ricorrendo tali presupposti, infatti, può correttamente sostenersi che l’errore di fatto revocatorio sia “configurabile nell’attività preliminare del giudice relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo (quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale)”, senza coinvolgere “la successiva attività di ragionamento, di apprezzamento, di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del suo convincimento, che può prefigurare esclusivamente un errore di giudizio”: “deve trattarsi, pertanto, di errore percettivo, concretante una mera svista materiale, che abbia indotto giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, e sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato (non ricorrendo, quindi, allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita)” (cfr. di recente, in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. V, n. 829 del 28 gennaio 2021).

Trasponendo il discorso dalla astratta configurazione sistematica dell’istituto in questione alla sua concreta operatività processuale, un valido criterio di “controprova”, utile al fine di saggiare l’esperibilità del rimedio de quo in funzione correttiva di una sentenza asseritamente inficiata da un errore di fatto di segno revocatorio, è costituito dal cd. metodo controfattuale, adattato alla specificità della fattispecie: se, eliminando l’errore rappresentativo, la sentenza ne risulti automaticamente privata di uno dei suoi presupposti decisori, potrà fondatamente sostenersi la ricorrenza di un vizio revocatorio;
qualora invece, pur a seguito della depurazione della sentenza del suo vizio rappresentativo, l’esito decisorio nella stessa consacrato non ne risulti automaticamente travolto, ma siano necessari ulteriori momenti valutativi (tali da anticipare, di fatto, segmenti del giudizio rescissorio nella fase-filtro dell’accertamento del vizio rescindente), la conseguenza non potrà che essere l’esclusione ( sub specie di inammissibilità del ricorso) del presupposto revocatorio.

Applicando le illustrate coordinate interpretative alla fattispecie oggetto di giudizio, deve osservarsi che l’odierna parte ricorrente desume i presupposti del predicato errore revocatorio dai seguenti elementi, che sarebbero sfuggiti all’attenzione del giudice di appello, inficiando la sentenza n. 4780/2020 nella parte in cui, nel definire l’effetto ripristinatorio dell’accoglimento del gravame, ha statuito che “risultano consiglieri comunali eletti nella lista n. 2 (…), avendo dato le dimissioni il primo degli eletti R B, (…) S B”:

a) l’univoca emersione, dagli atti del procedimento elettorale versati in giudizio, del candidato R B quale primo degli eletti per la lista n. 2;

b) la posteriorità delle dimissioni del consigliere B rispetto alla proclamazione degli eletti, sulla quale si è abbattuta la pronuncia demolitoria della Sezione;

c) la finalizzazione delle dimissioni, così come desumibile dalla relativa dichiarazione, a consentire il subentro nell’assise consiliare del candidato – primo dei non eletti per la medesima lista, alla stregua del risultato elettorale poi corretto dalla sentenza citata – I A S.

Ebbene, deve ritenersi che nessuna delle menzionate allegazioni giustifichi l’attribuzione al predicato errore di fatto dei connotati necessari a ritenere che esso integri la fattispecie revocatoria ex art. 395, n. 4, c.p.c..

In primo luogo, per quanto concerne la circostanza sub a), essa non è idonea a rivelare alcuna erronea rappresentazione sulla quale si fondi la sentenza de qua, dal momento che non era contestata nel giudizio di primo e di secondo grado (né la medesima sentenza la pone in alcun modo in discussione) la posizione elettorale conseguita dal sig. B, sulla base della sua cifra elettorale individuale, quale primo degli eletti per la lista n. 2.

Quanto alle circostanze sub b) e c), deve in primo luogo osservarsi che le stesse non smentiscono la rispondenza alla realtà processuale del nucleo fattuale fondamentale della statuizione censurata, relativa alla avvenuta presentazione delle dimissioni da parte del consigliere neo-eletto B, ma ne pongono in evidenza, ai predicati fini revocatori, alcuni elementi di contorno, relativi al “quando” della loro presentazione ed alla finalità alle stesse sottesa.

Trattasi, tuttavia, di elementi che non attengono al “fatto-dimissioni”, posto a fondamento della statuizione contestata, ma alla sua rilevanza al fine di giustificare la pronuncia sostitutiva che ha riguardato, quale consigliere eletto, l’odierno ricorrente, a beneficio del candidato S B: rilievo che risulta già di per sé sufficiente ad escludere l’inerenza dell’errore allegato alla attività meramente rappresentativa del giudice ed alla sua conformità ai dati fattuali recepiti attraverso l’analisi meramente ricognitiva del materiale processuale.

Non solo, infatti, gli elementi dedotti non appartengono al contenuto rappresentativo della sentenza suindicata (che, per la parte di interesse, si limita a dare correttamente atto delle dimissioni rassegnate dal consigliere eletto B R, senza ulteriori precisazioni suscettibili di evidenziare eventuali profili di contrasto con le risultanze processuali), ma la loro considerazione, quali tratti qualificanti il contesto temporale o teleologico in cui le medesime dimissioni sono state formalizzate, non è da sola atta a determinare l’infrangimento dei presupposti fattuali della sentenza medesima, essendo all’uopo necessari ulteriori valutazioni, attinenti propriamente al giudizio rescissorio, in ordine alla incidenza di quegli elementi “qualificanti” sulla idoneità delle dimissioni a costituire il presupposto per il subentro del candidato Baldetti al ricorrente B nella posizione di consigliere eletto.

Da questo punto di vista – ed al solo fine di dimostrare l’estraneità delle circostanze allegate allo spettro entro cui sarebbe astrattamente profilabile il vizio revocatorio – deve osservarsi che se la delibera n. 45 del 24 giugno 2019, recante la convalida degli eletti e la surroga del consigliere dimissionario, può effettivamente considerarsi travolta nella sua efficacia dalla statuizione (parzialmente) caducatoria del risultato elettorale, tenuto conto della indivisibilità dei relativi effetti e della necessità della sua rinnovazione in conseguenza della nuova composizione dell’organo consiliare all’esito della correzione ope iudicis del risultato elettorale, alla stessa conclusione non è dato, con la stessa pacificità, pervenire con riferimento all’atto di dimissioni del consigliere B (e quindi in relazione alla sua idoneità a determinare la perdita irreversibile dello status di consigliere eletto, da cui questa Sezione ha fatto discendere l’individuazione in vece dello stesso, nella carica consiliare, del candidato S B).

Deve infatti osservarsi che il risultato elettorale, così come certificato nella sua correttezza ( recte , rispondenza alla effettiva volontà del corpo elettorale) dalla sentenza n. 4780/2020, non ha prodotto alcuna immutatio dello status di consigliere eletto del ricorrente B (limitandosi a modificare il rapporto del medesimo con la maggioranza consiliare, da cui è stato estromesso unitamente agli altri candidati eletti della sua lista): su tale status, pertanto, la dichiarazione di dimissioni da lui presentata ha prodotto irreversibilmente i suoi effetti estintivi, senza che esso potesse considerarsi risorto una volta che questa Sezione, con la sentenza suindicata, ha ricostruito il corretto risultato elettorale (confermativo, sotto questo profilo, della posizione di consigliere eletto dell’odierno ricorrente).

Non merita quindi condivisione il ricorso per revocazione in esame, laddove pone l’accento sulla pretesa cesura che la sentenza di annullamento avrebbe determinato tra la proclamazione degli eletti e le successive dimissioni del sig. B, assumendo che, qualora il Collegio decidente si fosse avveduto del carattere posteriore delle stesse rispetto all’atto di proclamazione, non vi avrebbe ricondotto l’effetto di sterilizzare il risultato elettorale conseguito dal ricorrente: deve anzi rilevarsi che alla Sezione non poteva non essere presente l’evidenziata collocazione temporale dell’atto di dimissioni, atteso che, dovendo esso incidere sullo status previamente acquisito di consigliere, non poteva non essere successivo alla intervenuta proclamazione del ricorrente B quale consigliere comunale.

Per quanto concerne, infine, la sottolineata finalità delle medesime dimissioni – siccome volte a consentire l’ingresso nel Consiglio comunale del dott. I A S, sul presupposto della nomina del ricorrente quale Vice Sindaco – deve osservarsi, in senso analogo, che essa non concorre a modificare la struttura essenziale del “fatto-dimissioni”, da cui la Sezione ha tratto la conseguenza escludente (del ricorrente dalla compagine consiliare) contestata, ma ne colorano la cornice finalistica, estranea sia alla componente rappresentativa della sentenza medesima sia all'ambito delle circostanze che concorrono a comporne i relativi presupposti fattuali.

In ogni caso, ed anche qui lambendo tangenzialmente il momento rescissorio, al solo fine di evidenziare l’inerenza della richiamata finalità ad un ambito di ordine valutativo, inidoneo in quanto tale a costituire il terreno di attecchimento dell’errore revocatorio, non può non osservarsi che dalla pertinente disposizione legislativa (art. 38, comma 8, terzo periodo d.lvo n. 267/2000), ai sensi del quale le dimissioni del consigliere comunale “sono irrevocabili, non necessitano di presa d’atto e sono immediatamente efficaci”, si evince che le stesse, una volta perfezionate, conservano la loro efficacia sine die, senza risentire dell’eventuale mutamento del contesto giuridico-fattuale che ne ha determinato (e motivato) la presentazione.

Infine, non merita condivisione già in punto di fatto – ed a prescindere dalla sua irrilevanza agli effetti dell’accoglimento della domanda di revocazione - la deduzione attorea intesa a sostenere che il ricorrente non ha potuto difendersi sul tema delle dimissioni.

Deve infatti osservarsi che, come sottolineato dalla difesa comunale, esso, oltre ad essere stato introdotto dagli originari ricorrenti e successivi appellanti (in punto di declinazione soggettiva del petitum ), attiene a pieno titolo alla res iudicanda , concorrendo a definire contenutisticamente l’effetto ripristinatorio della sentenza di annullamento (tanto più in presenza di una norma speciale (art. 130, comma 9, c.p.c., richiamata per il processo di appello dall’art. 131, comma 3, c.p.a.) che esige la compiuta delimitazione dell’effetto de quo (laddove dispone che “il tribunale amministrativo regionale, quando accoglie il ricorso, corregge il risultato delle elezioni e sostituisce ai candidati illegittimamente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo”).

In conclusione, il proposto ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile, mentre la novità dell’oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese del relativo giudizio.

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