Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-05-11, n. 202103712

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-05-11, n. 202103712
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202103712
Data del deposito : 11 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/05/2021

N. 03712/2021REG.PROV.COLL.

N. 02749/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2749 del 2021, proposto da
-O-, rappresentato e difeso dagli avvocati M L, P C e Patrizio Ivo D'Andrea, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, 9;

contro

-O-, rappresentato e difeso dagli avvocati G R e G I, con domicilio digitale come da Pec Registri di giustizia;

nei confronti

Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore , non costituito in giudizio;
Consiglio Superiore della Magistratura - CSM, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12 è elettivamente domiciliato;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -O-, resa tra le parti, concernente procedura di conferimento dell'ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma.

.


Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di del Consiglio Superiore della Magistratura e di -O-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2021, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 25 d.-l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Luciani, Rubino e D'Andrea, nonché l’avvocato dello Stato Russo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, il dott. -O-, Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Firenze, chiedeva l’annullamento, tra l’altro, della deliberazione del Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura del 4 marzo 2020 che, accogliendo una delle tre proposte nominative formulate dalla sua V Commissione, disponeva “ la nomina a Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, a sua domanda, del dott. -O-, magistrato di VII valutazione di professionalità, attualmente in servizio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma con le funzioni di Procuratore aggiunto, previo conferimento delle funzioni direttive requirenti elevate di primo grado ”.

Contestualmente il dott. -O-impugnava la proposta – formulata il 14 gennaio 2020 dalla V Commissione del CSM – di conferimento al dott. -O-di quell'Ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, nonché il provvedimento con il quale, nella seduta del 19 settembre 2019, la stessa V Commissione del CSM, “ preso atto del materiale istruttorio proveniente dalla Prima Commissione ”, aveva stabilito la revoca della proposta originaria del 23 maggio 2019 formulata a favore del dott. -O-

Il dott. -O- in effetti, aveva preso parte alla procedura per l’assegnazione dell’ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma. Nel corso della procedura, in ragione dei titoli e delle esperienze acquisiti, il 23 maggio 2019 egli era risultato destinatario – con il maggior numero di voti favorevoli rispetto agli altri candidati – della proposta di nomina della competente V Commissione consiliare.

Tuttavia, prima che tale proposta venisse formalizzata al Plenum del CSM, sopravveniva la notizia di un’indagine penale della Procura della Repubblica di Perugia circa tra l’altro alcuni componenti dell’organo di governo autonomo della magistratura. In considerazione di ciò, la stessa V Commissione – per quanto avesse espresso le proprie proposte – disponeva di acquisire dal Comitato di presidenza del CSM, nelle more dell’ iter procedimentale, copia delle trascrizioni degli atti pervenute al CSM stesso.

La Commissione revocava così le proposte formulate alla menzionata seduta del 23 maggio 2019, e nei seguenti termini: “ La Commissione, preso atto del materiale istruttorio proveniente dalla Prima Commissione, procede alla revoca delle proposte formulate nella seduta del 23/05/2019 in favore dei dottori -O-, disponendone la trattazione in via prioritaria secondo l’ordine effettivo delle vacanze ”.

Nella successiva seduta del 14 gennaio 2020 all’uopo fissata, su diverse relazioni la V Commissione nuovamente proponeva, per il conferimento dell’incarico, gli stessi magistrati indicati nell’originaria seduta del 23 maggio 2019, ma con l’unica eccezione del dott. -O- al quale sostituiva il dott. -O-

All’esito della seduta del 4 marzo 2020 dell’organo plenario del CSM per il conferimento dell’incarico, la scelta cadeva, a maggioranza, sul dott. -O-

Più in particolare, la proposta del 14 gennaio 2020 della V Commissione poi approvata il 4 marzo 2020 dal Plenum del CSM, pur dando atto dell’« elevatissimo profilo di merito di entrambi i candidati », aveva affermato la prevalenza del dott. -O-sulla base di una valutazione degli indicatori attitudinali, tenendo conto delle esigenze funzionali dell'Ufficio da ricoprire basate: a) sul possesso dell’indicatore specifico di cui all’art. 18 ( Indicatori specifici per gli Uffici direttivi giudicanti e requirenti di primo grado di grandi dimensioni ), comma 1, lett. a) (sullo svolgimento, in atto o pregresso, di funzioni direttive o semidirettive) del Testo Unico, connesso alle esperienze semi-direttive maturate dal dott. -O- b) sul contenuto del di lui progetto organizzativo e sull’esito dall'audizione; c) sul possesso dell’indicatore specifico di cui all’art. 32 ( Criteri di valutazione per uffici collocati in zone caratterizzate da rilevante presenza di criminalità organizzata di tipo mafioso ) del Testo Unico, comprovato dalla trattazione con risultati eccellenti in diversi uffici (Procure della Repubblica presso i Tribunali di Palermo, di Reggio Calabria e di Roma) anche in funzioni semi-direttive (alle Procure della Repubblica presso i Tribunali di Reggio Calabria e di Roma), di procedimenti per reati ai sensi dell'art. 51, comma 3- bis , Cod. proc. pen., a fronte di una ritenuta minor esperienza del dott. -O-in materia di criminalità organizzata.

Venivano inoltre valorizzati il peso attitudinale specifico – a fronte delle esigenze funzionali della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma in relazione alla sua complessiva dimensione organizzativa e ai settori di maggiore significazione – connesso alla pregressa “ esperienza diretta ” presso la medesima Procura;
la capacità di “ assumere le soluzioni organizzative che garantiscono l'efficienza dell'Ufficio ”, dimostrata attraverso il “ contribuito all'elaborazione di quelle soluzioni organizzative che hanno contribuito a rendere efficiente la Procura Romana ”;
il possesso degli indicatori specifici di cui al menzionato art. 18, comma 1, ma qui lett. b) (sulle capacità relazionali dimostrate all’interno dell’ufficio) e c) (sulle capacità relazionali dimostrate nei rapporti esterni);
del Testo Unico;
l’inidoneità degli indicatori generali a sovvertire la ritenuta prevalenza del dott. P dal punto di vista degli indicatori specifici.

A sostegno del ricorso al Tribunale amministrativo, il dott. -O-deduceva i seguenti motivi di impugnazione:

1) Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 97 della Costituzione, violazione e/o falsa applicazione del principio di massima completezza dell’istruttoria;
violazione dell’art. 3 della l. n. 241/90;
violazione e/o falsa applicazione del T.U. della dirigenza giudiziaria approvato con delibera del CSM del 28 luglio 2015. Eccesso di potere per carenza di motivazione, contraddittorietà, disparità di trattamento, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, nonché per assenza e/o erroneità dei presupposti.

Rilevava il ricorrente dott. -O-come la V Commissione, riconvocata dopo alcuni mesi a rivalutare i profili dei candidati, aveva mutato in parte indirizzo, però senza esternare alcuna ragione atta a giustificare la nuova valutazione;
e, contraddittoriamente, lo stesso relatore dell’ultima proposta a favore del dott. -O- aveva espresso invece, nella precedente seduta del 23 maggio 2019, il voto a sostegno della proposta favorevole al dott. -O- Ciò in violazione del principio giurisprudenziale per il quale, in caso di valutazioni difformi ma ravvicinate nei confronti del medesimo magistrato, si deve dar conto delle ragioni sopravvenute che giustifichino il mutamento di giudizio. Inoltre, ciò non era avvenuto nell’ambito di due procedimenti diversi, bensì all’interno del medesimo procedimento e in seno allo stesso organo.

2 ) Violazione di legge: violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 97 della Costituzione;
violazione e/o falsa applicazione del principio di massima completezza dell’istruttoria;
violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 11 comma 2, 12 comma 10, 12 del d.lgs. n. 160 del 2006 e s.m.i.;
violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1, 2, 24, 26, 6, 7, 8, 9, 11, 13, 18 T.U. della dirigenza giudiziaria approvato con delibera del CSM del 28 luglio 2015. Eccesso di potere per carenza di motivazione, disparità di trattamento, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, nonché per assenza e/o erroneità dei presupposti.

Si costituivano in giudizio per resistere al ricorso – con distinti atti – sia il Ministero della giustizia e il CSM, sia il dott. -O-

Con sentenza 16 febbraio 2021, n. 1860, il Tribunale amministrativo accoglieva il ricorso, sul presupposto che, “ non risulta[ndo] in atti una motivazione specifica sull’esclusione del dott. -O-da parte della Quinta Commissione, […] deve concludersi che, in realtà, la procedura di conferimento dell’incarico direttivo sia stata viziata “a monte” dalla carenza di motivazione in ordine all’esclusione del dott. -O- già oggetto di precedente proposta ”.

Ciò in quanto “ il testo della proposta diviene, in forza dell'approvazione del Plenum, l'impianto motivazionale del provvedimento di conferimento (TAR Lazio, Sez. I, 22.6.2017, n. 7273), per cui – a contrario – l’assenza di motivazione nella proposta non può che riflettersi specularmente anche sulla assenza di motivazione della scelta del Plenum ”.

Avverso tale decisione il 23 marzo 2021 il dott. -O-interponeva appello, con istanza cautelare di sospensione della sentenza, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:

1) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 104 e 105 Cost., degli artt. 3, 10 e 11 del d. lgs. n. 195 del 1958;
degli artt. 10 e 12 del d. lgs. n. 160 del 2006;
degli artt. 22, 26, 37 e 66 del Regolamento interno del CSM;
dell’art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990. Travisamento dei fatti. In subordine: inammissibilità dell’originario ricorso per tardività. Error in iudicando. Illogicità per interna contraddizione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990
.

2) Error in iudicando. Inammissibilità dell’originario ricorso. Violazione degli artt. 7, 29 e 134 cod. proc. amm .

Il Consiglio Superiore della Magistratura si costituiva in giudizio, concludendo per l’accoglimento dell’appello.

Anche il dott. -O-si costituiva, deducendo invece l’infondatezza dell’appello, che chiedeva fosse respinto.

Successivamente le parti precisavano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive.

All’udienza del 15 aprile 2021 il Collegio comunicava alle parti, in forma diretta ed esplicita, la possibilità di adottare una sentenza semplificata, ricorrendone le condizioni previste;
quindi, sentite le stesse ai sensi dell'art. 60 Cod. proc. amm., la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Alla luce delle risultanze di causa, il Collegio ritiene che l’appello non sia fondato.

1. Con il primo motivo di appello, il dott. -O-censura l’erronea ricostruzione dei fatti da parte del primo giudice: in particolare evidenzia come, in occasione della riunione della V Commissione del CSM del 23 maggio 2019, “ il momento deliberativo ” si sarebbe “ esaurito in ciò che ciascun Commissario ha potuto formulare una proposta o aderire a una proposta altrui (o, nel caso, astenersi da ogni espressione di preferenza). Non c’è stato, invece, alcun procedimento decisionale unitario, nel quale siano state sottoposte al voto dell’intera Commissione – partitamente – le singole proposte, men che meno con votazione di ballottaggio ”.

In breve, lungi dall’essersi proceduto a votazioni di ballottaggio tra i nominativi dei magistrati che avevano risposto all’interpello per la nomina a Procuratore della Repubblica preso il Tribunale di Roma, la Commissione il 23 maggio 2019 si era limitata a svolgere un’attività meramente preparatoria, l’esito della quale avrebbe successivamente dovuto riferire al Plenum , al quale solo compete “ ogni prerogativa decisoria, per quanto sulla base delle risultanze così acquisite ”.

All’incirca un mese dopo questi fatti – prosegue l’appello – a causa delle improvvise dimissioni di circa un terzo dei Consiglieri, la composizione della medesima Commissione veniva però a mutare profondamente. Tra i Consiglieri venuti meno, in particolare, vi erano anche i promotori di due delle tre proposte di nomina che avrebbero dovuto essere poi tramesse al Plenum , nonché il relatore generale per la pratica. Sorgeva pertanto “ non la semplice opportunità, ma la necessità di un riesame della pratica in Commissione, riesame che – ovviamente – portava con sé la piana possibilità di valutazioni diverse dalle precedenti ”.

Ad avviso dell’appellante, dunque, l’evenienza (in sé casuale) che quattro Consiglieri erano stati sostituiti da diversi colleghi legittimava – se non addirittura imponeva – di per sé, la revoca delle precedenti determinazioni. La revoca - si osserva qui a seguito di quanto testualmente riportato - era senza motivazioni e in assenza di manifesti vizi di legittimità, o manifeste o comunque dichiarate ragioni di sconvenienza.

Al riguardo, nella riunione del 25 luglio 2019, la Commissione – nella nuova composizione – si era determinata a solo proseguire l’esame della pratica oggetto di causa già trattata il 23 maggio 2019, stavolta affidata ad un nuovo relatore. In quell’occasione, però, uno dei componenti chiedeva disporsi un supplemento istruttorio, consistente nell’acquisire copia delle trascrizioni relative ad intercettazioni disposte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia e trasmesse al CSM, al fine di verificare se il loro contenuto potesse rilevare in merito alla pratica in trattazione.

Nella successiva riunione del 19 settembre 2019, come detto, la V Commissione, “ preso atto del materiale istruttorio proveniente dalla Prima Commissione, procede alla revoca delle proposte formulate nella seduta del 23/05/2019 in favore dei dottori -O-, disponendone la trattazione in via prioritaria secondo l’ordine effettivo delle vacanze ”.

Nelle successive riunioni del 22 e 24 ottobre 2019, la medesima V Commissione disponeva, diversamente da quanto fatto il 23 maggio 2019, di procedere ad un’audizione dei candidati, chiedendo loro in particolare di illustrare “ i profili della carriera che ritengono di maggior rilievo per l’espletamento dell’incarico per il quale concorrono ” e “ le linee organizzative che intenderanno seguire per l’espletamento dell’incarico medesimo ”.

Nel corso di tali audizioni, come da verbale, in relazione al dott. -O-veniva pure affrontata, seppure marginalmente per iniziativa di un membro della Commissione, la questione delle dette intercettazioni: in ordine al contenuto di queste, peraltro, il candidato -O-si poneva quale parte offesa e, comunque, il Presidente della Commissione assicurava queste esulare dalle valutazioni dell’organo circa la procedura comparativa in corso (“ […] evidentemente è acclarato il suo mancato coinvolgimento, […] il nostro approccio allo studio di questa pratica non ne è minimamente influenzato […] ”).

Il Collegio, al fine di bene definire i termini della questione controversa, ritiene di dover preliminarmente richiamare il contesto normativo di riferimento.

Ai sensi dell’art. 11, terzo comma , della l. 24 marzo 1958, n. 195 ( Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura ), « sul conferimento degli uffici direttivi il Consiglio delibera su proposta, formulata di concerto col Ministro per la grazia e giustizia, di una commissione formata da sei dei suoi componenti, di cui quattro eletti dai magistrati e due eletti dal Parlamento» ;
il successivo quarto comma, al riguardo, chiarisce che il Ministro della giustizia si limita ad esprimere motivate valutazioni « solo in ordine alle attitudini del candidato relative alle capacità organizzative dei servizi» .

La norma è chiara nel disporre che, pur spettando al solo Plenum dell’organo di governo autonomo della magistratura la competenza a disporre l’attribuzione dell’Ufficio messo a concorso, la scelta non può intervenire senza la preventiva proposta della Commissione competente (nella specie, la Quinta), seppur a prescindere dal contenuto di quest’ultima.

In sintesi, il Plenum del CSM non può senz’altro deliberare l’attribuzione dell’ufficio messo a concorso in favore di un magistrato che, ancorché titolato, non sia stato fatto preventivamente oggetto di proposta nominativa da parte della Commissione consiliare competente.

La Commissione peraltro non è tenuta a formulare una sola proposta (totalitaria o di maggioranza), sicché ben può proporre più di un nominativo all’esame del Plenum , la legge non prevedendo un limite numerico.

Ovviamente - e tanto più se si ricorda che il Consiglio Superiore della Magistratura non è organo politico ma di alta amministrazione di rilievo costituzionale (cfr. da ultimo Cons. Stato, V, 7 gennaio 2021, n. 215;
11 gennaio 2021, n. 330) il riferimento normativo è impersonalmente fatto alla “Commissione” in quanto tale (l’organo amministrativo interno, collegiale e unitario), non alle persone dei suoi singoli componenti. Del resto, il relatore delle proposte resta il medesimo componente, preventivamente designato a tal fine. Ne consegue che, anche nel caso in cui venga indicata al Plenum una pluralità di nominativi (in ipotesi, anche uno per ciascun membro dell’organo), ciascuno va riferito all’organo nel suo complesso, non alla persona del singolo proponente.

Coerentemente, per l’art. 22 ( Atti del Consiglio ), comma 1, del Regolamento interno del CSM, « Il Consiglio delibera i provvedimenti indicati dall’art. 10, comma 1, numeri 1, 2, 4, 5 della legge 24 marzo 1958, n. 195, su proposta della Commissione competente per materia» . Alla Commissione dunque, unitariamente, sono imputate le determinazioni assunte al proprio interno, restando irrilevanti le posizioni individuali assunte di volta in volta, in ordine alle proposte, dai suoi componenti.

Ancora, l’art. 37 del Regolamento interno (sulla “ procedura per il conferimento degli uffici direttivi ”) prevede, al comma 1: « la Commissione competente […], previa apposita deliberazione, indica al Ministro l’elenco degli aspiranti, le proprie valutazioni e le conseguenti motivate conclusioni, allegando quelle dei dissenzienti che lo richiedono e procede alla richiesta del concerto» .

Il successivo comma 2 precisa : « All’esito la Commissione riferisce al Consiglio, che delibera. Allo scopo di consentire la valutazione di uno o più aspiranti diversi da quelli considerati nella proposta o nelle proposte, ciascun componente che non fa parte della Commissione competente può chiedere, durante la seduta del Consiglio, il ritorno della pratica in Commissione» .

Si ribadisce così – grazie anche alla concatenazione procedimentale con il concerto ministeriale, che segue la delibera della Commissione e non attende quella del Plenum – l’impossibilità, per il Plenum del CSM, di autonomamente procedere all’attribuzione di un incarico direttivo in favore di un magistrato senza la base una preventiva proposta della V Commissione (che abbia, a sua volta, ricevuto il positivo concerto ministeriale).

In sostanza, il Plenum del CSM non può autoinvestirsi del potere di deliberare l’attribuzione di un incarico a un magistrato che, pur avendo domandato di partecipare alla procedura selettiva ed essendo in possesso di tutti i requisiti di legge, non sia stato destinatario di una proposta favorevole da parte della suddetta Commissione, con quanto ricordato ne segue.

Le proposte della Commissione appaiono dunque parzialmente condizionanti per il Plenum : nel senso che – laddove il Plenum non le condivida– non può limitarsi ad ignorarle e procedere d’ufficio a valutare gli ulteriori aspiranti non considerati dalla Commissione in sede referente, ma deve restituire gli atti a quest’ultima, affinché riesamini le proprie valutazioni iniziali.

Le proposte della V Commissione, trasmesse al Plenum con il corredo del concerto ministeriale, restano comunque atti endoprocedimentali (interni cioè al procedimento di nomina destinato a scaturire nella deliberazione finale del CSM). In quanto tali, per quanto possano avere implicazioni individualmente pregiudizievoli, non sono direttamente impugnabili per il solo fatto della loro adozione;
hanno nondimeno carattere necessario, in quanto delimitano l’esame, pur libero nella decisione, del Plenum alle ipotesi di nomina già considerate.

In questi termini, non appare fondato il rilievo dell’appellante per cui si dovrebbe escludere qualsiasi rilievo decisorio alle proposte previamente formulate in Commissione. Nei confronti del Plenum la Commissione “ riferisce al Consiglio, che delibera ” (così l’art. 37, comma 2, cit.), presentando le proposte emerse e positivamente valutate nel corso della sua attività preparatoria. Ma ciò che rileva non è l’ipotetica autonoma lesività delle proposte emerse in seno alla Commissione, quanto piuttosto il fatto che le stesse sono – nei detti termini – condizionanti, sia pure in senso negativo, per il Plenum . Posta la descritta procedimentalizzazione, cioè, il Plenum non può da solo estendere la valutazione (pur di sua ultima competenza) di idoneità all’incarico anche a candidati non destinatari di una formale e positiva proposta di Commissione.

In questi termini, la formulazione delle proposte in seno alla Commissione costituisce una fase essenziale del procedimento che, iniziato con la messa a concorso dell’incarico da assegnare, si conclude con l’atto di nomina da parte del Plenum del CSM.

In questo contesto, la proposta della Commissione è un elemento ineludibile e procedimentalmente condizionante dell’ iter procedimentale: ogni suo vizio si riverbera – viziandolo – sul provvedimento conclusivo della procedura.

Del resto, è dato dal punto di vista ordinamentale rilevare – avuto riguardo alla legge fondamentale n. 195 del 1958 e al ricordato Regolamento interno sul funzionamento (previsto dalla medesima legge: art. 20, n. 7) ) – che il Consiglio Superiore della Magistratura normalmente opera, quanto a funzioni amministrative, “per commissioni” le quali, a norma dell’art. 3, hanno «il compito di riferire al Consiglio» .

Ricordando ancora la previsione dell’art. 11 testé evocata, è il caso di evidenziare comparativamente che, mentre per i provvedimenti in genere sullo stato dei magistrati il Consiglio «delibera su relazione della Commissione competente» (art. 11, secondo comma), «sul conferimento degli uffici direttivi il Consiglio delibera su proposta, formulata di concerto col Ministro per la grazia e giustizia, di una commissione formata da sei dei suoi componenti, di cui quattro eletti dai magistrati e due eletti dal Parlamento» (art. 11, terzo comma).

Ciò manifesta letteralmente che, per la legge fondamentale sul CSM, in questa materia l’atto conclusivo della fase di Commissione, diretto al Plenum , non è una mera relazione sull’istruttoria svolta, né un parere che si limita a un mero opinamento sul conseguente da farsi;
ma è per legge una vera proposta , vale a dire un atto interno decisorio al contempo di giudizio e di impulso del procedimento, che - allo stato – limita il Plenum , negativamente, circa il perimetro dei valutandi (per superare quel perimetro, occorre rimettere la pratica in Commissione;
e fermo che comunque occorre il concerto ministeriale).

Quanto alle modalità attuative, è bene ora riportare in extenso il già ricordato art. 37 del Regolamento interno del CSM, che dispone ai commi 1 e 2: «1. Per il conferimento degli uffici direttivi, la Commissione competente, anche su proposta del Presidente della Commissione nei casi previsti dall’art. 13, comma 1- bis e 1- ter del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, previa apposita deliberazione, indica al Ministro l’elenco degli aspiranti, le proprie valutazioni e le conseguenti motivate conclusioni, allegando quelle dei dissenzienti che lo richiedono e procede alla richiesta del concerto. Per la pubblicazione del resoconto sommario delle sedute della Commissione si applica l’art. 30, comma 2. // 2. All’esito la Commissione riferisce al Consiglio, che delibera. Allo scopo di consentire la valutazione di uno o più aspiranti diversi da quelli considerati nella proposta o nelle proposte, ciascun componente che non fa parte della Commissione competente può chiedere, durante la seduta del Consiglio, il ritorno della pratica in Commissione. In ogni caso, se vi sono più richieste, le stesse vanno formulate in un unico contesto nel rispetto delle modalità previste dall’art. 46, commi 5 e 7» .

Non pare dunque – posti sia quest’espresso rilievo e collegamento procedimentale, sia l’interlocuzione con il Ministro di fini del concerto – si possa condividere l’argomento dell’appellante per cui la proposta della Commissione, atto endoprocedimentale, non avrebbe rilievo esterno e non sarebbe in grado di condizionare la deliberazione del CSM. Così come appare formale assumere che “ a fronte della mancata presentazione di una proposta in favore del Dott. -O- ogni consigliere avrebbe potuto chiedere al Plenum di votare il ritorno della pratica in Commissione ”. La possibilità, infatti, oltre a essere del tutto ipotetica ed eventuale, sta a salvaguardia non della regolarità procedurale degli atti della Commissione (che è il tema oggettivo su cui si incentra questo motivo del contenzioso), bensì della facoltà individuale dei componenti il Plenum ad avere piena consapevolezza e informazione circa la posizione dei vari aspiranti all’incarico messo a concorso e di, in ipotesi, avanzare un’alternativa che stimata preferibile.

Nel caso di specie, in primo grado il dott. -O-ha contestato prima che un’erronea valutazione dei suoi titoli (in via autonoma o nella comparazione con gli altri candidati), il fatto che, a causa dell’indebito svolgimento del procedimento in seno alla V Commissione, il suo nominativo era stato espunto e dunque non portato alla valutazione del Plenum (sicché questo non avrebbe potuto valutarlo motu proprio ).

Quanto ai poteri della V Commissione pur una volta formulata l’originaria proposta (qui, quella del 23 maggio 2019: che tale va intesa, essendo sufficientemente completa dell’oggetto essenziale, vale a dire dei nominativi dei designati: tanto basta a considerarla tale), va considerato che, fintanto che il Plenum non ne era investito mediante messa all’ordine del giorno, la Commissione stessa non era spogliata definitivamente della sua competenza funzionale. Le restava infatti il potere di un giustificato riesame, tanto più che si tratta di valutazione a incisiva caratterizzazione tecnico-professionale e che su tale valutazione possono in ipotesi rilevare anche fatti sopravvenuti. Sicché la Commissione, pur dopo aver originariamente (qui: il 23 maggio 2019) proposto al Plenum tre nominativi tra cui scegliere per l’incarico (tra cui quello del dott. Viola), poteva, per le ragioni che si vanno a esaminare, ritornare sulle proprie determinazioni.

Tuttavia – proprio perché si tratta di organo cui competono non scelte politiche ma funzioni amministrative e come tale è tenuto al rispetto del principio di legalità dell’azione amministrativa e della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo, tanto più in ragione del carattere spiccatamente tecnico-professionale della sua fase procedimentale – per rispetto a linearità, coerenza e sviluppo logico del procedimento amministrativo ciò poteva avvenire non come proiezione nel dictum della proposta di un mero disvolere dei nuovi componenti rispetto ai precedenti: ma soltanto per concrete, oggettive, esternate e giustificate ragioni tecnico-professionali sopravvenute circa i candidati già selezionati. Solo una tale sopravvenienza, manifestata nella sua sussistenza e nella sua rilevanza determinante, avrebbe potuto realmente giustificare un ritorno nella valutazione espressa dalla Commissione e una conseguente diversa proposta.

Per ritornare dunque sulla proposta e mutarla, la Commissione avrebbe dovuto dare – come già evidenziato da Cons. Stato, V, 18 giugno 2018, n. 3716 (bene evocato dall’appellata sentenza: il fatto che qui si verte nel medesimo procedimento e non di due distinti procedimenti vale a fortiori , non a contrariis rispetto a quei casi), e v. anche Cons. Stato, V, 3 ottobre 2018 n. 5696 - “ puntuale giustificazione del proprio disparere rispetto quella precedente valutazione, poggiandola su specifici fatti oggettivi sopravvenuti e adeguati a fondare un tale ribaltamento […]. Un’elementare esigenza di coerenza e linearità complessiva dell’azione amministrativa impone un siffatto onere di giustificazione e motivazione. Diversamente, una valutazione che la legge vuole poggiata su parametri tecnici si presterebbe a divenire espressione di mera, oscillante a piacimento, volontà: con chiaro vulnus al generale principio di legalità che regge l’intera azione amministrativa, inclusa quella del C.S.M., e che nello Stato di diritto impone che l’amministrazione manifesti la coerenza e la plausibilità delle proprie opzioni” (così, testualmente, Cons. Stato, V, n. 3716 del 2018).

Una tale necessaria caratterizzazione di revoca e nuova proposta è coerente con l’immanente, rammentato, carattere costituzionale dell’istituto di governo autonomo: non organo politico – dalle decisioni che sarebbero essenzialmente atti liberi nei fini e sottoposte al solo limite della compatibilità costituzionale - ma organo di alta amministrazione di rilievo costituzionale che pone in essere atti amministrativi sottoposti al principio di legalità dell’azione amministrativa (cfr. Corte cost., sentt. 14 maggio 1968, n. 44;
8 febbraio 1991, n. 72;
15 settembre 1995, n. 435;
19 novembre 2002, n. 457;
ord. 25 luglio 2001, n. 309): dove l’immedesimazione organica – quale che sia il tipo e il tempo di provvista dei componenti – giuridicamente spersonalizza e oggettiva la funzione già della stessa Commissione (che non a caso la ricordata legge vuole composta con le medesime proporzioni del Plenum tra le due componenti elettive: art. 11, terzo comma, l. n. 195 del 1958).

Le ragioni della revoca non potevano dunque ravvisarsi implicite ed esaustive né nel fatto della intervenuta sostituzione delle persone di alcuni commissari, né nel mero mutamento di preferenza al riguardo da parte di un altro rimasto. Del resto, coerentemente con quanto ricordato e con il carattere collegiale dell’atto, la proposta (e la sua revoca) sono in diritto da imputare unitariamente alla Commissione e non alle individualità che la compongono.

Tutto ciò vale a maggior ragione nel caso in esame, dove il nome del dott. -O- non più riproposto all’esito della riunione del 14 gennaio 2020, era proprio quello del candidato che aveva ottenuto pochi mesi prima, in seno alla Commissione, il maggior numero di voti favorevoli in ragione del particolare curriculum professionale: e dunque era stato indicato come primo tra i designati.

Le necessarie ragioni di disparere e disvolere però non sono state esternate, come risulta per tabulas dal verbale;
né sono desumibili – all’evidenza – da ulteriori atti della procedura. Il che è vizio che vizia l’ulteriore prosieguo del procedimento, ivi compreso il provvedimento finale, in ragione del ricordato vincolo che lo lega alle proposte formulate in seno alla V Commissione.

In effetti, la basilare esigenza di chiarezza e trasparenza che vi presiede fa sì che l’obbligo di adeguata e specifica motivazione (art. 3 l. n. 241 del 1990) si profili con particolare evidenza quando, come nel caso di specie, l’Amministrazione (e dunque la V Commissione del CSM, nello svolgimento dell’attività ad innovativo effetto preclusivo per il dott. -O- ex art. 11, terzo comma, l. n. 195 del 1958) si discosta dalle proposte precedentemente espresse (e verbalizzate), revocandole in parte qua . Obbligo che risulta perciò violato.

Nemmeno poteva la Commissione, in una tale particolare situazione, prescindere dalla motivata comparazione con il dato concreto della sua precedente valutazione, benché non ancora trasmessa al Plenum . Rispetto a quella, avrebbe dovuto rifarsi – al di là di fatti di terzi che menzionavano tra loro il nome del dott. -O-– a sopravvenuti elementi reali, determinati ed effettivi a suo pregiudizio, a lui direttamente imputabili, incidenti in modo tale da doverne riformarne il giudizio in punto di merito e di attitudini.

Ma in realtà, a quanto è dato a questo giudice dedurre dagli atti di causa, al momento della revoca e della riformulazione della proposta si versava davanti alle medesime circostanze di fatto (relative alle trascorse carriere) su cui la Commissione, a quadro normativo e fattuale che nei termini appena detti era rimasto invariato, aveva da sùbito espresso la scelta comparativa tra i candidati, selezionandone tre: scelta la cui legittimità e correttezza (nonché opportunità) non appare essere stata oggetto di confutazione in occasione della revoca delle tre originarie proposte (cfr. ancora Cons. Stato, V, n. 3716 del 2018, cit.).

Per le ragioni dette va poi disattesa la tesi per cui la lesione alla posizione giuridica del dott. -O-(il candidato precedentemente più votato in ragione del curriculum professionale) sarebbe già definitivamente maturata con la revoca della proposta, di cui al verbale della seduta della V Commissione del 19 settembre 2019.

Invero, come bene rilevato dalla sentenza appellata e qui già indicato, la natura endoprocedimentale di tale atto portava ad escluderne, in quella fase, la natura direttamente lesiva dei suoi interessi, a fronte di un ritiro generalizzato delle proposte che, per tale, ancora non consentiva di valutarne gli eventuali effetti negativi (o preclusivi) in ordine alla successiva e conseguente fase deliberativa innanzi al Plenum del CSM.

Vero è che la revoca in Commissione del suo nominativo spiegava per il dott. -O-effetti ostativi e che questo accendeva per lui un interesse a dolersene: ma questo interesse era ancora di mero rilievo endoprocedimentale;
e per corrispondere alla lesione concreta e attuale di un interesse legittimo occorreva – come del resto per qualsiasi candidato già ab origine pretermesso dalla Commissione – un provvedimento del Plenum conclusivo del procedimento (l’altrui nomina), adottato senza rinvii in V Commissione per acquisire un giudizio anche sulla sua posizione. Il mero atto endoprocedimentale qui all’esame (la nuova proposta) non era cioè sufficiente a ledere il suo interesse legittimo.

Ne consegue che bene l’appellata sentenza ha rilevato come “ l’omissione della valutazione del dott. -O- data dalla revoca della proposta a lui favorevole del 23 maggio 2019, appare priva della necessaria motivazione, in assenza di elementi oggettivamente riscontrabili a suo carico (rinvio a giudizio, apertura di procedimento disciplinare e simili) ”;
e che “r ileva l’organo e non le persone fisiche che lo compongono” e che “ comunque, una motivazione è sempre richiesta laddove si dia luogo a un atto di autotutela discrezionale, indipendentemente dalle persone fisiche che in quei momenti (proposta originaria e revoca) compongono l’organo stesso ”.

Va anche qui osservato che l’appellata sentenza ha messo in discussione non la fisiologica dinamica di formazione della volontà della Commissione ( il merito della valutazione che è di sua competenza) quando ne sia mutata la composizione e sopravvengano fatti istruttori nuovi;
bensì il fatto – evidente sintomo di eccesso di potere (per i denunciati carenza di motivazione, disparità di trattamento, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti: e per apparente insussistenza dei presupposti) oltre che della rilevata violazione dell’art. 3 l. n. 241 del 1990 – della mancata esternazione delle adeguate ragioni che la avevano indotta a pretermettere il dott. -O-(il quale, per di più, in audizione si era dichiarato “parte offesa” dei fatti di cui alla notizia di indagini), a pochi mesi dalla valutazione del 23 maggio 2019 che lo aveva fatto destinatario di proposta favorevole (e con il maggior numero di voti a favore).

Non rileva dunque l’argomento per cui in seno alla V Commissione sarebbero state formulate semplicemente tre proposte, nessuna delle quali idonea ad “impegnare” l’intera Commissione né, a maggior ragione, l’intero Consiglio Superiore della Magistratura.

2. Gli esaminati profili inerenti il primo motivo sarebbero di loro sufficienti a respingere l’appello contro la sentenza, posta la priorità logica del tema procedimentale. Poiché tuttavia l’appello formula un secondo motivo, di ordine non procedimentale come il primo ma sostanziale, il Collegio ritiene d’obbligo valutarlo distintamente.

Con tale secondo motivo di appello si impugna “ il passaggio della pronuncia di prime cure (che non è possibile definire con certezza “capo” della sentenza, mancando l’evidenza di un’autonomia decisoria) in cui si legge che “il Collegio non rileva inammissibilità dei singoli motivi di ricorso, come eccepito dalle parti intimate” e che “l’impugnativa del dr. -O-[…] lamenta proprio l’illogicità e carenza di motivazione sull’erronea considerazione di dati di fatto della sua esclusione, «a monte», dalla valutazione comparativa finale e la irragionevolezza dei presupposti di fatto che hanno portato a porre in risalto specifici dati curriculari del magistrato” (pp. 14 e 15 della sentenza) ”.

In particolare, deduce l’appellante, nel limitarsi a dichiararli assorbiti il primo giudice avrebbe implicitamente (ed erroneamente) dichiarato ammissibili i motivi di ricorso riferiti al “merito” della valutazione comparativa, senza però considerare che tali censure consistevano in valutazioni inerenti il merito del giudizio discrezionale del CSM.

Ciò, in particolare, varrebbe per le censure con cui nel precedente grado di giudizio era stato dedotto:

- che solo il dott. -O-era risultato titolare di incarichi direttivi;

- che erroneamente il CSM aveva dato preponderante rilievo al profilo dell’ampiezza degli uffici nei quali i vari candidati avevano prestato servizio;

- che i dati presenti nel fascicolo personale dell’odierno appellante non sarebbero stati corretti, ferma la critica al sistema delle “fonti di conoscenza” previste dalla circolare CSM del 2015 per procedere alla valutazione comparativa.

Più in generale, deduce l’appellante -O- il dott. -O-avrebbe proposto al giudice una sua personale valutazione comparativa dei curricula dei candidati, senza in realtà dedurre vizi di legittimità della deliberazione impugnata.

Ritiene il Collegio che, a prescindere da considerazioni sul suo grado di determinatezza (dunque, alla sua ammissibilità), il motivo di appello comunque non sia fondato.

Con un articolato motivo di ricorso, riproposto in appello ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., il dott. -O-aveva dedotto una serie di vizi della proposta della V Commissione del CSM in favore del dott. P, nella parte in cui – all’esito del giudizio comparativo tra i vari candidati – ne affermava la prevalenza sulla base di “ una valutazione degli indicatori attitudinali tenuto conto delle esigenze funzionali dell'Ufficio da ricoprire ”.

In particolare, la prevalenza del dott. P sarebbe stata fondata:

1) sul possesso dell’ indicatore specifico dell’art. 18 ( Indicatori specifici per gli Uffici direttivi giudicanti e requirenti di primo grado di grandi dimensioni ), comma 1, lett. a) [sullo svolgimento, in atto o pregresso, di funzioni direttive o semidirettive], del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria [Circolare n. P-14858-2015 del 28 luglio 2015] connesso alle esperienze semi-direttive maturate (ritenute non solo equiparabili a quelle direttive del dott. -O-– sul presupposto che l’art. 18 non graduerebbe tra direttive e semi-direttive – ma tali altresì da evidenziare una maggiore attitudine del dott. P al posto dal coprire);

2) sul contenuto del progetto organizzativo e sull’esito dall'audizione, che avrebbero “ rafforzato […] la valenza attitudinale del dott. P ”;

3) sul possesso dell’ indicatore specifico di cui all’art. 32 ( Criteri di valutazione per uffici collocati in zone caratterizzate da rilevante presenza di criminalità organizzata di tipo mafioso ) del Testo Unico, comprovato “ dalla trattazione con risultati eccellenti in diversi Uffici (alle Procure di Palermo, di Reggio Calabria e di Roma) anche nelle funzioni semi-direttive (alle Procura di Reggio Calabria e di Roma) di procedimenti ai sensi dell'art. 51, comma 3 bis c.p.p. rilevanti quindi ai sensi dell'art. 32 TU ”, laddove il dott. -O-avrebbe invece acquisito una minore esperienza nel settore della criminalità organizzata;

4) sul maggiore “ peso attitudinale - specifico - a fronte delle esigenze funzionali della Procura di Roma in relazione alla sua complessiva dimensione organizzativa e ai settori di maggiore significazione ”, connesso alla pregressa “ esperienza diretta ” di sostituto procuratore presso tale Procura della Repubblica;

5) sulla capacità di “ assumere le soluzioni organizzative che garantiscono l'efficienza dell'Ufficio ”, dimostrata attraverso il “ contribuito all'elaborazione di quelle soluzioni organizzative che hanno contribuito a rendere efficiente la Procura Romana ”;

6) sul possesso degli indicatori specifici di cui all’art. 18 ( Indicatori specifici per gli Uffici direttivi giudicanti e requirenti di primo grado di grandi dimensioni ), comma 1, lett. b) [sulle capacità relazionali dimostrate all’interno dell’ufficio] e c) [sulle capacità relazionali dimostrate nei rapporti esterni] del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria ;

7) sull’inidoneità degli indicatori generali a sovvertire la ritenuta prevalenza del dott. P dal punto di vista degli indicatori specifici.

In ragione della complessità delle questioni così sintetizzate, a questo punto è il caso di ribadire alcune considerazioni generali – ampiamente trattate dalla consolidata giurisprudenza – in ordine al contesto ordinamentale rilevante, sia quanto a limiti del sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti del Consiglio Superiore della Magistratura di conferimento degli uffici direttivi (e semidirettivi) giudiziari, sia quanto ai principi che sovrintendono la valutazione dei parametri di merito ed attitudini nelle suddette procedure concorsuali.

Quanto al primo profilo, è principio ampiamente consolidato che il CSM, organo di rilievo costituzionale cui solo spettano le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, nonché le promozioni ed i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati ( ex art. 105 Cost.) per garanzia dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, è titolare di un’ampia discrezionalità, il cui contenuto resta estraneo al sindacato di legittimità del giudice amministrativo salvo che per irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione ( ex multis Cons. Stato, V, 12 febbraio 2021, n. 1257;
V, 10 febbraio 2021, n. 1238;
V, 10 febbraio 2021, n. 1077;
V, 11 gennaio 2021, nn. 331 e 332;
V;
16 novembre 2020, nn. 7095 e 7098;
V, 15 luglio 2020, n. 4584;
V, 21 maggio 2020, n. 3213;
V, 19 maggio 2020, n. 3171;
V, 14 maggio 2021, n. 3047;
V, 9 gennaio 2020, n. 192;
V, 5 giugno 2019, n. 3817;
V, 4 gennaio 2019, n. 97;
V, 3 gennaio 2019, n. 71;
V, 5 marzo 2018, n. 1345;
V, 23 gennaio 2018, n. 432;
17 gennaio 2018, n. 271;
18 dicembre 2017, n. 5933;
V, 11 dicembre 2017, n. 5828;
V, 16 ottobre 2017, n. 4786;
IV, 6 dicembre 2016, n. 5122;
IV, 11 settembre 2009, n. 5479;
IV, 31 luglio 2009, n. 4839;
IV, 14 luglio 2008, n. 3513;
V, 18 dicembre 2017, n. 5933).

Resta dunque preclusa al sindacato giurisdizionale la valutazione dell’opportunità e convenienza del provvedimento dell’organo di governo autonomo della magistratura, non essendo ammissibile, pena la violazione del principio di separazione dei poteri, che il sindacato giurisdizionale si sostanzi in una sostituzione della volontà del giudice a quella dell’amministrazione, il che darebbe luogo ad un sindacato di merito, legislativamente non previsto in materia ( ex multis , Cons. Stato, V, 5 giugno 2018, n. 3383).

Fermo dunque il lato margine di apprezzamento discrezionale di questi provvedimenti e fermo che i giudizi di prevalenza formulati dal CSM in tema di incarichi direttivi vanno adeguatamente motivati – dovendo emergere dagli atti l’analisi completa dei dati curriculari individuati, al fine di collegare la pienezza della conoscenza dei profili dei candidati ad una valutazione attendibile riguardo al giudizio di prevalenza (Cons. Stato, V, 28 febbraio 2020, n. 1450;
V, 9 gennaio 2020, n. 195;
IV, 11 febbraio 2016, n.607) – il sindacato del giudice amministrativo deve restare parametrico della valutazione degli elementi di fatto compiuta dall’amministrazione, senza sfociare in una diretta “non condivisibilità” della valutazione stessa (Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19787). E così il giudice amministrativo incorre in eccesso di potere giurisdizionale allorché, nei confronti dei provvedimenti del CSM in materia di incarichi direttivi (o semi-direttivi), operi direttamente una valutazione di merito del contenuto della delibera anziché svolgere un sindacato di legittimità a mezzo del canone parametrico dell’eccesso di potere attraverso le figure sintomatiche della motivazione insufficiente, del difetto di istruttoria o del travisamento di fatto (Cass. SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19787;
Cons. Stato, V, 30 ottobre 2017, n. 4977;
V, 6 settembre 2017, n. 4220);
e ben può, al contrario, il giudice amministrativo annullare una deliberazione del CSM per eccesso di potere, desunto dall’insufficienza o dalla contraddittorietà logica della motivazione in base alla quale è stato esplicitato il giudizio comparativo nel caso concreto (Cass., SS.UU., 8 marzo 2012, n. 3622).

Inoltre, i provvedimenti di nomina dei magistrati ad incarichi direttivi adottati dal CSM possono essere sindacati se risultino inficiati da palese irragionevolezza, travisamento dei fatti o arbitrarietà, in quanto la posizione costituzionale dell’organo di autogoverno non permette di escludere la sua azione dall’ordinario regime di controllo valevole per tutta l’attività amministrativa, così che il giudizio di legittimità su tali atti può implicare apprezzamenti che non si arrestano alla sola verifica della loro conformità a legge, ma si estendono anche alla verifica della sussistenza di quei vizi in cui si declina l’eccesso di potere, secondo i relativi profili sintomatici dell’illogicità, dell’irragionevolezza o travisamento dei fatti, nonché della carenza di motivazione o istruttoria (Cons. Stato, IV, 11 febbraio 2016, n. 597;
IV, 14 maggio 2015, n. 2425).

Quanto in particolare all’obbligo di motivazione (il cui vulnus integra ormai una violazione di legge, ex art. 3 l. n. 241 del 1990) circa merito e attitudini , deve dar conto delle ragioni che concretano l’accertamento della miglior capacità professionale tra i concorrenti e che perciò razionalmente conducono a preferire uno rispetto agli altri.

Tali consolidati principi non possono non avere applicazione anche nel caso qui in esame, dove l’importanza del posto a concorso, i profili di prim’ordine dei candidati in competizione e la rilevanza dei loro curricula pretendevano quanto mai l’attenta, accurata e completa ricognizione di tutti gli aspetti delle rispettive carriere, anche in comparazione, e un particolare onere di motivazione, puntuale ed analitico, tale da far emergere in modo quanto più dettagliato ed esauriente le oggettive ragioni della prevalenza di un candidato sull’altro.

Ciò costituisce applicazione del principio cardine cui deve essere ispirarsi l’organizzazione ed il funzionamento della pubblica amministrazione, stabilendo l’art. 97 Cost. che « i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione» , anche ad assicurare l’estraneità a eventuali interessi particolari. Ciò si traduce, in ipotesi di conferimento di un tale incarico direttivo, nella necessità di un obbligo particolare di motivazione, dando conto di quali siano i profili attitudinali e di merito di cui il candidato abbia esclusivo o maggior possesso rispetto agli altri candidati, ed in che modo tali profili siano idonei ad attribuirgli prevalenza perché più meritevole e idoneo avuto riguardo alle esigenze funzionali da soddisfare.

Quanto al merito delle censure, occorre muovere dal quadro di riferimento che, per l’attribuzione degli incarichi direttivi e semi-direttivi giudicanti e requirenti (e qui, in particolare si tratta di funzioni direttive requirenti di primo grado: art. 10, comma 10,d.lgs. n. 160 del 2006), attribuisce rilievo alle pregresse esperienze di direzione, organizzazione e collaborazione (art. 12, comma 10: «sono specificamente valutate le pregresse esperienze di direzione, di organizzazione, di collaborazione e di coordinamento investigativo nazionale, con particolare riguardo ai risultati conseguiti, i corsi di formazione in materia organizzativa e gestionale frequentati nonché ogni altro elemento, acquisito anche al di fuori del servizio in magistratura, che evidenzi l'attitudine direttiva» ).

Il Testo unico sulla dirigenza giudiziaria a sua volta specifica, in via generale, i parametri del “merito” (articolato nella capacità, laboriosità, diligenza ed impegno) e delle “attitudini”, facendo riferimento ad indicatori “ generali ” e “ specifici ”, i primi costituenti elementi di valutazione comuni al conferimento di tutti gli incarichi direttivi, i secondi rapportati alla tipologia dell’ufficio messo a concorso.

Con riguardo agli indicatori specifici di attitudine, cui l’art. 26 del Testo unico attribuisce speciale rilievo ai fini del giudizio comparativo, l’art. 18 ( Indicatori specifici per gli Uffici direttivi giudicanti e requirenti di primo grado di grandi dimensioni ) individua: a) lo svolgimento, in atto o pregresso, di funzioni direttive o semi-direttive (la valutazione di tale elemento è effettuata non con riguardo a dati meramente quantitativi e statici quali le dimensioni dell’ufficio, bensì al dato qualitativo dei concreti risultati ottenuti nella gestione dell’ufficio o del settore affidato al magistrato in valutazione); b) le capacità relazionali dimostrate dall’aspirante all’interno dell’ufficio; c) le capacità relazionali dimostrate dall’aspirante nei rapporti esterni; d) la specifica formazione dell’aspirante dirigente nelle scienze dell’organizzazione e nelle competenze dirigenziali maturate presso organismi di riconosciuto rilievo scientifico.

Ai sensi dell’art. 12, comma 12, d.lgs. n. 160 del 2006 , del resto, ai fini del conferimento delle funzioni direttive di uffici giudiziari di questo tipo, « l’attitudine direttiva è riferita alla capacità di organizzare, di programmare e di gestire l’attività e le risorse in rapporto al tipo, alla condizione strutturale dell’ufficio e alle relative dotazioni di mezzi e di personale;
è riferita altresì alla propensione all’impiego di tecnologie avanzate, nonché alla capacità di valorizzare le attitudini dei magistrati e dei funzionari, nel rispetto delle individualità e delle autonomie istituzionali, di operare il controllo di gestione sull’andamento generale dell’ufficio, di ideare, programmare e realizzare con tempestività gli adattamenti organizzativi e gestionali e di dare piena e compiuta attuazione a quanto indicato nel progetto di organizzazione tabellare»
.

La legge richiede dunque l’esigenza di selezionare il candidato più idoneo non in una prospettiva astratta, ma in ragione delle specifiche caratteristiche e delle concrete esigenze organizzative dell’ufficio ad quem .

A tale obiettivo sono strumento gli indicatori generali dell’attitudine direttiva, quali previsti agli artt. da 6 a 13 [che per la Relazione introduttiva sono “costituiti da esperienze giudiziarie ed esperienze maturate al di fuori della giurisdizione, che hanno consentito al magistrato di sviluppare competenze organizzative, abilità direttive, anche in chiave prognostica, e conoscenze ordinamentali” ], e gli indicatori specifici , quali partitamente previsti agli artt. da 14 a 33 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria (e qui in specie, per la tipologia dell’ufficio, rileva l’art. 18).

La funzione degli indicatori generali è di ricostruire in maniera completa ed esaustiva le caratteristiche rilevanti della figura professionale del magistrato: agli artt. da 7 a 13 del Testo Unico vengono infatti descritte le varie attività che rilevano ai fini dell’inerente valutazione.

Gli indicatori specifici sono invece elementi di valutazione differenziati per tipologie omogenee di uffici;
in particolare, mirano a selezionare le esperienze giudiziarie che esprimano una particolare idoneità a ricoprire l’incarico messo a concorso.

L’art. 25, poi, circa le finalità della valutazione comparativa tra i candidati, chiarisce che “ la valutazione comparativa degli aspiranti è effettuata al fine di preporre all’ufficio il candidato più idoneo per attitudini e merito, avuto riguardo alle esigenze funzionali da soddisfare e, ove esistenti, a particolari profili ambientali ”. Tale esigenza riflette il precedente art. 6 – che attribuisce rilievo alle proposte organizzative elaborate dai singoli candidati, sulla base dei dati e delle informazioni relative agli uffici contenuti nel bando – e l’art. 10, che sempre sotto tale profilo richiede ai candidati di presentare proposte organizzative specificamente riferite all’ufficio messo a concorso, recanti “ l’analisi delle specificità del territorio in cui opera l’ufficio, sotto il profilo socioeconomico nonché, per gli Uffici requirenti, della realtà criminale ”.

L’art. 26 ( Valutazione comparativa delle attitudini ), prevede che si proceda “ alla valutazione analitica dei profili dei candidati mediante specifica disamina degli indicatori previsti nella Parte II, Capo I, attuativi ed esplicativi delle disposizioni di cui all’art. 12, commi 10, 11 e 12 D.Lgs. 160/2006 ” e, quindi, all’espressione di un giudizio attitudinale che, seppur in maniera complessiva e unitaria, sia frutto della valutazione integrata e non meramente cumulativa degli indicatori, e dia comunque espressamente conto dello “ speciale rilievo ” attribuito agli indicatori specifici individuati negli articoli da 15 a 23.

L’espressa attribuzione di “ speciale rilievo ” a determinati indici, vincola l’organo di governo autonomo a prenderli in considerazione ed a puntualmente motivare sulle ragioni che, eventualmente, inducano a ritenerli non rilevanti o comunque recessivi ai fini del giudizio di comparazione, tanto più ove non risultino posseduti da tutti i candidati indicati alla valutazione del Plenum .

La previsione per cui gli indicatori specifici hanno “ speciale rilievo ” va dunque intesa – come evidenzia anche la Relazione illustrativa del Testo unico – nel senso che gli “ elementi e le circostanze sottese agli indicatori specifici, proprio per la loro più marcata attinenza al profilo professionale richiesto per il posto da ricoprire, abbiano un adeguato spazio valutativo e una rafforzata funzione selettiva ”.

Ne deriva che, laddove un candidato possa vantare indicatori specifici , lo “ speciale rilievo ” che rivestono implica che la valutazione del CSM non possa prescinderne: sicché la decisione di preferire, nella valutazione, un candidato che ne sia privo (o sia in possesso di indicatori specifici meno significativi) richiede un particolare impegno motivazionale, volto ad evidenziare, attraverso il puntuale esame curriculare, la dominante “attitudine generale” o un particolare “merito”, perché “ i c.d. indicatori specifici sono criteri “settoriali ”, in quanto rilevano ai fini della valutazione specifica dell’attitudine direttiva, ma non esauriscono l’intera figura professionale del magistrato, che va, invece, ricostruita nella sua complessità, tenendo conto degli indicatori generali e del “merito” ( ex multis Cons. Stato, V, 16 ottobre 2017, n. 4786).

È immanente invero la considerazione, di ordine generale, che oggetto della valutazione debbono essere vuoi le esperienze pregresse (il c.d. merito), vuoi la capacità a bene ricoprire l’ufficio ad quem (le c.d. attitudini). E che pertanto, come bene ha ritenuto al riguardo l’appellata sentenza, gli indicatori attitudinali specifici sono elementi da doverosamente tenere in considerazione e adeguatamente e motivatamente valutare: ma questi non possono arrivare a semplicemente sopravanzare gli elementi esperienziali connessi al merito professionale generale (nella prospettiva formale del Testo Unico – che, si ribadisce, non ha valore normativo – rilevanti soprattutto mediante gli indicatori generali). D’altra parte, lo stesso Testo Unico, con previsione evidentemente di chiusura in tema di valutazione comparativa delle attitudini (art. 26, comma 2), razionalmente afferma: «Il giudizio attitudinale è formulato in maniera complessiva e unitaria, frutto della valutazione integrata e non meramente cumulativa degli indicatori» .

Nel caso di specie, il dott. -O-lamentava anzitutto che le ragioni di prevalenza del dott. -O-– come indicate nella proposta della V Commissione poi fatta propria dal Plenum del CSM – non discenderebbero da risultanze istruttorie emerse nell’audizione delle parti successiva alla riunione del 23 maggio 2019, bensì da circostanze ricavabili sin dall’inizio dal curriculum del suddetto magistrato, quali l’« esperienza ventennale di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso », i « risultati maturati nell’esperienza organizzativa relativa alle linee di azione della DDA di Reggio Calabria e di Roma » ed i « risultati maturati nell’attività di contrasto a fenomeni di criminalità organizzata di stampo mafioso delle matrici più diverse »: elementi già noti al momento della prima valutazione, poi immotivatamente revocata.

Del resto, a pag. 552 del verbale della seduta del 4 marzo 2020, nella parte dedicata alla comparazione tra l’odierno appellante e il dott. -O- è precisato: “ Il giudizio di maggior valenza attitudinale del dott. P è rafforzato anche dall’esame del progetto organizzativo, oltre che dall’audizione ”.

Il fatto che tale giudizio di prevalenza fosse “ rafforzato ” – e non già “ determinato ” – non può che significare – in ragione del valore lessicale dei termini – che per la V Commissione la prevalenza sussisteva dal principio: il presupposto è però contraddetto dal diverso esito della riunione del 23 maggio 2019, quando il nominativo poi dichiarato fin dall’inizio prevalente in realtà neppure era stato preso in considerazione da una proposta “di minoranza”.

Per l’assunto del dott. -O- tale contraddizione – in sé indice di eccesso di potere – non era smentita dalla sopravvenuta revoca delle tre proposte iniziali: tale atto di ritiro non riportava infatti motivazione.

Il Collegio qui rileva come, in base al tenore del provvedimento del CSM, la prevalenza del dott. P si sarebbe fondata:

1) principalmente, sul possesso dell’indicatore specifico di cui all’art. 18 ( Indicatori specifici per gli Uffici direttivi giudicanti e requirenti di primo grado di grandi dimensioni ), comma 1, lett. a) (sullo svolgimento, in atto o pregresso, di funzioni direttive o semi-direttive) del Testo unico , in ragione delle esperienze semi-direttive maturate, ritenute dalla Commissione non solo equiparabili a quelle direttive possedute dal dott. -O-(sul presupposto, già ricordato, che l’art. 18 T.U. “ non gradua tra le stesse ”), ma addirittura tali da dimostrare una maggiore idoneità del dott. -O-rispetto al posto dal coprire;

2) in aggiunta, sul contenuto del progetto organizzativo e sull’esito dall'audizione che – come già detto – avrebbero “ rafforzato […] la valenza attitudinale del dott. P ”;

3) inoltre, altresì sul possesso dell’indicatore specifico di cui all’art. 32 ( Criteri di valutazione per uffici collocati in zone caratterizzate da rilevante presenza di criminalità organizzata di tipo mafioso ) T.U., comprovato “ dalla trattazione con risultati eccellenti in diversi Uffici (alle Procure di Palermo, di Reggio Calabria e di Roma) anche nelle funzioni semidirettive (alle Procura di Reggio Calabria e di Roma) di procedimenti ai sensi dell'art. 51, comma 3 bis c.p.p. rilevanti quindi ai sensi dell'art. 32 TU ”, a fronte della ritenuta minore esperienza del dott. -O-in materia di criminalità organizzata;

4) quindi, sul maggiore “ peso attitudinale - specifico - a fronte delle esigenze funzionali della Procura di Roma in relazione alla sua complessiva dimensione organizzativa e ai settori di maggiore significazione ”, connesso alla pregressa “ esperienza diretta ” di sostituto procuratore presso tale Ufficio;

5) sulla capacità di “ assumere le soluzioni organizzative che garantiscono l'efficienza dell'Ufficio ”, dimostrata attraverso il “ contribuito all'elaborazione di quelle soluzioni organizzative hanno contribuito a rendere efficiente la Procura Romana ” (pag. 552);

6) sul possesso degli indicatori specifici di cui all’art. 18 comma 1 lett. b) (sulle capacità relazionali dimostrate all’interno dell’ufficio) e c) (sulle capacità relazionali dimostrate nei rapporti esterni);
del Testo Unico (pag. 549);

7) sull’inidoneità degli indicatori generali a sovvertire la ritenuta prevalenza del dott. P dal punto di vista degli indicatori specifici (pag. 555).

Nel caso di specie, vertendosi sull’attribuzione di un incarico dirigenziale relativo ad un ufficio di grandi dimensioni (quale è la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma) rileva poi la previsione dell’art. 29 T.U., secondo cui “ Per il conferimento della dirigenza di uffici giudicanti e requirenti di grandi dimensioni, hanno speciale rilievo gli indicatori di cui all’articolo 18 e, nell’ambito di questi, in particolare le esperienze di cui alla lettera a) del medesimo articolo ”.

Quest’ultima disposizione si riferisce allo “ svolgimento, in atto o pregresso, di funzioni direttive o semidirettive ”.

Al riguardo, la Relazione illustrativa al T.U. sulla dirigenza giudiziaria indica, relativamente all’art. 29, che “ Per gli Uffici direttivi giudicanti e requirenti di grandi dimensioni, che indubbiamente presentano profili di maggiore complessità sul piano dell’organizzazione, si attribuisce, invece, un peso specifico allo svolgimento, in atto o pregresso, di funzioni direttive o semidirettive, fermo restando che la relativa valutazione deve essere effettuata con riferimento ai concreti risultati ottenuti nella gestione dell’ufficio o del settore affidato al magistrato in valutazione ”.

Nel caso di specie né la V Commissione prima, né il Plenum poi appaiono aver fatto coerente governo dei principi e delle previsioni di Testo Unico qui sunteggiati.

La proposta in favore del dott. P (poi approvata dal Plenum ) assume che la sua maggior attitudine deriverebbe dal possesso dell’ indicatore specifico di cui all’art. 18, comma 1, lett. a) , del Testo Unico, desumibile in ispecie dalle esperienze semi-direttive maturate.

Dette esperienze, come detto, sono ritenute non solo pariordinate a quelle direttive possedute dal dott. -O-– nella specie, quale Procuratore della Repubblica e Procuratore Generale della Repubblica – ma tali addirittura da connotare l’esperienza acquisita dal dott. P come maggiormente funzionale al posto ad quem . Tali esperienze si riferiscono all’incarico di collaborazione con il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria ed a quello di Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Roma.

In particolare, assume in giudizio il CSM, “ nel rapporto informativo del 15.2.2012, redatto dall’allora Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, è stato evidenziato come il dott. P abbia fornito una preziosa collaborazione per la predisposizione dei criteri organizzativi entrati in vigore il 30.12.2008 e per tutti i provvedimenti adottati successivamente per la gestione dell’ufficio. Altrettanto importanti sono le esperienze organizzative maturate dal dott. P quale procuratore aggiunto di Roma. In tale veste, con decreto del 20.11.2013, a seguito di interpello, è stato designato collaboratore del Procuratore nella direzione e nel coordinamento

della D.D.A. (composta da 11 magistrati), seguendo dettagliatamente l’evoluzione delle indagini, partecipando direttamente a numerosi atti istruttori, vistando la richiesta di misure cautelari, dirigendo e coordinando le forze di polizia, anche in indagini di particolare complessità […]

Il dott. P ha, inoltre, collaborato all’elaborazione di soluzioni organizzative e alla gestione di strutture che hanno reso particolarmente efficiente la Procura Romana ”.

Va qui osservato che l’art. 18 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria testualmente non gradua, con riguardo agli indicatori specifici , tra pregressi incarichi direttivi e pregressi incarichi semi-direttivi;
solo considera in prima evidenza i risultati ottenuti nella gestione dell’ufficio. Questo però non significa che, in tale silenzio del Testo unico sul punto, non resti immanente – e da apprezzare – una differenza in merito ed attitudini tra gli uni e gli altri, poiché un’assoluta omologazione di funzioni e responsabilità così intrinsecamente diverse può portare ad irrazionalità invalidanti la decisione.

In effetti, l’avvenuto pregresso esercizio, e nella pienezza della qualifica, di funzioni direttive, posta l’oggettiva maggior ampiezza, rilevanza e responsabilità rispetto a quelle semi-direttive, non può ragionevolmente risultare tout court ininfluente e privo di specifico apprezzamento (in termini, Cons. Stato, V, 17 gennaio 2018, n. 271;
V, 2 luglio 2018, n. 4042;
V, 8 gennaio 2019, n. 191;
V, 2 agosto 2019, n. 5492): sì che la preferenza accordata al candidato che ha svolto solo funzioni semidirettive rispetto al quello che ha svolto funzioni direttive, richiede una particolare motivazione “ al fine di rendere manifesto e giustificante il percorso logico-giuridico che in concreto ha coerentemente condotto a privilegiare, con effetti determinanti, sul possesso delle attitudini insite nell’avvenuto svolgimento di funzioni direttive omologhe all’ufficio ad quem […] attitudini manifestate altrimenti. E soprattutto […] come una mancanza di caratterizzazione di pari livello di responsabilità possa comunque aver prevalso nella comparazione dei profili complessivi dei due candidati, composte per legge da attitudini, merito e, quindi, anzianità” (Cons. Stato, V, n. 271 del 2018, cit.);
del resto, “il Testo unico non è abilitato a equiordinare pregresse qualifiche di legge e il significato delle inerenti funzioni (cfr. art. 107, terzo comma, Cost.)” e “l’avvenuto esercizio, nella pienezza della qualifica, delle funzioni direttive, stante l’oggettiva maggior ampiezza, rilevanza e responsabilità rispetto a quelle semidirettive, non può ragionevolmente risultare tout court ininfluente e privo di specifico apprezzamento” […] . “L’opposto assunto […] banalizzerebbe il rilievo dell’avvenuto svolgimento di analoghe funzioni direttive […], obliterando quanto attiene alla specificità di un’omologa (rispetto alla funzione messa a concorso) responsabilità dirigenziale” ;
sicché “il C.S.M. non può esimersi dall’esternare puntualmente, pur nella valutazione globale, le consistenti ragioni, basate sui fatti che hanno caratterizzato l'attività degli interessati, che portano ad accordare prevalenza a chi può vantare solo funzioni di livello inferiore e a pretermettere la diversa e superiore, e di consolidato periodo, esperienza altrui in qualifica superiore” ( ibidem ;
cfr. anche Cons. Stato, V, n. 4042 del 2018, cit.).

Del resto, va considerato che il Testo unico sulla dirigenza giudiziaria – che all’art. 18 esprime questa apparente equiordinazione – difettando di carattere legislativo o regolamentare e riguardando comunque una materia riservata alla legge (art. 108, comma 1, Cost.), è un atto amministrativo di autovincolo nella futura esplicazione della discrezionalità del C.S.M. a specificazione generale di fattispecie in funzione di integrazione, od anche suppletiva dei principi specifici espressi dalla legge, vale a dire si tratta soltanto di una delibera che vincola in via generale la futura attività discrezionale dell’organo di governo autonomo: come tale, non è abilitato ad equiordinare pregresse qualifiche di legge, né il significato delle inerenti funzioni, che rilevano come distinte ex art. 107, terzo comma, Cost. ( ex multis , Cons. Stato, V, 1 marzo 2021, n. 1702;
12 febbraio 2021, n. 1257;
5 febbraio 2021, n. 1077;
10 febbraio 2021, n. 1238;
V, 21 maggio 2020, n. 3213;
V, 19 maggio 2020, n. 3171;
V, 14 maggio 2020, n. 3047;
V, 28 febbraio 2020, nn. 1448 e 1450;
V, 7 febbraio 2020, n. 976;
V, 22 gennaio 2020, n. 524;
V, 9 gennaio 2020, nn. 192 e 195;
V, 7 gennaio 2020, nn. 71 e 84;
V, 2 gennaio 2020, nn. 8 e 9;
V, 2 agosto 2019, n. 5492;
V, 17 gennaio 2018, n. 271;
V, 23 gennaio 2018, n. 432;
V, 6 settembre 2017, nn. 4215 e 4216;
V, 6 settembre 2017, n. 4220;
V, 6 dicembre 2016, n. 5152;
IV, 28 novembre 2012, n. 6035;
IV, 14 luglio 2008, n. 3513);
sicché non solo non può di suo omologare qualifiche differenti, e non esaurisce – né potrebbe farlo, proprio perché non ha carattere normativo – assorbendoli una volta per tutte, gli elementi dell’apprezzamento valutativo: ma li lascia da adeguatamente e motivatamente commisurare al caso concreto, comunque implicando – ad evitare ingiustificate disparità di trattamento – un onere di particolare impegno della motivazione. Del resto, risponde alla comune logica e alla razionalità amministrativa che, vertendosi di un posto di particolare qualifica e significato, non si può ragionevolmente prescindere dal dato effettivo delle differenziate qualifiche ricoperte dai vari candidati.

Ora, impregiudicata la discrezionalità valutativa che spetta in via propria al CSM, va ricordato che, ai sensi dell’art. 70, comma 3, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 ( Ordinamento giudiziario ), « I titolari degli uffici del pubblico ministero dirigono l’ufficio cui sono preposti, ne organizzano l’attività ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero dal codice di procedura penale e dalle altre leggi, quando non designino altri magistrati addetti all’ufficio» e che il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, ai sensi del successivo art. 83 « esercita la sorveglianza nel distretto della corte di appello sulla osservanza delle norme relative alla diretta disponibilità della polizia giudiziaria da parte della autorità giudiziaria» . Il Procuratore Generale inoltre, ai termini dell’art. 6 d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 160 ( Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero ), «al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo, nonché il puntuale esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti, acquisisce dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto ed invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno annuale» ;
ed esercita le competenze in materia di buone prassi organizzative nonché – nei termini previsti dal vigente Codice di procedura penale (art. 412, comma 1) - il potere di avocazione delle indagini preliminari per mancato esercizio dell’azione penale.

Le attribuzioni del Procuratore della Repubblica sono invece analiticamente indicate all’art. 1 del medesimo d.lgs. n. 106 del 2006 , cui si rinvia.

Quanto al Procuratore aggiunto della Repubblica, è figura che ha il fondamento nell’art. 70, primo comma, dell’ Ordinamento giudiziario , come modificato dall’art. 20, comma 1, d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 ( Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado ) e poi dall’art. 4, comma 1, d.lgs. 4 maggio 1999, n. 138, nella parte in cui ora dispone: «Negli uffici delle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari possono essere istituiti posti di procuratore aggiunto in numero non superiore a quello risultante dalla proporzione di un procuratore aggiunto per ogni dieci sostituti addetti all'ufficio. Negli uffici delle procure della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto può essere comunque istituito un posto di procuratore aggiunto per specifiche ragioni riguardanti lo svolgimento dei compiti della direzione distrettuale antimafia» . Le sue funzioni presso il tribunale sono poi qualificate dall’art. 10, comma 7, d.lgs. n. 160 del 2006, come «funzioni semidirettive requirenti di primo grado» ma non sono specificate dalla legge. Il precedente d.lgs. n. 106 del 2006 sulla riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero ne tratta solo parzialmente e indirettamente;
vi suppliscono le circolari del CSM in materia di organizzazione degli Uffici del Pubblico Ministero (16 novembre 2017 e poi 16 dicembre 2020), a tenore delle quali ha una caratterizzazione autonoma, che prescinde da deleghe, per cui coadiuva il Procuratore della Repubblica per il conseguimento degli obiettivi organizzativi esplicitati nel progetto, garantire il buon andamento dell’ufficio, la corretta ed equa distribuzione delle risorse e il corretto, puntuale e uniforme esercizio dell’azione penale;
e comunque il Procuratore gli deve assicurare competenze delegate di coordinamento o direzione.

Il Procuratore aggiunto, invero, è destinatario dei provvedimenti di assegnazione degli affari da parte del titolare dell’ufficio, che nel suo ruolo di delegante ben può stabilire finalità e criteri ai quali il primo (alla pari degli altri magistrati dell’ufficio) deve attenersi nell'esercizio delle funzioni assegnategli. Il Procuratore aggiunto non ha compiti autonomi di direzione in seno all’ufficio al quale è (non preposto, bensì) assegnato, al più potendo svolgere, nei termini delle deleghe conferitegli, un ruolo di coordinamento dei gruppi di lavoro ivi istituiti.

La figura del Procuratore aggiunto è comunque sottoordinata a quella del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale e a maggior ragione si tratta di qualifica inferiore a quella del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, le sue attribuzioni traendo origine da un provvedimento delegatorio di del Procuratore, ai sensi dell’art. 1, comma 4, ed essenzialmente esercita incombenze proprie di un Pubblico Ministero.

Tutto questo risponde al sistema di organizzazione della giurisdizione, che razionalmente è disegnato dall’ordinamento, e presupposto a livello costituzionale, per livelli progressivi di concentrazione territoriale e affinamento funzionale, in ragione delle esigenze proprie e della qualità degli accertamenti di giustizia da compiere mediante il processo. Non a caso, l’art. 105 Cost. indica, tra le attribuzioni tipiche del CSM, le «promozioni» dei magistrati, cioè – secondo le norme di legge, e oggi segnatamente del d.lgs. n. 160 del 2006 - selettivi passaggi di progressione di funzioni che abilitano allo svolgimento di funzioni evidentemente superiori per poi conferirle concorsualmente. È naturale e coerente, in questo sistema, che i livelli funzionali superiori così effettivamente raggiunti e congruamente esercitati esprimano professionalità magistratuali già più selezionate e sperimentate. Vi fa sistema il precetto costituzionale che i magistrati si distinguono fra loro per diversità di funzioni (art. 107, terzo comma, Cost.). Del che non si può non tenere ragionevole e proporzionato conto nel caso concreto di una ulteriore selezione.

Sicché non appaiono esternate e comunque comprensibili le dominanti ragioni per cui, nel caso di specie, sia la V Commissione nel giudizio in favore del dott. -O- sia il Plenum del CSM nel farlo proprio abbiano di fatto ritenuto di senz’altro equiordinare le più ridotte e più contenute funzioni di Procuratore aggiunto rispetto a quelle di chi è stato già a capo di un ufficio di Procura, seppure di ben diverse dimensioni, e poi comunque di un’importante Procura Generale.

Ad attestare la non automatica sovrapponibilità dei due ruoli valga del resto il dato, obiettivo, che solo «il procuratore della Repubblica, quale preposto all'ufficio del pubblico ministero, è titolare esclusivo dell'azione penale» , non l’aggiunto ( ex art. 2 d.lgs. n. 106 del 2006).

In questi termini non pare dunque aver razionale fondamento l’assunto di base da cui muove il giudizio della V Commissione (poi recepito in termini dal Plenum del CSM), fatto oggetto di introduttivo gravame, per cui le funzioni direttive e semi-direttive di cui qui si verte sono senz’altro sostanzialmente equiparabili, ai fini del giudizio attitudinale comparativo, per il mero effetto dell’assenza di un’esplicita “graduazione” delle stesse da parte dell’art. 18 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria (previsione, quest’ultima, come ricordato non ascrivibile alle fonti del diritto, dunque inidonea ad incidere sulla natura degli istituti e dei ruoli ivi menzionati).

Appare dunque fondata l’assorbente censura di parte appellata (riproposta nel presente grado di giudizio ai sensi dell’art. 101, comma 2 Cod. proc. amm.) per cui la proposta a favore del dott. P, movendo dall’esame dell’ indicatore specifico di cui all’art. 18 lett. a) cit., è ab origine viziata dall’erroneo presupposto della sostanziale equivalenza, intesa a priori ed in termini generali e assoluti, dei due profili (direttivo e semi-direttivo) ai fini previsti dalla citata disposizione.

Una tale equivalenza non è prevista dalla legge e nessuna reale giustificazione risulta addotta dalla Commissione (e poi dal Plenum ) per ritenerla e ribaltarla.

Il CSM avrebbe invece dovuto dare un puntuale riscontro delle ragioni che - eventualmente ed eccezionalmente - consentissero di attribuire alle funzioni concretamente svolte da quel Procuratore aggiunto una valenza (non solo rilevante, ma) almeno non inferiore e anzi superiore a quelle del preposto all’ufficio;
oltreché superiori a quelle, e di durata triennale, del titolare di un ufficio direttivo di secondo grado quale la Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Firenze.

Più in generale, va ribadito il principio per cui “ il C.S.M. non può esimersi dall’esternare puntualmente, pur nella valutazione globale, le consistenti ragioni, basate sui fatti che hanno caratterizzato l’attività degli interessati, che portano ad accordare prevalenza a chi può vantare solo funzioni di livello inferiore e a pretermettere la diversa e superiore, e di consolidato periodo, esperienza altrui in qualifica superiore ” ( ex multis , Cons. Stato, V, 17 gennaio 2018, n. 271 e altre sentenze qui sopra richiamate). Per contro, nel caso in esame non emergono le ragioni per le quali il Plenum (e prima la V Commissione) aveva ritenuto di accordare la preferenza all’odierno appellante.

A tale specifico riguardo, alla luce del Testo Unico, non rilevava la circostanza – menzionata invece nel provvedimento del Plenum – che il dott. P aveva anche trattato dei procedimenti in materia di criminalità organizzata ex art. 52, comma 3- bis Cod. proc. pen.. Appare fondata infatti l’eccezione dell’appellato -O-per cui tale dato non rileva a valorizzare le funzioni semi-direttive con riferimento all’indice di cui all’art. 18 del Testo Unico.

In effetti, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. a) , del Testo Unico la valutazione delle esperienze direttive e semi-direttive “ è effettuata con riferimento ai concreti risultati ottenuti nella gestione dell’ufficio o del settore affidato al magistrato in valutazione ”, ossia a prescindere dal fatto che il candidato abbia trattato o meno (durante l’incarico) procedimenti ai sensi dell’art. 51 comma 3- bis Cod. proc. pen..

Infine, i provvedimenti originariamente impugnati incorrono in incoerenze logiche e di fatto, allorché irragionevolmente devalutano le esperienze direttive requirenti e direttive requirenti di secondo grado del dott. -O-

Invero, pur sul presupposto che quest’ultimo avesse maturato “ due importanti esperienze direttive, prima alla Procura di Trapani dal dicembre 2011 al settembre 2016 e quindi quella attuale alla Procura generale di Firenze [...] ottenendo ottimi risultati sotto il profilo della gestione dei flussi (lettera a dell'art. 18 TU), delle capacità relazionali all'interno dell'Ufficio (lettera b) e nei rapporti esterni (lettera c) […] ”, l provvedimento da lui impugnato insiste sul fatto che il medesimo dott. -O-avrebbe purtuttavia maturato “ esperienze direttive in Uffici che presentano problematiche alquanto diverse, un ufficio medio-piccolo quale la Procura di Trapani e un ufficio di secondo grado, che sicuramente presenta esigenze funzionali diverse da quelle di un Ufficio di primo grado in prima linea nell'attività investigativa. In entrambi questi uffici ha dato prova di elevata capacità direttiva .

In ogni caso va evidenziato come svolge le attuali funzioni da meno di tre anni, e quindi da un periodo di tempo non sufficientemente lungo da validare appieno i risultati conseguiti (essendo peraltro inferiore a quello di quattro anni previsto ai fini della conferma, nella prospettiva della necessità di un adeguato periodo di esercizio continuativo di funzioni per la possibilità di una concreta valutazione dell'attività espletata sotto il profilo dei risultati) ”.

Al riguardo, però, è lo stesso CSM a ricordare, nel provvedimento impugnato, che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trapani “ è caratterizzata da medie dimensioni ma presenta specificità davvero peculiari essendo collocato in un contesto reso particolarmente difficile dalla notoria e radicata presenza di complesse strutture criminali di tipo mafioso ”, con ciò contraddicendo uno dei presupposti della devalutazione, quando afferma (cfr. verbale del Plenum del 30 novembre 2011, sub doc. 7 di parte appellata) che si tratta di ufficio dalle esigenze funzionali del tutto analoghe “ a quelle di un Ufficio di primo grado in prima linea nell'attività investigativa ”.

Neppure risponde a coerenza e razionalità il rilievo minimizzante – circa il ruolo di Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze – per cui il dott. -O-“ svolge le attuali funzioni da meno di tre anni, e quindi da un periodo di tempo non sufficientemente lungo da validare appieno i risultati conseguiti [...], essendo peraltro inferiore a quello di quattro anni previsto ai fini della conferma ”.

Invero, ai fini della valutazione dell’esperienza dirigenziale si deve in realtà tener conto – secondo quanto dispone l’art. 18, lett. a) , T.U. – dei “ concreti risultati ottenuti nella gestione dell’ufficio o del settore affidato al magistrato in valutazione ”, senza subordinare la valutabilità di tali risultati alla circostanza che gli stessi siano per così dire “validati” in sede di eventuale, successiva conferma ( ex art. 46 d.lgs. n. 160 del 2006). In effetti, a parte la disparità che si avrebbe con altri servizi invece valutati e in disparte che la mancata conferma presuppone un immeritevole esercizio delle funzioni (del che non emergevano allegazioni né indizi alcuni), si trattava comunque di funzioni assegnate e da tempo in via definitiva e non – per così dire – “in prova”.

In ordine alle attitudini specifiche prese in considerazione, poi, importante è – ai fini della verifica di realtà, logicità e ragionevolezza delle valutazioni qui al vaglio – il rilievo che ha il trattarsi di un ufficio chiamato a conoscere nella più ampia latitudine tutte le tipologie di reato (e, riguardo al settore della criminalità organizzata – vale a dire circa l’indicatore specifico di cui all’evocato art. 32 del Testo Unico – da un lato senza sminuire le pregresse funzioni del dott. -O-di Procuratore della Repubblica di Trapani, territorio di notoria intensa caratterizzazione al riguardo;
dall’altro senza pretermettere, per naturali ragioni di coerenza e razionalità dell’ordinamento, quanto emerge dagli esiti dei giudicati di massimo livello circa i casi di maggior rilievo del luogo ad quem ).

Si è costretti quindi a rilevare, anche sotto tale profilo, che gli atti impugnati scontano un’intrinseca contraddizione logica che si spinge fino alla manifesta irragionevolezza, laddove da un lato valorizzano le funzioni di aggiunto svolte per appena poco più di tre mesi dal dott. -O- ma dall’altro implicano che lo svolgimento, e per ben tre anni, della funzione direttiva di secondo grado di Procuratore Generale presso una delle principali Corti d’Appello italiane sia troppo breve per “ validare appieno i risultati conseguiti ”.

Del pari il CSM ha sostenuto, sempre nel provvedimento impugnato (pag. 548), che “ Un ufficio di secondo grado […] presenta esigenze funzionali diverse da quelle di un Ufficio in primo grado in prima linea nell’attività investigativa […] ”, laddove è evidente che l’esperienza maturata quale Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze non avrebbe potuto che arricchire – e non certo sminuire – il profilo dell’appellato.

Infine va rammentato – visto il ripetuto riferimento negli atti impugnati alla particolarità territoriale – il consolidato principio giurisprudenziale per cui la conoscenza dell’ufficio ad quem e del suo territorio non può – anche alla luce del principio costituzionale di eguaglianza e della sua declinazione all’art. 51 Cost., come del principio dell’art. 107, terzo comma, Cost. per cui i magistrati si distinguono soltanto per diversità di funzioni – assumere rilievo in uno scrutinio comparativo che è per sua natura su base nazionale e dunque non può che prescindere dal radicamento personale sul singolo territorio (es. Cons. Stato, V, 2 luglio 2018, n. 4042;
V, 29 ottobre 2018, n. 6137;
V, 7 gennaio 2020, n. 71;
V, 21 maggio 2020, n. 3213;
V, 11 gennaio 2021, n. 331).

Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va respinto.

La complessità delle questioni esaminate e la loro novità giustificano l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite dell’attuale grado di giudizio.

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