Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-10-11, n. 201805870
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Testo completo
Pubblicato il 11/10/2018
N. 05870/2018REG.PROV.COLL.
N. 02096/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2096 del 2017, proposto da
T s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati A I e F C, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, piazza Cola di Rienzo, n. 92;
contro
Roma Capitale, in persona del sindaco in carica, rappresentata e difeso dall’avvocato R R, con domicilio in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
Azienda Sanitaria Locale Roma 1, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato G D G, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, borgo Santo Spirito, n. 3;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA, Sez. II ter, n. 03303/2017, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dell’Azienda Sanitaria Locale Roma 1;
Vista l’ordinanza cautelare della Sezione del 27 aprile 2017, n. 1795;
Vista l’ordinanza istruttoria della Sezione del 29 novembre 2017, n. 5610, con cui è stata disposta una verificazione;
Vista l’ordinanza della Sezione del 15 febbraio 2018, n. 981, con cui è stato prorogato il termine per il deposito della relazione del verificatore;
Vista l’ordinanza della Sezione del 25 maggio 2018, n. 2317, con cui è stato dichiarato il non luogo a provvedere su un’ulteriore istanza di proroga;
Vista la relazione depositata dal verificatore e le memorie successivamente depositate dalle parti;
Visti tutti gli atti e i documenti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 settembre 2018 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati F C, G D G e Sergio Siracusa, in dichiarata sostituzione dell’avvocato R R;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La T s.r.l., titolare di un laboratorio di gastronomia calda con esercizio di vicinato in Roma, via del Governo Vecchio 10, propone appello contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, segnata in epigrafe, con cui è stato respinto il suo ricorso per l’annullamento dell’ordine di cessare l’attività di laboratorio di pizza al taglio e di gastronomia calda perché svolta in ambito tutelato ai sensi del regolamento comunale (delibera del consiglio comunale n. 36 del 6 febbraio 2006) e perché esercitata in un locale privo di canna fumaria, in violazione dell’art. 64 del regolamento comunale d’igiene e della norma tecnica UNI EN 13779/2008 (determinazione prot. 4269 del 19 dicembre 2016).
2. Il giudice di primo grado ha ritenuto che l’ordine di cessazione impugnato fosse legittimo e immune da tutte le censure sollevate dalla T, malgrado l’impianto di captazione e abbattimento dei fumi a carboni attivi dalla stessa installato nei propri locali, nei quali la cottura è svolta con fornelli elettrici.
3. Tali censure sono riproposte dall’originaria ricorrente nel presente appello, per resistere al quale si sono costituite Roma Capitale e l’Azienda Sanitaria Locale Roma 1.
4. La Sezione ha disposto una verificazione diretta ad accertare se l’impianto di captazione e abbattimento dei fumi della società appellante « sia idoneo, alla stregua della normativa vigente, a garantire la conservazione dei livelli di qualità dell’aria della città, in alternativa alla via di fumo tradizionale, e cioè mediante canna fumaria », affidando l’incarico all’I.S.P.R.A. - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ordinanza istruttoria in data 29 novembre 2017, n. 5610).
5. All’esito dell’incombente istruttorio la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con un primo ordine di censure la T censura la sentenza di primo grado per omessa pronuncia, in particolare per non avere considerato legittima la propria attività di gastronomia calda, ai sensi dell’art. 58 del regolamento edilizio comunale, a mente del quale nel caso di uso di fornelli elettrici è sufficiente che sia installata una « canna esalatrice sfoci all’aria libera, su un muro esterno, purché sia dotata di efficiente aspiratore elettrico e purché lo sbocco non sia ubicato direttamente sotto finestre di stanze di abitazione ». Nel sottolineare che i presupposti di tale norma regolamentare sono tutti integrati nel caso di specie (« essendo dotata di fornelli elettrici,
con canna esalatrice che sfocia su muro esterno e dotata di efficiente aspiratore elettrico »), la T sostiene che quest’ultima, successiva all’art. 64 del regolamento di igiene, « lo integra e sostituisce per le parti mancanti e/o difformi ».
2. Con un ulteriore motivo d’appello l’originaria ricorrente sostiene che qualora si ritenesse tuttora vigente quest’ultima disposizione, nondimeno il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in ragione del fatto che l’ultimo comma della stessa prevede la possibilità che l’Ufficio di igiene possa di volta in volta prescrivere « l’uso esclusivo dei carboni magri o di apparecchi fumivori ». Secondo la T sarebbe pertanto erronea la sentenza di primo grado per non aver considerato praticabile l’alternativa consentita dalla norma regolamentare, attraverso la quale si dà luogo all’utilizzo di impianti di captazione ed abbattimento fumi moderni.
3. Con il terzo motivo d’appello la T ripropone le censure di carattere procedimentale con cui lamenta che Roma capitale non abbia esaminato tutte le proprie controdeduzioni difensive e la perizia giurata con esse presentata prima di emettere il provvedimento impugnato
4. Con il quarto motivo d’appello la T critica la sentenza di primo grado nella parte in cui afferma che l’installazione di impianti alternativi alla canna fumaria avrebbe richiesto un’autorizzazione espressa, ulteriore alla segnalazione certificata di inizio attività presentata, evidenziando in contrario di avere dichiarato in tale s.c.i.a. di utilizzare l’impianto di captazione dei fumi e di avere contestualmente comunicato che trattasi di attività in deroga ai sensi dell’art. 272, comma 1, del c.d. testo unico sull’ambiente di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. In ragione di ciò – soggiunge l’originaria ricorrente – il provvedimento inibitorio avrebbe dovuto essere emanato nel termine perentorio di 60 giorni dalla presentazione della s.c.i.a., ai sensi dell’art. 19 della legge 19 agosto 1990, n. 241, mentre nel caso di specie tale termine non è stato rispettato dall’amministrazione.
Secondo l’appellante l’ordine di cessazione sarebbe illegittimo anche perché emanato senza prima verificare la possibilità di ingiungere all’esercente di conformare la propria attività alla normativa vigente, ai sensi del comma 3 del citato art. 19 l. n. 241 del 1990.
5. Con il quinto motivo d’appello la T, sul presupposto che la s.c.i.a. era completa e che con il decorso del termine di 60 giorni dalla relativa presentazione le attività in essa previste devono intendersi definitivamente autorizzate, contesta il divieto di prosecuzione dell’attività di cottura dei cibi in assenza di un provvedimento di secondo grado.
6. Con il sesto motivo d’appello è riproposta la censura di violazione dell’art. 86 del regolamento comunale di igiene, che per le attività di laboratorio di gastronomia a caldo richiede che i locali siano dotati di « cappa e tirafumo », senza alcuna indicazione sullo scarico esterno.
7. Con il settimo motivo d’appello si lamenta l’omessa pronuncia del Tribunale sulle censure volte a contestare che l’art. 64 del regolamento di igiene, risalente al 1932, sia tuttora applicabile ai laboratori di gastronomia che operano la cucina calda ed imponga pertanto in ogni caso la canna fumaria, quand’anche siano installati efficienti impianti di captazione e smaltimento dei fumi.
8. Con l’ottavo motivo d’appello sono riproposte le censure con cui si contesta che la norma tecnica UNI EN 13799, richiamata nel provvedimento impugnato, abbia carattere cogente.
9. Con il nono motivo d’appello la T critica la sentenza di primo grado laddove il Tribunale ha ritenuto applicabile nei propri confronti la disciplinare tecnica relativa alle cappe aspiranti per uso professionale ai sensi della normativa tecnica ora citata, senza considerare che dallo scarico in contestazione nel presente giudizio non fuoriescono i residui di scarichi di un piano di cottura o di locali cucina, ma i residui di un impianto di captazione fumi che già provvede al relativo abbattimento, così da rendere le emissioni di tipo « con bassissimo livello di inquinamento ».
10. Con il decimo motivo d’appello la T ripropone le censure fondate sui principi di liberalizzazione delle attività commerciali introdotti nella più recente legislazione nazionale.
11. Con l’undicesimo motivo d’appello l’originaria ricorrente reitera gli assunti secondo cui l’art. 64 del regolamento locale di igiene sarebbe stato abrogato o dovrebbe essere disapplicato sulla base della legge regionale 29 novembre 2006, n. 21 [ Disciplina dello svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande. Modifiche alle leggi regionali 6 agosto 1999, n. 14 (Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo) e 18 novembre 1999, n. 33 (Disciplina relativa al settore del commercio) e successive modifiche ] e del regolamento regionale di igiene [19 gennaio 2009, n. 1 - Disposizioni attuative e integrative della legge regionale 29 novembre 2006, n. 21 (Disciplina dello svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande. Modifiche alle leggi regionali 6 agosto 1999, n. 14 Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo” e 18 novembre 1999, n. 33 “Disciplina relativa al settore del commercio” e successive modifiche) e successive modifiche ], in virtù dei quali è possibile per gli esercizi di somministrazione di utilizzare sistemi alternativi alla canna fumaria per la captazione ed espulsione dei fumi e dei vapori di cottura.
12. Con il dodicesimo motivo d’appello la T ripropone le censure volte a sostenere che l’attività di laboratorio di pizzeria a taglio può essere esercitata nell’ambito vincolato di Roma comprensivo di via del Governo Vecchio poiché, contrariamente a quanto si suppone nel provvedimento impugnato, essa non costituisce l’unica attività svolta, ma si affianca ad altre (preparazione di panini caldi di vario genere hamburger, lasagna, pasta di vario tipo ecc.).
13. Con il tredicesimo e ultimo motivo d’appello la T ripropone le censure di illegittima per illogicità e difetto di presupposti, nella misura in cui pone un divieto assoluto all’apertura di un laboratorio di pizzeria al taglio in assenza di qualsiasi correlazione con le esigenze di tutela del patrimonio artistico, storico e culturale di Roma.
14. Così riassunte le censure di cui si compone l’appello, deve darsi atto degli esiti della verificazione disposta dalla Sezione con l’ordinanza collegiale in epigrafe (29 novembre 2017, n. 5610).
Il verificatore ha accertato che l’impianto di captazione e abbattimento dei fumi installato nel locale commerciale dell’odierna appellante, funzionante con un sistema di filtraggio a carboni attivi, seppur non efficiente, costituisce comunque alternativa « preferibile » rispetto al tradizionale impianto di espulsione dei fumi mediante canna fumaria. Ciò in ragione della « minor quantità di inquinanti immessi nell’aria dell’ambiente urbano e quindi con minori impatti sulla qualità dell’aria della città ».
La valutazione negativa di efficienza è stata formulata sulla base della scheda tecnica relativa all’impianto esaminata dal verificatore, dalla quale risulta un tempo di contatto dell’emissione inquinante prodotta dall’attività di cottura dei cibi con il sistema di filtraggio a carboni attivi su cui si basa il funzionamento dell’impianto medesimo inferiore a quello ottimale di 1 secondo (tale da consentire di ridurre le emissioni del 90%). Nondimeno l’ausiliario ha affermato che « una qualunque forma di filtrazione – anche non idonea – è comunque preferibile all’avvio nel camino, perché comunque presenta un minimo di filtrazione, anche di poche %, per la qualità dell’aria in città, perché la eventuale dispersione del camino non modifica né riduc (e) la immissione nell’ambiente della città ».
15. Roma Capitale ha contestato sotto svariati profili le conclusioni del verificatore.
Nella memoria depositata successivamente all’incombente istruttorio l’amministrazione ha censurato, innanzitutto, il fatto che sia stata omessa ogni verifica sull’idoneità dell’impianto di captazione e abbattimento dei fumi « alle norme comunitarie UNI EN dettate in materia » e sulla base di quali normative in questione l’impianto medesimo possa essere ritenuto conforme;quindi, che le valutazioni sono state svolte con esclusivo riguardo all’ambiente esterno e non alla salubrità dei locali dove l’attività di cottura viene svolta.
16. Le critiche rivolte da Roma Capitale agli accertamenti condotti dal verificatore non hanno tuttavia motivo d’essere.
La Sezione ha infatti disposto l’incombente, in relazione alle censure di legittimità formulate dalla T, con specifico riguardo all’ordine di cessare l’attività di gastronomia calda a causa dell’assenza di canna fumaria, al fine di accertare se l’impianto di cui la ricorrente ha dotato il proprio esercizio commerciale sia « idoneo a garantire la conservazione dei livelli di qualità dell’aria della città » ed a ciò l’ausiliario si è attenuto.
17. In base alle conclusioni cui il verificatore è pervenuto tali censure risultano fondate nei termini di seguito esposti.
18. Come accennato in precedenza Roma Capitale ha infatti fondato la propria inibitoria nei confronti della predetta attività sul presupposto che con essa fosse stato violato l’obbligo di dotarsi della canna fumaria prevista dall’art. 64 del regolamento locale di igiene. Sennonché il verificatore ha accertato che l’alternativa costituita dall’impianto di captazione e abbattimento dei fumi a carboni attivi installato nel locale commerciale dell’odierna appellante, seppur non in grado di assicurare un adeguato filtraggio delle emissioni derivanti dall’attività di cottura dei cibi, costituisce comunque un sistema in grado di ridurre le emissioni atmosfera rispetto al tradizionale impianto di espulsione mediante canna fumaria
19. La conclusione – che non è stata contestata e risulta peraltro di evidente rispondenza al vero – consente allora di ritenere illegittimo il provvedimento impugnato di cessazione dell’attività per i profili dedotti dalla T ed in particolare:
- ai sensi dell’art. 58 del regolamento edilizio del Comune di Roma, il quale nel prevedere che ogni « focolare » deve essere dotato di canna fumaria propria « prolungata oltre il piano di copertura dell’edificio » e che i locali destinati a cucina devono inoltre « essere dotati di cappa posta sopra i fornelli, comunicante con canna esalatrice », precisa nel caso in cui « si usino fornelli elettrici è sufficiente che detta canna esalatrice sfoci all’aria libera, su un muro esterno, purché sia dotata di efficiente aspiratore elettrico e purché lo sbocco non sia ubicato direttamente sotto finestre di stanze di abitazione »;
- alla luce dell’ultimo comma del medesimo art. 64 del regolamento di igiene vigente nel Comune di Roma, in base al quale l’Ufficio competente « potrà anche prescrivere caso per caso, quando sia ritenuto necessario, l’uso esclusivo dei carboni magri o di apparecchi fumivori »;
- in considerazione della possibilità per gli esercizi commerciali, prevista a livello regionale, di « utilizzare, in alternativa alle canne fumarie, altri strumenti o apparati tecnologici aspiranti e/o filtranti per lo smaltimento dei fumi, la cui idoneità è accertata secondo la normativa vigente in materia » (art. 12, comma 2, del sopra citato regolamento regionale 19 gennaio 2009, n. 1).
20. Dal complesso delle disposizioni regolamentari in esame (le uniche vincolanti, quod non la normativa tecnica Uni En 13779 richiamata da Roma Capitale) deve escludersi che per i locali commerciali in cui si svolge l’attività di gastronomia calda, in particolare nel caso di specie in cui la cottura dei cibi sia assicurata con piastre elettriche, sussista un obbligo inderogabile di convogliare i fumi e i vapori così sprigionati sulla sommità dell’edificio e di espellere gli stessi attraverso una canna fumaria.
Come deduce l’appellante, le disposizioni ora richiamate consentono un’alternativa a tale sistema, purché in grado di abbattere il livello delle emissioni inquinanti. L’illegittimità dell’ordine di cessazione per questa parte è dunque derivante dal fatto che Roma Capitale non ha verificato la possibilità di percorrere le alternative previste a livello regolamentare, alternativa accertata mediante l’incombente istruttorio disposto dalla Sezione.
21. Ogni ulteriore censura della società appellante con riguardo a questa parte dell’ordine di cessazione impugnato rimane dunque assorbita.
22. Al medesimo riguardo, le deduzioni svolte da Roma Capitale dopo la verificazione, concernenti l’ambiente interno non hanno alcun rilievo nel presente giudizio, dal momento che l’inibitoria impugnata riguarda la mancanza della canna fumaria. Inoltre, anche le considerazioni svolte al riguardo dall’Azienda sanitaria locale resistente, incentrate sull’idoneità di quest’ultima ad espellere i residui dell’attività di cottura al di sopra delle abitazioni, si infrangono sulle alternative consentite dalla normativa regolamentare sopra esaminata, le quali definiscono i presupposti di legittimità dell’esercizio dell’attività di gastronomia calda, mentre per eventuali inconvenienti legati ai vapori e agli odori sprigionati e convogliati nelle vicine proprietà soccorre la tutela civilistica contro le immissioni di cui all’art. 844 del codice civile.
23. Si deve quindi passare ad esaminare gli ulteriori motivi di impugnazione, relativi alla distinta parte del provvedimento in cui si vieta l’attività di laboratorio di pizza al taglio perché vietata in ambito vincolato ai sensi della delibera comunale n. 36 del 6 febbraio 2006.
24. Al riguardo va premesso che con tale delibera è stata modificata la « Disciplina per un programma di tutela e riqualificazione del commercio, dell’artigianato e delle altre attività di competenza della Città Storica » (approvata con deliberazione del consiglio comunale n. 187 del 29 settembre 2003), e si sono così ridefiniti i limiti all’esercizio delle attività commerciali ed artigianali in tale ambito vincolato. In particolare, per quanto rileva nel presente giudizio, si è previsto che negli ambiti tutelati, nei quali è stata inclusa via Del Governo Vecchio (per effetto delle modifiche introdotte con delibera consiliare n. 86 del 7/8 ottobre 2009), « è vietata l’apertura di nuove attività di gelateria artigianale, di laboratori di pizzeria a taglio, rosticceria e friggitoria ».
25. Ciò premesso, sono fondate, con carattere assorbente, le censure in cui la T deduce la violazione del termine previsto dall’art. 19, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 per l’esercizio del potere di inibizione dell’attività.
La disposizione ora richiamata pone a carico dell’amministrazione di accertare se per un’attività oggetto di segnalazione certificata di inizio attività ad essa presentata sussistano i requisiti e i presupposti di legge. In caso negativo l’amministrazione è legittimata ad ordinarne la cessazione « nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione ».
26. Nel caso di specie non è in contestazione il potere di Roma Capitale di emanare disposizioni di carattere pianificatorio dirette a disciplinare il commercio al fine di tutelare il patrimonio storico ed architettonico della Città, di pregio universale, e le attività economiche che si armonizzano in questo contesto, quand’anche tale regolamentazione siano introdotte limitazioni ragionevoli e proporzionate alla libertà di impresa, fino al divieto di apertura di attività non compatibili con le esigenze di salvaguardia perseguite. Con specifico riguardo alla tutela e riqualificazione del commercio nella Città storica è sufficiente richiamare a conferma di quanto ora evidenziato i precedenti di questa Sezione di cui alle sentenze 10 maggio 2010, n. 2758, e, più di recente, 30 luglio 2018, n. 4663.
Tuttavia, la tutela introdotta su base locale deve essere esercitata nei confronti delle singole attività in modo tempestivo, secondo la disposizione di legge generale sul procedimento amministrativo poc’anzi citato. Una volta spirato il termine di cui all’art. 19, comma 3, l. n. 241 del 1990 all’amministrazione è invece consentito intervenire sull’attività solo attraverso il proprio potere di carattere generale di autotutela decisoria ed in particolare di annullamento d’ufficio ex art. 21- nonies della medesima legge (disposizione richiamata dal comma 4 dell’art. 19).
27. Per contro, nel caso di specie non si è in presenza né di un tempestivo esercizio del potere inibitorio - e ciò vale a differenziare questo caso rispetto a quello esaminato da questa Sezione nella citata sentenza del 30 luglio 2018, n. 4663 - né tanto meno di un intervento in autotutela.
28. In relazione a quest’ultimo profilo è sufficiente rileva che dalla motivazione del provvedimento impugnato non emerge alcuna comparazione tra le esigenze di ripristino della legalità violata e le ragioni di interesse pubblico a sostegno dell’intervento in autotutela, secondo il paradigma enunciato dall’art. 21- nonies l. n. 241 del 1990, poc’anzi richiamato.
29. Con riguardo al primo profilo, è la stessa Roma Capitale a riconoscere che le s.c.i.a. presentate dalla T, una per la nuova apertura di un laboratorio di gastronomia calda e un’altra per un esercizio di vicinato nel settore alimentare, entrambe da esercitarsi nel locale di via del Governo Vecchio 10, risalgono all’aprile del 2016 (precisamente il 7 aprile). Per contro, il provvedimento impugnato è stato emesso nel dicembre dello stesso anno.
30. Deve poi sottolinearsi che entrambe le attività in questione, in particolare quella di gastronomia calda contestata nel presente giudizio, risultano condizionate « esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale », ai sensi del comma 1 del più volte citato art. 19 l. n. 241 del 1990.
Nel caso di specie non era richiesta un’autorizzazione specifica all’emissione in atmosfera di sostanze inquinanti ai sensi del testo unico sull’ambiente di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, poiché l’attività di gastronomia calda svolta dalla T rientra in quella relativa alle « Cucine, esercizi di ristorazione collettiva, mense, rosticcerie e friggitorie », di cui alla lett. e), della parte I, allegato IV, alla parte V del medesimo testo unico. Per essa l’art. 272, comma 1, del medesimo testo unico esonera dall’autorizzazione all’emissione in atmosfera le attività elencate nell’allegato in questione, le quali – specifica tale disposizione – si riferiscono « a impianti e ad attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico ».
Come poi dedotto dalla T, di tutto ciò è stato dato atto in sede di presentazione della s.c.i.a., per cui sin da allora Roma Capitale avrebbe potuto esercitare il suo potere inibitorio.
31. L’appello deve conseguentemente essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, deve essere del pari accolto il ricorso della T ed annullati gli atti con esso impugnati.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate, in ragione della novità e particolarità delle questioni controverse. Sono invece poste a carico di Roma Capitale le spese di verificazione, che verranno liquidate (rispetto all’acconto già riconosciuto) quando l’ausiliario presenterà la relativa richiesta di liquidazione del proprio compenso.