Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-04-28, n. 201502162
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N. 02162/2015REG.PROV.COLL.
N. 01254/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1254 del 2012, proposto da:
L C, rappresentato e difeso dagli avv. A M, G M, con domicilio eletto presso l’avv. A M in Roma, Corso Trieste, n. 109;
contro
U.T.G. - Prefettura di Chieti, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - sez. staccata di PESCARA, sezione I n. 00601/2011, resa tra le parti, diniego rilascio di un nulla osta per detenzioni di armi;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Chieti e di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 gennaio 2015 il Cons. Alessandro Palanza e uditi per le parti l’avvocato Martini e l’avvocato dello Stato Spina;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - Il dott. L C, ufficiale medico dell’esercito italiano, poi Direttore Generale dell’Azienda USL di Chieti, veniva sottoposto ad indagine da parte della Procura della Repubblica di Pescara per i reati di associazione per delinquere, truffa aggravata, falso, abuso d’ufficio e concussione connessi alla carica da lui rivestita nel settore sanitario e sulla base dei quali venivano disposte le misure della custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari. Successivamente, in data 13 settembre 2009, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione decideva sul ricorso promosso dal dott. C avverso l’ordinanza del tribunale del riesame dell’Aquila, sostitutiva della misura di custodia cautelare già disposta dal Gip di Pescara, sancendone l’immediata cessazione.
In data 12 ottobre 2009 il dott. C proponeva istanza di revoca del provvedimento di diniego concernente il rilascio del nulla osta per la detenzione di armi, sancito dal Prefetto della Provincia di Chieti, ai sensi dell’art. 39 del TULPS, con provvedimento n. prot. 25618/6D, assumendo definitivamente cessate le ragioni ostative alla concessione del medesimo.
In data 1 dicembre 2009 il Prefetto di Chieti, stanti le considerazioni avanzate dalla stessa Questura favorevoli all’accoglimento dell’istanza in esame, con provvedimento n. 35232/6D/ AREA I, decretava la revoca del precedente diniego in difetto degli originari presupposti legittimanti l’atto amministrativo.
In data 5 luglio 2010 il Questore della Provincia di Chieti, a seguito di istruttoria, riteneva che le ipotesi di reato formulate a carico del dott. C non consentissero di ravvisare il requisito soggettivo della buona condotta previsto dalla norma di cui all’art. 11 TULPS. Adottava, pertanto, un nuovo provvedimento di diniego a fronte della richiesta di rilascio del nulla osta per la detenzione di armi.
Avverso tale provvedimento il dott. C proponeva ricorso gerarchico assumendo carenza dei presupposti indicati dalla legge e vizio sotto il profilo motivazionale. Il gravame veniva respinto dalla Prefettura di Chieti in data 10 novembre 2010.
Contro il decreto di respingimento del ricorso gerarchico il dott. C adiva il TAR dell’Abruzzo riproponendo vizio di eccesso di potere per violazione di legge e per motivazione carente ed illogica. Nelle censure formulate in primo grado si assumeva che la sussistenza o meno del requisito della buona condotta si sarebbe potuta desumere solo a seguito di una compiuta istruttoria sull’intera personalità del richiedente (non avvenuta nel caso di specie). Si ribadiva, inoltre, che i reati oggetto di imputazione non presentavano alcuna attinenza con la detenzione delle armi e con una presunta condotta violenta ascrivibile al ricorrente.
2. - Il TAR dell’Abruzzo respingeva il ricorso così formulato con la sentenza n. 601/2011, ritenendo il provvedimento congruamente motivato e dunque completo sotto il profilo istruttorio alla luce della giurisprudenza che considera legittimo il diniego di rilascio di un’autorizzazione di polizia per difetto del requisito della buona condotta anche in relazione ad un soggetto nei cui confronti siano pendenti procedimenti penali. Nel caso di specie l’Amministrazione ha compiuto una complessiva valutazione della personalità del ricorrente e, pur avendo riconosciuto che lo stesso non aveva ancora subito condanne penali, ha ritenuto che i reati contestati in sede penale rappresentassero un indizio sufficiente di inaffidabilità del soggetto e facessero pertanto dubitare della persistenza del requisito della buona condotta.
3. - Avverso la pronuncia del TAR Abruzzo ha proposto appello il dott. C censurando in un unico motivo di ricorso la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 2, R.D. 18 giugno 1931, n.733, eccesso di potere e violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990. Nel dettaglio, egli lamenta l’acritica ricezione dei risultati delle indagini promosse dalla Procura di Pescara senza congruamente motivare la sussistenza di fatti e circostanze ulteriori idonei a dimostrare l’inaffidabilità del soggetto richiedente l’autorizzazione. Contesta la mancata considerazione della revoca delle misure cautelari da parte della Cassazione ritenuta determinante ai fini della verifica della propria mancanza di responsabilità rispetto alle ipotesi di reato contestate. Assume, inoltre, che le stesse misure individuano condotte del tutto estranee rispetto a quelle previste dall’art. 11 del TULPS e dunque insuscettibili di rientrare nel novero delle fattispecie legittimanti un provvedimento di diniego. Come ultima censura sostiene che la mancata comunicazione del preavviso di diniego, in violazione della legge n. 241/1990, non gli abbia consentito di partecipare al procedimento così configurandosi una lesione al principio di garanzia del contraddittorio.
4. – L’Amministrazione appellata si è costituita nel giudizio di appello senza depositare difese.
5. - Questa Sezione del Consiglio di Stato ha respinto con l’ordinanza n. 985/2012 l’istanza cautelare proposta dalla parte appellante non ravvisando i presupposti di danno grave e irreparabile.
6. – La causa è stata discussa ed è passata in decisione alla udienza pubblica del 22 gennaio 2014.
7. - L’appello è infondato.
7.1. – Deve essere condivisa la sentenza resa in primo grado alla luce della disciplina legislativa di cui all’art. 43 TULPS e della giurisprudenza della Sezione. Si richiamano in particolare, anche ai sensi dell’art. 74, comma 1, secondo periodo, c.p.a., le sentenze dell’11 marzo 2015, n. 1270, 14 ottobre 2014, n. 5398, 19 settembre 2013, n. 4666, e 29 luglio 2013, n. 3979, le quali chiariscono che il beneficiario di una autorizzazione di polizia concernente le armi debba obbligatoriamente improntare la propria condotta di vita alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell'ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza.
7.2. – La normativa da applicare è la seguente:
- l’art. 11 del TULPS che dispone:
“Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:
1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;
2) a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.
Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione.”
- l’art. 43 del TULPS che dispone:
“Oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:
a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico;
c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.
La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”.
- la sentenza della Corte costituzionale n. 440 del 1993, che ha dichiarato illegittime le suddette norme solo con riferimento all’attribuzione all’interessato dell’onere di dover provare la buona condotta.
7.3. - Definito il quadro normativo, può affermarsi su questa base che il giudice di prime cure ha correttamente applicato la normativa sopra riportata con particolare riferimento alla oggettiva carenza nelle circostanze date del requisito della buona condotta, come interpretato dalla Corte costituzionale, ed alla conseguente non affidabilità nell’uso delle armi fino a quando quelle circostanze permangono. La sentenza ha infatti dimostrato che le motivazioni del provvedimento, oltre a configurare un legittimo esercizio della discrezionalità amministrativa in ordine a dati oggettivi, debbano ritenersi adeguate ai fini di una complessiva valutazione della personalità del ricorrente basata su circostanze sopravvenute, ben individuate ed in assenza di elementi arbitrari od irragionevoli.
7.4. – Tale valutazione deve essere confermata sulla scorta delle seguenti ulteriori considerazioni che rispondono alle censure sollevate verso la sentenza nei motivi di appello:
- l’esistenza di un procedimento penale in corso concernente gravi reati costituisce un elemento oggettivo e sostanziale più che sufficiente a motivare il provvedimento impugnato dal momento che esso comprova la impossibilità di ascrivere alla ‘buona condotta’ il comportamento dell’interessato fino a quando quelle circostanze permangano;
- non si riscontra carenza di istruttoria o di motivazione dal momento che il procedimento penale è sopravvenuto e va quindi considerato un elemento di fatto sufficiente a giustificare il diniego di revoca. Esso infatti, giustifica il mutato atteggiamento dell’Autorità amministrativa, che per oltre trent’anni ha ininterrottamente concesso l’autorizzazione di cui al presente giudizio;
- il dato della persistenza del procedimento penale non viene significativamente modificato dalla revoca dei provvedimenti cautelari da parte della Corte di Cassazione e la sua mancata considerazione non comporta carenza di motivazione dal momento che sussiste l’elemento principale e sufficiente che sorregge la motivazione stessa;
- la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che imponeva all’interessato di provare la propria buona condotta, ma ha così confermato la legittimità degli accertamenti e delle valutazioni discrezionali dell’Autorità di pubblica sicurezza in ordine alla sussistenza di elementi oggettivi relativi alla buona condotta;
- con riferimento a questo aspetto, la sentenza di questa Sezione del 14 ottobre 2014, n. 5398, afferma che “la valutazione al riguardo dell'Autorità di pubblica sicurezza, caratterizzata da ampia discrezionalità, persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili tanto che il giudizio di "non affidabilità" è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a "buona condotta" (Cons. Stato, sez. III, 19/09/2013, n. 4666)”.
- la giurisprudenza della Sezione richiamata al punto 7.1. ha infatti chiarito che l’autorizzazione al possesso delle armi non è un diritto, ma il frutto di una valutazione discrezionale nel quale devono unirsi la mancanza di requisiti negativi e la sussistenza di specifiche ragioni positive;
- proprio le ragioni richiamate dall’appellante in ordine al turbamento dell’opinione pubblica e al conseguente turbamento anche personale dell’interessato a seguito del procedimento penale confermano per altri aspetti la rilevanza dello stesso procedimento ai fini delle valutazioni di opportunità proprie dell’Autorità di pubblica sicurezza in ordine al delicato profilo della piena affidabilità nell’uso delle armi, che costituisce il presupposto indispensabile per l’autorizzazione in questione;
- rispetto a profili concreti che sostanziano direttamente le valutazioni richieste dagli artt. 11 e 43 del TULPS con riferimento alla buona condotta, divengono del tutto irrilevanti le altre caratteristiche positive della personalità dell’interessato richiamate dalla difesa appellante;
- altrettanto irrilevante è la circostanza che i reati oggetto del procedimento penale non hanno a che fare con le armi, dal momento che ciò che conta è la buona condotta e le condizioni di oggettiva affidabilità;
- per le ragioni sopra esposte non possono ritenersi necessarie ulteriori specifiche dimostrazioni della “possibilità di abuso delle armi” o della esigenza di prevenzione, dal momento che la regola generale è il divieto di detenzione delle armi, che la autorizzazione di polizia rimuove in via di eccezione, in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’autorità di pubblica sicurezza prevenire;
- infine, trattandosi di un’istanza di revoca di un provvedimento già adottato dalla Autorità amministrativa e di un successivo ricorso gerarchico, non si ravvisano violazioni delle garanzie partecipative previste dalla legge n. 241/1990 e segnatamente dell’art. 10–bis, dal momento che l’interessato ha avuto modo di esporre le sue ragioni avverso un provvedimento negativo già in essere.
6. - In base alle considerazioni che precedono l’appello deve essere respinto e la sentenza del TAR confermata anche nelle sue motivazioni, integrate dalle ulteriori considerazioni conseguenti ai motivi di appello.
7. – In relazione alle non irrilevanti motivazioni dell’appello, le spese per il presente grado del giudizio possono essere compensate tra le parti.