Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-16, n. 202301658
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Pubblicato il 16/02/2023
N. 01658/2023REG.PROV.COLL.
N. 00691/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 691 del 2019, proposto da
S V, A V e M V, rappresentati e difesi dall'avvocato G B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Pozzuoli, via Nicola Fasano, n. 5;
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei e Comune di Pozzuoli, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 3854/2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 23 gennaio 2023 il Cons. G L e udito l’avvocato G B in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma Microsoft Teams;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – Gli appellanti sono proprietari di un fabbricato sito in Pozzuoli, alla via Vecchia Campana, composto da piano seminterrato, destinato a deposito garage, e primo piano, oggetto di istanza di sanatoria prot. n. 16509 del 28.03.1986 proposta dalla ex proprietaria Maria Rosaria Costantino.
2 – Con ricorso al TAR per la Campania, hanno impugnato il provvedimento prot. n. 20170 del 19.06.2013, con il quale la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei ha espresso, ai sensi della legge 28.02.1985, n. 47, parere contrario al rilascio del permesso in sanatoria richiesto con la predetta istanza di condono edilizio, svolgendo le seguenti censure:
1) violazione di legge, violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 21 del d.l.gs. n. 42/2004, violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985, violazione e falsa applicazione del D.M. 22.04.1995, eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3 della legge n. 241/1990, violazione del giusto procedimento, difetto di istruttoria, omessa ponderazione della situazione contemplata ed altri profili. A tal fine parte ricorrente ha rilevato che:
- la Soprintendenza ha reso pareri favorevoli per alcuni immobili in zone gravate da vincoli ex artt. 1 e 3 della legge n. 1089/1939, per cui vi è disparità di trattamento;
- il provvedimento impugnato non esplicita i motivi della manifestata reiezione e presume l’esistenza di strutture antiche, ammettendo di non aver effettuato alcun saggio esplorativo;
- il vincolo di cui al D.M. 22.04.1995 è stato imposto in data successiva alla realizzazione del manufatto, per cui non può costituire ex se causa ostativa al rilascio della sanatoria;
- la motivazione è generica ed erronea, basata sul mero riscontro della esistenza del vincolo e non evidenzia la lesione dell’interesse tutelato;
- l’immobile, come da allegata relazione tecnica e da allegata foto aerea, è ubicato in zona ben distante dai reperti archeologici e non può ex se rendere impraticabile la loro fruizione ed eventuali interventi di valorizzazione;
- le disposizioni poste a tutela dei beni archeologici comprimono lo jus aedificandi , ma non lo escludono;
- la verifica della Sovrintendenza doveva concretizzarsi nell’accertamento della compatibilità dell’intervento con i valori tutelati dal vincolo ed il parere negativo poteva essere reso solo se il manufatto avesse danneggiato i reperti archeologici o impedito la loro fruizione.
2) Violazione di legge, violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 1089/1939, ora artt. 10 e 13 del d.lgs. n. 42/2004, violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 32 e 33 della legge n. 47/1985, violazione e falsa applicazione del D.M. 22.04.1995, di imposizione del vincolo archeologico, eccesso di potere per erroneità, difetto di istruttoria, dei presupposti e di motivazione, omessa ponderazione della situazione contemplata, travisamento, illogicità, contraddittorietà, perplessità, manifesta ingiustizia, altri profili. A tal fine parte ricorrente rileva che:
- il divieto di inedificabilità di cui al citato D.M. trova applicazione solo per gli interventi eseguiti in epoca successiva all’imposizione del vincolo archeologico ai sensi dell’art. 33 della legge n. 47/1985;
- l’autorità statale non ha tenuto conto che si tratta di intervento preesistente al vincolo;
- la sopravvenuta vigenza di un vincolo assoluto di inedificabilità non può costituire motivo di preclusione incondizionato alla concessione del richiesto condono, poiché il vincolo va derubricato da assoluto a relativo.
3) Violazione di legge, violazione degli artt. 7, 8, 9, 10, 10 bis e 21 octies della legge n. 241/1990, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere, perplessità, manifesta ingiustizia. A tal fine parte ricorrente rileva che:
- il Soprintendente ha omesso di notificare formale e previa nota di avvio del procedimento;
- i ricorrenti avrebbero potuto evidenziare l’erroneità del presupposto e sottolineare al responsabile del procedimento l’assentibilità dell’intervento e la sua datazione anteriore all’imposizione del vincolo;
- la Sovrintendenza non ha comunicato al destinatario del provvedimento i motivi ostativi al rilascio di un parere favorevole;
- i vizi predetti non sono sanabili ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990.
3 – Il TAR adito, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso.
4 – Avverso tale pronuncia hanno proposto appello gli originari ricorrenti per i motivi di seguito esaminati.
4.1 – Con il primo motivo, parte appellante contesta la sentenza impugnata nella parte in cui:
- individua la consistenza dell’abuso, precisando che il manufatto di cui è causa è composto da un solo piano fuori terra e non da un piano seminterrato destinato a deposito garage e da un primo piano con destinazione residenziale;
- ha riportato il D.M. 22.04.1995, che riguarderebbe altra zona diversa da quella di cui è causa, che invece risulta essere gravata dal vincolo archeologico diretto imposto con D.M. 08.07.1991;
- ha ritenuto sussistente nella fattispecie un vincolo archeologico indiretto ex art. 21 della legge n. 1089/1939;mentre, l’area su cui insiste il manufatto (foglio 84 particella 183) è gravata da vincolo archeologico diretto ai sensi degli artt. 1 e 3 della legge n. 1089/1939;
- ha prospettato che le ragioni di tutela archeologica ben possono prescindere dai singoli reperti, estendendosi fino al punto da imporre l’incondizionata intangibilità di una complessa area archeologica, della quale occorre preservare l’integrale conservazione del decoro e del godimento;secondo parte appellante, in presenza del sopravvenuto vincolo archeologico diretto imposto con D.M. 08.07.1991, la Soprintendenza avrebbe dovuto puntualmente indicare con congrua motivazione le ragioni per le quali il manufatto oggetto della domanda di sanatoria fosse incompatibile con i valori tutelati, senza sconfinare in una valutazione di carattere paesaggistico.
4.2 – Con il secondo motivo di appello si insite nel sostenere che l’atto impugnato è illegittimo per difetto di istruttoria e disparità di trattamento.
A questo riguardo, parte appellante deduce che:
- la Soprintendenza ha espresso pareri favorevoli al condono per alcuni immobili ubicati in zone gravate da vincoli imposti ai sensi degli artt. 1 e 3 della legge n. 1089/1939;
- in fatto l’immobile oggetto di richiesta di concessione in sanatoria ricade in Catasto al foglio 84, p.lla 183 del Comune di Pozzuoli, gravata da vincolo archeologico diretto con D.M. 08.07.1991, ai sensi degli artt. 1 e 3 della legge n. 1089/1939, mentre il parere negativo, espresso dalla Soprintendenza si fonda sulla erronea circostanza che “ l’area in argomento risulta sottoposta alla tutela dell’art. 21 della previgente legge 1089/1939 (ora D.Lgs. 42/2004), con D.M. 08.07.1991 ” e quindi sull’esistenza di un vincolo di inedificabilità assoluto;
- il vincolo di cui al D.M. 08.07.1991 è stato imposto in data successiva alla realizzazione del manufatto e, per tale motivo, non può costituire ex se causa ostativa al rilascio della sanatoria ed un eventuale parere negativo da rendersi ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47/1985 deve essere supportato da congrua motivazione;
- il Soprintendente si è limitato a giustificare la valutazione negativa con il richiamo del citato D.M. 08.07.1991 (peraltro, come detto, ritenendo erroneamente l’immobile rientrante nell’area gravata da vincolo indiretto anziché diretto);
- l’immobile di cui è causa è stato realizzato ed è ubicato in zona ben distante dai reperti archeologici e non può ex se rendere impraticabile la loro fruizione ed eventuali interventi di valorizzazione, come da relazione tecnica depositata in primo grado.
4.3 – Con il terzo motivo, parte appellante insiste sul fatto che il Soprintendente ha posto a fondamento del parere negativo una motivazione erronea, limitandosi a richiamare il vincolo archeologico di cui al D.M. 08.07.1991, che a suo dire precluderebbe la sanatoria degli interventi realizzati, in violazione e falsa applicazione dell’art. 33 della legge n. 47/1985, tenuto conto che il manufatto è stato realizzato in data antecedente all’imposizione del vincolo archeologico.
Secondo parte appellante, l’illegittimità del parere sarebbe evidente, in quanto il divieto di inedificabilità di cui al citato D.M. 08.07.1991 trova applicazione solo per gli interventi eseguiti in epoca successiva all’imposizione del vincolo archeologico.
4.4 – Con il quarto motivo di appello si contesta come il Soprintendente abbia omesso di notificare formale e previa nota di avvio del procedimento.
I ricorrenti avrebbero potuto evidenziare l’erroneità del presupposto e sottolineare al responsabile del procedimento l’assentibilità dell’intervento e, soprattutto, che esso è stato eseguito in data antecedente all’imposizione del vincolo.
Parte appellante sottolinea che l’omissione del Soprintendente Archeologico, sotto il profilo delle garanzie partecipative, è ancora più grave se solo si consideri che l’autorità statale non ha comunicato previamente al destinatario del provvedimento, ai sensi dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, i motivi ostativi al rilascio di un parere favorevole;ciò inficia insanabilmente il parere sotto il profilo della correttezza procedimentale.
5 – Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.
5.1 – Sul piano fattuale, l’istanza di condono edilizio del 28.03.1986, prot. n. 16509, ha ad oggetto opere realizzate in assenza di licenza edilizia descritte nei seguenti termini: un piano fuori terra, compreso il seminterrato, dichiarato non abitabile al 1983, data di ultimazione dei lavori, ma abitabile alla data di presentazione della domanda (1986) e destinato a residenza primaria dell’istante, di consistenza di 86 mq.
L’assunto di parte appellante secondo cui il manufatto di cui è causa sarebbe composto da un solo piano fuori terra e non da un piano seminterrato destinato a deposito garage e da un primo piano con destinazione residenziale, come si legge nel provvedimento impugnato, è smentito dalle risultanze degli atti di causa, in particolare dalla relazione tecnica depositata in primo grado dalla stessa parte appellante.
Nell’incipit della relazione, riguardante la descrizione e rappresentazione dell’abuso commesso, si legge infatti che “ Trattasi di immobile composto da un piano seminterrato destinato a deposito garage e da un piano rialzato‐primo avente destinazione residenziale ”.
5.2 – L’abuso in oggetto è collocato catastalmente al foglio 84, p.lla 183.
L’area in questione risulta vincolata in forza del D.M 8.07.1991, ai sensi degli artt. 1 e 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, in base al quale l’immobile “ ha interesse particolarmente importante ai sensi della citata legge per i motivi illustrati nell’allegata relazione storico-artistica (…) e viene, quindi, sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa ”.
L’istanza di condono presentata nel 1986 dimostra effettivamente la sopravvenienza del vincolo, apposto solo nel 1991, rispetto alla data di costruzione del manufatto.
Erroneamente, come ammesso dalla stessa Soprintendenza, essa ha richiamato nel parere sfavorevole il vincolo apposto ai sensi dell’art. 21 della predetta legge;nella nota prot. 37884 del 16.12.2013 la Soprintendenza dà atto del predetto errore nei seguenti termini: “ questa Soprintendenza deve innanzitutto rappresentare che l’errore nel quale è incorsa non è imputabile, come più volte affermato dai ricorrenti, ad un difetto di istruttoria. L’Amministrazione scrivente, infatti, è stata indotta in errore dal Comune di Pozzuoli che, con la trasmissione della documentazione relativa all’istanza di concessione edilizia in sanatoria, ha inviato uno stralcio aeroforogrammetrico (All. 1) nel quale ha cerchiato un manufatto diverso da quello di proprietà Costantino ora Volpe. A seguito di quanto evidenziato nel ricorso, questa Soprintendenza ha richiesto una nuova ed aggiornata visura catastale (All. 2), grazie alla quale si è potuto verificare che l’immobile de quo ricade in area sottoposta al D.M. 08/07/1991 (All. 3), ma in zona sottoposta alla tutela degli artt. 1 e 3, circostanza che, come si dimostrerà, ancor più incide sul giudizio negativo avverso la richiesta di sanatoria, che questa Soprintendenza deve rinnovare in questa sede ”.
5.3 - Il vincolo apposto ai sensi degli artt. 1 e 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, come rilevato dalla stessa parte appellante, configura un vincolo archeologico c.d. diretto. Esso viene imposto sui beni o sulle aree nei quali sono stati rinvenuti reperti archeologici, o in relazione ai quali vi è la certezza dell’esistenza, della localizzazione e dell’importanza del bene archeologico. Il vincolo archeologico c.d. indiretto, di cui all’art. 21 della legge n. 1089 del 1939, viene invece imposto sui beni e sulle aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, così da garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva, o migliori condizioni ambientali e di decoro (ex multis, Cons. St., sez. VI, 30/05/2018, n. 3246).
Alla luce di tale precisazione, deve anticiparsi che, benché la motivazione del parere impugnato muova dalla natura indiretta dal vincolo, la relativa motivazione di incompatibilità deve, a maggior ragione, essere ritenuta idonea a giustificare l’incompatibilità delle opere con il vincolo diretto posto a tutela dell’area.
5.4 – Chiarita la consistenza fattuale dell’abuso, nonché la natura del vincolo gravante sull’area in cui insiste il manufatto oggetto di causa, occorre a questo punto indagare se la motivazione del parere impugnato sia coerente con la natura del vincolo archeologico diretto.
In primo luogo, la giurisprudenza ha chiarito che il vincolo successivo, pur non precludendo puramente e semplicemente il rilascio della sanatoria, in base agli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985, la consente solo se vi è il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
Ne deriva che, anche nel caso di un vincolo assoluto, le valutazioni dell’autorità preposta alla tutela del vincolo devono essere rapportate al caso concreto, e non tradursi nella mera applicazione delle norme vincolistiche: se ciò avvenisse, non potrebbe che trattarsi di un parere negativo, perché ci si troverebbe per ipotesi di fronte ad un’inedificabilità, che non consentirebbe in linea generale di realizzare opera alcuna (cfr. Cons. St., sez. VI, 12/11/2014, n. 5549).
Il parere negativo impugnato reca un’ampia motivazione di cui si riportano di seguito i punti salienti: “ l’area in cui è stato perpetrato l’abuso ricade ai margini dell’antica via Consularis Puteolis-Capuam: il vincolo che protegge il suo tracciato e le aree che lo fiancheggiano trae origine dalla volontà dell’Amministrazione per i Beni e le Attività Culturali, peraltro recepita anche da codesto Comune, che l’ha fatta propria nel vigente PRG, di proteggere il tracciato della odierna via Vecchia Campana in quanto ricalcante fedelmente quello dell’antica strada romana, con le aree ad essa immediatamente adiacenti, importantissima arteria di collegamento tra l’antica Puteoli, Capua e Roma ... Del resto, la connotazione archeologica della via Campana è ancora oggi immediatamente percepibile, oltre che per il suo tracciato basolato conservato proprio davanti al manufatto abusivo de quo, anche grazie ai numerosi, imponenti complessi archeologici da sempre conservati in elevato che fiancheggiano il tracciato stradale e che consistono soprattutto in necropoli monumentali alternate a tabernae, ville residenziali, mausolei e nuclei isolati di necropoli ”.
Il provvedimento prosegue descrivendo le consistenze dell’area archeologica e gli interventi di valorizzazione e restauro eseguiti per il recupero degli edifici e la loro sistemazione a Parco Archeologico, evidenziando l’interesse archeologico di essi. A proposito del tracciato stradale antico che confluisce in quello della moderna via Campana, il parere prosegue nei seguenti termini: “ Qui la ricerca archeologica degli ultimi anni, conseguente ad interventi per la metanizzazione del territorio e/o alla riqualificazione dell’arteria moderna, ha permesso il recupero di altri complessi antichi, tra cui vanno ricordati soprattutto la villa della gens dei Bovii o il mausoleo della gens Caecilia, che si sono aggiunti ad altri complessi monumentali noti perché da sempre in vista, come il gruppo dei colombari antistante lo stabilimento della ex Gecom, oggi Metro. Di molti di questi complessi è già stata avviata la valorizzazione, con la realizzazione di interventi di restauro e la creazione delle coperture, tesi alla realizzazione di un grande Parco Archeologico che, dalla Solfatara, arrivi sino alla Montagna Spaccata, riqualificando uno dei punti nevralgici della città romana, ancorché deturpato da interventi per lo più a carattere abusivo, quale quello in esame ”. In conclusione, si legge l’intenzione di fare della via Campana “ uno dei punti di forza della rinascita di Pozzuoli e dei Campi Flegrei, un itinerario archeologico di eccezionale interesse anche dal punto di vista storico e paesaggistico, che ha un suo stretto confronto in quello romano della Via Appia ”.
Evidenziata la rilevanza archeologica dell’area, la Soprintendenza ha espresso parere sfavorevole nei confronti dell’abuso oggetto del presente giudizio, “ anche considerando come il cespite abusivo sia stato realizzato a pochi metri dal tracciato basolato della strada romana e come lo stesso sia caratterizzato da una scadente qualità architettonica, che molto stride in un contesto di così tanto pregio quale quello sopra descritto, che conserva ancora la sua peculiarità di paesaggio rurale ”, tant’è che la zona è inserita nel P.T.P. in zona di protezione integrale e nel P.R.G. in zona archeologica naturale.
Ancora, si legge nel parere che “ Le ricordate peculiarità di paesaggio storico-archeologico dell’area (…) ben si colgono percorrendo la Via Campana Antica, entro la quale ricade l’abuso, la cui realizzazione potrebbe avere compromesso strutture antiche, tenuto conto della grande concentrazione di monumenti nell’area in esame – anche immediatamente contigui alla zona dell’abuso – testimoniata dall’allegato foglio della Carta Archeologica di Puteoli (…). Né, da un sopralluogo recentemente effettuato, l’abuso risulta “mascherato” da alberi ad alto fusto, circostanza posta alla base del parere favorevole espresso dalla Commissione Edilizia per il Paesaggio ”.
Alla motivazione predetta, che pare indicare dettagliatamente il ragionamento logico seguito per giungere all’esito sfavorevole criticato con il ricorso di primo grado, si aggiunge quanto desumibile dalla nota prot. 34974 del 20.11.2013 dove si afferma che la nota n. 20170 impugnata “ rassicura pienamente nel senso che si può affermare, senza tema di smentite che, anche nella proprietà dei ricorrenti, il sottosuolo conserva i reperti archeologici che non potranno essere portati alla luce ”.
A proposito della coincidenza tra la via Campana e il tratto di strada antica tutelato mediante l’apposizione del vincolo archeologico diretto insistente sull’area de qua, questo Consiglio ha recentemente riscontrato che, sulla base di diversi pareri resi dalla Soprintendenza, “ La successione di numerosi reperti ai margini dell’attuale tracciato stradale, le risultanze delle indagini archeologiche riportate negli stessi pareri impugnati in prime cure, nonché la presenza di un tratto basolato costituiscono elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti che consentono di ritenere dimostrata la corrispondenza tra l’attuale sede viaria e il tracciato dell’antica via Consularis Puteolis - Capuam;il che giustifica l’apposizione del vincolo di interesse storico-archeologico anche sull’area interessata dagli immobili oggetto di domanda di condono ”. Correttamente, dunque “ l’area per cui è causa deve essere adeguatamente tutelata a salvaguardia delle esigenze di protezione sottese all’apposizione del vincolo archeologico, anche ai fini della compiuta realizzazione di un Parco archeologico, di pubblica fruizione, costituente un itinerario di eccezionale interesse anche dal punto di vista storico e paesaggistico ” (Cons. St., sez. VI, 04/02/2021, n. 1041).
5.4 – Ricordato che la Soprintendenza dispone di un’ampia discrezionalità tecnico - specialistica circa la valutazione se emettere o meno la declaratoria del particolare interesse archeologico di un immobile e se adottare conseguentemente pareri favorevoli o sfavorevoli in merito agli interventi in considerazione, nonché ricordato che tale valutazione è sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta, inattendibilità della valutazione stessa ovvero errore di fatto conclamato, senza che il giudice possa sostituirsi all’Amministrazione nello svolgimento di valutazioni alla stessa riservate, la motivazione innanzi richiamata resiste alle censure dedotte da parte appellante.
Invero, a prescindere dalla natura diretta del vincolo, la Soprintendenza ha esplicitato le ragioni per cui l’opera abusiva non risulta compatibile con le ragioni di tutela dell’area, compromettendo i valori archeologici tipici di tale area.
Come anticipato, a ciò non osta l’errata indicazione del tipo di vincolo gravante sull’area, avendo la Soprintendenza valutato e motivato l’incompatibilità dell’opera rispetto ad un vincolo di intensità comunque inferiore rispetto a quello diretto.
Per altro verso, il contenuto motivazione del parere, pur contenendo riferimenti al paesaggio che caratterizza la zona, non è incentrato, come erroneamente asserito da parte appellante, sulla valutazione paesaggistica dell’intervento, bensì sulla rilevanza archeologica dell’area e sul fatto che l’entità dei ritrovamenti, già effettuati nell’area, lascia supporre l’esistenza di vasti insediamenti dell’antichità, anche in prossimità del manufatto abusivo.
La soluzione che precede risulta in sintonia con un altro precedente della Sezione, riguardante la medesima area oggetto del presente giudizio, nel quale si è argomentato nel senso che “ una lettura sistemica delle affermazioni contenute nel parere gravato pone in evidenza una chiara traiettoria argomentativa che regge le determinazioni assunte dall’organo tutorio, secondo una valutazione che prescinde dalla maggior o minore contiguità dell’area alle evidenze archeologiche, nonché dalla natura diretta o indiretta dal vincolo, risultando tutelata l’esigenza di fruizione collettiva del Parco Archeologico, nonché stante la necessità di preservare la connotazione ambientale dei numerosi complessi archeologici ivi esistenti in elevato (necropoli monumentali, ville residenziali, nuclei isolati di necropoli). Ordunque, alla stregua di una piana lettura della motivazione del parere impugnato, appare di tutta evidenza l’intrinseca coerenza logica della valutazione svolta dall’organo tutorio il quale ha rilevato, in forma sintetica ma efficace, come per la rilevanza archeologica dell’area deve escludersi la possibilità di effettuare nuovi interventi edilizi ovvero opere modificative (come nel caso in esame) di strutture preesistenti, al fine di salvaguardare il godimento del contesto paesaggistico del complesso archeologico oggetto di tutela e suscettibile di più ampia valorizzazione all’interno di un Parco archeologico ” (Cons. St., sez. VI, 14/12/2020, n. 7995).
5.5 – Le ulteriori considerazioni dell’appellante svolgono una critica all’operato della Sovraintendenza attinente al merito della valutazione, che però non può essere sindacato da questo Giudice, il cui controllo, come già evidenziato, è limitato al vaglio di ragionevolezza e logicità della motivazione (cfr. Cons. St., sez. VI, 28/12/2015, n. 5844;Cons. St., sez. VI, 28/10/2015, n. 4925;Cons. St., sez. VI, 04/06/2015, n. 2751).
5.6 – Alla luce delle considerazioni che precedono deve escludersi che il provvedimento impugnato sia frutto di un difetto di istruttoria, risultando questa puntualmente compiuta, come si evince dalla motivazione del provvedimento impugnato, da cui emerge l’intervenuto raffronto tra le risultanze agli atti e la documentazione a corredo dell’istanza.
Per le stesse ragioni, devono essere disattese le richieste istruttorie di parte appellante.
5.7 – Anche gli ulteriori rilievi devono essere disattesi, tenuto conto che:
- la disparità di trattamento è sinonimo di eccesso di potere solo quando vi sia un’assoluta identità di situazioni oggettive, che valga a testimoniare l’irrazionalità delle diverse conseguenze tratte dall’Amministrazione (Cons. St., sez. V, 10/02/2000, n. 726);
- è in ogni caso irrilevante il fatto che sull’area insistano altri immobili, dovendosi aver riguardo alle sole prescrizioni normative che hanno costituito il vincolo sull’area, indipendentemente dal fatto che le stesse siano state rispettate o meno da altri soggetti. Sul punto, la giurisprudenza ha precisato che l’avvenuta edificazione di un’area non costituisce ragione sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, in quanto l’imposizione del vincolo comporta l’imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie proprio in funzione della conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell’integrità dello stesso (Cons. St., sez. VI, 11/06/2012, n. 3401;Id., 30/06/2021, n. 4923)
5.8 – Non possono infine trovare accoglimento le censure con le quali si contesta il mancato coinvolgimento della parte nel corso del procedimento.
In ordine alla dedotta mancata comunicazione di avvio del procedimento, è sufficiente rilevare che il parere della Soprintendenza è stato adottato nel corso di un procedimento avviato ad istanza di parte, con la domanda di sanatoria del 28.03.1986. Al riguardo, giova ricordare quanto affermato dalla giurisprudenza costante di questo Consiglio, secondo cui “ nel caso di procedimenti avviati ad istanza di parte, quale è la richiesta di condono edilizio, non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ” (Cons. St., sez. II, 13/06/2019, n. 3960;Cons. St., sez. VI, 19/09/2018, n. 5465;Cons. St., sez. IV, 11/10/2017, n. 4703).
In ordine al mancato invio del preavviso di rigetto, può richiamarsi altresì l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “ la violazione dell’art. 10 bis, l. n. 241 del 1990 non basta da sola per inficiare la legittimità del provvedimento gravato se non viene data in giudizio la prova della utilità della partecipazione (mancata) in sede procedimentale, così che il vizio di omessa comunicazione del preavviso di rigetto può assumere rilievo soltanto nelle ipotesi in cui dalla omessa interlocuzione del privato nell’ambito del procedimento il contenuto dell’atto finale si assuma diverso da quello che sarebbe potuto essere sulla base della valutazione degli elementi ulteriori che il privato medesimo avrebbe potuto fornire all’Amministrazione al fine di superare i rilievi ostativi all’adozione dell'atto favorevole ” (Cons. St., sez. III, 07/04/2021, n. 2809).
Parte appellante afferma che, ove fosse stata garantita la sua partecipazione in giudizio, avrebbe evidenziato l’erroneità del presupposto indicato nel parere (vincolo indiretto anziché diretto) e sottolineato al responsabile del procedimento che l’intervento era stato eseguito in data antecedente all’imposizione del vincolo.
Tali elementi, per quanto innanzi spiegato, nel caso in esame sono irrilevanti e non avrebbero inciso sul contenuto dell’atto impugnato, dal momento che la sussistenza di un vincolo diretto, come detto, è comunque maggiormente gravosa per il privato e non può portare ad un esito più favorevole;si è anche già detto che, trattandosi di vincolo successivo, l’amministrazione non poteva esprimersi in senso negativo senza valutare la compatibilità in concreto dell’opera rispetto al vincolo che caratterizza l’area;valutazione concreta che nel caso di specie è stata compiuta, sicché non pare che le osservazioni dell’appellante avrebbero potuto portare ad un esito diverso.
6 – Per le ragioni esposte, l’appello va respinto.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.