Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-06-10, n. 201303171

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-06-10, n. 201303171
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201303171
Data del deposito : 10 giugno 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08732/2012 REG.RIC.

N. 03171/2013REG.PROV.COLL.

N. 08732/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8732 del 2012, proposto da:
Comune di Ceglie Messapica, rappresentato e difeso dall'avv. T M, con domicilio eletto presso Leonardo M. Millefiori in Roma, via Dessiè, 15, int.12;

contro

S C, C A, D A, rappresentati e difesi dall'avv. L D, con domicilio eletto presso Giuseppe Gardin in Roma, via L. Mantegazza, 24;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE I n. 01242/2012, resa tra le parti, concernente istanza di annullamento condanna al risarcimento danni da occupazione illegittima


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di S C e di C A e di D A;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2013 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Millefiori e Durano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il signor Giuseppe Annese era proprietario di aree nel territorio del Comune di Ceglie Messapica, oggetto di occupazione d’urgenza disposta nel 1981 per la realizzazione di una strada, di una scuola materna e di un asilo nido.

Le opere previste sono state compiute. Tuttavia la procedura espropriativa non è stata completata né sono state pagate le indennità di occupazione e di esproprio.

Il signor Annese ha quindi citato il Comune in giudizio innanzi al Giudice ordinario. Con sentenze del 7 settembre 2005, n. 845, e 23 aprile 2010, n. 343, il Tribunale di Brindisi ha escluso essersi prodotta la c.d. “accessione invertita” e ha condannato il Comune al pagamento delle somme dovute per la legittima e poi illegittima occupazione dell’area.

Impugnate tali sentenze presso la Corte d’appello di Lecce, questa ne ha sospeso l’esecutività.

In seguito gli attuali appellati, eredi del signor Annese, hanno proposto ricorso al Giudice amministrativo, chiedendo:

• l’applicazione del sopravvenuto art. 42 bis del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (c.d. testo unico dell’espropriazione per pubblica utilità;
d’ora in poi: testo unico), introdotto nel 2011 , con ordine al Comune di acquisire il bene e corrispondere il risarcimento commisurato al valore venale attuale delle aree, oltre a un importo del 5 % annuo per tutto il periodo di occupazione, con rivalutazione monetaria e interessi, nonché il pagamento di una somma pari al 10 % del valore venale attuale delle aree, a ristoro del pregiudizio non patrimoniale subito;

• in subordine, la condanna del Comune al pagamento di una somma pari al valore venale dei beni al momento dell’acquisto originario, con interessi legali;

• in via ulteriormente subordinata, la condanna del Comune alla restituzione delle aree e al risarcimento del danno per l’illegittima occupazione, con interessi legali e rivalutazione.

Con sentenza 12 luglio 2012, n. 1242, il T.A.R. per la Puglia – Lecce, sez. I, ha respinto la richiesta di sospensione del processo, formulata dal Comune con riguardo al giudizio pendente di fronte al Giudice civile, ha ritenuto la propria giurisdizione anche quanto alla domanda di pagamento per l’indennità di occupazione legittima, ha ritenuto inammissibile la domanda di ordinare al Comune di procedere all’acquisizione del bene. In definitiva, ha condannato il Comune a restituire l’area occupata e a corrispondere le somme dovute a titolo di indennità di occupazione legittima e di indennizzo per la detenzione illegittima, determinandone i criteri di calcolo.

Contro la sentenza il Comune ha interposto appello.

Il Comune ribadisce le proprie eccezioni procedurali:

• in relazione al giudizio instaurato presso il Giudice ordinario e tuttora in corso, pur non trovando tecnicamente applicazione l’istituto della litispendenza, il Tribunale regionale avrebbe dovuto darsi carico della situazione determinatasi per effetto della proposizione della medesima domanda di fronte a giudici diversi e risolvere la questione applicando i criteri di riparto della giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice amministrativo. In concreto, in applicazione del principio della “perpetuatio iurisdictionis” sancito dall’art. 5 c.p.c., occorrerebbe prendere in considerazione il criterio di riparto vigente al 24 luglio 1996 (data di notifica dell’atto di citazione innanzi al Tribunale di Brindisi) e riconoscere la giurisdizione del Giudice ordinario, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo, quanto meno in relazione alle domande di indennità di occupazione legittima e risarcimento per l’occupazione illegittima. Non varrebbe in contrario la parziale novità del petitum e della causa petendi, poiché il principio della perpetuatio iurisdictionis sarebbe inderogabile e non suscettibile di cedere per ragioni di connessione;

• in subordine, il T.A.R. avrebbe dovuto disporre la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., essendo la causa già incardinata presso un altro Giudice;

• i beni in questione avrebbero avuto vicende amministrative diverse: solo per quelli utilizzati per realizzare la via Bellanova, la scuola materna e l’asilo nido sarebbero stati oggetto di decreti di occupazione di urgenza;
per le residue aree (utilizzate per realizzare via Beato Angelico e via Caduti di Piazza della Loggia) mancherebbe qualunque provvedimento formale e qualsivoglia verbale di immissione in possesso;
in questa parte sarebbe indiscutibile il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo;

• la domanda di pagamento dell’indennità di occupazione legittima apparterrebbe senz’altro alla giurisdizione dell’A.G.O.;
in realtà, non essendo stata questa richiesta dagli originari ricorrenti, la sentenza sarebbe viziata da ultrapetizione.

Nel merito:

• la sentenza sarebbe errata per violazione dell’art. 42 bis t.u. nella parte in cui ha ordinato al Comune di restituire l’area controversa in luogo di emettere una condanna generica a provvedere a norma della disposizione citata, salvaguardando il potere discrezionale dell’Amministrazione;

• nel liquidare l’indennità e il risarcimento, poi, il T.A.R. avrebbe trascurato l’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c. e affermato in maniera apodittica che l’area possederebbe il requisito dell’edificabilità legale, secondo il disposto dell’art. 19, comma 2, della legge della Regione Puglia 22 febbraio 2005, n.

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