Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-01-18, n. 202100515

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-01-18, n. 202100515
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202100515
Data del deposito : 18 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/01/2021

N. 00515/2021REG.PROV.COLL.

N. 05193/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5193 del 2019, proposto da
Acropolis Immobiliare S.r.l. e Golf Acropolis S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dagli avvocati M B, G C, V M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Luisago, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A D M e G D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 00646/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Luisago;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2021 il Cons. F D L e uditi per le parti gli avvocati M B e A D M, in collegamento da remoto, ai sensi dell'art.25 Decreto Legge del 28 ottobre 2020 n.137, conv. in L. 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso l'utilizzo della piattaforma "Microsoft teams”;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso in appello dinnanzi a questo Consiglio le Società Acropolis Immobiliare srl e la società Golf Acropolis srl hanno impugnato la sentenza del TAR Lombardia, Milano, sez. II n. 646/2019, nella parte in cui il primo giudice ha rigettato i motivi di ricorso proposti avverso: a) l’art. 14 Piano dei Servizi del PGT (approvato con delibera comunale n. 18/2013 del 10 ottobre 2013);
b) il diniego di sanatoria del 24 agosto 2016 prot. 5083 opposto dal Comune di Luisago;
c) nonché l’ordinanza di demolizione n. 7399 del 7.12.2017 emessa dalla stessa Amministrazione comunale (salve le disposizioni riferite all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, annullate dalla sentenza gravata).

In particolare, secondo quanto dedotto nell’atto di appello:

- la società Acropolis Immobiliare srl è proprietaria – in virtù di atto di conferimento da parte del Consorzio Comense Inerti spa - in Comune di Luisago di un vasto comparto sul quale, da oltre un decennio (dal 2005), viene svolta la pratica sperimentale del gioco del golf;
la gestione della struttura è stata affidata alla società Golf Acropolis;

- il Consorzio Comense Inerti SpA, precedente titolare dell’area de qua , aveva sottoscritto in data 3 luglio 1989 una convenzione con l’Amministrazione comunale, obbligandosi a realizzare “idonee canalette di intercettazione” delle acque;
a posizionare “un canale di maggior capacità atto alla raccolta e al convogliamento delle stesse”, al fine di ottenere il regolare e corretto deflusso delle acque meteoriche;
a realizzare opere di recinzione dell’area;
a collocare essenze vegetali pregiate ed autoctone;
nonché a ristrutturare l’edificio esistente all’interno dell’area per un utilizzo conforme alla destinazione prevista dal PRUG allora vigente;

- la precedente proprietà, dunque, ottenuti titoli autorizzativi temporanei per la creazione di strutture e manufatti accessori per la pratica dell’attività sportiva del golf (autorizzazioni temporanee del 3 luglio 2003 prot. 5475/4458, nonché del 16 maggio 2005 prot. 4178), aveva riqualificato l’area, realizzando ivi un campo da gioco sperimentale per la pratica per il golf;
nonché aveva provveduto alla ristrutturazione edilizia di un fabbricato preesistente da adibirsi a club house in forza di DIA del 1.3.2005;

- con ordinanza n. 14 del 2006 il Comune ha disposto la sospensione lavori per lottizzazione abusiva delle aree;

- il provvedimento è stato impugnato in sede giurisdizionale, venendo confermato in primo grado e annullato – previa riforma della sentenza del T – in sede di appello con sentenza n. 3911 del 2015 pronunciata da questo Consiglio;

- le odierne appellanti hanno presentato in data 19 maggio 2016 istanza ex art. 37, comma 4, DPR n. 380 del 2001 per la sanatoria dei manufatti accessori e pertinenziali all’impianto esistente destinato alla pratica sperimentale del golf;

- il Comune, qualificata l’istanza come tesa ad ottenere il rilascio di un permesso di costruire convenzionato in sanatoria ex art. 36 DPR n. 380 del 2001, con nota del 13 giugno 2016, n. 3521 ha chiesto l’integrazione della documentazione prodotta, anche mediante la presentazione di una convenzione ex art. 14 Piano dei Servizi del PGT vigente, avente ad oggetto la realizzazione di opere viarie (allargamento della strada denominata via alla Cava);

- con provvedimento n. 5083 del 24 agosto 2016 il Comune ha rigettato l’istanza di sanatoria;

- il provvedimento di diniego è stato, quindi, impugnato dinnanzi al T Lombardia, Milano;

- in pendenza di giudizio l’Amministrazione comunale ha adottato l’ordinanza n. 7399 del 7.12.2017, con cui ha disposto la demolizione delle opere ivi elencate e ha preannunciato, per l’ipotesi di inottemperanza, la loro acquisizione per una superficie di mq 4409;

- il primo giudice ha accolto solo in parte i motivi di ricorso, annullamento esclusivamente l’ordinanza di demolizione nella parte in cui prevedeva l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale della superficie di mq 4409.

2. In particolare, adendo la sede giurisdizionale di prime cure, gli odierni appellanti hanno censurato l’illegittimità delle determinazioni comunale impugnate, tenuto conto che:

- il Comune aveva erroneamente qualificato le opere oggetto dell’istanza di sanatoria, ritenendo che si fosse in presenza di manufatti necessitanti del permesso di costruire e, pertanto, sottoponendo l’istanza avanzata dalle ricorrenti al regime giuridico dell’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001;

- nella specie si faceva, invece, questione di manufatti che, per dimensioni, funzioni e consistenza, avevano carattere accessorio/pertinenziale all’impianto esistente destinato alla pratica del golf, con conseguente assoggettabilità al diverso regime giuridico di cui all’art. 37 DPR n. 380 del 2001;

- l’Amministrazione comunale aveva erroneamente opposto un diniego incentrato sulla mancata presentazione di una convenzione riferita alla realizzazione di opere di viabilità su aree esterne al comparto oggetto di intervento, quando, invece, la sanatoria non avrebbe potuto essere subordinata alla realizzazione di ulteriori opere;

- la previsione di Piano invocata dal Comune a fondamento del diniego di sanatoria (art. 14 delle NTA del Piano dei Servizi del P.G.T. vigente) non avrebbe potuto trovare applicazione nel caso di specie, riferendosi alle sole attività di trasformazione edilizia e territoriale di nuova edificazione in attuazione degli indici e parametri di cui al successivo paragrafo 6 del medesimo articolo;

- l’estensione del permesso di costruire convenzionato anche alle operazioni di manutenzione straordinaria e di ristrutturazione edilizia risultava in contrasto con i principi regolatori della materia dei titoli abilitativi;

- le ulteriori richieste comunali di integrazione documentale discendevano dall’erronea qualificazione dell’intervento de quo ;

- l’Amministrazione comunale non aveva tenuto conto del giudicato formatosi sulla sentenza di questo Consiglio n. 3911 del 2015, ritenuto ostativo alla demolizione delle opere per cui era controversia;

- l’ordinanza di ripristino risultava illegittima per violazione dell’art. 31 DPR n. 380 del 2001 e per difetto di motivazione in ordine all’estensione dell’area da acquisire al patrimonio comunale in caso di inottemperanza.

3. L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, al fine di resistere al ricorso.

4. Il TAR, a soluzione della controversia, ha accolto il motivo di doglianza concernente il difetto di motivazione sull’estensione dell’area da acquisire al patrimonio comunale, rigettando i rimanenti motivi di censura.

5. Le ricorrenti in primo grado hanno appellato la sentenza di prime cure, censurandone l’erroneità con l’articolazione di quattro motivi di impugnazione.

6. Il Comune si è costituito in resistenza anche nel presente grado di giudizio, svolgendo argomentate controdeduzioni con memoria dell’8 luglio 2019.

7. Alla camera di consiglio dell’11 luglio 2019, fissata per la decisione della domanda cautelare articolata nell’atto di appello, la causa è stata rinviata all’udienza di merito all’uopo da destinarsi.

8. Fissata l’udienza pubblica del 2 luglio 2020, in vista della trattazione del merito le appellanti hanno prodotto ulteriore documentazione;
entrambe le parti hanno argomentato a sostegno delle rispettive conclusioni con memorie difensive e repliche.

Le appellanti con atto depositato in data 16 giugno 2020 hanno chiesto il rinvio dell’udienza del 2 luglio 2020 (di almeno mesi 12) o, in subordine, la cancellazione della causa dal ruolo, rilevando che il Consorzio Comense Inerti SpA, partecipante le società appellanti, era stato dichiarato fallito dal Tribunale di Como e che nell’ambito della relativa procedura concorsuale era stato dato incarico al CTU di valutare il compendio immobiliare costituito dal campo pratico Golf, al fine di addivenire alla vendita dell’intero lotto, nella sua attuale destinazione, ai fini del soddisfacimento della massa creditoria.

Pertanto, essendo stata prospettata la vendita all’asta dell’intero compendio “ (terreni e quote delle società partecipate) vincolata all’obbligo, da parte dell’acquirente, di stipulare una convenzione con il Comune per la sanatoria, così come richiesto dall’Ente ”- soluzione ritenuta idonea a permettere “ da un lato una migliore soddisfazione della massa creditrice e, dall’altro, consente al Comune di vedere convenzionate e realizzate le opere di urbanizzazione che da anni sta richiedendo a ristoro della presenza dell’attività sportiva del campo pratica ” – le appellanti hanno chiesto il rinvio dell’udienza o la cancellazione della causa dal ruolo.

9. All’esito dell’udienza del 2 luglio 2020 la Sezione con ordinanza n. 4284 del 3 luglio 2020, considerato che la parte appellante aveva depositato in data 16 giugno 2020 e confermato nel corso della discussione un’istanza di rinvio motivata dall’iniziativa assunta dalla procedura fallimentare della società Consorzio Comense Inerti volta alla regolarizzazione delle opere contestate attraverso la vendita all’asta dei beni delle appellanti con vincolo per l’acquirente di stipulare una convenzione nei termini richiesti dal Comune, ha ritenuto necessario, al fine del decidere, anche al fine di valutare la permanenza dell’interesse a ricorrere e ad impugnare, acquisire dall’amministrazione appellata una relazione concernente la propria valutazione di tale iniziativa;
assegnando all’Amministrazione termine di 90 giorni per il relativo adempimento e fissando l’udienza pubblica di discussione del 14 gennaio 2021.

10. In vista dell’udienza pubblica del 14 gennaio 2021 l’Amministrazione ha rassegnato una propria relazione, recante le ragioni ostative ad un ulteriore rinvio della controversia.

11. Le parti hanno, quindi, insistito nelle proprie conclusioni con il deposito di memorie difensive e di replica.

12. Nell’udienza del 14 gennaio 2020 la difesa della parte appellante ha chiesto di valutare un rinvio della causa, tenuto conto della programmata dismissione dell’area per cui è controversia nell’ambito della procedura concorsuale già richiamata in atti. La difesa del Comune si è opposta ad un ulteriore rinvio. La causa è stata, quindi, trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, non si ravvisano motivi ostativi alla definizione, nel merito, dell’odierna vertenza.

La possibilità che l’area per cui è controversia venga alienata a terzi nell’ambito della procedura concorsuale cui è sottoposta la società Consorzio Comense Inerti, da un lato, costituisce una mera eventualità, dall’altro, comunque, non influisce sulla definizione delle questioni componenti l’odierno thema decidendum , non incidendo sulla legittimità delle determinazioni amministrative impugnate in prime cure.

Parimenti, circostanze fattuali concernenti l’attuale utilizzo dell’area de qua risultano irrilevanti ai fini del decidere, non incidendo sul regime giuridico delle opere realizzate, da vagliare nella presente sede processuale.

Pertanto, anche in applicazione del principio di ragionevole durata del giudizio, rispondendo all’interesse delle parti l’eliminazione dello stato di incertezza in ordine alla liceità delle opere eseguite dagli odierni appellanti, in assenza di una rinuncia all’appello o di una condotta di acquiescenza agli atti censurati dinnanzi al T, il Collegio è chiamato a pronunciare sui motivi di impugnazione.

2. Con il primo motivo di appello è censurata la sentenza di prime cure nella parte in cui ha escluso che le opere de quibus fossero da considerare come interventi minori, soggetti alla disciplina di cui all’art. 37 DPR n. 380 del 2001.

Secondo la prospettiva degli appellanti, invece, tenuto conto delle caratteristiche dimensionali, strutturali e funzionali delle opere, oltre che della loro natura pertinenziale ed accessoria, avrebbe dovuto ritenersi che gli interventi de quibus , tra loro autonomi, non fossero soggetti al previo rilascio del permesso di costruire e, come tali, non richiedessero di essere sanati ai sensi dell’art. 36 DPR n. 380 del 2001.

Il T, inoltre:

- avrebbe errato nel ritenere che le opere fossero complessivamente destinate alla stabile utilizzazione del compendio immobiliare per la pratica del golf, incrementando l’offerta già realizzata a titolo sperimentale, tenuto conto che la struttura de qua non sarebbe stata mai adibita a campo da golf, ma solo a campo per la pratica sperimentale del golf;

- sarebbe incorso in contraddizione, procedendo ad un esame atomistico delle opere de quibus , avendo in precedenza affermato la necessità di una loro valutazione globale;

- avrebbe errato, comunque, nell’escludere la valenza pertinenziale delle opere in parola, sebbene si facesse questione di molteplici opere prive di rilevanza volumetrica;

-avrebbe erroneamente ritenuto che questo Consiglio, con la sentenza n. 3911 del 2015, non avesse acclarato la sussistenza di opere contemplate ed autorizzate nella convenzione del 1989 cit.

Il motivo di appello, per ragioni di connessione oggettiva, deve essere esaminato congiuntamente al quarto motivo di appello, con cui la sentenza di prime cure è impugnata nella parte in cui ha rigettato i motivi di illegittimità derivata relativi all’ordinanza di demolizione, nonché ha ritenuto di confermare la qualificazione degli interventi come di nuova edificazione ex art. 3 DPR 380/2001 eseguiti in assenza di permesso di costruire o titolo equipollente, idonee a determinare una trasformazione permanente del territorio.

Secondo la prospettazione degli appellanti, le opere per cui è controversia, come ritenuto nel precedente di questo Consiglio del 2015, sarebbero state assentite con la convenzione del 3.7.1989 e comunque non sarebbero state idonee a determinare una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio di riferimento, non potendo essere assoggettate al previo rilascio del permesso di costruire, con conseguente inapplicabilità dell’art. 31 DPR n. 380 del 2001.

2.1 I motivi di appello, nelle loro differenti censure in cui sono articolati, non risultano meritevoli di favorevole apprezzamento.

2.2. In primo luogo, il T ha correttamente ritenuto necessario una valutazione globale delle opere per cui è controversia, tenuto conto che, al fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l’impatto effettivo complessivo. I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera “frazionata” (Consiglio di Stato, sez. II, 18 maggio 2020, n. 3164).

In subiecta materia , inoltre, onde individuare il titolo occorrente per autorizzare l’attività edilizia o sanare opere già realizzate, occorre tenere conto che la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comprende non le sole attività di edificazione, ma anche quelle consistenti nella modificazione rilevante e duratura dello stato del territorio e nell'alterazione della conformazione del suolo (Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28 giugno 2016, n. 2915 e Cons. Stato Sez. V, 28 giugno 2018, n. 3990)

Pertanto, qualora l’intervento abbia attuato una rilevante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, deve ritenersi che si sia in presenza di un "intervento di nuova costruzione", assoggettato al previo rilascio del permesso di costruire, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3, comma 1, lett. e), e 10 del D.P.R. n. 380 del 2001.

2.3 Nella ricostruzione del regime giuridico applicabile all’attività edilizia concretamente svolta, occorre, dunque, in via preliminare, verificare se si sia in presenza di un unitario intervento edilizio ovvero in una pluralità di interventi tra loro autonomi;
all’esito, occorre accertare se tale intervento o tali interventi (in caso di una loro possibile considerazione atomistica), a prescindere dalla loro afferenza all’edificazione in senso stretto, abbiano comunque determinato una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, incidendo in modo significativo sui luoghi esterni, con conseguente loro qualificazione come nuova costruzione, necessitante del previo rilascio del permesso di costruire.

Nel verificare l’unitarietà o la pluralità degli interventi edilizi, peraltro, non può tenersi conto del mero profilo strutturale, afferente alle tecniche costruttive del singolo manufatto, ma deve prendersi in esame anche l’elemento funzionale, al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico, consentendo la realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso alla loro realizzazione.

Come precisato dalla Sezione (16 marzo 2020, n. 1848), qualora le opere abusive siano tra loro connesse, dando luogo ad un intervento unitario, l’istante è tenuto a scegliere tra l’integrale ripristino dello stato dei luoghi, mediante la demolizione e rimozione di tutte le opere accertate come abusive dall’Amministrazione, ovvero la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità riferita al complessivo intervento abuso, unitariamente considerato, sempre che lo stesso sia conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua realizzazione e al momento di presentazione della domanda.

L’art. 36 D.P.R. n. 380/01, del resto, regola la sanatoria avuto riguardo all’intervento abusivo e non alla singola opera abusiva;
sicché, risultando l’intervento, anche alla stregua delle tipologie di intervento definite dall’art. 3 DPR n. 380/01, il risultato edilizio di una singola opera o di plurime opere funzionalmente connesse, la sanatoria dell’intervento non può non avere ad oggetto il complesso delle opere in cui lo stesso si sostanzia.

2.4 Alla stregua delle considerazioni svolte, è possibile soffermarsi sul caso di specie.

L’appellante con l’istanza del maggio 2016 ha presentato un’unica istanza di sanatoria riguardante le seguenti opere, dettagliate nello stesso atto di appello (pag. 6):

a) piazzole di tiro con bordatura in legno e superficie in autobloccanti;
prefabbricato in legno con due corpi illuminanti, manufatto in legno (gazebo), tettoia in legno sulle piazzole e cordolatura in legno: opere tutte oggetto dell’autorizzazione temporanea n. 92/2005;

b) finitura in cemento ed asfalto del tratto del viale di accesso alla Club House con collocazione di corpi illuminanti;

c) cordolature muretti in legno;

d) posa reti di protezione;

e) parziale chiusura portico di prefabbricato in legno.

Le opere de quibus sono tra loro funzionalmente connesse, essendo ubicate nella medesima area e risultando strumentali alla realizzazione di un’esigenza unitaria, data dalla pratica sperimentale del gioco del golf.

Del resto la connessione delle opere è confermata dalla stessa condotta dell’odierna appellante, che ha inteso presentare un’unica istanza, avente ad oggetto opere indicate nell’ambito del “ presente progetto struttura sportiva via alla cava ” (cfr. istanza di sanatoria);
a dimostrazione di come si sia in presenza di strutture non autonome, suscettibili di considerazione unitaria e globale nell’ambito di un unico progetto, funzionali all’impianto sportivo ubicato nell’area per cui è controversia.

Tali opere sono, inoltre, suscettibili di determinare una rilevante modificazione urbanistica ed edilizia del territorio, tenuto conto della loro numerosità e delle dimensioni che le caratterizzano.

L’area per cui è controversia è stata, infatti, trasformata per permettere la pratica sportiva, attraverso la realizzazione delle piazzole di tiro, la realizzazione di manufatti con destinazione deposito/ricevimento (pag. 9 appello), la sistemazione dei viali di accesso carraio e pedonale, nonché, comunque, l’esecuzione di opere suscettibili di migliorare la fruizione ed assicurare la sicurezza dell’impianto sportivo.

Mediante il complesso organizzato delle opere realizzate si è determinato un inevitabile aggravio del carico urbanistico dell’area, rendendo la struttura un polo di attrazione per un maggior numero di persone con conseguente necessità di un più intenso utilizzo delle urbanizzazioni esistenti.

La necessità del previo rilascio del permesso di costruire è confermata anche in applicazione del criterio giuridico, pure elaborato da questo Consiglio, incentrato sull’impatto edilizio discendente dalle singole opere funzionalmente strumentali all’esercizio dell’attività sportiva.

Al riguardo, è stato ritenuto che, ove alcune delle opere in esame, per le caratteristiche tipologiche, necessitino del previo rilascio del permesso di costruire, la richiesta del relativo titolo edilizio dovrebbe essere estesa anche alle opere residue.

In particolare, è stato osservato che “[n] el caso della realizzazione di opere di impatto edilizio (il battuto in cemento dell’esempio appena proposto, ma anche la realizzazione di tribune amovibili o altro) la necessità del previo rilascio di autorizzazione espressa si estende all’intero complesso sportivo, e coinvolge anche le opere di per sé realizzabili sulla base di mera comunicazione di parte ” (Consiglio di Stato sez. V, 17 gennaio 2014, n. 175).

Anche applicando tale criterio, che impone una verifica non solo globale, ma anche atomistica delle opere, per verificare se taluna di esse necessiti del rilascio del permesso di costruire, non si perverrebbe ad una conclusione difforme, dovendosi confermare la sottoponibilità di tutte le opere per cui è controversia al rilascio del permesso di costruire.

Nella specie, infatti, tra le opere oggetto di sanatoria, vi sono alcune necessitanti del previo rilascio del permesso di costruire, anche ove autonomamente considerate.

Al riguardo, può farsi riferimento alla struttura prefabbricata in legno;
anche ove atomisticamente valutata, non potrebbe ricorrersi alla categoria della pertinenza urbanistica, come infondatamente ritenuto dagli appellanti.

Come precisato dalla giurisprudenza di questo Consiglio (ex multis, sez. VI, 25 marzo 2020, n. 2084), la nozione di pertinenza urbanistica è più ristretta rispetto a quella civilistica, definita dall'articolo 817 del codice civile.

La qualifica di pertinenza urbanistica è, infatti, applicabile solo ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, ma non anche ad opere che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cd. principale e non siano coessenziali alla stessa, tali, cioè, che non ne risulti possibile una diversa destinazione economica.

La pertinenza urbanistico-edilizia è, dunque, configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce.

A differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi, il manufatto può essere considerato una pertinenza quando, da un lato, sia preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, essendo funzionalmente inserito al suo servizio, dall’altro, sia sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporti carico urbanistico, esaurendo la sua finalità nel rapporto funzionale con l'edificio principale.

L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie esclude la possibilità di qualificare le opere per cui è controversia in termini di pertinenze urbanistiche.

La struttura prefabbricata de qua compresa nell’istanza di sanatoria è certamente funzionale all’impianto sportivo, in quanto necessaria per la pratica sperimentale del golf ivi esercitata, ma non può porsi in rapporto di accessorietà con la club house presente nell’area o con altro bene qualificabile come principale.

La pertinenza presuppone, come osservato, un rapporto di accessorietà tra due cose, di cui l’una (accessoria) trova la propria giustificazione nell’altra (principale), non potendo avere un’autonoma utilizzazione, né essendo caratterizzata da rilevanti dimensioni o da un proprio valore economico.

Nel caso in esame la Club House non costituisce la cosa principale rispetto al prefabbricato in legno, essendosi in presenza di manufatti tra loro collegati, non perché l’uno è posto al servizio dell’altro, bensì in quanto tutti egualmente strumentali all’attività sportiva.

In particolare, tutte le opere compongono l’impianto sportivo, che, a sua volta, si identifica nel complesso dei beni organizzati in via unitaria per lo svolgimento dell’attività sportiva.

Il prefabbricato in legno non è, dunque, una pertinenza della Club House, cui non è coessenziale, essendosi in presenza di manufatti principali, aventi una propria funzione, non legati da un vincolo di accessorietà, ma di coordinamento, organizzati in maniera unitaria dall’imprenditorie, in maniera da potere consentire la realizzazione del medesimo scopo pratico, rappresentato nella specie dall’attività sportiva sperimentale del golf.

Al riguardo, basti considerare quanto dedotto dallo stesso appellante a pag. 9 appello, che discorre di “ baracca di legno con destinazione deposito/ricevimento ”, con conseguente emersione di opere aventi una propria funzione (di deposito/ricevimento), dunque, non coessenziali rispetto ad una cosa principale, ma, comunque, concretamente impiegati per uno scopo unitario, strumentale alla pratica sportiva, cui l’intero impianto è dedicato.

Né potrebbe argomentarsi diversamente sulla base della natura dei materiali utilizzati per la realizzazione del prefabbricato, in ipotesi idonei a consentirne una facile rimozione, tenuto conto che, come correttamente rilevato dal T, in subiecta materia si deve seguire “non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale”, per cui un’opera, se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee, non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie, anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1291 del 1° aprile 2016) ” (Consiglio di Stato, sez. VI, 12 marzo 2020, n. 1783).

Pertanto, facendosi questione di manufatti risalenti nel tempo, a prescindere dal materiale impiegato per la loro edificazione, non può ritenersi che si sia in presenza di opere precarie, attesa la loro destinazione alla realizzazione di esigenze non temporanee.

Ne deriva che, in quanto alcune delle opere oggetto dell’istanza di sanatoria necessitavano di permesso di costruire, anche applicando il criterio di giudizio espresso da questo Consiglio con la sentenza n. 175 del 2014 - che impone di estendere il medesimo regime edilizio anche alle opere funzionalmente connesse, in quanto destinate al perseguimento di uno scopo pratico unitario-, ne discenderebbe la sottoponibilità di tutte le opere per cui è causa al previo rilascio del permesso di costruire.

Ne discende la correttezza della decisione di prime cure, avendo considerato globalmente e unitariamente l’intervento edilizio realizzato dalla parte ricorrente, suscettibile di tradursi in plurime opere che, sebbene strutturalmente autonome, risultavano funzionalmente connesse, perché strumentali al medesimo impianto sportivo, mediante la realizzazione delle piazzole di tiro, di manufatti con destinazione deposito/ricevimento (pag. 9 appello), la sistemazione dei viali di accesso carraio e pedonale, nonché l’edificazione di opere idonee a garantire la migliore fruizione e sicurezza dell’impianto sportivo.

Trattandosi di numerose opere, distribuire in una vasta area, suscettibili di determinare un aggravio del carico urbanistico, consentendo un maggiore afflusso di persone interessate alla pratica sportiva, si è in presenza di una rilevante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio da ritenere soggetta al regime edilizio del previo rilascio del permesso di costruire.

Ai fini della sanatoria delle opere de quibus , correttamente, dunque, il primo giudice ha confermato la legittimità delle determinazioni amministrative impugnate, nella parte in cui hanno ritenuto applicabile il regime giuridico dell’accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380 del 2001, operante per gli interventi realizzati in assenza di permesso di costruire.

2.5 Non risulta meritevole di favorevole apprezzamento neanche la censura riferita ad un preteso errore in cui sarebbe incorso il TAR nel ritenere le opere in parola complessivamente destinate alla stabile utilizzazione del compendio immobiliare per la pratica del golf, incrementando l’offerta già realizzata a titolo sperimentale, quando, invece, la struttura de qua non sarebbe stata mai adibita a campo da golf, ma solo a campo per la pratica sperimentale del golf.

La censura non risulta dirimente, tenuto conto che, ai fini della soluzione della presente controversia, non rileva la tipologia di attività sportiva in concreto esercitata – se riferibile al golf o alla pratica sperimentale del golf – bensì la riconducibilità delle opere ad un intervento edilizio unitario di trasformazione del territorio.

La circostanza per cui tale trasformazione del territorio sia avvenuta per assicurare la migliore fruizione di un campo destinato alla pratica sperimentale del golf, potenziandone le strutture esistenti, anziché per permettere la pratica del golf non sperimentale, non influisce affatto sul regime edilizio all’uopo applicabile.

Si è comunque in presenza di opere insuscettibili di autonoma considerazione, in quanto non configuranti interventi edilizi autonomi da valutare in maniera atomistica, bensì di un unitario intervento edilizio, realizzato per garantire la migliore fruizione e sicurezza dell’impianto sportivo attraverso una rilevante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.

Si conferma, dunque, la necessaria applicazione del regime edilizio proprio del permesso di costruire.

2.6 Parimenti, nessun errore di giudizio risulta ravvisabile nella decisione di prime cure, nella parte in cui il T ha provveduto anche ad una valutazione atomistica delle opere.

La relativa valutazione non contraddice, ma rafforza la decisione di subordinare le opere de quibus al regime edilizio del permesso di costruire, tenuto conto che il primo giudice, una volta affermata correttamente la necessità di una valutazione globale delle opere, al fine di individuarne il complessivo impatto edilizio, ha evidenziato come la tesi svolta dagli appellanti non avrebbe potuto trovare accoglimento neanche procedendo ad una valutazione atomistica, in quanto si sarebbe comunque stati in presenza di opere che, per le caratteristiche che le contraddistinguono, non avrebbero potuto qualificarsi come pertinenza urbanistica.

Ne deriva che il T non è incorso in alcuna contraddizione, non avendo, nell’ambito della medesima sentenza, ritenuto, dapprima, necessario un esame globale e complessivo delle opere, per poi predicare la necessità di un esame atomistico.

Il primo giudice ha sempre affermato la necessità di una valutazione globale delle opere, essendo stato svolto un esame individuale delle stesse per evidenziare come l’esito della decisione non avrebbe potuto comunque essere diverso neanche seguendo l’erronea tesi sostenuta dal ricorrente.

Peraltro, come supra osservato, l’esame delle varie opere componenti l’intervento edilizio risulta utile anche nell’ambito della valutazione globale da svolgere nel caso concreto, tenuto conto che la rilevante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, comportante la necessità di ottenere, anche in sanatoria, il permesso di costruire, potrebbe discendere sia dall’effetto prodotto sullo stato dei luoghi dal complesso delle opere realizzate, funzionalmente collegate e integranti un unitario intervento edilizio, sia dall’impatto edilizio riconducibile anche ad una soltanto delle opere in esame.

Difatti, in tale ultima ipotesi, se anche soltanto una delle opere funzionalmente connesse, sia tale da integrare gli estremi di una nuova costruzione assentibile con permesso di costruire, anche le opere rimanenti, in quanto oggetto di un unitario intervento edilizio, dovrebbero essere sottoposte al medesimo regime giuridico.

Ne discende che l’esame delle singole opere non si pone in contraddizione, ma è compatibile con la valutazione complessiva dell’intervento in cui le stesse si sostanziano.

2.7 In ordine alle censure riferite alla nozione di pertinenza urbanistica, si richiamano le considerazioni supra svolte, incentrate sui principi al riguardo elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio, correttamente applicati dal primo giudice.

Nel caso di specie, non sussiste un rapporto tra cosa principale e cosa pertinenziale;
bensì un rapporto di coordinamento tra opere strutturalmente autonome, ma sottoposte al medesimo vincolo funzionale, in quanto organizzate unitariamente per lo svolgimento della stessa attività sportiva;
il che, da un lato, giustifica la loro considerazione unitaria in ragione del collegamento funzionale così impresso, dall’altro, impedisce di configurare di un rapporto di pertinenza, in quanto tutte le opere sono coordinate per il perseguimento dello stesso scopo pratico, ma non sono serventi rispetto ad una cosa principale suscettibile di autonoma valutazione.

2.8 Infine, risulta erronea anche l’interpretazione proposta dagli appellanti della sentenza n. 3911 del 2015 resa da questo Consiglio.

Al riguardo, la Sezione, con tale precedente, da un lato, ha statuito soltanto sulla sussistenza dei presupposti di fatto per l’integrazione della fattispecie di lottizzazione abusiva, senza pronunciare sulla “ complessiva legittimità degli interventi per cui è causa in relazione a diversi parametri regolativi dell’attività urbanistico/edilizia ”, correlati allo svolgimento dell’attività edilizia in assenza del prescritto permesso di costruire;
dall’altro, ha espressamente ritenuto che fossero assentiti mediante la stipulazione di una convenzione edilizia le opere relative alla “ recinzione dell’area, alla realizzazione di canalette di intercettazione dell’acqua e alla ristrutturazione dell’edificio già ivi esistente ”.

Pertanto, il giudicato sceso sulla pronuncia n. 3911/15 cit. non può produrre un effetto conformativo in relazione alla presente controversia, essendo riferito a fatti differenti, riguardanti la lottizzazione abusiva non rilevante nel presente giudizio, e comunque avendo acclarato la legittimità di opere differenti rispetto a quelli oggetto dell’istanza di sanatoria denegata con gli atti impugnati in primo grado.

Sotto tale ultimo profilo, in particolare, la Sezione nel citato precedente ha richiamato quale titolo abilitativo la convenzione del 3 luglio 1989, la quale, tuttavia, autorizzava la parte privata a realizzare opere funzionali al recupero morfologico ed ambientale dell’area, facendo espresso riferimento alle opere di recinzione con rete metallica plastificata color verde e integrata internamente - nei punti di maggior impatto visivo e in vicinanza di abitazioni - da una siepe di essenze locali;
alla realizzazione di un cancello, alla stesura di un terreno ghiaioso, alla realizzazione di canalette per il deflusso delle acque meteoriche, oltre che di un canale di maggiore capacità per la raccolta e il convogliamento delle stesse, alla messa a coltivazione dei campi, nonché alla messa a dimora di essenze pregiate ed autoctone.

Trattasi di opere diverse da quelle elencate nell’istanza di sanatoria per cui è controversia, ragion per cui non può ritenersi una loro legittimazione in virtù di tale atto convenzionale.

Del resto, nella stessa istanza non si opera alcun riferimento alla convenzione, bensì si richiamano la distinta autorizzazione temporanea n. 92 del 2005 e la DIA n. 1597 del 2005;
il che dimostra come le odierne appellanti avessero inteso ottenere la sanatoria di opere ulteriori e diverse rispetto a quelle assentite in sede convenzionale.

2.9. Né la legittimazione delle opere de quibus potrebbe essere desunta dalle autorizzazioni temporanee del 3 luglio 2003 e del 16 maggio 2005 (docc. 3 e 4 appello), facendosi questione di titoli edilizi produttivi di un’efficacia autorizzatoria limitata nel tempo, con conseguente obbligo di rimozione delle opere (nelle more edificate) alla scadenza del termine di efficacia all’uopo previsto, altrimenti configurandosi opere abusive, suscettibili di sanzione ripristinatoria.

Del resto, come reso palese dalle stesse autorizzazioni temporanee, entro il 30.1.2004 (quanto al titolo n. 5475 del 3.7.2003) ed entro il 30.1.2006 (quanto al titolo n. 4178 del 16.5.2005), “ il titolare dell’autorizzazione dovrà rimuovere, a propria cura e spese, ogni elemento prefabbricato ed ogni altra infrastruttura realizzata, ripristinando lo stato originario dei luoghi ”;
a conferma di come la trasformazione urbanistica ed edilizia dei luoghi, da un lato, non potesse avvenire sine titulo , necessitando di apposita autorizzazione comunale, dall’altro, fosse comunque temporanea, non potendo consolidarsi alcun affidamento del privato sulla permanenza delle opere in parola, da rimuovere alla scadenza prevista dai titoli autorizzatori.

2.10 Le considerazioni svolte confermano la correttezza della sentenza gravata anche nella parte in cui ha confermato la legittimità dell’ordine di demolizione (salvo che per le previsioni riferite all’acquisizione delle opere al patrimonio comunale).

Le opere oggetto della sanzione ripristinatoria devono essere valutate globalmente come intervento di nuova costruzione, essendo funzionalmente connesse e rivolte al perseguimento sempre dello stesso scopo pratico, rappresentato dallo svolgimento della pratica sportiva, da consentire mediante una rilevante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.

Anche l’ordine di demolizione, peraltro, fa riferimento ad opere che, pure ove autonomamente considerate, non sarebbero assentibili se non previo rilascio del permesso di costruire, non ricorrendo i requisiti per una loro qualificazione in termini di pertinenza urbanistica, ai sensi di quanto supra precisato: basti fare riferimento alla struttura prefabbricata in legno con destinazione deposito/ricevimento avente dimensioni di mt 3,70 x 6,30 o alla struttura prefabbricata in legno ad uso deposito delle dimensioni di mt 2,95 x 2,90;
strutture di rilevanti dimensioni, non coessenziali rispetto ad una cosa principale, aventi una propria destinazione, come tali non qualificabili in termini pertinenziali, ma collegate tra loro e con le rimanenti opere, in quanto tutte funzionalmente connesse per permettere l’ampliamento dell’impianto ed ivi consentire la pratica sportiva.

Pertanto, anche tenendo conto dell’impatto edilizio individuale delle opere in parola, la necessità del previo rilascio del permesso di costruire per taluna di esse (quali i citati prefabbricati) determina l’assoggettamento al medesimo regime edilizio anche di quelle rimanenti, facendosi comunque questione di un unitario intervento edilizio.

Anche per le opere dettagliate nell’ordine di demolizione, inoltre, per le stesse motivazioni già rassegnate in relazione al diniego di sanatoria, non assumono rilevanza il citato precedente di questo Consiglio del 2015, la convenzione del luglio 1989 o le autorizzazioni del luglio 2003 e del maggio 2005, facendosi questione, rispettivamente, di un precedente giudiziario non conferente (riguardante una fattispecie di lottizzazione abusiva non rilevante nel presente giudizio e, comunque, facente salva una diversa considerazione delle opere “in relazione a diversi parametri regolativi dell’attività urbanistico/edilizia”);
di una convenzione riferita ad opere diverse rispetto a quelle oggetto di sanzione demolitoria e di titoli autorizzatori precari, non idonei a legittimare la permanenza delle opere una volta scaduto il relativo termine di efficacia.

Correttamente, pertanto, il T ha ritenuto applicabile l’art. 31 DPR n. 380 del 2001: come ritenuto dal primo giudice, infatti, facendosi questione di intervento abusivo realizzato senza il previo rilascio del prescritto permesso di costruire, il Comune ha legittimamente emesso la sanzione ripristinatoria, come imposto dall’art. 31 DPR n. 380/01.

2.11 Il primo e il quarto motivo di appello devono, dunque, essere rigettati.

3. Con il secondo motivo di appello la sentenza di prime cure è censurata nella parte in cui, oltre ad avere erroneamente qualificato le opere de quibus come necessitanti del previo rilascio del permesso di costruire, ha ritenuto legittima la determinazione del Comune di subordinare l’accoglimento dell’istanza di sanatoria alla stipulazione di una convenzione contemplante l’obbligo a carico delle appellanti di eseguire opere di viabilità esterne al comparto di rilevante importo economico.

Secondo la prospettazione delle appellanti, invece, non sarebbe ammissibile il rilascio di una sanatoria subordinata all’esecuzione di opere edilizie, anche se tali interventi fossero finalizzati a ricondurre il manufatto nell’alveo della legalità;
né la pretesa del Comune di imporre al privato la realizzazione di un’opera di viabilità pubblica sulla base di un progetto pre-confenzionato, cui la stessa parte è estranea, sarebbe rispettosa dell’art. 14 del Piano dei Servizi.

Il motivo di appello è infondato.

Al riguardo, richiamate le considerazioni supra svolte in ordine alla correttezza della sentenza di prime cure, nella parte in cui ha ritenuto di assoggettare l’intervento edilizio de quo al regime dell’art. 36 DPR n. 380 del 2001, giova rilevare, in primo luogo, che l’area per cui è controversia ricade, sul piano urbanistico, nell’ambito di insediamento denominato Cittadella dello Sport, di cui all’art. 35 PTCP, in relazione al quale il servizio di livello sovralocale deve essere attuato mediante un accordo di pianificazione da formalizzare nella forma dell’accordo di programma, da sottoscrivere tra il Comune di Luisago, il Comune di Villa Guardia e la Provincia di Como.

Sino alla definizione dell’accordo de quo , è possibile il mantenimento delle attività sportive in essere per il gioco del golf e le relative attività connesse, con possibile incremento delle strutture esistenti entro predefiniti limiti all’uopo dettati dallo stesso art. 14 cit.

Per quanto più di interesse ai fini del presente giudizio, le opere ammesse possono essere assentite mediante il permesso di costruire o DIA subordinati alla sottoscrizione di una convenzione da approvarsi da parte dell’organismo comunale avente titolo, volta a contemperare le esigenze di completamento e riorganizzazione della struttura sportiva con quelle pubbliche di accessibilità e compatibilità ambientale.

Ciò premesso, la decisione del Comune di rifiutare la sanatoria delle opere de quibus resiste alle censure svolte con il secondo motivo di appello.

L’appellante invoca a fondamento dell’impugnazione il divieto di sanatoria con prescrizioni, effettivamente coerente con la disciplina di cui all’art. 36 DPR n. 380 del 2001 ed affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui non è ammissibile il rilascio di un permesso in sanatoria con prescrizioni, tese a subordinare l’efficacia dell’accertamento alla realizzazione di lavori che consentano di rendere il manufatto conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della domanda o al momento della decisione: un tale titolo condizionato contraddirebbe, innanzitutto sul piano logico, la rigida statuizione normativa, poiché si farebbe a meno della doppia conformità dell’opera richiesta dalla norma se si ammettesse l’esecuzione di modifiche postume rispetto alla presentazione della domanda di sanatoria (Consiglio di Stato, sez. IV, 21 marzo 2019, n. 01874).

Tuttavia, nella specie l’Amministrazione non ha condizionato la sanatoria a modifiche dell’intervento edilizio, bensì ha rifiutato la sanatoria, rilevando che nella specie il titolo edilizio previsto dalla normativa urbanistica di riferimento risultava subordinato alla stipulazione di un atto convenzionale, nella specie omesso.

Tale motivazione non risulta illegittima.

Come osservato, l’art. 14 piano dei servizi legittimava interventi di trasformazione del territorio a condizione che l’istante assumesse l’impegno convenzionale teso a salvaguardare le pubbliche esigenze di “ accessibilità e compatibilità ambientale ”. Trattasi della normativa da prendere in esame nel caso di specie in quanto vigente al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria, come imposto dall’art. 36 DPR n. 380 del 2001.

Con particolare riferimento al contenuto del convenzionamento, la stessa previsione di piano valorizzava l’importanza delle opere viarie di accesso al comparto.

Ne deriva che un intervento di trasformazione del territorio senza l’assunzione dei prescritti obblighi convenzionali, funzionali a garantire le pubbliche esigenze di viabilità riferite al comparto regolato, non poteva considerarsi conforme alla disciplina urbanistica di riferimento e, quindi, non poteva legittimare la sanatoria richiesta dall’odierno appellante.

Il Comune, in altri termini, non ha chiesto al privato di apportare modifiche all’intervento edilizio in concreto realizzato, per renderlo conforme alla disciplina di riferimento, bensì ha rilevato che in assenza degli obblighi convenzionali assunti dall’istante, non poteva concedersi la sanatoria, non ravvisandosi la conformità alla disciplina urbanistica;
il che, da un lato, è coerente con quanto previsto dall’art. 14 Piano dei Servizi (che impone l’obbligo di convenzionamento ai fini della realizzazione degli interventi edilizi soggetti al rilascio del permesso di costruire);
dall’altro, è rispettoso di quanto prescritto dall’art. 36 DPR n. 380 del 2001, che vieta la sanatoria di interventi realizzati in violazione della disciplina urbanistica vigente tanto al momento della realizzazione dell’intervento, quanto al momento della presentazione della relativa domanda di parte.

Nella specie, il rilascio del permesso in sanatoria in violazione dell’obbligo di convenzionamento prescritto dalla previsione di piano, anziché ripristinare la legalità formale violata, unica forma di illiceità sanabile, avrebbe consolidato un assetto di interessi sostanziale incompatibile con quello prescritto dalla disciplina urbanistica, ostativo ad un’alterazione dello stato dei luoghi senza, al contempo, salvaguardare le pubbliche esigenze connesse alla viabilità del relativo comparto, da tutelare mediante l’imposizione la sottoscrizione dell’apposito atto convenzionale.

Peraltro, si osserva che l’esigenza di tutela sottesa all’art. 36 DPR n. 380 del 2001 in commento è quella di evitare interventi repressivi, di demolizione delle opere sine titulo realizzate, qualora l’illecito in concreto commesso sia lesivo del solo interesse pubblico (strumentale) della sottoposizione al previo controllo amministrativo dell’attività edilizia, senza compromissione dell’interesse pubblico (finale) dell’ordinato sviluppo del territorio, nel rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia all’uopo applicabile.

In tali ipotesi, si consente la permanenza delle opere mediante la formazione postuma, una volta commesso l’illecito e a sua sanatoria, del titolo edilizio idoneo a legittimare l’intrapresa attività edificatoria.

Attraverso la sanatoria, dunque, si ripristina la legalità formale violata, rilasciando all’istante il medesimo titolo edilizio (l’art. 36 DPR n. 280 del 2001 discorre, infatti, di “permesso in sanatoria”) che lo stesso avrebbe dovuto acquisire agendo lecitamente (avuto riguardo anche alla disciplina vigente al momento della presentazione della domanda di sanatoria).

Nel caso di specie, la sanatoria di un intervento edilizio in assenza della previa assunzione di obblighi convenzionali, cui è subordinato il rilascio del permesso di costruire, avrebbe violato le esigenze di tutela sottese all’accertamento di conformità, in quanto, anziché consolidare un assetto di interesse viziato per sole ragioni formali e del tutto corrispondente, sotto il profilo sostanziale, a quello che sarebbe stato legittimato in caso di previo rilascio del permesso di costruire, avrebbe permesso al trasgressore di trarre un’utilità dalla propria condotta illecita, comportando la legittimazione di una trasformazione territoriale differente rispetto a quella che sarebbe stata assentita con il rilascio del titolo edilizio;
il che non è rispettoso della lettera e della ratio sottesa all’art. 36 DPR n. 380 cit.

Difatti, avuto riguardo alla normativa vigente al momento della presentazione della domanda di sanatoria (rilevante ai sensi dell’art. 36 DPR n. 380 cit.), chiedendo il permesso di costruire il privato avrebbe dovuto sottoscrivere l’atto convenzionale, assumendo l’impegno di eseguire opere infrastrutturali di viabilità del comparto;
ammettendosi la sanatoria in assenza dell’assunzione di siffatti obblighi, il trasgressore sarebbe esonerato dalla realizzazione delle relative opere di viabilità;
il che non può essere consentito dall’ordinamento, non essendo ammissibile la riconduzione ad un atto illecito di un beneficio in favore dell’agente.

Né può diversamente argomentarsi sulla base di un’asserita pretesa comunale di imporre la realizzazione di opere viarie sulla base di un progetto da altri predisposto, tenuto conto che il diniego di sanatoria prevedeva l’obbligo di convenzionamento – nella specie violato – ma non imponeva la presentazione di uno specifico progetto da altri predisposto: in particolare, il Comune ha denegato l’istanza presentata dalle odierne appellanti, rilevando, tra l’altro, che “ ai sensi dell’art. 14 delle NTA del PdS vigente, il rilascio del Permesso di Costruire è in ogni caso subordinato alla sottoscrizione: - di una convenzione, il cui schema deve essere allegato alla pratica edilizia di cui trattasi e da approvarsi dall’organismo comunale avente titolo. Tale convenzione deve regolamentare, tra gli altri, gli obblighi fissati dall’art. 14 delle NTA del Piano dei Servizi vigente. Il Permesso di Costruire non potrà comunque venire rilasciato prima dell’avvenuta sottoscrizione di detta convenzione;
- di un impegno unilaterale d’obbligo da parte del proprietario delle aree con il quale dichiari l’impegno a rimuovere, senza nulla pretendere, ogni infrastruttura in contrasto con il progetto del servizio sovralocale della Cittadella dello Sport e della Cultura
”.

Emerge, dunque, che il Comune non ha imposto l’adozione di uno specifico progetto edilizio, ma ha soltanto riscontrato la mancata assunzione di quegli obblighi convenzionali che la disciplina urbanistica di riferimento (da individuare ex art. 36 DPR n. 380 del 2001 anche in quella vigente al momento della presentazione dell’istanza) prescriveva per il rilascio del titolo edilizio;
in tale caso, la violazione dell’obbligo di convenzionamento faceva emergere un intervento edilizio, come correttamente ritenuto dal T, difforme dalla disciplina urbanistica, come tale non sanabile.

4. Con il terzo motivo di appello la sentenza di prime cure è censurata nella parte in cui ha ritenuto applicabile l’art. 14.3 delle norme del Pianto dei Servizi cit. anche in relazione ad opere già tutte esistenti.

Secondo la prospettazione dell’appellante, invece, l’obbligo del convenzionamento opererebbe soltanto in relazione all’attività di trasformazione edilizia e territoriale di nuova edificazione, in attuazione degli indici e parametri di cui al successivo paragrafo 6 del medesimo articolo;
nella specie, rispetto alla preesistente situazione autorizzata dalla P.A., non vi sarebbe stato un aumento del carico urbanistico e del c.d. peso insediativo, tali da giustificare l’imposizione di gravosi oneri di urbanizzazione.

L’obbligo imposto a carico degli appellanti avrebbe, inoltre, ad oggetto un’opera connotata dal rilevante importo economico, per oltre 300.000 euro, ritenuto sproporzionato a fronte di piccoli manufatti e di interventi di manutenzione di opere già assentite.

Il TAR avrebbe assunto, infine, una decisione contraddittoria, da un lato, ritenendo necessario il permesso di costruire convenzionato, dall’altro, ritenendo legittima l’applicazione dell’art. 14 del piano dei servizi ad opere non considerabili come completamento del comparto, non essendo stata edificata la volumetria assegnata dal PGT.

Il motivo di appello è infondato.

4.1 In primo luogo, diversamente da quanto ritenuto dagli appellanti, come già osservato nella disamina del primo e del quarto motivo di impugnazione, le opere per cui è controversia hanno comportato una rilevante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.

L’impatto edilizio sul territorio non può essere valutato atomisticamente, avendo riguardo alle singole opere da sanare, ma al loro collegamento funzionale. Nella specie non si fa questione di piccoli manufatti o di interventi di manutenzione di opere già assentite, irrilevanti sul piano urbanistico, ma ad un incremento delle dotazioni dell’impianto sportivo, suscettibile di generare un aumento dei suoi frequentatori, con conseguente necessità di un adeguamento infrastrutturale delle opere viarie di accesso all’impianto de quo .

A diversa conclusione non può giungersi neanche valorizzando il valore economico delle opere che avrebbero dovuto costituire oggetto degli obblighi convenzionali, pari a circa € 300.000,00, ritenuto sproporzionato rispetto all’entità dell’intervento da sanare.

In primo luogo, si osserva, che con l’atto di diniego, come osservato nel precedente motivo di appello, il Comune non ha imposto l’adozione di un progetto predeterminato avente un importo economico di circa € 300.000,00, ma si è limitato a rilevare la violazione dell’obbligo di convenzionamento;
in ogni caso, l’imposizione di un tale onere risulterebbe ragionevole e proporzionato, in quanto commisurato all’ampliamento delle strutture dell’impianto sportivo, divenuto un polo attrattivo per un maggiore numero di frequentatori, necessitanti di un adeguamento delle relative infrastrutture viarie, per la cui realizzazione trova giustificazione il concorso economico richiesto all’esecutore mediante lo strumento convenzionale.

Ne discende, dunque, la ragionevolezza della previsione di piano (art. 14 Piano dei Servizi) impugnata in prime cure, correttamente applicata dal T al caso di specie, facendosi questione – diversamente da quanto dedotto dagli appellanti – di interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, comportanti un aumento del carico urbanistico.

4.2 In secondo luogo, non può ritenersi che l’atto convenzionale prescritto dall’art. 14 Piano dei Servizi cit. fosse necessario soltanto per le nuove opere all’uopo da realizzate, non essendo compatibile con opere esistenti. La tesi sostenuta nell’appello determinerebbe il consolidamento di una situazione di fatto realizzata sine titulo , il che contrasta con la funzione della previsione di piano, regolante le legittime trasformazioni del territorio, senza produrre un effetto sanante dell’esistente.

In altri termini, la previsione di piano regola certamente l’incremento della volumetria esistente, sul presupposto, tuttavia, che siffatta volumetria sia stata legittimamente realizzata, in quanto assentita dal previo rilascio del prescritto titolo edilizio;
la previsione de qua non consente, invece, di sanare la volumetria esistente conseguente alla commissione di abusi edilizi, per il cui consolidamento occorre l’integrazione dei presupposti contemplati dall’art. 36 DPR n. 380 del 2001.

Nella specie le appellanti, determinando una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio sine titulo , hanno realizzato un intervento edilizio abusivo, come tale suscettibile di sanzione ripristinatoria.

Né, come osservato nella disamina dei precedenti motivi di appello, avrebbe potuto diversamente ritenersi sulla base della convenzione del 3.7.1989 o delle autorizzazioni del 3.7.2003 e del 16.5.2005, in quanto la prima non riguardava il complesso delle opere per cui è controversia, mentre le seconde risultavano rilasciate “ in precario e temporanea ”, imponendo la rimozione di quanto provvisoriamente realizzato, una volta scaduto il termine di efficacia dei relativi titoli edilizi, altrimenti configurandosi opere abusive.

La sanatoria di un tale intervento avrebbe potuto essere disposta ex art. 36 DPR n. 380 del 2001 soltanto se l’intervento fosse stato conforme non soltanto alla disciplina urbanistica ed edilizia originaria, vigente al momento della sua realizzazione, ma anche a quella sopravvenuta alla data di presentazione dell’istanza di sanatoria.

Pertanto, posto che nella specie, quanto meno alla data di presentazione dell’istanza di sanatoria, risalente al maggio 2016 (all. 11 appello), già vigeva l’art. 14 Piano dei Servizi (risalente all’ottobre 2013 - doc. 14 appello), l’istanza di sanatoria non poteva essere accolta, facendosi questione di un intervento che, secondo la disciplina urbanistica di riferimento, non avrebbe potuto essere eseguito in assenza del convenzionamento.

Come supra osservato, la sanatoria tende a porre il beneficiario nella medesima posizione che lo stesso avrebbe assunto se avesse tenuto una condotta lecita, chiedendo e ottenendo previamente il rilascio del titolo edilizio prescritto dalla disciplina vigente al momento della presentazione dell’istanza.

Il rifiuto della stipulazione della convenzione, così come avrebbe impedito il rilascio del permesso di costruire e, dunque, la trasformazione del territorio, parimenti, impediva di legittimare la trasformazione in concreto eseguita, non potendo persistere opere generanti un aggravio urbanistico senza l’impegno dell’istante ad eseguire quegli interventi necessari per soddisfare il maggiore fabbisogno di dotazioni infrastrutturali dipendente dall’intervento in concreto emerso.

4.3 Infine, non si ravvisa alcuna contraddittorietà della sentenza di prime cure, tenuto conto che il T ha correttamente ravvisato una trasformazione edilizia del territorio, ammissibile soltanto in caso di previo convenzionamento, la cui assenza non permetteva la sanatoria dell’intervento edilizio.

5. La particolarità e la novità delle questioni esaminate giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del grado di appello.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi