Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-05-31, n. 202404920

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-05-31, n. 202404920
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202404920
Data del deposito : 31 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/05/2024

N. 04920/2024REG.PROV.COLL.

N. 07538/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7538 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati F C, F L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio F C in Roma, via G.P. Da Palestrina, N 47;

contro

Sapienza Università di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato G R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. -OMISSIS-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Sapienza Universita' di Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati F L e G R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso proposto dalla parte appellante avverso il provvedimento del -OMISSIS- n.-OMISSIS- con cui l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” le ha irrogato, ai sensi dell’art.87 del T.U. 1592 del 1993, nonché dell’art.3 commi 4 e 5 del Regolamento di Ateneo, la sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio, per un periodo di due mesi.

A supporto del gravame, la parte espone le seguenti circostanze di fatto:

- con la nota n.-OMISSIS- del -OMISSIS- l’Università comunicava l’avvio del procedimento disciplinare contestando – sulla base del decreto di rinvio a giudizio del GIP presso il Tribunale di Roma - di aver confezionato un bando su misura per il prof. -OMISSIS-;

- nel corso di detto procedimento, l’organo istruttore disattendeva la richiesta di sospensione pregiudiziale del procedimento disciplinare in attesa della definizione del processo penale e deferiva, per la gravità dei fatti contestati, il procedimento al Collegio di Disciplina che procedeva all’audizione dell’incolpato;

- anche il Collegio di disciplina disattendeva la richiesta di sospensione per pregiudizialità;

- in seguito l’incolpato veniva in possesso di file audio riproducenti una conversazione fra terzi che conteneva elementi a suo carico e veniva quindi nuovamente escusso, su convocazione, dall’organo, il -OMISSIS-;

- il -OMISSIS- successivo – precedentemente, il -OMISSIS-, la parte aveva presentato una memoria – il Collegio comunicava di aver concluso il -OMISSIS- le proprie attività;

- il -OMISSIS- l’Università trasmetteva il decreto impugnato, con il quale irrogava la sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un periodo di due mesi, a decorrere dall’-OMISSIS-, senza effettuare alcun riferimento alle richieste ed alle difese presentate dall’incolpato e fondando la propria decisione su di una consistente attività istruttoria, a dire di questi, non resagli nota.

La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso proposto avverso detto decreto.

La parte deduce i seguenti motivi di appello:

1. Errores in procedendo e in iudicando: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 della L. n.240/2010, dell’art. 117 del DPR n.3/1957 e dell’art. 12 della legge n. 311/1958.

2. Errores in iudicando: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 comma 1 della Legge n. 240/2010 e ss. mm. ii.;
artt. 6 e 7 del Regolamento di Ateneo;
art. 41 CDFUE e art. 6 CEDU.

3. Errores in procedendo e in iudicando: sulla violazione del divieto di mutatio libelli. Violazione del principio del giusto procedimento e del contraddittorio. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 97 della Cost.;
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della l. 241/1990 ss. mm. ii.;
eccesso di potere per sviamento ed erroneità della motivazione.

4. Errores in procedendo e in iudicando: sull’inutilizzabilità in sede disciplinare delle registrazioni audio effettuate dal dott. -OMISSIS-.

5. Errores in iudicando: sulla infondatezza dell’addebito disciplinare eccesso di potere per erroneità, carenza e perplessità dell’istruttoria e della motivazione;
violazione del principio della prova;
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di proporzionalità.

2. Si è costituita in giudizio l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.

DIRITTO

3. Il primo motivo di appello contesta l’omessa applicazione alla fattispecie controversa della cd. “pregiudiziale penale” di cui all’art.117 del D.P.R. n.3/1957.

La parte appellante sostiene, in primo luogo, che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, questa disposizione sarebbe applicabile al procedimento disciplinare celebrato nei confronti dei professori universitari, ancorché il relativo rapporto di lavoro abbia sempre presentato delle particolarità rispetto al resto del pubblico impiego, e che, in ogni caso, le ragioni di garanzia sostanziale e processuale che ispirano il suddetto principio imporrebbero comunque di applicarlo, anche se non fosse espressamente contemplato.

Il secondo motivo di appello – che può essere trattato congiuntamente al primo – deduce in via principale che nel procedimento controverso sarebbe stato violato l’articolo 10 della legge n.240 del 2010, e, in subordine, che se quest’ultimo fosse interpretato nei sensi ritenuti dal giudice di prime cure, sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, oltre che, per norma interposta, ex art.117 Cost. , con l’articolo 6 par. CEDU.

3.1. Il primo motivo è infondato per una serie di ragioni, prima delle quali è che il suddetto articolo 117 D.P.R. n.3 del 1957 è ricompreso, al n.VI 1 a) dell’allegato B, richiamato dal comma 1 dell’art.71 del d. lgs. 165/2001, tra le previsioni che cessano di avere efficacia, dal momento della stipulazione dei contratti collettivi, per ciascun ambito di riferimento.

Diversamente da quanto ritenuto dalla parte appellante, la sopravvenuta inefficacia ivi prevista va applicata - come testualmente precisato sia dall’articolo 71 che dal precedente articolo 69 del d. lgs. n.165 del 2001 - “ a ciascun ambito di riferimento”, e non al solo personale del comparto dirigenziale, per il quale ultimo, la sola differenza è in relazione al quadriennio dei contratti collettivi preso in considerazione quale evento caducante, che, per i soli dirigenti, è quello del 1994-1997, mentre per tutti gli atri – fra essi compresi i docenti universitari - è quello successivo del 1998-2001.

3.2. La conferma dell’inapplicabilità della pregiudiziale penale ai professori universitari, si ricava altresì dalla previsione contenuta nell’art.12 della legge n.311 del 1958 che tra le norme ritenute applicabili ai predetti, sin da allora, non richiamava il citato articolo 117 DPR n. 3/1957.

3.3. In terzo luogo – evidenziando l’autonomia del procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici impiegati - l’articolo 55- ter del d. lgs. n.165 del 2001 prevede oggi espressamente che “ il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale “.

3.3. Infine l’articolo 10 della legge n.240 del 2010 – in tema di competenza disciplinare nei confronti dei professori universitari – nulla prevede a proposito della cd. pregiudiziale penale, così implicitamente autorizzando, diversamente da quanto sostenuto dal motivo in esame, che ne assume la violazione, i singoli Atenei, in occasione dell’adozione dei relativi Regolamenti, ad orientarsi come meglio credono.

Or bene la suddetta prerogativa è stata puntualmente esercitata dall’Università appellata che, al comma 1 dell’articolo 12 del Regolamento disciplinare dell’Ateneo (D.R. 438/2020) ha escluso l’operatività del suddetto principio.

3.4.1. Come anticipato, la parte appellante sostiene, con il secondo motivo d’appello, che - essendo posto a presidio di una garanzia essenziale, sulla quale l’autonomia regolamentare non avrebbe potuto incidere, in quanto strettamente connessa allo status di professore universitario di ruolo, ed alla relativa tutela costituzionale del professore universitario, ai sensi degli articoli 3 e 97 della Costituzione - il suddetto principio andrebbe comunque salvaguardato in una lettura costituzionalmente orientata dell’art.10 della legge n.240 del 2010.

In questa prospettiva il motivo in analisi rivendica l’esigenza di una disciplina unitaria – necessariamente per via legislativa – dei relativi procedimenti disciplinari, pena la creazione di inammissibili disparità di trattamento tra i professori universitari, a seconda dell’ateneo di appartenenza, chiedendo alternativamente, con il primo motivo di annullare per violazione del citato articolo 10 l.240 la suddetta norma regolamentare, con il secondo, in subordine, di rilevare il contrasto dell’articolo 10, se non interpretato come proposto, con i principi costituzionali di cui agli articoli 3, e 97 della Costituzione.

3.4.2. L’obiezione è infondata nei suoi presupposti.

Essa dà infatti per scontato che, quello della pregiudizialità del processo penale rispetto al procedimento disciplinare, rappresenti un principio generalmente applicabile all’intero pubblico impiego, quando è al contrario evidente che, a seguito dell’introduzione nel testo unico del p.i. dell’art.55 ter , il legislatore – optando per gli opposti principi di autosufficienza ed autonomia delle due procedure – ha espresso l’intendimento esattamente opposto.

Il che è peraltro conclamato dalla giurisprudenza unanime della Cassazione che, per l’appunto in materia di procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti, ha escluso la sopravvivenza dell’istituto della pregiudiziale, venuta meno dopo l’introduzione del citato articolo 55- ter del d. lgs. 165 del 2001, ed ha espressamente affermato, per quel che più interessa in questa sede, che “l'amministrazione è libera di valutare autonomamente gli atti del procedimento penale, ai fini della contestazione, senza necessità di una ulteriore ed autonoma istruttoria, [così come NdR] di avvalersi dei medesimi atti, in sede d'impugnativa giudiziale, per dimostrare la fondatezza degli addebiti" (cfr. Cass. civ., sez. lav., 1 marzo 2017 n. 5284 e 26 ottobre 2017 n. 25485).

Dunque l’amministrazione, quale datrice di lavoro deve ritenersi libera di valutare se e quando sussistano motivi per sospendere il relativo procedimento, a causa della contemporanea pendenza di un processo penale, e, quindi, anche di presumere, in astratto, fatta salva la possibilità di scelta del caso per caso, la normale non pregiudizialità.

Né può fondatamente sostenersi che tale discrezionalità – ripetesi – attribuita oramai dalla legge- non sia riferibile anche alla categoria dei professori universitari, ancorché non privatizzata, a maggior ragione laddove si consideri che, già in vigenza dell’originario assetto ordinamentale di questi ultimi, risalente al 1958, si dubitava, peraltro, con valide argomentazioni, che suddetto principio operasse per questa categoria di lavoratori.

3.4.3. Quanto al prospettato vulnus che, per questa via, si recherebbe ai suddetti principi costituzionali si osserva che – a voler seguire l’interpretazione di cui al motivo in analisi che propugna la necessità di una disciplina legislativa unica su tutto il territorio nazionale - risulterebbe senz’altro vulnerato un altro fondamentale principio costituzionale, ossia l’autonomia organizzativa dell’Università di cui all’art. 33 comma 6 della Costituzione, che ne risulterebbe irreparabilmente compressa.

3.4.4. Quanto invece alla contestata lesione dei principi costituzionali di parità di trattamento e buon andamento, l’obiezione non considera che la non operatività della pregiudiziale, nella legge come nel regolamento di ateneo, è da intendersi come previsione solo “di massima” che, come tale, non impedisce che, in casi specifici, quest’ultima possa operare, come pure che la decisione che ne nega l’applicazione sarebbe comunque pur sempre sindacabile in sede giurisdizionale.

Il che significa che, a tutto concedere, la previsione denunciata presenterebbe una lesività tutto sommato modesta rispetto ai suddetti principi, e comunque rimediabile, che, come tale, giammai può ritenersi con essi in contrasto.

3.4.5. Dimostrata l’inconferenza delle relative obiezioni, si palesa con ciò la manifesta infondatezza del prospettato contrasto dell’articolo 10 della legge n.240 del 2010 con le norme costituzionali, evocato nel secondo motivo di appello.

3.5. In definitiva, va ribadita la legittimità dell’articolo 12 del Regolamento di Ateneo dell’Università La Sapienza di Roma, in tema di procedimento disciplinare nei confronti dei professori universitari, nella parte in cui esclude l’operatività della pregiudiziale penale, disposizione che risulta altresì essere stata correttamente applicata nella vicenda controversa. D’altro canto le considerazioni che precedono escludono che con l’inciso – “fatti salvi i casi di sospensione previsti dalla legge” ivi contenuto – questa disposizione si sia voluta riferire alla pregiudiziale, in quanto la stessa, come si è visto, è stata definitivamente espunta, persino quale principio generale, dalle norme regolative del pubblico impiego e non è tampoco evincibile dall’articolo 10 della legge n.240 del 2010, come pure appena osservato.

4. Il terzo motivo d’appello contesta la violazione dei principi generali di garanzia del giusto procedimento disciplinare, anche in contrasto con il diritto europeo e quello convenzionale, lamentando che l’attività dell’autorità procedente sarebbe censurabile per più ragioni, e cioè, per la violazione dei principi del contraddittorio e della corrispondenza fra incolpazione e condanna e per l’omesso esame delle ultime memorie depositate dall’incolpato, al quale, così operando, l’amministrazione non avrebbe lasciato l’ultima parola.

4.1. Sotto altro profilo il terzo motivo d’appello contesta la non corrispondenza tra imputazione e condanna. Specificamente con questa doglianza la parte appellante deduce che, in sede di contestazione iniziale, le era stata addebitata una condotta attiva, consistente nell’indebito confezionamento di un bando su misura, e che nella condanna, al contrario, la sanzione è stata irrogata per ragioni diverse, ossia per avere omesso di esercitare i poteri di verifica, controllo e segnalazione su di lei incombenti.

4.2. Il quarto motivo d’appello – che può essere trattato congiuntamente a quello che lo precede- contesta in aggiunta che le registrazioni effettuate dal dr. -OMISSIS- del dialogo con il dr. -OMISSIS- sarebbero inutilizzabili nei confronti di terzi estranei alla conversazione, quale è in questo caso la parte appellante.

5. Il terzo motivo di appello è infondato, innanzitutto nei presupposti, basandosi su di una pretesa assimilabilità tra le garanzie offerte dall’imputato nel processo penale – che gli consentono di assistere a tutte le fasi del procedimento al momento del “farsi” della prova in dibattimento – e quelle, senz’altro più dimensionate rispetto alle prime, che spettano all’incolpato nel procedimento disciplinare.

E’ evidente infatti che, trattandosi di due procedimenti con finalità diverse, e, soprattutto, suscettibili di incidere su situazioni soggettive di diverso spessore – giuridicamente molto più delicate sono quelle coinvolte nel primo – non si può pretendere per essi il medesimo tasso di garantismo, pena l’introduzione di una disparità di trattamento al contrario, e, soprattutto, il rischio di appesantire eccessivamente il secondo, in contrasto con il principio di efficienza dell’azione amministrativa.

Da ciò consegue che il prospettato diritto di seguire, per così dire, “da presso” tutte le acquisizioni testimoniali che la parte appellante rivendica, è – almeno nella ipotizzata estensione – insussistente nel procedimento disciplinare.

5.2. Si deve anche osservare, in fatto, che nel procedimento controverso risulta rispettata la procedura prescritta dal Regolamento di Ateneo in tema di procedimento disciplinare, conformato nell’esercizio dei poteri attribuiti all’università dal ricordato articolo 10 della legge n.240 del 2010, il che consente di escludere che sia stato indebitamente conculcato il diritto di difesa della parte appellante.

5.2.1. Infatti il contraddittorio procedimentale, e il suo presupposto partecipativo, sono stati adeguatamente assicurati a quest’ultimo tanto da consentirgli di: produrre due memorie al Collegio, ed una all’organo istruttore;
essere esaminato due volte dal Consiglio di disciplina, il -OMISSIS- ed il -OMISSIS-, anche concordando, nella prima occasione, la data della sua audizione, ed essendo stato convocato di ufficio, dal Collegio, al termine dell’istruttoria.

In entrambe le occasioni egli ha avuto modo di difendersi dai fatti che gli erano stati contestati, controreplicando in fatto ed in diritto. Che avesse piena contezza di questi ultimi, e dunque che fosse stato messo nella piena condizione di difendersi, è dimostrato dal contenuto delle dette audizioni. Del resto aveva precedentemente acquisito i file audio della registrazione riproducente il dialogo intercorso tra il dr. -OMISSIS- ed il dr. -OMISSIS-, ossia il documento che rappresenta la prova principale, e del processo penale, e di quello disciplinare.

5.2.2. Tanto meno trova conferma in atti la doglianza che all’incolpato non furono comunicate le nuove circostanze emergenti dalle testimonianze acquisite in istruttoria lo stesso -OMISSIS-. Infatti dal relativo verbale si evince che la parte appellante, anche grazie alla previa acquisizione dei suddetti audio file , aveva un apprezzabile grado di conoscenza degli elementi di prova a suo carico. Aggiungasi che si trattava di fatti storici non particolarmente articolati e sostanzialmente coincidenti con quelli acquisiti nel corso del procedimento penale, che gli erano ben noti a maggior ragione dopo che era stato rinviato a giudizio.

5.2.3. Il sub-motivo al terzo motivo d’appello è infondato in fatto perché, a leggere la motivazione del provvedimento impugnato vi è coincidenza e sovrapponibilità fra contestazione iniziale e fatto posto a fondamento della condanna.

Infatti nella contestazione iniziale, estratta dall’imputazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio del GIP, l’organo istruttore aveva contestato alla parte soprattutto il risultato della sua condotta, consistente nell’aver emanato un bando su misura per il professor -OMISSIS-, controparte nella controversia pre-processuale iniziata con la diffida, nonché presunto creditore dell’università.

L’evento era addebitato all’incolpato, senza precisare la tipologia di condotta causale da lui posta in essere, ossia se commissiva o omissiva, come è evincibile dai generici riferimenti alle “condotte [id est : senza ulteriore aggettivazione] rilevanti sotto il profilo disciplinare” da lui tenute e all’iniziativa “da lui promossa ed attivata” contenuti nella contestazione.

Del resto, dall’intero contenuto del procedimento disciplinare palesatosi nel corso del suo svolgimento (come si dirà anche infra) , era evidente che l’incolpato fosse stato chiamato in causa dall’amministrazione, sia come co-autore di condotte materiali che, più in generale, come responsabile gestionale e di spesa dei procedimenti che avevano dato luogo alla controversia, dunque la condanna per questo secondo profilo non poteva ex ante ritenersi imprevedibile, ma anzi rappresentava un fatto implicitamente ricompreso nella contestazione, così come uno dei possibili esiti dell’istruttoria.

4.2.4. Quanto alla contestata inutilizzabilità dei file, l’eccezione sollevata con il ricordato quarto motivo non ha pregio perché si trattava di un documento, nel senso di elemento rappresentativo di una circostanza- appunto il dialogo tra -OMISSIS- ed -OMISSIS- – confermata da quest’ultimo, da questi spontaneamente consegnato.

Delle registrazioni eseguite in questo modo la Cassazione unanimemente riconosce la piena utilizzabilità in giudizio (vedasi per tutte Cassazione civile , sez. lav. , 29/09/2022 , n. 28398) senza limitazioni quanto ai soggetti a carico dei quali farle valere. Con principio che, a maggior ragione, deve valere nel caso di specie, dove si procedeva nell’ambito del meno garantito procedimento disciplinare.

A definitiva confutazione dell’obiezione si consideri poi che l’eventuale interdizione all’uso della registrazione nei diretti confronti dell’incolpato, non ne impedirebbe l’uso nei confronti del suo correo, in quanto altro interlocutore della conversazione, ossia il dr. -OMISSIS-, il che finirebbe per avere una valenza indiziaria pressoché analoga anche a carico dell’odierna parte appellante, che è accusata (e che è stata sanzionata in sede disciplinare) di aver agito in concerto con quest’ultimo.

5. Il quinto motivo d’appello contesta l’inveridicità, in fatto, dell’addebito disciplinare.

5.1. Il motivo è infondato.

Alla parte appellante è stato contestato di aver fatto approvare un bando per il conferimento di un incarico retribuito, confezionato sui requisiti del prof. -OMISSIS-, allo scopo di ricompensarlo delle prestazioni da lui effettuate nell’ambito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di -OMISSIS- dell’Università, di cui era Responsabile Scientifico la parte appellante.

Le dette prestazioni non erano state pagate al professor -OMISSIS- che pertanto si era indotto ad inoltrare al Dibattimento una diffida di adempimento. Per indurlo a rinunciare alle sue pretese – secondo l’accusa – la parte appellante avrebbe, per interposta persona, proposto al suddetto docente di far emanare un Bando dall’Università “cucito” sul suo profilo professionale, a tacitazione della sua pretesa.

Senonché – dopo aver rifiutato la proposta – il predetto -OMISSIS- ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, dal quale è stato occasionato il procedimento penale che ha condotto al rinvio a giudizio della parte appellante per i reati p. e p. dagli articoli 110 e 322 comma 4 del codice penale.

La registrazione di cui sopra fornisce la prova che effettivamente il dottor -OMISSIS-, collaboratore della parte appellante, che lo avrebbe incaricato del relativo incombente, abbia chiesto ad -OMISSIS- di convincere -OMISSIS- a partecipare alla procedura concorsuale, procedura che quest’ultimo avrebbe prevedibilmente vinto, ottenendo così l’attribuzione dell’incarico per il quale era previsto un corrispettivo di euro 31.400, rinunciando al contempo alla diffida inoltrata all’Ateneo e, con essa, al pagamento delle somme spettantigli in ragione della collaborazione al precedente progetto.

E’ altresì accertato (deposizione della funzionaria -OMISSIS-) che fu la parte appellante a modificare gli atti attuativi conseguenti alla delibera del Dipartimento di -OMISSIS- del -OMISSIS-. Del resto, in quanto vertice dell’ufficio, era solo l’incolpato che avrebbe potuto intervenire, sia da un punto di vista tecnico che amministrativo sulla relativa procedura, così come è altrettanto indubbio che egli rappresentava l’autorità dotata dell’ultima parola a decidere in ordine alla gestione dei fondi.

Risulta ancora che la procedura presentava una configurazione anomala, quanto al contenuto, rispetto ad altri bandi consimili emessi dal dipartimento e che, altri sintomi con valenza indiziaria, il primo bando andò deserto, mentre al secondo partecipò, significativamente il solo professor -OMISSIS- che effettivamente possedeva, e non casualmente, i titoli specialistici esattamente richiesti dalla procedura.

Né è fondatamente sostenibile che le funzionarie amministrative che redassero il bando avrebbero potuto autonomamente intervenire sulle specifiche tecniche per l’aggiudicazione che, al di là di ogni ragionevole dubbio, furono inserite nel Bando dalla parte appellante, come del resto confermato dalle stesse impiegate, escusse dal Collegio di disciplina.

La stessa parte appellante ne nominò i membri e per di più presiedette la Commissione di concorso.

5.2. Tanto premesso, si tratta – come è evidente – di fatti gravi che, oltre a dimostrare che la parte appellante, almeno in due occasioni, ha platealmente violato i suoi doveri di ufficio - prima non corrispondendo al -OMISSIS- le somme dovute a titolo di collaborazione, quindi successivamente distraendo altre somme per uno scopo diverso da quello previsto - ledono al contempo la dignità e la credibilità della funzione docente e l’immagine pubblica dell’Istituzione universitaria alla quale ella apparteneva integrando i presupposti che consentono l’applicazione della sanzione.

Quanto precede, peraltro, stante l’obiettiva gravità della condotta – che sarebbe integrata anche dal solo fatto di aver disegnato un bando sul profilo professionale dell’unico candidato, oltretutto soggetto controparte in una vicenda precontenziosa che sarebbe presumibilmente presto sfociata in un giudizio civile, altra circostanza opaca della vicenda- rende irrilevante anche l’obiezione di parte appellante che rivendica la carenza di dolo della sua condotta.

Invero – in disparte la considerazione che di tale assenza di colpevolezza non v’è traccia né negli atti né nel decreto che dispone il giudizio e che, anzi, tutto lascia deporre, al contrario, per la presenza di una condotta intenzionale - la negligenza grave che comunque emerge dai fatti passati in rassegna, giustificherebbe di per sé la sanzione irrogata,

Anche a voler trascurare che si trattava, nell’occorso, di un potere largamente permeato da discrezionalità che, nell’occorso, non risulta essere stato esercitato, ad un giudizio estrinseco, in modo abusivo o anche solo dis-funzionale.

6. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto dell’appello.

Le concrete circostanze del fatto, unitamente alla relativa novità della questione in diritto, rappresentano giustificate ragioni per compensare le spese di giudizio.

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