Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-09-11, n. 201304496

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-09-11, n. 201304496
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201304496
Data del deposito : 11 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05027/2012 REG.RIC.

N. 04496/2013REG.PROV.COLL.

N. 05027/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5027 del 2012, proposto dalla soc. Iliade s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato A C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Lutezia, n. 8

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'G P, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21

per la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio – Roma, Sezione I-quater, n. 3309/2012


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 maggio 2013 il Cons. Claudio Contessa e udito l’avvocato Campagnola per l’appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO

La società Iliade s.r.l. riferisce di essere avere acquistato in data 10 agosto 2005 un vasto compendio immobiliare sito in Roma, alla via Laurentina 74/82 composto da alcune unità a destinazione commerciale censite in NCEU al foglio 851, p.lla 33, subalterni 504 (unità a destinazione commerciale al piano terra), 505 (unità a destinazione commerciale al piano seminterrato), 506 (locale commerciale al piano seminterrato) e 509 (locale commerciale costituito da un vano al piano terra con sovrastante piano di copertura).

L’area in questione è interessata da un vincolo paesaggistico ai sensi della l. 1497 del 1939, trasfusa con modificazioni nel testo unico n. 490 del 1999 e poi nel Codice del paesaggio, approvato con il d.lg. n. 42 del 2004..

La società riferisce, altresì, che con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. del Lazio e recante il n. 2949/2007 ebbe ad impugnare il provvedimento in data 27 novembre 2006 con cui il Comune di Roma (Roma Capitale) aveva contestato la realizzazione di numerosi interventi sul compendio immobiliare in questione in assenza del necessario titolo abilitativo (permesso di costruire).

In particolare, con il provvedimento impugnato in primo grado erano state contestate le seguenti attività in relazione alle singole porzioni del compendio:

1) per quanto riguarda il locale commerciale sito al piano terra (sub. 504), era stato contestato l’ampliamento del preesistente locale mediante la realizzazione di pareti in muratura, per una superficie di circa 30 mq.;

2) per quanto riguarda il locale ubicato al piano seminterrato (sub. 505), era stata contestata la realizzazione di opere consistenti nella demolizione e nel rifacimento della copertura di un preesistente locale, per un totale di circa 130 mq.;

3) per quanto riguarda il sub. 504, era stata, altresì, contestata la realizzazione di quattro locali wc attigui al manufatto, per una superficie di circa 18 mq., con modifica della pregressa destinazione d’uso;

4) per quanto riguarda l’ulteriore locale ubicato al piano seminterrato (sub. 509), era stata contestata la realizzazione di una nuova volumetria in muratura per una superficie di 70 mq. circa, collegata alla precedente volumetria mediante un corridoio in muratura;

5) per quanto riguarda l’ulteriore, preesistente corpo di fabbrica (sub. 506), era stata contestata la sostituzione della vecchia copertura e il cambio di destinazione d’uso dell’immobile da locale ricoveri attrezzi a locale commerciale.

Conseguentemente, le autorità comunali avevano ingiunto la demolizione delle opere abusivamente realizzate entro il termine di 30 giorni.

Il provvedimento in questione era stato impugnato dinanzi al T.A.R. del Lazio dalla soc. Iliade, la quale ne aveva chiesto l’annullamento articolando plurimi motivi di doglianza.

Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. adìto ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in sede di appello dalla soc. Iliade, la quale ne ha chiesto l’integrale riforma, articolando plurimi motivi di doglianza.

Si è costituito in giudizio il Comune di Roma (Roma Capitale) il quale ha concluso nel senso della reiezione del gravame.

Alla pubblica udienza del 17 maggio 2013 il ricorso in questione è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla società proprietaria di un vasto compendio immobiliare in Roma avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio con cui è stato respinto il ricorso n. 2949 del 2007, proposto avverso la determinazione con cui il dirigente comunale ha contestato l’esecuzione senza permesso di alcune opere sul compendio in questione e ne ha conseguentemente ingiunto la demolizione.

2. Ritiene la Sezione che l’appello sia fondato.

2.1. In particolare, è fondato il motivo di appello con cui si chiede che la sentenza in epigrafe sia riformata per la parte in cui ha respinto per genericità l’argomento fondato sull’avvenuto rilascio di quattro concessioni in sanatoria e sulla pendenza – al momento in cui la determinazione comunale impugnata era stata adottata – di un’ulteriore domanda in tal senso.

Ed infatti, dall’esame della documentazione di causa emerge che sia il petitum , sia la causa petendi sottesi alla proposizione del primo ricorso emergessero con sufficiente chiarezza dal ricorso di primo grado e dalla documentazione allo stesso allegata.

In particolare, dall’esame degli atti di causa (ricorso in primo grado e documentazione allo stesso allegata), emerge che la società appellante avesse ritualmente proceduto all’esposizione dei fatti rilevanti ai fini del giudizio, all’indicazione specifica dei motivi su cui si fondava il ricorso, nonché all’indicazione dei mezzi di prova e dei provvedimenti chiesti al Giudice.

In particolare, la società appellante non si era semplicemente limitata ad allegare (e in modo generico) l’esistenza di alcune concessioni in sanatoria già rilasciate e la pendenza di ulteriori procedimenti in fase istruttoria, ma aveva depositato in atti la pertinente documentazione, il cui esame (svolto sulla base del chiaro collegamento fra quanto dedotto negli scritti difensivi e la documentazione allegata) avrebbe consentito di avere una compiuta conoscenza dello stato delle pratiche relative agli immobili dinanzi descritti.

In particolare, dalla documentazione in questione emergeva che:

a) per quanto riguarda il locale commerciale sito al piano terra (sub. 504, per il quale era stato contestato l’ampliamento del preesistente locale mediante la realizzazione di pareti in muratura, per una superficie di circa 30 mq.), esso aveva costituito oggetto di una concessione in sanatoria in data 5 gennaio 2000 e in relazione al medesimo manufatto era stata presentata una nuova istanza di concessione in sanatoria ai sensi della l. 326 del 2003 in data 9 maggio 2005;

2) per quanto riguarda il locale ubicato al piano seminterrato (sub. 505, per il quale era stata contestata la realizzazione di opere consistenti nella demolizione e nel rifacimento della copertura di un preesistente locale, per un totale di circa 130 mq.), esso aveva parimenti costituito oggetto di una concessione in sanatoria per nuova costruzione/ampliamento in data 5 gennaio 2000 e in relazione al medesimo manufatto era stata presentata una ulteriore istanza di concessione in sanatoria per cambio di destinazione d’uso ai sensi della l. 326 del 2003, in data 9 maggio 2005;

3) per quanto riguarda l’ulteriore locale ubicato al piano seminterrato (sub. 509, per il quale era stata contestata la realizzazione di una nuova volumetria in muratura per una superficie di 70 mq. circa, collegata alla precedente volumetria mediante un corridoio in muratura), esso aveva costituito oggetto una nuova istanza di concessione in sanatoria per cambio di destinazione d’uso ai sensi della l. 326 del 2003 in data 9 maggio 2005;

4) per quanto riguarda infine l’ulteriore, preesistente locale a destinazione commerciale seminterrato (sub. 506, per il quale era stata contestata la sostituzione della vecchia copertura e il cambio di destinazione d’uso dell’immobile da locale ricoveri attrezzi a locale commerciale), esso aveva ancora una volta costituito oggetto di una concessione in sanatoria per nuova costruzione/ampliamento in data 5 gennaio 2000, mentre in relazione al medesimo manufatto era stata presentata una nuova istanza di concessione in sanatoria per cambio di destinazione d’uso ai sensi della l. 326 del 2003 in data 9 maggio 2005 per una superficie pari a 70,20 mq.

In base a quanto appena richiamato, emerge la fondatezza dei motivi di ricorso basati su difetto di istruttoria e di motivazione che vizia la sentenza in epigrafe.

Al riguardo, si osserva che il Comune di Roma (Roma Capitale) non avrebbe potuto limitarsi ad affermare l’avvenuta trasformazione dei manufatti in assenza del permesso di costruire, ma avrebbe dovuto dare puntualmente atto delle ragioni (ad esempio, connesse ai vincoli insistenti sull’area) che impedivano il rilascio dei titoli edilizi in sanatoria, le cui istanze avrebbero comunque dovuto essere ritualmente vagliate.

Ed infatti, secondo un consolidato orientamento – dal quale non si rinvengono nel caso di specie ragioni per discostarsi - in presenza di una domanda di condono edilizio l'Amministrazione non può emettere un provvedimento sanzionatorio senza avere prima definito il procedimento scaturente dall'avvenuta presentazione della predetta domanda, sussistendo l’obbligo di definire il procedimento di condono (Cons. Stato, V, 24 aprile 2013, n. 2280; id ., IV, 12 gennaio 2013, n 362; id ., V, 31 ottobre 2012, n. 5553; id ., IV, 15 giugno 2012, n. 3534).

Conseguentemente, il provvedimento impugnato in primo grado risulta affetto dai vizi rubricati e deve essere annullato.

2.2. La fondatezza del motivo di appello dinanzi esaminato sub 2.1. comporta l’annullamento della determinazione comunale con cui era stata ingiunta la demolizione dei manufatti descritti in premessa.

Resta conseguentemente assorbito il motivo di appello con cui si è censurata la sentenza di primo grado per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso basato sulla violazione dell’articolo 33 del d.P.R. 380 del 2001, in punto di scelta fra la sanzione demolitoria e quella meramente pecuniaria.

3. L’annullamento della determinazione dirigenziale impugnata in primo grado lascia, naturalmente, integro il potere per gli uffici comunali di riesaminare puntualmente la situazione in fatto e in diritto dinanzi richiamata e – eventualmente – di adottare nuove, motivate e circostanziate determinazioni al riguardo.

4. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento della determinazione dirigenziale in tale sede impugnata.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese dei due gradi di lite fra le parti.

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