Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-07-20, n. 201603300

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-07-20, n. 201603300
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201603300
Data del deposito : 20 luglio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00398/2014 REG.RIC.

N. 03300/2016REG.PROV.COLL.

N. 00398/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 398 del 2014, proposto dal Ministero dell'Interno e dall’U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

La signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato A R, con domicilio eletto presso il signor S D F in Roma, viale delle Milizie, n. 34;

nei confronti di

La Regione Calabria;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 291/2013, resa tra le parti, concernente una informativa interdittiva antimafia;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della signora -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2016 il Cons. P U e udito per la parte appellante l'avvocato dello Stato Marco La Greca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La controversia trae origine dall’informativa antimafia adottata nei confronti dell’impresa odierna appellata dalla Prefettura di Reggio Calabria con nota n. 353772 del 25 ottobre 2012 (e del conseguente decreto della Regione Calabria n. 42560 del 6 febbraio 2013, con cui è stato revocato un contributo – “premio unico” di euro 35.000,00 a valere sulla «Misure 112 del PSR 2007/2013 – in precedenza erogatole).

2. Il TAR per la Calabria, Sezione di Reggio Calabria, con la sentenza appellata (n. 291/2013), ha accolto il ricorso dell’impresa n. 201 del 2013, affermando, in sostanza, che:

(a) - è illegittima l’informativa antimafia rilasciata per rapporti aventi valore inferiore alla soglia di cui all’art. 1, comma 2, lett. e) del d.P.R. 252/1998 (oggi, art. 83 del d.lgs. 159/2011), per il quale le pubbliche amministrazioni e le stazioni uniche appaltanti non possono comunque richiedere al Prefetto informative antimafia per provvedimenti di importo inferiore a 300 milioni di lire (oggi, euro 150.000);

(b) – infatti, la soglia di valore non è disponibile, perché costituisce un punto di equilibrio del bilanciamento di opposti interessi (concernenti la prevenzione nei confronti dei condizionamenti da parte della criminalità organizzata, la libertà di impresa e l’efficiente effettuazione da parte della PA di spese, ordinativi e contratti di uso comune e di minore complessità);

(c) - l’estensione degli accertamenti preventivi di tipo interdittivo, al di sotto della soglia di valore individuata dalla legge, comporta per l’Amministrazione pubblica chiamata a contrastare la criminalità organizzata un dispendio di energie e di risorse umane che incide negativamente sulla qualità ed efficacia della stessa azione preventiva, impedendo, da un lato, di concentrare la prevenzione sulle fattispecie contrattuali di maggiore rilevanza economica, e concorrendo, dall’altro, ad abbassare gli standard qualitativi delle stesse informazioni rese dalle Forze dell’Ordine, coinvolte in un controllo generalizzato di tipo amministrativo, che diventa sostanzialmente inutile, perché qualitativamente poco accurato, in dipendenza del numero degli affari da trattare.

3. Nell’appello, il Ministero dell’interno deduce che:

- la tesi accolta dal TAR non è condivisibile, in quanto contrasta con il principio (desumibile dal d.P.R. 252/1998 e dal d.lgs. 159/2011 ed accolto dal giudice amministrativo) secondo il quale, una volta formulata la richiesta di informazione, il Prefetto è tenuto a darvi seguito, mentre l’Amministrazione richiedente, una volta ricevuta l’interdittiva, anche in casi diversi da quelli in cui ne è obbligatoria l’acquisizione, è tenuta a non corrispondere le somme all’interessato;

- in via gradata, la sentenza merita riforma con riferimento alla condanna alle spese disposta nei confronti della Prefettura (in solido con la Regione Calabria), in quanto la richiesta presentata dalla Regione alla Prefettura recava un valore superiore alla soglia di cui all’art. 1, comma 2, lettera e), del d.P.R. 252/1998.

4. L’appellata si è costituita in giudizio e controdeduce, sostenendo che:

- la Regione non avrebbe dovuto richiedere l’informazione antimafia, e men che mai procedere alla revoca del contributo una volta ricevutala, in quanto si trattava di un contributo di importo (complessivamente, pari ad euro 130.204,69 e quindi) al di sotto della soglia minima (300 milioni, pari ad euro 154.937,06) prevista dal d.P.R. 252/1998;

- un precedente invocato nell’appello (Cons. Stato, III, n. 2798/2013) non si attaglia al caso in esame, in quanto riguarda un appalto inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, mentre altre sentenze hanno affermato il principio ribadito dalla sentenza appellata (cfr. Cons. Stato, VI, n. 240/2008;
V, n. 4533/2008);

- quanto alle spese, la Prefettura era stata edotta dell’effettivo importo del contributo.

5. L’appello è fondato e deve pertanto essere accolto.

6. Ai sensi dell’art. 10, comma 1, del d.P.R. 252/1998, applicabile ratione temporis alla presente controversia), le Pubbliche Amministrazioni « devono acquisire » le informazioni antimafia in relazione a determinate soglie di valore, corrispondenti:

- per gli appalti di lavori, servizi e forniture, ad un valore pari o superiore a quello di rilevanza comunitaria (lettera a);

- per le concessioni di beni pubblici, ovvero di contributi, finanziamenti ed altre erogazioni dello stesso tipo (lettera b), nonché per l’autorizzazione di subcontratti, cessioni o cottimi concernenti la realizzazione di lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche (lettera c), ad un valore superiore ai 300 milioni di lire .

Ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera e), la documentazione antimafia « non è comunque richiesta » per i provvedimenti gli atti, i contratti e le erogazioni il cui valore complessivo non supera i 300 milioni di lire.

Analoghe disposizioni sono oggi contenute negli artt. 91, comma 1, e 83, comma 3, lettera e) del d.lgs. 159/2011, applicabile a decorrere dal 13 febbraio 2013;
in particolare, l’art. 91, comma 1, per gli appalti (lettera a), conferma il richiamo alla soglia di rilevanza comunitaria pro tempore vigente, e prevede negli altri casi (lettere b) e c) la soglia di 150.000 euro, mentre l’art. 83, comma 3, prevede che la documentazione antimafia non è comunque richiesta fino ad una soglia di 150.000 euro.

7. La giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di affermare, ancorché con riferimento al limite di valore dettato (dalla lettera a) in materia di appalti, come la scelta di un’amministrazione pubblica di avvalersi della possibilità di richiedere l’informativa non è preclusa dall’art. 10, comma 1, del d.P.R. 252/1998 (che impone l’obbligo di acquisire le informazioni, qualora l’importo della gara o della concessione superi la soglia normativamente posta), non essendovi un divieto di richiedere informazioni al di sotto della soglia indicata (in tal senso, cfr. Cons. Stato, V, n. 4533/2008;
VI, n. 240/2008;
III, n. 2798/2013 – si tratta delle sentenze invocate dalle parti, pronunciate in giudizi in cui l’interdittiva incideva su appalti, per i quali, a differenza di quanto avviene per le altre ipotesi, esiste una “zona grigia” tra la soglia minima che comporta la “doverosità” dell’acquisizione, e quella massima generale di “esclusione” della richiesta).

Sempre in relazione ad un appalto al di sotto di detta soglia, questa Sezione ha affermato più di recente che, a prescindere dalla legittimità della richiesta d’informazione antimafia, il contenuto interdittivo della stessa valga a precludere la nascita di un rapporto contrattuale tra la stazione appaltante ed i soggetti coinvolti dall’informativa o, ancora, a paralizzare le sorti di un rapporto già sorto tra le parti (cfr. III, n. 2040/2014).

Ancora più di recente, questa Sezione si è pronunciata in ordine ad un’interdittiva emessa in relazione ad una situazione del tutto analoga a quello oggi in esame (in quanto, anche in quel caso, si trattava di un contributo di 35.000 euro, a valere sulla «Misura 112 del PSR Calabria 2007/2013», comportante l’obbligo di attivazione della «Misura 121», per la quale era concesso un ulteriore contributo).

In tale occasione, la Sezione, dopo aver sottolineato che il valore complessivo dell’incentivazione superava la soglia di rilevanza di 150.000 euro, ha anche affermato che, a prescindere dalla questione sull’ammontare del contributo, la richiesta di informazioni fatta alla Prefettura, anche se non obbligatoria, non poteva ritenersi certo illegittima, osservando come ciò sia coerente con la finalità dell’informativa interdittiva, in quanto volta ad evitare che l’Amministrazione possa avere rapporti contrattuali o anche erogare risorse pubbliche ad imprese, per le quali è stato accertato il rischio di condizionamento da parte della criminalità organizzata (cfr. Cons. Stato, III, n. 3386/2014).

8. Il Collegio (pur osservando che, nel caso in esame, l’ulteriore contributo concesso in relazione alla «Misura 121» è pari a 95.204,69 euro, e quindi, sommato all’altro oggetto di revoca, non comporta il superamento della soglia di valore dei 150.000 euro) ritiene preferibile l’orientamento espresso da tale ultima pronuncia.

8.1. Infatti (anche valorizzando le considerazioni svolte da TAR Lazio, I, n. 7566/2012, richiamata nell’appello), deve ritenersi che le disposizioni sulle «soglie di valore»:

- nel costituire, in un caso (artt. 10, comma 1, del d.P.R. 252/1998, e 91, comma 1, del d.lgs. 159/2011), la fonte di un obbligo assoluto dell’amministrazione procedente, e nell’altro (artt. 1, comma 2, del d.P.R. 252/1998 e 83, comma 3, del d.lgs. 159/2011), quella di un’esenzione da tale obbligo, si propongono di conformare, anche ai fini delle conseguenti responsabilità, il buon andamento delle attività delle pubbliche amministrazioni procedenti;

- non possono essere interpretate nel senso che vi sarebbe una diminuzione dell’attenzione del legislatore nei confronti del pericolo di condizionamento delle imprese da parte di associazioni criminali, ostativo all’instaurazione di un rapporto con l’amministrazione.

Tale interpretazione, infatti, urterebbe contro la ratio della complessiva disciplina in materia (che mira a delimitare i rapporti economici con le Amministrazioni, solo quando l’impresa meriti la «fiducia» delle Istituzioni) e sovvertirebbe il principio che impone di assicurare, in sede interpretativa, effettività e concretezza alla tutela del bene protetto, soprattutto laddove, come avviene per le informazioni antimafia, questo assuma un ruolo assolutamente primario.

Per i rapporti «sotto soglia», possono dunque esservi le acquisizioni delle informazioni antimafia, sia quando si dia attuazione ad un «protocollo di legalità», sia quando questo non sia stato concluso.

Infatti, potendosi sempre accertare se l’impresa meriti la «fiducia delle Istituzioni», si può attivare il procedimento volto alla verifica della sussistenza o meno del tentativo di infiltrazione della criminalità organizzata, con il conseguente esercizio dei poteri della Prefettura.

8.2. Dunque, il principio generale da applicare - ai sensi dell'art. 10, comma 2, del d.P.R. 252/1998 e, oggi, dell’art. 94, comma 1, del d.lgs. 159/2011 - è quello per cui, quando emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni « non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni ».

Tale conclusione è l’unica coerente con le complessive finalità della disciplina delle informazioni antimafia, che è volta ad evitare radicalmente l’erogazione di risorse pubbliche a soggetti esposti ad infiltrazioni di tipo mafioso, e che pertanto mal tollera che ciò possa avvenire solo entro determinati limiti quantitativi.

9 . In conclusione, anche al di là dei casi in cui vi è l'obbligo per l'amministrazione procedente di richiedere le informazioni antimafia, essa è legittimata a richiederle, con i conseguenti poteri-doveri della Prefettura.

10. Per le ragioni che precedono, l’appello risulta fondato, sicché va respinta la censura ritenuta fondata dal TAR.

Non avendo l’impresa appellata riproposto in appello le censure concernenti la sussistenza dei presupposti ed il contenuto dell’interdittiva antimafia, esse vanno considerate rinunciate, ai sensi dell’art. 101, comma 2, del codice del processo amministrativo.

Pertanto, in accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado n. 201 del 2013.

Considerata l’evoluzione della giurisprudenza, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate.

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