Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-04-26, n. 202403775

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-04-26, n. 202403775
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202403775
Data del deposito : 26 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/04/2024

N. 03775/2024REG.PROV.COLL.

N. 08810/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8810 del 2023, proposto da
Gruppo Sda S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A G, R N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio A G in Roma, via Francesco Denza, 3;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), 23 agosto 2023, n. 13400, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2024 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e viste le conclusioni come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla società Gruppo SDA s.r.l.

contro

Roma Capitale per l’annullamento dei seguenti atti:

- determinazione dirigenziale n. prot. CO/160971/2018 del 19 ottobre 2018, notificata in data 23 novembre 2018 (n. rep. CO/2204/2018), mediante la quale la U.O. Amministrativa e Affari Generali del Municipio Roma X di Roma Capitale, ha stabilito: “ … di disporre nei confronti della Gruppo Sda S.r.l. 1) Il ripristino dello stato dei luoghi ovvero l'immediata rimozione dell'occupazione abusiva, di cui al verbale n. 14- 38102 del 12.04.2018, elevato nei suoi confronti dagli operatori di Polizia Locale X Gruppo Mare in Via Ermanno Wolf Ferrari 216, e comunque di ogni tassabile non autorizzato, a sua cura e spese;

2) la sospensione per tre giorni dell'attività commerciale sita in Via Salorno 16/30, a decorrere dal decimo giorno dalla data di notifica della presente determinazione dirigenziale, come previsto dal combinato disposto dall'art. 6 della Legge 25 marzo 1997 n. 77 e dall'art, 14, commi 5 e 6 della D.A.C. 39/2014, e comunque fino al completo ripristino di cui al punto 1) ” (ricorso principale);

- verbale di sopralluogo prot. n. VO/2019/34975 del 30 aprile 2019 del Corpo di Polizia di Roma Capitale, X Gruppo mare, conosciuto dalla ricorrente società mediante deposito telematico avversario, effettuato in corso di giudizio, in data 29 maggio 2019 e relativa documentazione fotografica;

- nota di trasmissione prot. CO20190081705 del 20 maggio 2019 della U.O. Amministrativa, a firma del Direttore N D B, anch'essa conosciuta dalla ricorrente società mediante depositato telematico avversario, effettuato il 29 maggio 2019 (motivi aggiunti).

1.1. La società Gruppo SDA s.r.l., che gestisce un esercizio commerciale di medie dimensioni in Roma, alla via Salorno, ha proposto i seguenti tre motivi di ricorso, avverso gli atti sopra specificati, relativi all’occupazione di “ un’area di parcheggio esterna con carrelli funzionali all’attività di vendita ”, pari a mq. 3,41 mq., in assenza di concessione di occupazione di suolo pubblico, quindi abusiva ai sensi degli artt. 14 e 14 bis del Regolamento in materia di occupazione suolo pubblico (OSP) e del canone (COSAP) comprensivo delle norme attuative del P.G.T.U. , da ultimo approvato con D.A.C. n. 39/2014:

- premesso che gli spazi oggetto delle contestazioni erano destinati alla sosta di carrelli dotati di ruote e necessari per gli acquisti, col primo motivo ha lamentato la violazione della normativa sulle concessioni di suolo pubblico (OSP) e sul canone (COSAP) e in particolare degli articoli 14 e 14 bis del detto Regolamento comunale, nonché la violazione della legge n. 241 del 1990 e vari profili di eccesso di potere, sostenendo che la normativa regolamentare non poteva trovare applicazione, poiché le aree destinate a parcheggio erano detenute a titolo di affitto e risultavano di proprietà privata e non transitabili nelle ore in cui l’esercizio commerciale era chiuso;
inoltre, la presenza dei carrelli mobili, dotati di ruote, avrebbe impedito di ravvisare una vera e propria occupazione di suolo;

- col secondo motivo ha lamentato la violazione delle stesse norme regolamentari sotto altri profili, perché l’amministrazione avrebbe ravvisato erroneamente una destinazione dell’area ad uso pubblico, che non sarebbe stata configurabile neanche sulla base di una dicatio ad patriam , essendo mancata l’intenzione di asservire il bene all’uso pubblico ( animus dicandi ad patriam ) ed essendo necessaria l’azione dinanzi al giudice civile, da parte di Roma Capitale, per l’accertamento della sussistenza di una servitù di uso pubblico;

- col terzo motivo ha dedotto la sussistenza di diversi profili di eccesso di potere, per travisamento dei fatti, assenza di istruttoria, carenza di motivazione e violazione del principio di legalità, per l’insussistenza dei presupposti degli atti impugnati.

1.2. Il tribunale, dato atto della costituzione di Roma Capitale, ha trattato congiuntamente i motivi di ricorso e li ha ritenuti infondati, reputando che “ l’area in questione si debba intendere destinata a parcheggio, al servizio della collettività, sulla base di una dicatio ad patriam”, conseguita ad una “scelta imposta” al proprietario sulla base del diritto urbanistico.

Data quindi la servitù di uso pubblico, per le ragioni illustrate in sentenza, il tribunale ha ritenuta legittimo “ l’atto repressivo dell’attività impeditiva del parcheggio ” di Roma Capitale, affermando che spetterebbe invece al privato proprietario o locatario la legittimazione ad agire innanzi al giudice civile per fare accertare l’insussistenza della servitù di “pubblico passaggio”.

Ha inoltre respinto le censure di violazione delle regole di partecipazione procedimentale e di difetto di motivazione.

1.3. Le spese sono state compensate per giusti motivi.

2. Avverso la sentenza il Gruppo SDA s.r.l. ha proposto appello con tre motivi.

2.1. Roma Capitale ha resistito all’appello.

2.2. Con ordinanza cautelare del 6 dicembre 2023, n. 4910 è stata sospesa l’esecutività della sentenza.

2.3. All’udienza dell’8 marzo 2024 la causa è stata assegnata a sentenza, senza discussione, su istanza di entrambe le parti, previo deposito di memoria dell’appellante e replica dell’amministrazione appellata, nonché di note di udienza dell’appellante.

3. Col primo motivo è censurata la sentenza per avere ritenuto sussistente una servitù di uso pubblico e quindi infondati i motivi di ricorso - riassunti nell’atto di appello - con i quali era stata denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 14 bis del Regolamento, nonché dedotto l’eccesso di potere per erronea presupposizione di fatto, travisamento dei fatti e assenza di istruttoria.

3.1. In primo luogo, l’appellante contesta che la destinazione a parcheggio di un’area limitrofa ad un esercizio commerciale consenta “a chiunque” di utilizzare i relativi spazi, “ che di conseguenza sono assoggettati ad una servitù di diritto pubblico ” (come affermato in sentenza), osservando che, se l’area è privata e priva di vincoli reali opponibili al proprietario o al titolare di diritto reale o personale di godimento, la stessa è strumentale all’attività commerciale ed utilizzabile non dalla collettività indifferenziata, bensì dalla clientela dell’esercizio commerciale durante i giorni e gli orari di apertura.

3.2. In secondo luogo, l’appellante contesta l’ulteriore affermazione della sentenza con cui è stata ritenuta irrilevante “ l’assenza di volontà della società appellante (e anche quella del proprietario dell’area in questione) di evitare la continua utilizzazione del parcheggio ” in quanto “ con la dicatio ad patriam si consente a chiunque di utilizzare un luogo anche per limitate ore del giorno, del mese o dell’anno e non occorre che vi sia continuatività dell’utilizzo ”. Osserva la società ricorrente che la dicatio ad patriam è incompatibile con la discontinuità dell’utilizzo e della messa a disposizione del bene e soprattutto con la specificità dell’utilizzatore, identificato ed identificabile con la clientela e non con la comunità generalizzata ed indifferenziata.

3.3. Richiamata la giurisprudenza civile ed amministrativa in tema di servitù di uso pubblico, l’appellante evidenzia che lo stesso Regolamento comunale sulla cui base è stato emesso l’atto impugnato prevede che la concessione di suolo pubblico possa riguardare le aree soggette a servitù di pubblico passaggio, “ costituita nei modi e termini di legge ”, dando con ciò rilevanza, non ad un dato di fatto, ma ad un elemento formale, insussistente nel caso di specie.

4. Il motivo è fondato e va accolto.

Premesso che è corretta tale ultima deduzione di parte appellante – in quanto l’art. 1, comma 2, del Regolamento prevede che questo “ si applica alle occupazioni di strade, aree e relativi spazi, soprastanti e sottostanti, che appartengono al demanio o patrimonio indisponibile del Comune di Roma, nonché di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio, costituita nei modi e termini di legge […]” – non è contestato che l’area adibita a parcheggio del supermercato, in piccola parte occupata dai carrelli, sia totalmente privata e non assoggettata ad alcuna servitù di uso pubblico formalmente imposta con titolo opponibile alla società ricorrente, detentrice dell’area in forza di contratto di locazione, od al proprietario locatore.

In proposito è sufficiente richiamare l’univoca giurisprudenza amministrativa per la quale la costituzione del diritto di servitù di uso pubblico presuppone di regola un atto, pubblico o privato, idoneo allo scopo, o l’intervento dell’usucapione ventennale (cfr. Cons. Stato, V, 27 febbraio 2019 n. 1369, che richiama Cons. Stato, sez. V, 31 agosto 2017, n. 4141, secondo cui “ L'esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a tal fine;
in particolare, laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell'esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato (provvedimento amministrativo, convenzione fra proprietario ed amministrazione, testamento) o l'intervento della usucapione ventennale, fermo restando che, relativamente a quest'ultimo titolo di acquisto del diritto, va preliminarmente accertata la riconosciuta idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico
”;
nello stesso senso Cons. Stato, II, 12 maggio 2020, n. 2992).

4.1. Dato ciò, nel presente giudizio è controverso se vi sia una situazione di fatto che manifesti la scelta dell’avente diritto di mettere a disposizione della collettività dei cittadini lo spazio limitrofo all’esercizio commerciale, adibito a parcheggio, determinandone un uso pubblico per dicatio ad patriam .

Secondo l’univoca giurisprudenza civile la cosiddetta dicatio ad patriam , quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consiste nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dare vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives , indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità' e dallo spirito che lo anima (così Cass., sez. I, 11 marzo 2016, n. 4851, nonché Cass. sez. II, 14 giugno 2018, n. 15618 e id., sez. I, ord. 27 giugno 2018, n. 16979, nonché, tra le altre, Cons. Stato, V, 8 gennaio 2021, n. 311).

Secondo tale univoca giurisprudenza, se è vero che non è richiesta la volontà del proprietario dell’area di dare vita ad un diritto di uso pubblico, è tuttavia necessario che la destinazione corrispondente risulti attuata in concreto e con carattere di continuità, senza che sia sufficiente la mera tolleranza del passaggio indiscriminato dei cives e senza che sia stata manifestata all’esterno una volontà contraria a tale passaggio (cfr. Cons. Stato, V, 19 gennaio 2024, n. 620).

4.1.1. Ne consegue che, contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r., la destinazione di un’area di proprietà privata a parcheggio a servizio di uno o più edifici, nel rispetto degli standard imposti dalla normativa di settore (ovvero in aumento o in riduzione di questi ultimi), se può essere rilevante ai fini della regolarità urbanistica od edilizia, quindi della destinazione d’uso dell’area, tuttavia non assoggetta quest’ultima ad una servitù di uso pubblico.

La destinazione d’uso a parcheggio rende l’area funzionale, nel caso di specie, all’attività commerciale: trattandosi di area di proprietà privata, non ne consente tuttavia l’utilizzazione da parte di “chiunque”, cioè da parte di soggetti qualificati uti cives , bensì esclusivamente da parte dei clienti del supermercato nei giorni e negli orari di apertura.

In proposito, non può che essere ribadito che la servitù pubblica caratterizza il bene sul quale è impressa senza che ne sia possibile una delimitazione soggettiva dei beneficiari (cfr. nel senso che “ affinché un'area - nel caso di specie una strada - possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico, oltreché l'intrinseca idoneità del bene, è necessario che l'uso dello stesso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e, inoltre, per soddisfare un interesse pubblico generale Cons. Stato, sez. IV, 10 ottobre 2018, n. 5820), di modo che va esclusa la sussistenza dell’uso pubblico in caso di beneficio tratto unicamente dai proprietari dei fondi, per l’ubicazione di questi o da coloro che vi abbiano occasione di accedervi per esigenze connesse ad un’utilizzazione privata o rispetto a strade o spazi al servizio di un edificio o complesso di edifici (cfr. Cons. Stato, V, n. 311/2021 e n. 620/2024 cit.).

4.1.2. Venendo più specificamente a trattare della dicatio ad patriam , contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r., anche le modalità e i tempi di utilizzazione del parcheggio sono rilevanti, poiché, oltre a confermare la delimitazione soggettiva degli utilizzatori essendo l’area a servizio dell’attività commerciale, risultano del tutto incompatibili con detta modalità di costituzione di servitù di uso pubblico.

Come ben osserva l’appellante, lo stesso giudice di primo grado aveva ritenuto rilevanti a fini istruttori lo stato dei luoghi e le modalità della loro utilizzazione, avendo richiesto all’amministrazione resistente, con ordinanza collegiale n. 2950/2019 (adottata all’esito della camera di consiglio del 5 marzo 2019), di depositare chiarimenti documentati in ordine al fatto se la superficie occupata dai carrelli fosse recintata o comunque delimitata nell’orario di chiusura dell’esercizio commerciale, tanto da precluderne a terzi il libero accesso.

In disparte la contestazione dell’esito dell’apposito sopralluogo della Polizia di Roma Capitale, documentato con verbale 30 aprile 2019 prot. n. 2019/34975 (impugnato con motivi aggiunti perché il sopralluogo non sarebbe stato effettuato in orario di chiusura del supermercato come richiesto dal collegio), è sufficiente constatare che risulta accertato che i carrelli si trovavano collocati in una struttura metallica, idonea a mettere gli stessi a disposizione dei clienti del supermercato, inserita in un’area prospiciente la carreggiata, tale da costituire un proseguimento dei parcheggi del supermercato segnalati da apposito cartello.

Questo essendo lo stato dei luoghi di proprietà privata, è del tutto irrilevante la circostanza se i carrelli fossero o meno rimossi e portati all’interno del supermercato in ora notturna, così come sono irrilevanti le caratteristiche della struttura metallica che li conteneva e degli stessi carrelli. Rileva invece che l’area di parcheggio, al cui margine erano collocati, risultasse riservata alla clientela dell’esercizio commerciale, tanto da essere ubicata nello spazio adiacente al supermercato, segnalato da apposito cartello di parcheggio per la clientela e con ingresso munito di sbarra di delimitazione della proprietà privata.

L’accessibilità da parte di “chiunque” in orario diurno (e anche in orario notturno, per mera ipotesi, decisamente contestata dall’appellante) non vale certo a manifestare la destinazione del bene a pubblico parcheggio, non essendo desumibile affatto dallo stato dei luoghi che il soggetto proprietario ovvero la società conduttrice, che gestisce l’esercizio commerciale, avesse messo volontariamente, con carattere di continuità, l’area di parcheggio a disposizione della collettività.

4.2. Il primo motivo di appello va accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati, non sussistendo i presupposti, ai sensi degli artt. 14 e 14 bis del Regolamento comunale in materia di occupazione suolo pubblico e del canone , per assoggettare l’area occupata dai carrelli a provvedimento di concessione di occupazione di suolo pubblico, in quanto area di proprietà privata, non gravata da vincolo di servitù di uso pubblico.

5. L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo (formulato per omesso esame della censura relativa all’inidoneità dei carrelli mobili a perpetrare un’occupazione sine titulo ovvero per rigetto di tale censura) e del terzo (formulato per censurare il rigetto del motivo concernente il vizio di motivazione del provvedimento impugnato e l’omesso esame del motivo concernente lo sviamento di potere).

6. Per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, va accolto il ricorso della società Gruppo SDA s.r.l. e vanno annullati gli atti impugnati.

7. Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo a carico dell’amministrazione capitolina ed a favore della società appellante.

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