Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-06-16, n. 201503033

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-06-16, n. 201503033
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201503033
Data del deposito : 16 giugno 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07852/2014 REG.RIC.

N. 03033/2015REG.PROV.COLL.

N. 07852/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7852 del 2014, proposto da:
Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. A S, L M, Carla D'Aloisio, E D R, domiciliata in Roma, Via Cesare Beccaria , n.29;

contro

Edizione Property Spa quale Incorporante della F. &
S T Sl, in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dagli avv. A B, F B, G P, con domicilio eletto presso G P in Roma, viale Giulio Cesare n.14a/4;

nei confronti di

Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.12;
Equitalia Nord Spa;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA SEZIONE I n. 00883/2014


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Edizione Property Spa Quale Incorporante della F. &
S T Sl e di Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 marzo 2015 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Sgroi, Bianchini, Busetto, Pafundi e dello Stato Varrone T.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – I fatti di causa possono essere sintetizzati come segue:

Con l’art. 5 bis del d.l. n.96/95, convertito dalla l. n.206/95 e con l’art. 27 del d.l. n.669/96, convertito dalla l. n.30/97 che a sua volta rinviava al decreto ministeriale del 5 agosto 1994, il legislatore italiano ha introdotto una serie di benefici contributivi nel periodo 1995/1997 in favore dei datori di lavoro che svolgevano la loro attività nelle città di Chioggia e Venezia. Di tali benefici non veniva data preventiva comunicazione alla Commissione europea al fine di valutarne la compatibilità con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato.

La Comunità europea, venuta a conoscenza della erogazione di tali benefici, avviava un procedimento che si è concluso con la decisione del 25 novembre 1999 (2000/394/CE). Nella predetta decisione si è statuito che i benefici fruiti dalle aziende ai sensi della sopradetta legislazione e dell’art. 1 del d.m.

5.8.1994 sono aiuti di stato e sono incompatibili con il mercato comune quando sono stati accordati ad imprese che non sono piccole e medie imprese e che sono localizzate al di fuori delle zone aventi diritto alla deroga prevista

Sulla base di tale decisione la Commissione affidava all’Italia l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti dichiarati incompatibili con il mercato comune secondo le procedure del diritto nazionale e con relativi interessi a decorrere dalla data in cui le somme erano state poste a disposizione dei beneficiari fino al loro effettivo recupero.

La decisione veniva notificata allo Stato Italiano il 10 gennaio 2000.

Tale decisione veniva impugnata da numerose imprese interessate (n.59) nel settembre 2000 davanti al Tribunale di Lussemburgo che selezionava 4 cause pilota (promosse rispettivamente da Hotel Cipriani, Italgas, Coopservice e Comitato “Venezia vuole vivere”) in quanto ritenute riepilogative delle questioni proposte dalle varie aziende ricorrenti. Con sentenza del 28 novembre 2008 (T-254/00) il Tribunale di Lussemburgo, decidendo le cause pilota, le respingeva.

La sentenza del Tribunale di Lussemburgo veniva impugnata dalle ricorrenti delle cause pilota, ma la Corte di Giustizia respingeva le impugnazioni proposte con sentenza del 9 giugno 2011 specificando che:

a) nel caso di un programma di aiuti la Commissione studia le caratteristiche del programma di cui trattasi per valutare nella motivazione della sua stessa decisione se, in base alle modalità previste da tale programma, esso assicuri un vantaggio sensibile ai beneficiari rispetto ai loro concorrenti e sia tale da giovare essenzialmente a imprese che partecipino agli scambi tra Stati membri (punto 63 della sentenza 9 giugno 2011);

b) se in base alla valutazione di cui sopra la Commissione reputa un regime di aiuti incompatibile con il mercato comune e per l’effetto ordina il recupero degli aiuti illegittimamente erogati “..spetta poi allo Stato membro verificare la situazione individuale di ciascuna impresa interessata da una simile operazione di recupero (punto 64 della sentenza 9 giugno 2011);

c) prima di procedere al recupero, in particolare, “le Autorità nazionali devono necessariamente verificare in ciascun caso individuale, se l’agevolazione concessa può, in capo al suo beneficiario, falsare la concorrenza ed incidere sugli scambi intracomunitari (punto115);

d) spetta alle “autorità nazionali…previamente dimostrare alla luce delle considerazioni esposte ai punti 113-121, che le agevolazioni concesse costituiscono, in capo ai beneficiari, aiuti di stato” (punto 183).

In concomitanza con la sopra richiamata sentenza della Corte di Giustizia, il Tribunale di Lussemburgo ha ordinato la riapertura degli altri procedimenti (altri rispetto alle cause pilota) e con successiva ordinanza ha respinto i ricorsi.

Appellate le ordinanze del Tribunale, la Corte di Giustizia con ordinanza del 4 settembre 2014 ha respinto le impugnazioni ribadendo “il principio della istruttoria caso per caso” di cui alla sopra citata sentenza del 9 giugno 2011 e che “Le autorità nazionali erano tenute a verificare in ciascun caso individuale se le agevolazioni concesse fossero idonee a falsare la concorrenza e ad incidere sugli scambi comunitari”.

A seguito della decisione della Commissione europea lo Stato italiano ha avviato il procedimento di recupero degli aiuti incompatibili affidandolo all’I.N.P.S. (d’ora in poi, per comodità solo Inps o Istituto) che in una prima fase ha operato tramite cartelle esattoriali ai sensi del d.lgs. n.46/1999.

Tali cartelle venivano impugnate davanti al giudice del lavoro presso il Tribunale di Venezia con atti di opposizione.

Il 1° gennaio 2013 è entrata in vigore la legge 24 dicembre 2012 n.228 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” con cui lo Stato Italiano nell’art. 1 co 351 e ss. ha tra l’altro posto nel nulla l’azione di recupero precedentemente svolta dall’Inps. L’Istituto inviava alle imprese un formulario per la valutazione della compatibilità con il mercato comune degli aiuti concessi alle imprese operanti nei territori di Venezia e Chioggia nel periodo 1.7.1994 - 30.12.1997 prescrivendo alle imprese di fornire gli elementi corredati da idonea documentazione necessari per la identificazione dell’aiuto anche con riferimento alla sua idoneità a falsare la concorrenza e incidere sugli scambi comunitari. L’Istituto comunque decideva di intraprendere d’ufficio, anche al di là della acquisizione del formulario, una istruttoria preordinata all’azione di recupero di cui è causa.

Infine, all’esito di tale istruttoria, tenuto conto del parere espresso dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato ai sensi dell’art. 22 della legge n.287/1990, l’Inps, con l’avviso di addebito oggetto delle impugnazione in primo grado davanti al Tar Veneto, procedeva al recupero delle somme dovute.

Con la sentenza impugnata il Tar Veneto riteneva che il ricorso era fondato con riferimento ai motivi di gravame con cui le ricorrenti lamentavano la violazione dell’art. 1, commi 351 e segg. della legge n. 228 del 2012, nonché per carenza di istruttoria e di motivazione in quanto l’Inps, prima di procedere al recupero, non avrebbe in concreto verificato se gli sgravi concessi erano idonei effettivamente a falsare la concorrenza ed incidere negativamente sugli scambi comunitari generando una distorsione della libera concorrenza con specifico riferimento alla situazione di mercato esistente al momento di operatività dell’agevolazione stessa.

Per il Tar era insufficiente l’affermazione contenuta negli impugnati avvisi di addebito secondo cui risulterebbe “valutata l’idoneità dell’agevolazione fruita dall’impresa in indirizzo a falsare od a minacciare la concorrenza ed incidere sugli scambi comunitari”, trattandosi di dichiarazione meramente tautologica e di stile, in quanto priva di ogni riscontro valutativo dal quale si potesse desumere l’iter motivazionale che aveva condotto a ritenere la contestata agevolazione alla stregua di un aiuto di Stato in contrasto con la normativa comunitaria.

Il Tar quindi accoglieva il ricorso assorbendo le ulteriori doglianze proposte da parte ricorrente.

L’Inps in proprio e quale mandatario di Società Cartolarizzazione dei crediti Inps ( S.C.C.I. s.p.a.) ha presentato appello per la riforma della sentenza del Tar.

Nell’atto di appello l’Istituto evidenzia i criteri alla base del formulario per la redazione del quale l’Inps ha sentito le categorie interessate con un incontro in data 14 febbraio 2013 e si è avvalsa della Direzione Servizi Pubblici Locali e Promozione della Concorrenza della Autorità garante della concorrenza e del mercato.

L’appellante eccepisce l’erroneità della pronunzia del giudice di prime cure nella parte in cui ritiene sussistente il difetto di istruttoria.

Parte appellata si è costituita nel giudizio di appello contestando puntualmente le ragioni addotte dall’Inps e riproponendo i motivi e le eccezioni dedotte in primo grado non esaminate e/o assorbite dal primo giudice.

In sede cautelare questo Consiglio di Stato ha disposto la sospensione della sentenza appellata.

In vista dell’udienza di trattazione parte appellata ha depositato memorie e documentazione difensiva.

Alla udienza pubblica del 12 marzo 2015, dopo l’ampia discussione, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

2. - In primo luogo occorre delineare, sia pure brevemente, l’ambito applicativo del concetto di “aiuti di Stato” così come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria e conseguentemente da quella interna, fissando alcuni punti rilevanti ai fini della decisione dell’odierno contenzioso. L’attuale art. 107 del TFUE (ex art.87 TCE), paragrafo 1, sancisce che “Salve deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.”

Nel prosieguo della disposizione citata vengono poi tassativamente identificati una serie di casi, insuscettibili di estensione analogica, in presenza dei quali tali agevolazioni possono ritenersi compatibili con il mercato interno dell’Unione.

Pertanto l’art. 107, così come gli artt. 108 e 109 TFUE, pongono disposizioni preordinate alla realizzazione di un regime di concorrenza non falsata in quanto dirette ad evitare che il sostegno finanziario pubblico intervenga ad alterare la competizione paritaria tra le imprese all’interno del mercato comune.

Affinché la misura nazionale possa essere qualificata come aiuto di Stato ex art. 107, paragrafo 1 TFUE, deve trattarsi di un intervento effettuato mediante risorse pubbliche, la misura deve essere idonea ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza per il rafforzamento della impresa beneficiaria a danno dei concorrenti che sopportano i costi evitati dalla prima (sentenza Commissione/Deutsche Post, C-399/08 P, EU:C:2010:481,punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

Le misure attuate devono essere caratterizzate da selettività e cioè non rappresentare strumenti di politica economica generale per lo sviluppo del sistema, bensì integrare misure specifiche, essenzialmente rivolte a favorire determinati settori ed aree geografiche collocando le imprese esistenti in posizione di vantaggio rispetto ad altre che si trovino in una situazione analoga sul piano giuridico e fattuale.

Costante giurisprudenza comunitaria si è pronunziata in maniera particolarmente severa e rigorosa nel senso di ritenere incidenti sulle relazioni tra gli Stati membri gli aiuti concessi da un ordinamento interno ed idonei a rafforzare la posizione di una impresa rispetto ad altre concorrenti nell’ambito dei rispettivi scambi, senza l’obbligo di dimostrare che dette misure palesino una ripercussione effettiva sugli scambi stessi, né creino una altrettanta effettiva distorsione della concorrenza (v. sentenze Unicredito Italiano, C-148/04, EU:C:2005:774, punto 54;
Cassa di Risparmio di Firenze e a., C-222/04, EU:C:2006:8, punto 140;
Libert e a., C-197/11 e C-203/11 EU:C:2013:2008, punto 76, nonché Eventech, -158/13, EU:C:2015:9, punto 65).

Più in particolare è stato rilevato con formulazioni “trachant” che “..nemmeno è necessario che il beneficiario partecipi agli scambi intracomunitari in quanto quando uno Stato membro concede un aiuto a una impresa, detto aiuto può contribuire a mantenere o aumentare la sua attività sul mercato nazionale con la conseguenza che le opportunità per le imprese con sede in altri Stati membri di inserirsi nel mercato ne vengono ridotte…inoltre il rafforzamento di una impresa che non abbia ancora partecipato a scambi intracomunitari può porla nella condizione di penetrare il mercato di un altro Stato membro” (nota del 21 novembre 2012 della Commissione europea).

Occorre poi osservare che la decisione della Commissione relativa a un regime di aiuti illegittimo che imponga il recupero degli aiuti versati ha di regola portata generale anche se i beneficiari del regime di aiuti siano identificabili;
si impone quindi la necessità da parte dello Stato membro in sede di recupero di analizzare in concreto la posizione di ciascuna impresa caso per caso applicando i criteri di ordine generale fissati.

Gli accertamenti cui è tenuto lo Stato membro al fine di verificare se l’attività svolta dall’impresa sia inidonea a falsare la concorrenza non incidendo sugli scambi comunitari non hanno alcun contenuto discrezionale, nulla potendo disporre sugli assetti pubblici coinvolti, ma carattere meramente conoscitivo o esecutivo essendo tesi esclusivamente ad acclarare in fatto, per conto della stessa Commissione europea, se le imprese presentino o meno quelle caratteristiche cui la disciplina comunitaria e la Commissione europea ricollegano gli effetti derivanti dalla applicazione dell’art. 107 (87) paragrafo 1 sopracitato.

E’ la fonte sovranazionale che determina l’effetto al solo verificarsi del fatto giuridico costituito dall’atto di accertamento dell’attività dell’azienda sugli scambi comunitari.

La politica degli aiuti gravita infatti sulla Commissione (art. 108 TFUE), dominus sulla procedura di controllo sugli aiuti, sia essi “esistenti”, (concessi prima dell’entrata in vigore del Trattato), sia “nuovi”, i cui progetti devono essere costantemente notificati alla Commissione e rimangono sospesi nella erogazione fino a che non vengano autorizzati con apposita decisione positiva.

Al giudice nazionale è data la possibilità di interpretare la nozione di aiuto solo sotto il profilo della verifica fattuale delle condizioni esonerative dello stesso, ovvero chiedendo l’intervento chiarificatore della Corte di Giustizia con lo strumento del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, in modo da consentire una applicazione che contribuisca all’attuazione del diritto comunitario, essendogli comunque preclusa la valutazione della compatibilità dell’aiuto con il mercato comune in base ai criteri enunciati dall’art.107 (ex 87), trattandosi di compito che spetta in via esclusiva solo alla Commissione europea sotto il controllo del giudice comunitario.

Peraltro il potere-dovere del giudice nazionale di conformarsi al diritto comunitario, concepito quest’ultimo come un unicum con il diritto interno, ma su quest’ultimo automaticamente prevalente, comporta la disapplicazione, di propria iniziativa, non solo delle regole processuali del diritto interno, ma anche di ogni altra disposizione interna quand’anche di rango legislativo, che impedisca il recupero dell’aiuto di Stato dichiarato illegittimo, rendendo inoperanti, in nome del principio di effettività ed immediatezza del recupero, addirittura lo stesso giudicato interno ex art.2909 c.c., la certezza dei rapporti giuridici, gli spazi temporali del recupero (prescrizione), l’incolpevole affidamento del beneficiario dell’aiuto ed ancor più in generale, possibili profili di legittimità costituzionale delle norme interne.

Infatti, secondo la Corte di Giustizia, è possibile avvalersi delle norme nazionali al fine di disciplinare le azioni di recupero solo nella misura necessaria per l’attuazione del diritto comunitario, ma l’applicazione delle norme nazionali non deve menomare la portata e l’efficacia del diritto comunitario, come avverrebbe in particolare se tale applicazione della norma interna rendesse praticamente impossibile il recupero delle somme irregolarmente versate.

Al riguardo, sia la Corte di Cassazione, che la Corte Costituzionale, seguendo la rigida interpretazione adottata dalla giurisprudenza comunitaria, hanno più volte precisato che le disposizioni comunitarie ricevono diretta applicazione nell’ordinamento italiano, pur non abrogando, né modificando la norma interna incompatibile, che deve essere invece disapplicata da ogni giudice nazionale.

Giova ulteriormente sottolineare, anche per il tipo di argomentazioni ampiamente spese dalla parte appellata e per la rilevanza della questione in punto di onere della prova, che è l’operatore economico a doversi rendere parte diligente verificando e dimostrando in sede di recupero la regolarità ed il rispetto delle procedure destinate ad accertare la compatibilità della concreta concessione dell’aiuto con le norme comunitarie che lo prevedono e ne regolano il regime, e ciò sempre nella prospettiva che l’unico ordinamento a dovere essere applicato e rispettato in prima battuta è quello comunitario (Cass. 25 marzo 2003 n.4354 e Corte Cost., ord. n.36 del 6 febbraio 2009).

Con l’effetto che se l’impresa ha goduto di un beneficio pubblico derivante da una disposizione normativa interna allo Stato membro, non approvata, come nel caso in esame, preventivamente dalla Commissione (aiuto non notificato), tale impresa si assume il rischio che la Commissione medesima possa poi successivamente dichiarare incompatibile l’aiuto statale e richiedere allo Stato membro il suo recupero, dovendosi dunque escludere in radice il legittimo affidamento del beneficiario.

Ancora deve aggiungersi che l’obbligo di restituzione del beneficio illegittimamente goduto è diretto al ripristino dello status quo ante mediante la rimozione del vantaggio indebitamente goduto dal beneficiario rispetto ai suoi concorrenti.

La regola de minimis fissa una cifra assoluta quale soglia di aiuto al di sotto della quale si può considerare come inapplicabile l'articolo 107 (87), paragrafo 1 e l'aiuto non è più soggetto all'obbligo della previa notifica alla Commissione.

Tale regola si basa sul principio che, nella grande maggioranza dei casi, gli aiuti di importo esiguo non hanno alcun impatto sensibile sugli scambi e sulla distorsione della concorrenza tra Stati membri.

Per poter beneficiare di tale misura, è necessario che l'aiuto tra l’altro soddisfi i seguenti criteri:

L'importo massimo totale (ratione temporis) deve restare entro il limite di € 100 000 su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo aiuto de minimis.

Tale importo comprende qualsiasi aiuto pubblico accordato a titolo della regola de minimis e non pregiudica la possibilità del beneficiario di ottenere altri aiuti in base a regimi autorizzati dalla Commissione.

3. – Fatte tali precisazioni di carattere generale, che tuttavia saranno riprese, per quanto necessario, nel prosieguo della trattazione, venendo più concretamente al caso in esame le misure di aiuto disposte dallo Stato italiano avevano riguardato:

-gli sgravi contributivi di cui all’art. 1 del decreto del ministero del Lavoro del 5 agosto 1994 in favore delle imprese situate a Venezia e Chioggia;

-lo sgravio totale degli oneri sociali di cui all’articolo 2 del decreto del 5 agosto 1994 per i nuovi posti di lavoro creati nelle imprese situate a Venezia a Chioggia.

Le autorità italiane, prima della Decisione finale del novembre 1999, avevano rappresentato alla Commissione che gli sgravi contributivi erano stati concessi per ovviare ai sovraccosti sostenuti dalle imprese operanti nelle isole della laguna quali, tra altri, costi di localizzazione elevati, costi aggiuntivi derivanti dal rispetto dei vincoli architettonici e paesaggistici, oneri logistici, disagi ambientali, invecchiamento e calo demografico della popolazione, regresso delle attività industriali, trasformazione di Venezia in città museo priva di vitalità e potenzialità di sviluppo ecc.. L’intervento pubblico, secondo l’intendimento del legislatore italiano, aveva la finalità di ripristinare parzialmente le condizioni di concorrenza tra imprese e avrebbe consentito alle stesse imprese di confrontarsi con le altre su un piano di parità.

La Commissione tuttavia riteneva che le misure adottate costituivano un regime di aiuti di Stato ai sensi dell’art. 107 (87) paragrafo 1 del Trattato comportando per l’Inps perdite di contributi, (il che equivaleva ad utilizzazione di risorse pubbliche), mentre le imprese, per effetto delle disposte misure, venivano a trovarsi in una situazione di sostanziale vantaggio rispetto alle imprese concorrenti che dovevano sostenere la totalità degli oneri. Inoltre le imprese beneficiarie erano per lo più imprese manufatturiere e nel settore dei servizi, con intensi scambi con gli Stati membri che venivano avvantaggiati, mentre le possibilità di altre imprese stabilite negli Stati membri di esportare i loro prodotti ne risultavano diminuite. Sottolineava la Commissione che il carattere compensatorio dell’intervento non escludeva che si trattasse di aiuto di Stato.

Osservava incisivamente la Commissione che il Trattato non mirava alla salvaguardia di una situazione di perfetta parità teorica tra imprese che invece operavano in un contesto reale e non in un mercato perfetto nel quale le condizioni che si trovavano ad affrontare erano assolutamente identiche.

L’articolo 1 della parte dispositiva della Decisione della Commissione del 1999 disponeva che in alcuni casi gli aiuti potevano considerarsi compatibili quando erano accordati alle piccole e medie imprese, o ad imprese localizzate in zona ammissibile alla deroga di cui all’art. 87 paragrafo 3 lettera c) del Trattato (gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterassero le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse) ovvero a qualsiasi altra impresa che assumeva categorie di lavoratori con particolare difficoltà di inserimento o di reinserimento nel mercato del lavoro.

Per il resto, gli aiuti erano incompatibili ed andavano recuperati da parte dello Stato italiano (articolo 5).

Poiché la Decisione della Commissione europea si era occupata delle caratteristiche generali del regime di aiuti in questione, anche in relazione al loro carattere multisettoriale, sullo Stato italiano veniva imposto un onere di verificazione della concreta situazione individuale di ciascuna impresa beneficiaria dell’agevolazione ed interessata dalle operazioni di recupero, come stigmatizzato anche dalla sentenza della Corte di Giustizia CEE del 6.10.2011 C-302/09.

3. .1. - Lo Stato italiano è intervenuto con la disciplina ad hoc rappresentata dall’art. 1 co. 351 e ss della legge n.228 del 2012 affidando all’Inps il compito di richiedere alle imprese beneficiarie degli aiuti de qua, gli elementi e la documentazione necessari per la identificazione dell’aiuto di Stato illegale “anche con riferimento alla idoneità dell’agevolazione concessa, in ciascun caso individuale a falsare la concorrenza ed incidere sugli scambi intracomunitari”.

Il co.352 della legge prevede che le imprese “forniscono le informazioni e la documentazione in via telematica, entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta”.

Il co. 353 prevede che qualora le imprese destinatarie della richiesta dell’Inps omettano senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti, l’idoneità dell’agevolazione a falsare o a minacciare la concorrenza e incidere sugli scambi comunitari “è presunta e conseguentemente, l’Inps provvede al recupero integrale dell’agevolazione..”.

Il co.354 prevede che, ricevuta la risposta da parte delle imprese e quindi esaurita l’attività istruttoria anche a seguito del parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’Inps notifica l’avviso di addebito di cui all’art. 30 del d.l.78/2010 convertito nella l. n.122/2010 aumentato degli interessi calcolati sulla base del regolamento CE n.794/2004 dalla data in cui si è fruito dell’agevolazione e sino alla data del recupero effettuato.

3.2. - L’Inps ha fornito alla predetta Autorità garante per la concorrenza e per il mercato l’elenco delle aziende beneficiarie degli sgravi contributivi e in potenza destinatarie del recupero con specifica indicazione dei settori economici e delle attività da ciascuna effettivamente esercitate.

L’Istituto è stato invitato dall’Autorità sopradetta ad utilizzare, quale modello guida per la predisposizione della richiesta di informazioni prevista dalla legge n.228/2012, il “Formulario per la comunicazione di una operazione di concentrazione” in uso presso l’Autorità;
la motivazione di tale scelta era riposta nella analogia della materia e nelle tipologie di settori di attività in cui le imprese operavano

Inviato tale formulario ed acquisite le risposte dalle imprese, l’Inps le ha verificate, comunque reperendo, circostanza non irrilevante nella vicenda, anche d’ufficio la documentazione afferente alla singola posizione individuale o per settori di attività.

4. - Occorre ora esaminare le censure sollevate in appello dall’Inps che ha sostenuto, sia pure con formulazioni evincibili dal contesto complessivo dell’atto, la erroneità della sentenza del primo giudice atteso che, contrariamente all’assunto delle ricorrenti in primo grado, esisteva una effettiva istruttoria “caso per caso” sull’aiuto di Stato illegale nei confronti delle imprese interessate.

Ritiene la Sezione che le conclusioni alle quali è pervenuto in maniera radicale il primo giudice, non possano essere condivise in specie, come si vedrà, in relazione alle caratteristiche della attività istruttoria che si richiedeva all’Inps ai fini del recupero dei benefici concessi.

4. 1. –Come già rilevato nelle ordinanze cautelari della Sezione (ex plurimis n.4747/2014), la legge n.228 del 2012 art. 1 co. da 351 a 356 ha posto disposizioni di carattere straordinario ed emergenziale, di carattere meramente attuativo ed esecutivo, a fronte delle stringenti sollecitazioni della Corte di Giustizia e della Commissione europea (comunicazione del 10.7.2012) per riportare a normalità, all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale e comunitario, una situazione di risalente inadempienza dello Stato italiano (la Commissione si era pronunziata il 25 novembre 1999) suscettibile di determinare pesanti conseguenze sanzionatorie a carico dell’Italia da parte della stessa Unione Europea.

Infatti lo Stato membro, destinatario di una Decisione che gli impone di recuperare aiuti illegittimi, è tenuto, ai sensi dell’art. 249, quarto co. Trattato CE ad adottare ogni misura idonea ad assicurare la esecuzione della Decisione;
si tratta di un obbligo di risultato e il recupero non deve essere solo effettivo, ma immediato.

Né potrebbero addursi impossibilità impreviste o imprevedibili di recupero, tali non essendo né le difficoltà giuridiche, ed in specie procedurali e conseguenti a provvedimenti cautelari o giudiziari anche passati in giudicato, né pratiche, né politiche.

Il concetto di impossibilità assoluta è stato costantemente interpretato in maniera restrittiva dalle Corti comunitarie ed è stato escluso che la impossibilità possa essere rinvenuta nella normativa nazionale sulla prescrizione (cfr. Comunicazione della Commissione 2007 C 272/05 punti 18-20) o su qualsiasi altra normativa interna tale da rendere difficoltoso o impossibile il recupero.

Peraltro lo Stato italiano non aveva mai chiesto modifiche alle Decisioni della Commissione europea adducendo impossibilità pratiche di recupero.

La normativa interna in esame (co.351), consentendo all’Inps di richiedere alle imprese beneficiarie degli aiuti concessi sotto forma di sgravio: ”..gli elementi corredati della idonea documentazione, necessari all’identificazione dell’aiuto anche con riferimento alla idoneità dell’agevolazione concessa, in ciascun caso individuale, a falsare la concorrenza ed incidere sugli scambi comunitari”, ha garantito libertà di scelta da parte delle imprese in relazione ai documenti da depositare, con il solo monito che un ingiustificato rifiuto od una altrettanta ingiustificata omissione in tale senso, sarebbero stati posti a fondamento di una presunzione iuris tantum circa la idoneità della agevolazione a falsare la concorrenza, incidendo sugli scambi comunitari.

Come già rilevato, l’onere della prova attraverso cui dimostrare la liceità dell’aiuto concesso, non poteva che gravare sulle stesse imprese beneficiarie. La regola del diritto europeo è nel senso che chi ha usufruito di un aiuto deve collaborare con l’autorità amministrativa per consentire la verifica della legittimità di tale fruizione, in specie quando l’aiuto non è stato previamente notificato, regola che non ha alcun effetto derogatorio rispetto al codice civile ed è conforme alla regola interna, costantemente applicata dal giudice nazionale, secondo la quale è onere del datore di lavoro che intende usufruire della riduzione contributiva in forza di una legge speciale che riconosca lo sgravio contributivo, a dovere provare i fatti costitutivi del proprio diritto.

Infatti l’obbligo di collaborazione da parte di imprese beneficiarie di sgravi contributivi è disciplinato dall’ordinamento interno all’art. 59 decimo co. del d

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