Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-03-04, n. 201401023
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N. 01023/2014REG.PROV.COLL.
N. 06019/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6019 del 2006, proposto da:
Condominio "Rosa Marina Residence", già Condominio Peluso, in persona dell’amministratore p.t., rappresentato e difeso dagli avv. S G, A F, con domicilio eletto presso S G in Roma, via di Monte Fiore 22;
contro
Comune di Pulsano in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. P L, con domicilio eletto presso Roberto Masiani in Roma, piazza Adriana, 5;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE II n. 02700/2005, resa tra le parti, concernente autorizzazione agli scarichi di edifici costruiti in epoca remota.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2013 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati S G e Roberto Masiani su delega dell'avvocato P L;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
E’ gravata una sentenza del TAR Puglia avente ad oggetto la sorte degli scarichi fognanti a dispersione, autorizzati unitamente all’intervento edilizio, prima dell’entrata in vigore delle norme di tutela delle acque di cui alla legge 319/76.
Questi in sintesi i fatti di causa rilevanti:
Lo stabile condominiale “Rosa marina residence” posto a pochissima distanza dal mare (300 mt), era assentito nel 1973 con licenza edilizia contemplante, tra l’altro, prescrizioni in ordine allo smaltimento degli scarichi in vasca Imhoff.
Nel 1987 il servizio igiene e prevenzione della locale USL rilevava la mancanza di un depuratore fognario e la dispersione del sottosuolo delle acque reflue proveniente dallo stabile condominiale.
Il sindaco del Comune di Pulsano emetteva ordinanza con la quale, constatata la mancanza di autorizzazione specifica di cui alla legge 319/76, revocava l’abitabilità e l’agibilità ordinando all’amministratore di adeguare l’impianto di scarico.
Il condominio adiva il TAR, ritenendo che la disciplina autorizzatoria di cui all’art.9 della legge 319/76 non potesse applicarsi ad edifici costruiti ed assentiti in data precedente, disponendo - le norme transitorie - un obbligo in tal senso solo per gli insediamenti produttivi (vi era, secondo il ricorrente solo un obbligo di denuncia, tra l’altro ottemperato nell’87).
Il TAR, pur non negando che la disciplina transitoria effettivamente distinguesse tra insediamenti produttivi (obbligati a richiedere autorizzazione anche se edificati in precedenza) ed insediamenti civili non recapitanti in pubbliche fognature, imponendo per questi ultimi il solo obbligo di denuncia, ha sostenuto tuttavia che l’assenza di autorizzazione potesse giustificarsi per il periodo transitorio (13 giugno 76/ 13 giugno 86) e non anche nel periodo successivo, retto da una diversa e più rigorosa disciplina integrata dagli artt. 8, 14 e 25 della legge 319/76 e dall’art. 43 della l.r. Puglia 24/83.
Ha proposto appello il Condominio “Rosa marina residence”
Secondo l’appellante, lo scadere del termine assegnato dal legislazione statale alle Regioni per l’approvazione del Piano di risanamento non potrebbe avere l’effetto di imporre tout court il regime autorizzatorio di base, anche perché mancano (mancavano) le disposizioni tecniche attuative finalizzate all’adeguamento. La stessa regionale 24/83 demanda a successivo regolamento l’emanazione di norme tecniche e, solo, con regolamenti n. 1/88 e 4-5/89 queste sarebbero state approvate (Regolamenti, tra l’altro, ora espressamente abrogati e sostituiti dal reg. reg. 12 dicembre 2011, n. 26). Dunque – nella tesi dell’appellante - nel 1987 (data dell’ordinanza sindacale) il condominio non aveva altro onere che la denuncia.
Il Comune, costituitosi in giudizio, ha chiesto la reiezione del gravame.
Il Collegio, con ordinanza n 2693/2013, ha disposto istruttoria tesa a verificare la concreta evoluzione della vicenda in sede amministrativa nel periodo successivo alla proposizione del gravame. La causa è stata quindi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 20 dicembre 2013.
Dalle risultanze istruttorie è dato evincere che dopo l’ordinanza sindacale di revoca dell’abitabilità (la cui efficacia è stata ab inizio sospesa in sede cautelare dal TAR), la stessa è stata “annullata” con sentenza del Pretore di Lizzano del 18/5/1989.
La sentenza civile probabilmente non è stata portata a conoscenza del TAR, che ha deciso sull’ordinanza come se essa fosse ancora valida ed efficace. In realtà nelle more del giudizio, e dopo la sospensione cautelare e l’annullamento in sede civile dell’ordinanza, la vicenda ha avuto ulteriori sviluppi, tanto che il 29/11/1999 è intervenuto un nuovo provvedimento comunale di revoca dell’agibilità, cui è seguito un nuovo provvedimento in data 20/06/2000, di revoca della revoca, essenzialmente giustificato dalla diversa opinione manifestata sul punto dalla Provincia, divenuta competente. Nessuno dei provvedimenti amministrativi citati è stato oggetto di impugnazione.
Il giudizio di primo grado, alla luce della sopravvenienze provvedimentali, avrebbe dunque dovuto essere dichiarato improcedibile per difetto di interesse. Lo stesso è invece giunto ad una decisione nel merito del ricorso, ed è stato respinto in quanto infondato.
Il gravame si è concentrato sul merito delle statuizioni, ed il Comune non ha ritenuto di dover gravare in via incidentale la decisione (nella parte in cui ha deciso nonostante il difetto di interesse), né, invero, di profilare in alcuno modo la questione.
Il Collegio pertanto non può esimersi dal prendere posizione sui motivi d’appello, nei limiti in cui questo possa ancora eventualmente risultare utile all’appellante.
L’appello è fondato.
La disciplina autorizzatoria degli scarichi è stata introdotta dall’art.9 della legge 319/76, quindi è pacifico che al momento della costruzione dell’edificio di cui si discute essa non fosse ancora esistente. In via transitoria la normativa ha previsto l’obbligo di autorizzazione solo per gli scarichi degli insediamenti produttivi anche se antecedenti, mentre per gli insediamenti civili non recapitanti in pubbliche fognature ha semplicemente previsto un obbligo di denunzia ( nel caso di specie ottemperato) stabilendo che la relativa disciplina tesa all’adeguamento fosse definita dalle Regioni attraverso l’adozione di “piani di risanamento delle acque”.
In questo quadro normativo, sostenere – come ha fatto il primo giudice - che all’obbligo di denuncia possa sostituirsi, senza bisogno di alcuna espressa previsione, l’obbligo di autorizzazione ove la Regione non proceda alla redazione del Piano di risanamento, è interpretazione che, se da un lato assicura il perseguimento degli obiettivi di salubrità, dall’altro tradisce la lettera della legge ed il principio di affidamento nel disposto legislativo (ne è prova del resto il regolamento da ultimo approvato dalla Regione Puglia, 12 dicembre 2011, n. 26, il quale all’art.7 prescrive un obbligo di adeguamento degli impianti già esistenti non recapitanti nella rete fogniaria, entro due anni dalla sua entrata in vigore).
Piuttosto deve affermarsi che per gli scarichi degli insediamenti civili assentiti prima dell’entrata in vigore della legge 319/76 non occorre autorizzazione ex post, essendo già la licenza edilizia comprensiva delle prescrizioni in ordine agli scarichi (questa è del resto la tesi recentemente sostenuta dalla Cassazione, sez. II, 24/11/2008, n. 27895)
Ovviamente ciò non significa che l’impianto di smaltimento a dispersione sia conforme o possa essere mantenuto in essere: piuttosto esso deve essere adeguato nei tempi e nei modi previsti dalla normativa regionale primaria e secondaria.
In conclusione, l’appello è accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, è accolto anche il ricorso introduttivo.
Avuto riguardo alle peculiarità della questione ed all’evoluzione del processo, le spese possono essere compensate.