Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-10-27, n. 201405306
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N. 05306/2014REG.PROV.COLL.
N. 01021/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1021 del 2005, proposto dal Comune di Jesolo, rappresentato e difeso dagli avv. A M e M S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;
contro
Il signor M R, rappresentato e difeso dagli avv. L R, M E V, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M E V in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 13;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Veneto, Sez. III, n. 2261/2004, resa tra le parti, concernente un diniego emanato dopo una d.i.a. per l’esercizio di un parcheggio autoveicoli e di motoveicoli a pagamento.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti l’avvocatp Gianluca Calderara, su delega dell’avvocato A M, e l’avvocato Gianluca Lemmo, su delega dell’avvocato M E V;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso n. 1699 del 2004, proposto al TAR per il Veneto, il sig. M R chiedeva l’annullamento della nota del Comune di Jesolo n. 18849 del 5 maggio 2004 con cui il Comune ha rigettato l’accoglimento della denuncia - presentata il 15 aprile 2004, n. 14992 - di inizio attività relativa all’esercizio di rimessa di autoveicoli e motocicli;e della delibera della Giunta Comunale n. 246 del 1° luglio 2003.
2. Il primo giudice con la sentenza indicata in epigrafe accoglieva il ricorso con la seguente motivazione: “ considerato che il ricorso è fondato per il primo, assorbente motivo con cui viene dedotta l’incompetenza del Comune ad emanare l’atto interdittivo del denunciato svolgimento di attività: tale competenza, infatti, spetta, ai sensi dell’art. 3 del DPR n. 480/01, al Prefetto, il quale, ricevuta la denuncia (che l’interessato deve presentare al Comune ove intende espletare l’attività, e questo, a sua volta, deve trasmettere entro cinque giorni al Prefetto), <<entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione può sospendere o vietare l’esercizio dell’attività nei casi previsti dall’art. 11, comma 2 del RD 18.6.1931 n. 773, per motivate esigenze di pubblica sicurezza>> ”.
3. Il Comune di Jesolo propone appello avverso la suddetta pronuncia, contestando la soluzione offerta dal TAR, e rilevando come l’art. 1, d.P.R. n. 480/2001, disponga che: “ L'esercizio dell'attività di rimessa di veicoli è subordinato a denuncia di inizio attività da presentarsi, ai sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al comune nel quale si svolge l'attività ”.
Il citato d.P.R. avrebbe abrogato l'articolo 196 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 e avrebbe modificato l’art. 86, primo comma, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nel senso di sopprimere le parole: « esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture ».
Pertanto la disciplina della d.i.a. avrebbe sostituito quella sulla autorizzazione ex art. 86, primo comma, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773.
Pertanto, in mancanza di conformità con la destinazione urbanistica dell’area, sarebbe spettato all’amministrazione comunale di provvedere insede di autotutela, inibendo lo svolgimento dell’attività in questione.
Al Prefetto competerebbe ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 480/2001, solo la verifica dei requisiti soggettivi. Una diversa conclusione porterebbe alla irragionevole conclusione che un’attività di rimessa di autoveicoli potrebbe essere aperta in qualsiasi parte del territorio comunale senza il rispetto del P.R.G.
3.1. Quanto ai motivi del ricorso introduttivo non esaminati dal TAR, l’amministrazione comunale ne sostiene l’infondatezza, in ragione del fatto che:
a) il provvedimento impugnato poggerebbe sul presupposto dell’incompatibilità dell’area con la destinazione urbanistica;
b) non vi sarebbe carenza di motivazione, atteso che l’atto impugnato farebbe rinvio alle ragioni contenute nella sentenza del TAR n. 4670/2003, e a quelle del precedente diniego, la cui impugnazione è sfociata nella sentenza da ultimo citata;
c) la d.i.a. presentata non conterrebbe alcuna indicazione di stagionalità, né la destinazione di un’area a parcheggio sarebbe compatibile con qualsiasi destinazione urbanistica;
d) l’attività di autorimessa, in quanto attività commerciale, sarebbe esercitabile solo su area con tale destinazione o su aree con destinazione urbanistica diversa solo in presenza di determinati presupposti, quali la presenza di un interesse pubblico e la verifica del tasso di soddisfazione dei parcheggi esistenti (interesse pubblico che non sarebbe esistente, come si deduce dall’atto impugnato e dal precedente diniego).
4. L’originario ricorrente si costituisce in giudizio, chiedendo la conferma della sentenza impugnata e riproponendo i motivi assorbiti dal primo giudice:
I) carenza di presupposto atteso che anche a ritenere sussistente una competenza concorrente del comune e del Prefetto, l’attività può essere inibita solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 3, d.P.R. n. 480/2001, che nella fattispecie non ricorrono;
II) difetto di motivazione, perché nel primo diniego la richiesta avrebbe riguardato anche la sosta di campers, circostanza quest’ultima evidenziata anche nella sentenza del TAR n. 4670/2003, che avrebbe sorretto il diniego non annullato dalla citata sentenza, ma che non avrebbe caratterizzato la successiva d.i.a.;
III) difetto di motivazione, perché non si comprende quale lesione deriverebbe al vincolo urbanistico di destinazione dell’area per il gioco e lo sport, dall’attività di rimessa in questione, poiché l’attività di parcheggio sarebbe compatibile con qualunque destinazione urbanistica;
IV) l’attività di rimessa è un’attività economica privata, che non è sottoposta ad alcuna destinazione urbanistica, non potendosi confondere con quella che riguarda i parcheggi pubblici, tanto da non trovare conforto in alcuna destinazione impressa dal P.R.G. all’epoca vigente.
4.1. Con successiva memoria, l’appellato chiede che sia dichiarato il difetto di interesse al presente appello, atteso che l’attività in questione non sarebbe più soggetta neanche a s.c.i.a., come si evincerebbe dalla nota n. 5379 del 19 luglio 2011 della polizia locale, ufficio di vigilanza annonaria, quindi, non potrebbe essere oggetto di un atto quale quello impugnato.
5. Preliminarmente, il Collegio ritiene che vada respinta l’eccezione dell’appellato sul difetto di interesse al gravame in esame, atteso che, pur essendovi staye modifiche normative che hanno riguardato l’attività in questione, l’annullamento del provvedimento impugnato in primo grado (ottenuto dall’originario ricorrente), opera ora per allora e potrebbe essere posto a base di una domanda risarcitoria.
Sicché, poiché l’Amministrazione ha titolo ad ottenere la riforma della sentenza che ha determinato la sua soccombenza, e poiché l’appellato non ha dichiarato di non avere più interesse alla definizione del giudizio, il Collegio si deve pronunciare sull’appello.
6. L’appello è fondato e deve essere accolto.
A seguito, infatti, dell’introduzione del d.P.R. n. 480/2001, l’attività di rimessa di veicoli è stata sottoposta a d.i.a. da presentarsi all’amministrazione comunale nel cui territorio si svolge l'attività, ai sensi dell’art. 19 della legge generale sul procedimento, mentre spetta al Prefetto la verifica ai sensi dell’art. 3 del citato d.P.R. la possibilità di inibire l’attività per ragioni di pubblica sicurezza.
È evidente, quindi, che il potere di autotutela di cui al citato art. 19, resta nelle competenze dell’amministrazione comunale, mentre il potere inibitorio spettante al Prefetto è fondato su presupposti diversi e va esercitato ai sensi dell’art. 3, del d.P.R. n. 480/2001 (cfr. Cons. St., Sez. I, 24 giugno 2011, n. 2561).
Deve quindi escludersi il difetto di competenza dell’amministrazione comunale, rilevato invece dal TAR.
7. Deve a questo punto procedersi all’esame dei motivi riproposti in seconde cure dall’originario ricorrente.
7.1. Quanto al primo, esso risulta infondato, perché il potere di emanare atti in sede di autotutela da parte dell’amministrazione comunale è previsto dall’art. 19, l. n. 241/90, che impone la loro emanazione in assenza dei presupposti per l’esercizio dell’attività soggetta a d.i.a., e non sulla base dell’art. 3, d.P.R. n. 480/2001.
7.2. Anche il secondo motivo va respinto.
Dall’esame del provvedimento impugnato in primo grado, non si riscontra, infatti, un difetto di motivazione, avendo l’amministrazione comunale esternato adeguatamente le ragioni per le quali ha ritenuto di dover inibire l’attività in questione, sia facendo esplicito riferimento alla destinazione urbanistica dell’area ritenuta non compatibile con l’attività di rimessa di veicoli, sia per relationem facendo rinvio a quanto esposto dal TAR nella sentenza n. 4670/2003 ed al precedente diniego, oggetto di esame con la pronuncia da ultimo citata.
7.3. Anche le due ultime censure non possono trovare accoglimento, atteso che la destinazione urbanistica indicata nel P.R.G. all’epoca vigente risulta incompatibile con l’attività in questione, ed è questo elemento sufficiente per ritenere che ivi un’attività di rimessa non possa essere esercitata, contrastando con la vocazione impressa dal piano urbanistico.
Né può sostenersi, come sostiene l’appellato, che l’attività di rimessa in questione non sarebbe sottoposta a previa specifica destinazione da parte degli strumenti urbanistici, sicché potrebbe esercitarsi ovunque: la destinazione specifica dell’area a sport e gioco che impedisce l’attività in questione e comunque l’attività per la quale è stata presentata la d.i.a. può essere svolta solo se è consentita dallo strumento urbanistico (risultando, ad es., incompatibile con la destinazione agricola).
Del resto è agevole immaginare che qualora tutti i proprietari delle aree in questione presentassero analoga d.i.a., la destinazione dell’area diverrebbe irrealizzabile.
8. L’appello, pertanto, deve essere accolto, sicché, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di prime cure. Le spese dei due gradi seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.