Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-04-10, n. 202403285

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-04-10, n. 202403285
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202403285
Data del deposito : 10 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/04/2024

N. 03285/2024REG.PROV.COLL.

N. 03321/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3321 del 2023, proposto da Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per Le Province di Brindisi e Lecce, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Ciak di A M &
C S, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato S L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Prima) n. 1587/2022


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ciak di A M &
C S;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2024 il Cons. Sergio Zeuli

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La sentenza impugnata ha accolto il ricorso proposto dalla parte appellata avverso il provvedimento del 10 maggio 2021 n.2922 col quale la Soprintendenza aveva espresso parere non favorevole per il mantenimento, nella stagione invernale, di alcune opere ed autorizzate solo per il periodo estivo, realizzate nello stabilimento balneare da questa gestito su suolo demaniale marittimo in località “Alimini”, comune di Otranto.

A supporto del gravame, la parte appellante precisava di avere espresso parere contrario sull’istanza, dopo aver constatato che la società appellata non aveva smontato le strutture, malgrado la sentenza n.5922 del 15 ottobre del 2018 del Consiglio di Stato, in accoglimento del ricorso, avesse annullato l’autorizzazione n.15 del 2018 rilasciata alla parte.

In ogni caso, aggiungeva l’esponente, dette opere certamente non erano suscettibili di rientrare nei casi previsti dall’art.167 comma 4 del d. lgs. 42/2004, perché - consistenti in sistemazione del chiosco bar, adeguamento dei servizi igienici e realizzazione di pedane in legno – avevano determinato la creazione di nuovi volumi e superfici.

La sentenza impugnata ha accolto il ricorso, ritenendo fondato il denunciato difetto di istruttoria e di motivazione del parere, fermo il potere/dovere della P.A. di rideterminarsi sull’istanza.

Avverso la decisione la parte appellante deduce i seguenti motivi di appello:

I ERROR IN IUDICANDO;
ERRATA INTEPRETAZIONE DELLA L. 30

DICEMBRE

2018, N. 145, ART. 1, C. 246 e 103, C.2 DEL D.L. 18/2020

II ERROR IN IUDICANDO: VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 146 DEL D.LGS 42/2004.

2. Si è costituita in giudizio la controinteressata società Ciak di A M &
C s.a.s. contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.

DIRITTO

3. In fatto la vicenda che ha dato origine alla presente controversia è riassumibile nei termini che seguono.

La parte appellata gestisce, in Alimini, su di un’area demaniale marittima, uno stabilimento balneare con area pertinenziale accessoria destinata a discoteca ed a servizi complementari per la balneazione. L’area dedicata a quest’ultimo servizio ha una serie di strutture fisse, oggetto in passato di condono;
viceversa, la parte dedicata a servizi complementari/accessori presenta strutture precarie ed amovibili, assistite da un titolo edilizio stagionale, che sono state oggetto di istanza di mantenimento, presentata al comune il 18 gennaio del 2019, ai sensi della legge 145/2018 fino al 31 dicembre del 2020.

A seguito di CILA del 3 marzo del 2020, dette strutture sono state poi oggetto di lavori di manutenzione straordinaria;
alcune di esse, in ragione dell’emergenza COVID, non sono state reinstallate.

Con l’entrata in vigore delle disposizioni emergenziali di cui al d.l. n.34 del 19 maggio del 2020, convertito nella legge n.77 del 2020, sono stati effettuati infine alcuni interventi per garantire il rispetto delle misure prescritte per far fronte all’emergenza epidemiologica oggetto della CILA dell’1 agosto del 2020 e consistenti nei ricordati servizio igienico aggiuntivo, chiosco bar supplementare e pedane in legno.

Il 14 dicembre del 2020, la parte appellata ha poi presentato una CILA per mantenere alcune delle opere precarie così realizzate, in conformità a quanto previsto dall’art.264 comma 1 lett. f) del d.l. 34/2020 citato, sul presupposto della loro compatibilità con le norme edilizie ed urbanistiche.

Nell’ambito del procedimento conseguentemente avviato dal comune di Otranto, dopo che il RUP aveva espresso parere favorevole ritenendo la compatibilità paesaggistica delle predette opere, non comportando l’intervento incremento di superfici o di volumi, la Soprintendenza, andando in contrario avviso, ha emesso il ricordato parere negativo, come detto motivato soprattutto con la constatazione che la parte non aveva più titolo a mantenere le strutture, essendole stata revocata, dal Comune, l’autorizzazione paesaggistica n.15 del 2018, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n.5922 del 2018.

Come pure ricordato, nel suddetto parere la Soprintendenza aggiungeva che comunque le opere de quibus non avrebbero potuto rientrare nei casi cui al comma 4 dell’art.167 del d. lgs. n.42/2004 perché, diversamente da quanto ritenuto dal RUP del comune, avevano creato nuove superfici e nuovi volumi.

La sentenza impugnata ha accolto il ricorso ritenendo il difetto di istruttoria e di motivazione nell’atto impugnato.

4. Il primo motivo d’appello contesta alla gravata decisione di non aver considerato che, con la sentenza n.5922/2018 del Consiglio di Stato, era stata definitivamente confermata la legittimità degli atti con cui la Soprintendenza aveva espresso parere negativo sulla possibilità di mantenere, nel corso dell’intero anno, la struttura di cui alla controversia.

In esito a detto sentenza, infatti, il comune di Otranto aveva revocato l’autorizzazione paesaggistica ed il permesso di costruire rilasciati alla società, dopo che il TAR Lecce, con la sentenza n.1412/2017, in accoglimento del ricorso, aveva annullato il diniego originariamente opposto dallo stesso comune con provvedimento n.8 del 2017.

Di conseguenza – precisa il motivo in analisi - al momento dell’entrata in vigore della legge n.145 del 2018, ossia al 30 dicembre del 2018, la parte appellata non vantava una pretesa giuridica all’ottenimento della proroga, e quindi al mantenimento delle opere, perché avrebbe dovuto smontarle entro il precedente 31 ottobre.

A maggior ragione – aggiunge la parte appellante - la pretesa al mantenimento delle strutture non avrebbe potuta fondarsi sulle previsioni, di molto successive ai fatti, della legge n.77 del 2020, dettate dall’esigenza di fronteggiare l’emergenza pandemica conseguente al virus Covid-19.

4.1. Il motivo è infondato per la semplice, ma dirimente constatazione che, dopo aver revocato i titoli edilizi e paesaggistici, il comune di Otranto, con la nota del 20 dicembre del 2018, ha sì ordinato alla parte di rimuovere le predette strutture, ma lo ha fatto concedendole un termine di trenta giorni, decorrente dalla notifica del provvedimento, per eseguire l’incombente.

Orbene, poiché prima della scadenza di detto termine - e cioè con la comunicazione del 18 gennaio del 2019 - quest’ultima ha manifestato l’intenzione di mantenere le dette strutture fino al 31 dicembre del 2020, ai sensi dell’art.1 comma 246 della legge n.145 del 2018, legge nel frattempo entrata in vigore, è evidente che, a quella data, non poteva ritenersi decaduta dalla possibilità di esercitare la relativa facoltà.

Indiscutibilmente, infatti, al 30 dicembre del 2018 (data di entrata in vigore della legge 145/2018) anche se ancora per pochi giorni, il mantenimento delle strutture non poteva dirsi illegittimo, in considerazione del “termine di adempimento” concesso alla parte dal competente comune di Otranto.

4.2. Il motivo in analisi sostiene, al contrario, che la detta concessione, anche se di fatto prorogata dal comune al 20 gennaio del 2019, essendo tornata ad essere “stagionale”, sarebbe dovuta scadere il 31 ottobre del 2018, senza la necessità di un’apposita intimazione da parte dell’ente locale.

Tuttavia neppure questa doglianza è fondata, laddove si tenga conto della ratio che ha ispirato la proroga contenuta nella legge n.145 del 2018, prevista proprio per prolungare, in attesa di un intero riordino della materia, le concessioni demaniali in corso, onde evitare un’improvvisa interruzione dell’esercizio e, con essa, danni patrimoniali ai concessionari, senza che si avesse un correlativo vantaggio per l’interesse pubblico.

4.3. Quanto precede rende palese a sua volta che, al momento dell’entrata in vigore della normativa emergenziale di cui al d.l. n.34 del 19 maggio del 2020, la parte appellata era titolare di una concessione ancora efficace e dunque titolare della pretesa al mantenimento della struttura fino al termine dell’emergenza, nonché del diritto di eseguire gli interventi di cui alla lett. f) comma 1 dell’art.264 del d.l. n.34 del 2020.

Così come è altrettanto indubitabile che la detta concessione fosse stata prorogata di ulteriori novanta giorni dal comma 2 dell’art.103 della legge n.18 del 2020.

4.4. Avuto riguardo a quest’ultima previsione, la parte appellante obietta che essa non sarebbe applicabile al caso di specie, in quanto avente ad oggetto una concessione stagionale, viceversa la proroga di novanta giorni ivi disposta riguarderebbe le sole concessioni stabili, ossia quel modello di concessione cui la parte aspirava, ma che non sarebbe stato giammai possibile riconoscerle in virtù della ricordata sentenza del Consiglio di stato n.5922 del 2018 che aveva definitivamente escluso quella possibilità.

Anche questa doglianza è infondata. Infatti il comma 2 del ricordato articolo 103 della legge n 18/2020 contempla, in modo onnicomprensivo, qualunque tipologia di concessioni, senza distinguere fra quelle annuali e quelle stagionali.

Peraltro, anche in questo caso, l’interpretazione restrittiva proposta dalla parte appellante contrasterebbe con la ratio conservativa della disposizione, che esprimeva l’evidente intento del legislatore di concedere una moratoria nell’esercizio delle attività autorizzate, resasi necessaria per ammortizzare gli effetti dannosi derivanti dal rallentamento dell’economia connesso all’adozione delle misure di contrasto al Covid 19.

In relazione all’applicazione dell’articolo 264 del d.l. n.34 del 2020 e del comma 2 dell’art.103 della legge 18 del 2020 va ciò non di meno precisato, in tali sensi correggendo e/o precisando la decisione del giudice di prime cure, che il diritto al mantenimento delle ridette strutture in capo alla parte è spirato al termine dell’emergenza, in conformità a quanto previsto dalla norma appena citata.

4.5. In definitiva, le ragioni che precedono inducono a condividere l’arresto del giudice di prime cure, nella parte in cui ha ritenuto essere il provvedimento impugnato affetto dai vizi di carenza di istruttoria e di difetto di motivazione.

5. Il secondo motivo d’appello contesta che, in ogni caso, la permanenza delle suddette opere sull’area in questione, per l’intero anno, facendole divenire stabili e non più precarie, contrasterebbe con la previsione dell’art.146 del d. lgs. n 42 del 2004.

Specificamente la parte appellante deduce che i territori costieri compresi entro i trecento metri dalla linea della battigia sono tutelati, ex lege , ai sensi di quanto previsto dall’art.142 comma 1 lett. a) del d. lgs. n.42 del 2004, rientrando nella generale nozione di beni paesaggistici di cui all’art.136 del codice.

Questa classificazione, conclude il motivo, contrasterebbe in sé con la possibilità di mantenere, in modo stabile sull’area demaniale le strutture contestate.

5.1. Il motivo è doppiamente irrilevante, innanzitutto perché, come fondatamente osservato dalla parte appellata, il diniego impugnato non affrontava, per così dire, frontalmente la questione della compatibilità paesaggistica di dette opere, e difatti non cita le previsioni appena ricordate, limitandosi a rilevare la non accoglibilità della istanza, per il contrasto dello stato di fatto, con il giudicato della sentenza del Consiglio di Stato n.5922 del 2018 e la conseguente mancata ottemperanza della parte all’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, impostole dal comune in esecuzione di quest’ultima.

Dunque sotto questo aspetto la doglianza si pone, almeno parzialmente, al di fuori del thema decidendum .

5.2. Il motivo è inoltre irrilevante anche per un’altra ragione. Infatti esso omette di rilevare che i principi affermati nella ricordata sentenza 5922 del 2018, sentenza passata in cosa giudicata, sono tuttora validi.

Quell’arresto ha ritenuto immune dai denunciati vizi di illegittimità il parere espresso dalla Soprintendenza ai sensi dell’art.146 del d. lgs. n.42 del 2004 riguardo all’incompatibilità del mantenimento delle opere in questione oltre il periodo stagionale, con motivazioni, oltre tutto condivisibili, che tuttora ostano alla concedibilità delle chieste autorizzazioni.

A tal proposito va, pertanto, di nuovo ribadito che il diritto della parte a mantenere le suddette opere sull’area va affermato esclusivamente fino alla dichiarazione della cessazione dello stato di emergenza e che, al termine di esso, torna a ri-espandersi il precedente assetto, per come emergente dalla ricordata decisione. Il che, come detto, dimostra l’inconsistenza della doglianza in esame.

6. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto dell’appello con conferma dell’impugnata sentenza, seppur con motivazione parzialmente diversa.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

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