Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-02-28, n. 202401944

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-02-28, n. 202401944
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202401944
Data del deposito : 28 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

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Pubblicato il 28/02/2024

N. 01944/2024REG.PROV.COLL.

N. 01300/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1300 del 2021, proposto da
Sky Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati O G e D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato O G in Roma, viale Bruno Buozzi 87;

contro

Autorita per le garanzie nelle comunicazioni - Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

F S, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 11428/2020, resa tra le parti, per ottenere:

a) la dichiarazione di nullità, l'annullamento o la disapplicazione:

a.1) della delibera AGCom n. 567/11/CONS, adottata dal Consiglio dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (di seguito, “Autorità” o “AGCom”) il 3 novembre 2011 (ma notificata alla ricorrente il successivo 1° dicembre 2011), recante “Ordinanza ingiunzione alla Società Sky Italia S.p.a. per la violazione dell'articolo 4, commi 1 e 2, della delibera n. 664/06/CONS per illegittima sospensione del servizio (proc. sanz. n. 28/11/DIT)”, con cui è stata irrogata alla ricorrente la sanzione pecuniaria di 58.000,00 euro (doc. n. 2;
i documenti indicati con i numeri arabi sono quelli già depositati nel giudizio di primo grado);

a.2) di ogni altro atto o provvedimento presupposto, coevo, connesso o consequenziale, ivi compresi, ove possa occorrere: a.2.1) il “Verbale di accertamento 28/11/DIT” adottato il 23 giugno 2011 dal Direttore della Direzione Tutela dei Consumatori dell'Autorità (doc. n. 3);
a.2.2) la coeva “Contestazione” relativa al Verbale di accertamento 28/11/DIT (doc. n. 4);
a.2.3) sempre ove occorrer possa e se ed in quanto atto presupposto, della delibera AGCom n. 664/06/CONS, avente ad oggetto “Adozione del regolamento recante disposizioni a tutela dell'utenza in materia di fornitura di servizi di comunicazione elettronica mediante contratti a distanza” ed il relativo Allegato A (doc. n. 5);
a.2.4) la delibera AGCom n. 136/06/CONS recante “Regolamento in materia di procedure sanzionatorie” ed il relativo Allegato A (doc. n. 6);

b) l'accertamento che la sanzione pecuniaria è stata illegittimamente irrogata dall'Autorità con la citata delibera n. 567/11/CONS, con conseguente condanna della stessa Autorità alla restituzione dell'importo di 58.000,00 euro, corrisposto – con riserva di ripetizione – dalla ricorrente, somma da maggiorarsi della rivalutazione monetaria e degli interessi.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2024 il Cons. T M e uditi per le parti l’avvocato O G e l’Avvocato dello Stato F V;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Sky Italia s.r.l. (anche “Sky”) propone appello avverso la sentenza n. 11428/2020 del T.A.R. per il Lazio, che respinge il ricorso N.R.G. 892/2012 per ottenere la dichiarazione di nullità, l’annullamento o la disapplicazione della delibera AGCom 567/11/CONS, avente ad oggetto “ Ordinanza ingiunzione alla Società Sky Italia S.p.A. per la violazione dell’art. 4, commi 1 e 2, della delibera n. 664/04/CONS per illegittima sospensione del servizio (proc. sanz. n. 28/11/DIT) ”, con cui è stata irrogata alla ricorrente la sanzione pecuniaria di 58.000 Euro, nonché degli atti presupposti, con conseguente condanna alla restituzione delle somme pagate.

2. Il provvedimento sanzionatorio in esame trae origine da una serie di disservizi segnalati da alcuni clienti Sky, tra cui la signora F S, la quale esponeva che, mentre era titolare di un abbonamento per la visione del “ pacchetto ” di programmi denominato “ Mondo Sky ” sottoscritto in data 13 luglio 2009, aveva scelto di aderire nel maggio 2010 alla promozione commerciale “ Mondiali+Cinema ” per il periodo dal 22 giugno al 31 agosto 2010;
ciononostante, la stessa sig.ra Serra lamentava di non aver potuto usufruire del pacchetto in promozione commerciale per tutto il mese di luglio 2010 e che, per tale motivo, la stessa non aveva pagato l’importo di 10,77 Euro oggetto della fattura inviata da Sky per l’attivazione della promozione commerciale, sporgendo reclamo alla stessa Sky per tale preteso disservizio. La stessa cliente denunciava che, pur avendo pagato per l’originario “ pacchetto base Mondo Sky ”, Sky aveva interrotto il segnale senza preavviso e senza rispondere al reclamo della cliente.

3. Il ricorso di primo grado si basa sui seguenti motivi:

i) illegittimità del provvedimento sanzionatorio in ragione della inapplicabilità, sul piano dei presupposti soggettivi, della delibera AGCom 664/06/CONS, recante “ Adozione del regolamento recante disposizioni a tutela dell’utenza in materia di fornitura di servizi di comunicazione elettronica mediante contratti a distanza ”: la ricorrente non rientrerebbe tra i destinatari del suddetto Regolamento, in quanto non fornisce beni e servizi di comunicazione elettronica, ma svolge attività di commercializzazione di pacchetti di programmi e/o di singoli contenuti (c.d. attività di piattaforma a pagamento), mentre il segnale è materialmente trasmesso da Eutelsat;

ii) in via subordinata, l’illegittimità del Regolamento per violazione delle direttive di settore, per come recepite nel Codice delle comunicazioni elettroniche;
carenza di potere regolamentare dell’Autorità;
eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità, disparità di trattamento, contraddittorietà, anche con altri provvedimenti della stessa Amministrazione;

iii) in via ulteriormente subordinata, illegittimità del Regolamento per violazione della direttiva 98/84 CE (sulla tutela dei servizi di accesso condizionato e ad accesso condizionato) e per incompatibilità dell’art. 31 TUSMAR (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), laddove assoggetta al regime dell’autorizzazione generale lo svolgimento delle attività di cui all’art. 2, lett. q) TUSMAR, con la direttiva 2002/20/CE;

iv) violazione della disciplina in materia di procedure sanzionatorie, ed in particolare del termine di 90 giorni di cui all’art. 14, l. n. 689/1981 e degli artt. 4 e 5 del Regolamento in materia di procedure sanzionatorie;

v) mancanza di corrispondenza tra la violazione oggetto dell’atto di contestazione e quella oggetto dell’ordinanza di ingiunzione;

vi) illegittimità del provvedimento per violazione degli artt. 4 e 5 del Regolamento;
violazione degli artt. 3, 4 e 14 l. n. 689/1981;
eccesso di potere per difetto dei presupposti illogicità, contraddittorietà, anche con altri provvedimenti della stessa Amministrazione, disparità di trattamento e difetto di motivazione.

4. Con la sentenza n. 11428/2020 il T.A.R. per il Lazio, Sezione Terza Stralcio, ha respinto il ricorso per le seguenti ragioni:

i) i primi tre motivi di doglianza si appalesano infondati, in quanto la questione interpretativa che adombrano è stata già risolta dalla CGUE, 7 novembre 2013, UPC Nederland, in causa C 518/11, la quale ha statuito che un servizio consistente nel fornire, a titolo oneroso, un accesso condizionato a un bouquet trasmesso via satellite, che includa servizi di diffusione radiofonica e televisiva, rientra nella nozione di «servizio di comunicazione elettronica»;
il fatto che la società ricorrente sia fornitore di un servizio ad accesso condizionato non determina la perdita della qualità di servizio di comunicazione elettronica da parte del servizio principale cui accede;
parimenti irrilevante ai fini della qualificazione della natura del servizio la circostanza che la trasmissione del segnale avvenga attraverso un’infrastruttura non appartenente alla ricorrente (che resta responsabile nei confronti degli utenti finali della trasmissione del segnale che garantisce a questi ultimi la fornitura del servizio a cui sono abbonati);
la censura relativa alla legittimità della disposizione interna che ha assoggettato i “ fornitori di servizi di accesso condizionato ” ad un regime di autorizzazione generale (cfr. art. 31 d.lgs. n. 177/2005 e s.m.i., c.d. TUSMAR), appare inconferente ai fini del giudizio;

ii) il quarto motivo di ricorso, relativo all’avvenuto decorso del termine per la notificazione dell’atto di contestazione al trasgressore, è infondato;
l’art. 5, comma 2, del Regolamento in materia di procedure sanzionatorie individua il dies a quo nel momento in cui l’accertamento del fatto è compiutamente avvenuto, vale a dire, nel caso di specie, nella trasmissione delle proposte di avvio del procedimento al Direttore prot. 514/11/DIT, del 6 aprile 2011;

iii) anche il quinto motivo è da respingere poiché dalla lettura dell’atto di contestazione e del verbale di accertamento (28/11/DIT) agli atti emerge chiaramente che l’Autorità ha contestato alla Società ricorrente la violazione dell’art. 4, commi 1 e 2, del predetto Regolamento;
il riferimento all’art. 5, comma 9 nella parte dispositiva dell’atto di contestazione è evidentemente frutto di un mero errore materiale, inidoneo a ledere il diritto di difesa della Società ricorrente nel procedimento sanzionatorio;

iv) infine, anche il sesto motivo si rivela infondato, dal momento che non appare illogica la motivazione della Delibera nella parte in cui l’Autorità ha ritenuto verosimilmente avvenuta da parte della cliente una prima comunicazione del disservizio alla ricorrente, in occasione della chiamata al call center del 28.08.11, nella quale la cliente ha chiesto chiarimenti sulla ultima fattura ricevuta.

5. Sky Italia s.r.l. impugna la sentenza di prime cure sulla base dei seguenti motivi.

5.1 Con il primo motivo deduce l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto che l’attività, svolta da Sky, di commercializzazione di pacchetti di canali televisivi debba farsi rientrare nella nozione di “servizi di comunicazione elettronica” e perciò ad essa debba applicarsi il Regolamento n. 664/06/CONS. Si argomenta che tale assunto, posto alla base tanto del provvedimento quanto della decisione del TAR, si porrebbe in contrasto sia con i criteri di qualificazione del “servizio di comunicazione elettronica” contenuti nelle direttive comunitarie, recepite nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 259/2003 (c.d. Codice delle comunicazioni elettroniche), sia con le più recenti pronunce della CGUE. Da un lato, si osserva come, ai sensi dell’art. 1, lett. gg) del Codice, il tratto caratterizzante della nozione di “servizio di comunicazione elettronica” è la «trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica», ragion per cui l’attività, svolta da Sky, di commercializzazione di pacchetti televisivi a pagamento dovrebbe piuttosto essere ricompresa nella nozione di «servizi che forniscono contenuti trasmessi utilizzando reti e servizi di comunicazione elettronica», i quali sono tuttavia espressamente esclusi dalla nozione di “servizi di comunicazione elettronica” (dall’art. 1, lett. dd), Codice, così come dai considerando n. 2 e 45 delle direttive di settore). Dall’altro lato, si mette in evidenza come i precedenti posti a fondamento della sentenza di primo grado siano stati travisati e/o superati da più recenti pronunciamenti della stessa CGUE (segnatamente, France Télèvisions e TV Play Baltic). A tal proposito, il principio ivi espresso, secondo cui un’impresa che si limiti a proporre la visione di programmi televisivi in streaming e in diretta su Internet non eroga un servizio di comunicazione elettronica, ma offre un accesso al contenuto di servizi audiovisivi forniti sulle reti di comunicazione elettronica, ben potrebbe applicarsi anche alla situazione di chi, come la società ricorrente, ritrasmette canali televisivi via satellite. Inoltre, per comprendere fino in fondo la portata della sentenza della CGUE UPC DTH sarebbe necessario far riferimento ad altra pronuncia di poco precedente (CGUE, UPC Nederland, alla quale la prima espressamente si ricollega), la quale avrebbe subordinato la qualificabilità del “servizio di comunicazione elettronica” al contestuale ricorrere di due precise condizioni;
e cioè, che:

a) tale servizio sia costituito da un’attività di vera e propria trasmissione del segnale;

b) tale attività costituisca la componente principale del servizio offerto;
requisiti pacificamente assenti nel caso della società ricorrente.

5.2 Con il secondo motivo deduce l’erronea reiezione da parte del giudice di primo grado della censura, proposta in via subordinata, relativa all’illegittimità del Regolamento adottato con delibera AGCom 664/06/CONS. Invero, le previsioni del Codice delle comunicazioni elettroniche che ne definiscono l’ambito di applicazione (cfr. artt. 1, 13, 70, 71, 79 e 98) non sembrano legittimare un intervento regolamentare dell’Autorità al di fuori dei “servizi di comunicazione elettronica”, con conseguente nullità (per assoluta carenza di potere) o, in subordine, illegittimità (per eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità, disparità di trattamento, contraddittorietà, anche con altri provvedimenti della stessa Amministrazione) del Regolamento e della relativa delibera di approvazione. Il potere regolamentare dell’Autorità non potrebbe trovare fondamento neppure nell’art. 1, co. 6, lett. b), n. 3 della l. n. 249/1997 (pure richiamato nel preambolo della delibera n. 664/06/CONS), il quale si limita a prevedere l’emanazione di regolamenti “ per la disciplina delle relazioni tra gestori di reti fisse e mobili e operatori che svolgono attività di rivendita di servizi di telecomunicazioni ”.

5.3 Con il terzo motivo lamenta l’erroneità della sentenza di prime cure nella parte in cui assimila l’insieme di attività costituenti la cd. piattaforma a pagamento con la fornitura di un “servizio di accesso condizionato”. Si evidenzia poi l’incompatibilità dell’art. 31 TUSMAR (laddove assoggetta al regime dell’autorizzazione generale lo svolgimento delle attività di cui all’art. 2, lett. q), dello stesso TUSMAR) con la direttiva 2002/20/Ce del 7 marzo 2002 (la cd. “direttiva autorizzazioni”), che invece limita l’ambito di applicazione di siffatto regime ai soli «servizi di comunicazione elettronica» e non ad altri servizi, come i «servizi correlati», in cui devono inquadrarsi i servizi di accesso condizionato.

5.4 Con il quarto motivo deduce l’erroneità della sentenza laddove non ha ravvisato il superamento del termine di 90 giorni previsto dall’art. 14 l. n. 689/1981 per procedere alla contestazione dell’infrazione;
a supporto di tale censura, si osserva che la nota con cui Sky (in data 15 febbraio 2011) rispondeva alla richiesta di chiarimenti da parte dell’Autorità conteneva una completa descrizione degli elementi soggettivi ed oggettivi che hanno poi indotto l’Autorità ad irrogare la sanzione, per cui non trova giustificazione il fatto che la Direzione Tutela dei Consumatori abbia notificato a Sky l’atto di contestazione delle violazioni soltanto il 28 giugno 2011, cioè ben oltre i 90 giorni prescritti dall’art. 14 della l. n. 689/1981. Il “completo accertamento del fatto” da cui decorre il termine in questione andrebbe fatto risalire a quella data, non implicando ulteriore attività d’indagine da parte dell’Autorità. Né sarebbe condivisibile l’obiezione secondo cui l’art. 5, co. 2, del “Regolamento sulle procedure sanzionatorie” imporrebbe che, in ogni caso, il termine di novanta giorni decorra solo dall’“accertamento” del fatto effettuato dal “responsabile” nominato dal Direttore della Direzione Tutela dei Consumatori, ai sensi del precedente art. 4, co. 6, del “Regolamento sulle procedure sanzionatorie”: in questo caso, infatti, basterebbe ritardare la nomina del responsabile per aggirare surrettiziamente il limite dei 90 giorni.

5.5 Con il quinto motivo deduce l’ error in iudicando in cui è incorso il TAR nella valutazione della censura inerente al difetto di corrispondenza tra la violazione oggetto dell’atto di contestazione (violazione dell’art. 5, co. 9, del Regolamento) e quella oggetto della ordinanza ingiunzione (violazione dell’art. 4, commi 1 e 2, del Regolamento). Al riguardo si ribadisce che nell’atto di contestazione si faceva riferimento ad una fattispecie (diversa dalla violazione effettivamente sanzionata) riguardante la mancata tempestiva disattivazione di un determinato servizio in caso di recesso da parte dell’utente, ostacolando così il pieno esercizio del diritto di difesa di Sky.

5.6 Infine, si deduce l’erroneità e apparenza della motivazione della sentenza laddove non ha accolto l’ultimo motivo di impugnazione, dal momento che il TAR avrebbe dovuto esaminare compiutamente tutte le contestazioni dell’Autorità e, quindi, la correttezza o meno di tutte le relative valutazioni, non potendo propendere per una indimostrata verosimiglianza delle stesse ovvero valorizzare – atomizzando gli elementi della fattispecie e ignorando circostanze invero assorbenti – l’asserita «interruzione del servizio fornito in ragione del mancato pagamento di una fattura parziale, di importo non particolarmente rilevante rispetto al valore del contratto, senza prima rispondere al reclamo presentato», con ciò disattendendo la necessità di un sindacato di full jurisdiction . In estremo subordine, la ricorrente eccepisce che comunque la sua condotta è stata improntata a correttezza e buona fede, mentre l’Autorità e il TAR basano il proprio giudizio negativo su circostanze per nulla provate, anzi dichiaratamente ipotetiche.

6. In data 5/02/2024 si costituiva nel giudizio d’appello l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, depositando memoria con cui chiede di dichiarare il gravame infondato in fatto e in diritto.

7. In data 09/02/2024 Sky Italia s.r.l. ha depositato una memoria di replica, in cui riporta ampi stralci motivazionali di una recentissima pronuncia del Consiglio di Stato (n. 9725/2023), che ha motivatamente escluso che l’attività che Sky eroga ai suoi clienti sia riconducibile ad una fornitura di un servizio di comunicazione elettronica propriamente inteso.

8. Alla pubblica udienza del 22 febbraio 2024 la causa passava in decisione.

9. La soluzione della controversia si fonda nel mancate ambito di applicazione soggettivo della direttiva 2002/21/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio (quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica) e del recepimento nazionale d.lgs. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e da questo Consiglio di Stato, e pertanto sono fondati il primo, secondo e terzo motivo dell’appello che per la loro stretta connessione possono esaminarsi congiuntamente.

10. Preliminarmente s’impone una breve ricostruzione della cornice giuridica che delimita la vicenda ed è a base del provvedimento impugnato.

10.1 Obiettivo centrale della ricordata direttiva quadro del 2002 (come novellata nel 2009), ratione temporis vigente, è, a mente del considerando 5, “ la convergenza dei settori delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell'informazione implica l'esigenza di assoggettare tutte le reti di trasmissione e i servizi correlati ad un unico quadro normativo. ” (…) Successivamente, sempre nel considerando 5, viene indicato che “ è necessario separare la disciplina dei mezzi di trasmissione dalla disciplina dei contenuti. Di conseguenza, il presente quadro normativo non si applica ai contenuti dei servizi forniti mediante reti di comunicazione elettronica che utilizzano servizi di comunicazione elettronica, come i contenuti delle emissioni radiotelevisive, i servizi finanziari e taluni servizi della società dell'informazione e lascia quindi impregiudicate le misure adottate a livello comunitario o nazionale riguardo a tali servizi in ottemperanza alla normativa comunitaria, per promuovere la diversità culturale e linguistica e per assicurare la difesa del pluralismo dei mezzi di informazione.

10.2 Tra le definizioni normative di cui alla predetta direttiva sono da ricordare specificamente le seguenti:

c) «servizio di comunicazione elettronica», i servizi forniti di norma a pagamento consistenti esclusivamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazioni elettroniche, compresi i servizi di telecomunicazioni e i servizi di trasmissione nelle reti utilizzate per la diffusione circolare radiotelevisiva, ma ad esclusione dei servizi che forniscono contenuti trasmessi utilizzando reti e servizi di comunicazione elettronica o che esercitano un controllo editoriale su tali contenuti;
sono inoltre esclusi i servizi della società dell'informazione di cui all'articolo 1 della direttiva 98/34/CE non consistenti interamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica;

d) «rete pubblica di comunicazioni», una rete di comunicazioni elettroniche utilizzata interamente o prevalentemente per fornire servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico;

e) «risorse correlate», le risorse correlate ad una rete di comunicazione elettronica e/o ad un servizio di comunicazione elettronica che permettono e/o supportano la fornitura di servizi attraverso tale rete e/o servizio, ivi compresi i sistemi di accesso condizionato e le guide elettroniche ai programmi;

f) «sistema di accesso condizionato», qualsiasi misura e/o intesa tecnica secondo la quale l'accesso in forma intelligibile ad un servizio protetto di diffusione radiotelevisiva è subordinato ad un abbonamento o ad un'altra forma di autorizzazione preliminare individuale.

10.3 La direttiva 2002/22/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale) stabilisce all’articolo 31 che “ 1. Gli Stati membri possono imporre ragionevoli obblighi di trasmissione per specifici canali e servizi radiofonici e televisivi nei confronti delle imprese soggette alla loro amministrazione che forniscono reti di comunicazione elettronica destinate alla distribuzione di servizi di diffusione televisiva o radiofonica al pubblico se un numero significativo di utenti finali di tali reti le utilizza come mezzo principale di ricezione di tali servizi di diffusione. Tali obblighi sono imposti solo qualora siano necessari a soddisfare precisi obiettivi di interesse generale e sono proporzionati e trasparenti. Essi sono soggetti a revisione periodica.

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