Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-06-15, n. 202305889

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-06-15, n. 202305889
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202305889
Data del deposito : 15 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/06/2023

N. 05889/2023REG.PROV.COLL.

N. 02949/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2949 del 2020, proposto dalla dott.ssa -OMISSIS- rappresentata e difesa dall’avv. D P, con domicilio digitale presso il medesimo in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma;

contro

Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, sezione staccata di -OMISSIS- (sezione prima), del --OMISSIS-resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2022 il cons. Francesco Guarracino e uditi per le parti l’avv. D P e l’avv. dello Stato Vittorio Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con istanza in data 11 luglio 2016, prot. 3102, la dott.ssa-OMISSIS- dirigente penitenziario già provvisoriamente incaricato della direzione della Scuola di formazione e aggiornamento del personale dell’amministrazione penitenziaria di -OMISSIS-chiedeva di essere trasferita presso la casa circondariale di -OMISSIS-con incarico provvisorio di vicedirettore del medesimo Istituto, presso il quale, alla data della domanda, già era distaccata come direttore aggiunto (vicedirettore) per due giorni la settimana.

La richiesta era motivata col fatto che, a seguito della riorganizzazione delle articolazioni dirigenziali territoriali dell’amministrazione penitenziaria, la scuola di formazione di -OMISSIS- era divenuta articolazione territoriale non dirigenziale e il relativo posto di funzione dirigenziale era stato soppresso, mentre presso la casa circondariale di -OMISSIS-erano previsti tre posti di funzione di dirigente d’istituto penitenziario (uno di direttore titolare e due di vicedirettore).

A suo supporto, l’istante rammentava che in caso di soppressione del posto di funzione dirigenziale al dirigente pubblico è data la possibilità di scegliere la sede dove essere trasferito e il diritto all’assegnazione a nuovo incarico.

2. – Dolendosi del silenzio asseritamente serbato dall’amministrazione sulla suddetta istanza, nonostante un sollecito del 20 gennaio 2017, la dottoressa -OMISSIS-ricorreva al Tar per l’Emilia Romagna, sede staccata di -OMISSIS-che con sentenza del 23 novembre -OMISSIS- accoglieva il ricorso ordinando all’amministrazione di provvedere in ordine all’istanza della ricorrente nel termine di giorni 30 dalla comunicazione della sentenza medesima.

3. – Con nota del 12 gennaio 2018, prot. 11082, l’amministrazione penitenziaria (Ufficio Terzo - Personale dirigenziale, amministrativo e non di ruolo) dava sostanziale riscontro negativo alla richiesta della dott.ssa -OMISSIS-in ragione dell’avvenuta attivazione di apposite procedure comparative per l’attribuzione degli incarichi dirigenziali di livello non generale:

… si rappresenta che allo stato non è possibile disporre il trasferimento in via definitiva, poiché la sede di interesse rientra tra quelle interessate dalla riorganizzazione del Ministero avviata con d.P.C.M. n. 84/2015 e successivi decreti attuativi e dalla conseguente attivazione della procedura per il conferimento degli incarichi così come disposto dal d.lgs. n. 63/2006.

Pertanto, nelle more della definizione della predetta procedura, è possibile disporre assegnazioni provvisorie disposte in ambito provveditoriale ”.

4. – Avverso il predetto provvedimento del 12 gennaio 2018 la dott.ssa -OMISSIS-- la quale, nelle more, dal 3 maggio 2017 al 6 ottobre 2017 aveva assunto la reggenza della casa circondariale di Forlì e dal 7 ottobre 2017 aveva svolto servizio come direttore aggiunto presso la casa circondariale di -OMISSIS-- ricorreva nuovamente al T.A.R. per l’Emilia Romagna, sede di -OMISSIS-chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato e il risarcimento del danno derivante dall’asserita attività persecutoria perpetrata nei suoi confronti nell’ambito lavorativo (c.d. mobbing ) e comunque dal demansionamento in tesi subito.

5. – Il ricorso è stato respinto dal T.A.R. con la sentenza indicata in epigrafe.

6. – La ricorrente ha appellato la decisione di primo grado.

7. – Il Ministero della giustizia si è costituito per resistere all’appello con memoria difensiva depositata il 12 maggio 2020.

8. – L’appellante ha prodotto una memoria di replica in data 21 novembre 2022.

9. – All’udienza pubblica il 13 dicembre 2022, con dichiarazione resa a verbale il difensore e procuratore dell’appellante ha rinunciato alla domanda di risarcimento del danno da mobbing , insistendo in quella per il demansionamento, e la causa è stata trattenuta in decisione.

10. – In via preliminare, occorre rammentare che per l’art. 73, comma 1, c.p.a, per il quale “ le parti possono … presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell’udienza, fino a venti giorni liberi ”, le repliche sono consentite soltanto con riferimento alle memorie depositate dalle controparti per l’udienza di discussione, col corollario che l’oggetto della replica deve restare contenuto nei limiti della funzione di contrasto alla produzione avversaria: ciò al fine di evitare che il deposito della memoria di replica si traduca in un mezzo per eludere il termine di legge per il deposito delle memorie conclusionali e di contrastare l’espediente processuale della concentrazione delle difese in tale sede con la conseguente impossibilità per l’avversario di controdedurre per iscritto.

Ove, dunque, la controparte non abbia esercitato la sua facoltà di depositare memoria difensiva nel termine di trenta giorni prima dell’udienza di merito, non può consentirsi la produzione di una memoria definita di “replica” (ex multis, C.d.S., sez. II, 30 settembre 2019, n. 6534;
sez. III, 28 marzo 2022, n. 2249).

Questo è quanto avvenuto nel caso in esame, con la conseguenza che ai fini della decisione non è possibile tener conto della memoria di “replica” depositata dall’appellante il 21 novembre 2022.

11. – Nel merito, in primo grado l’odierna appellante aveva domandato l’annullamento del provvedimento sopra menzionato del 12 gennaio 2018, chiedendo che fosse accertato il suo diritto al trasferimento in via definitiva in una struttura penitenziaria di livello dirigenziale, ed aveva agito per il risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, asseritamente subito a causa del demansionamento e della condotta di mobbing tenuta nei suoi confronti dell’amministrazione penitenziaria.

A supporto, dopo avere illustrato le ragioni della devoluzione della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (primo motivo di ricorso), aveva sostenuto che il provvedimento impugnato fosse affetto da vizio di incompetenza assoluta del Direttore dell’Ufficio terzo della Direzione generale del personale a decidere sugli incarichi dei dirigenti penitenziari (secondo motivo), aveva dedotto che la pubblica amministrazione non poteva lasciare immotivatamente il dirigente pubblico senza incarichi (terzo motivo) e aveva lamentato di essere stata vittima di disparità di trattamento (quarto motivo, non meglio specificato);
sotto il profilo risarcitorio, aveva invocato l’art. 2 bis della legge 241/90 sulla risarcibilità del danno da ritardo (quinto motivo), aveva denunciato di aver subito una sistematica e progressiva erosione delle proprie competenze e attribuzioni professionali – cioè un demansionamento – e di essere stata oggetto di condotte di mobbing (sesto motivo), nonché si era soffermata sul quantum del danno risarcibile (settimo motivo).

12. – Il giudice di primo grado, richiamato l’intervenuto accertamento dell’illegittimità dell’inerzia tenuta dall’amministrazione nei confronti della ricorrente nell’intervallo temporale tra il 20 gennaio 2017 (data del sollecito) e il 12 gennaio 2018 (data del provvedimento impugnato) e dato per pacifico, siccome incontestato, che la ricorrente, a partire dal momento della soppressione del posto dirigenziale presso la Scuola di -OMISSIS-e almeno fino al 7 ottobre 2017, non avesse più goduto di uno specifico incarico dirigenziale continuativo, essendo stata viceversa impiegata per limitati periodi quale direttore aggiunto di strutture circondariali site nella Regione di competenza, riteneva che:

- il provvedimento impugnato fosse legittimo perché l’amministrazione non avrebbe potuto procedere con il trasferimento in via definitiva della ricorrente presso la casa circondariale di-OMISSIS- dato che al momento della presentazione delle istanze di quest’ultima tutti i posti di funzione dirigenziale erano stati messi a bando nell’ambito della fase di riassetto organizzativo conseguente alla riforma del D.A.P.;

- non fosse ravvisabile, a danno della ricorrente, alcuna condotta di mobbing , stante l’assenza degli elementi costitutivi del tipo di illecito dedotto in giudizio;

- nonostante dovesse ritenersi accertato l’avvenuto parziale demansionamento della ricorrente (essendovi stata “ una oggettiva compromissione delle funzioni dirigenziali specifiche conferite in precedenza alla -OMISSIS-(Direttore titolare della Scuola di Formazione di -OMISSIS-), in assenza di adeguate misure compensative, e in presenza di contemporaneo conferimento dello stesso incarico ad altro soggetto con qualifica inferiore, all’interno di un ambito lavorativo in cui era ancora formalmente assegnata anche l’ex dirigente (dequalificazione in senso stretto, da ritenersi cessata in data 7 ottobre 2017) ”), con condotta che avrebbe avuto inizio in data 11 luglio 2016 (data della prima istanza della ricorrente) e sarebbe cessata in data 7 ottobre 2017 (in concomitanza con l’inizio di esecuzione dell’incarico provvisorio di direttore aggiunto presso la casa circondariale di Bologna), la domanda di risarcimento del danno da demansionamento dovesse essere respinta per mancata dimostrazione dell’ an del pregiudizio e del nesso di causalità tra evento lesivo e conseguenze dannose.

A tale ultimo riguardo il T.A.R. osservava che:

- non è sufficiente prospettare l’esistenza della dequalificazione e chiedere genericamente il risarcimento del danno, date le molteplici forme che può assumere il danno da dequalificazione, essendo indispensabile una specifica allegazione da parte del lavoratore in merito agli elementi, alle modalità e alle peculiarità della situazione in fatto, attraverso cui possa emergere la prova del danno;

- per il danno professionale occorre l’allegazione, in concreto, del pregiudizio subito (impoverimento della capacità professionale acquisita;
mancata acquisizione di una maggiore capacità;
specifiche aspettative conseguibili in caso di regolare svolgimento del rapporto, frustrate dal demansionamento o dalla forzata inattività), laddove in concreto la ricorrente non avrebbe né allegato né tanto meno provato l’effettivo danno professionale subito;

- quanto al danno biologico, dalla documentazione medica emergeva che la ricorrente era risultata affetta dalla patologia allegata (stato d’ansia da panico) almeno dal 14 marzo 2016, ossia da una data antecedente a quella accertata come d’inizio della condotta illecita tenuta dall’amministrazione, né era stato dimostrato un peggioramento significativo della patologia in conseguenza dei singoli episodi di dequalificazione, perciò difettando la prova del necessario nesso di causalità;

- quanto al danno morale in senso stretto, pur non essendo dubbio che vi fosse una potenziale mortificazione della professionalità della ricorrente, protrattasi dal luglio del 2016 all’ottobre del 2017, tuttavia l’interessata non aveva allegato in giudizio alcun elemento in grado di far presumere, in relazione alle circostanze peculiari del caso concreto, l’esistenza di un grave vulnus alla sua dignità, omettendo di indicare, in particolare, quegli elementi che avrebbero potuto delineare, anche solo in via presuntiva, una compromissione concreta dei rapporti umani e lavorativi subita in conseguenza della parziale dequalificazione subita.

13. – Con otto motivi d’impugnazione l’appellante ha criticato la decisione di prime cure e ha chiesto, in sua riforma, l’accoglimento delle domande originariamente proposte sostenendo, in estrema sintesi, che:

- il T.A.R. non avrebbe rilevato che la ricorrente aveva chiesto anzitutto l’annullamento del provvedimento impugnato, l’accertamento del diritto a un nuovo incarico e al trasferimento in una nuova sede dirigenziale e l’accertamento dell’illegittimo demansionamento, incorrendo in illogicità e contraddizione col riconoscere che la condotta dell’amministrazione fosse illegittima e il provvedimento, invece, legittimo;
alla ricorrente, rimasta senza titolarità di un ufficio dirigenziale a seguito della riorganizzazione dell’amministrazione, poteva essere affidato uno dei diversi posti di funzione scoperti ovvero dovevano comunque essere affidati eventuali funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall’ordinamento;
l’avvio delle procedure per il conferimento dei nuovi incarichi dirigenziali non è avvenuto nel febbraio 2017, come affermato in sentenza, ma nell’ottobre 2017, come documentato in atti (primo motivo);

- diversamente da quando affermato nella sentenza impugnata, il provvedimento del Provveditore Regionale per l’Emilia Romagna e le Marche di rigetto delle istanze presentate dalla ricorrente era illegittimo per incompetenza assoluta, non potendo questi conferire incarichi dirigenziali;
perciò, inoltre, la dequalificazione non può essere ritenuta cessata dal 7 ottobre 2017, come ritenuto dal T.A.R., in base alle disposizioni dello stesso Provveditore Regionale (secondo motivo);

- la condotta dell’amministrazione avrebbe violato il principio di parità di trattamento perché la ricorrente era rimasta priva dell’incarico dirigenziale a seguito di soppressione dell’Ufficio di livello dirigenziale al quale era stata proposta come direttore titolare, mentre tutti gli altri dirigenti penitenziari, in attesa del riassetto organizzativo centrale e territoriale dell’amministrazione penitenziaria, avevano conservato l’incarico a cui erano stati precedentemente preposti (terzo motivo);

- il demansionamento subito dalla ricorrente (cioè l’essere stata lasciata in forza in una sede non dirigenziale, diretta da un funzionario pedagogico appartenente alla ex carriera di concetto) sarebbe stato concreto, provato, documentato e non contestato dal Ministero e non certo astratto, come avrebbe ritenuto il T.A.R. (quarto motivo);

- attenendo il caso al pubblico impiego, la ricorrente non sarebbe stata obbligata a documentare il pregiudizio patrimoniale nel suo esatto ammontare;
la documentazione prodotta avrebbe provato il pregiudizio subito e il nesso di causalità: in particolare il parere medico legale, che il T.A.R. non avrebbe preso in considerazione, avrebbe dimostrato il danno subito e il nesso di causalità tra il demansionamento e la privazione dell’incarico dirigenziale, da una parte, e la malattia insorta a seguito di tale situazione, dall’altra;
la certificazione sanitaria avrebbe provato la sofferenza della ricorrente ed il diritto al risarcimento dei danni subiti e provati (quinto motivo);

- l’errore nel quale sarebbe incorsa la sentenza appellata affermando la mancata dimostrazione del nesso di causalità tra la patologia accertata e la condotta censurabile sarebbe dimostrato dalla documentazione agli atti e in particolare dalla perizia medico legale, sulla quale il T.A.R. non si è pronunciato e l’amministrazione convenuta non ha mosso contestazione (sesto motivo);

- il T.A.R. avrebbe erroneamente ritenuto assente l’elemento soggettivo / finalistico del mobbing (settimo motivo);

- sulla quantificazione del danno professionale il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere che non fosse stato allegato e tanto meno provato l’effettivo danno professionale subito dalla ricorrente, essendo stata, invece, prodotta in giudizio documentazione che proverebbe il danno professionale e una dettagliata perizia medico legale che proverebbe il danno biologico e morale (ottavo motivo).

14. – Come si è detto, la domanda giudiziale di risarcimento del danno in conseguenza di c.d. mobbing è stata rinunciata e, quindi, l’appello, ai sensi dell’art. 84, co.4, è comunque divenuto in parte qua improcedibile.

15. – I primi tre motivi dell’appello, i quali, riprendendo le argomentazioni spese in primo grado, investono il capo della sentenza sulla legittimità dell’atto col quale in data 12 gennaio 2018 il Direttore dell’Ufficio Terzo - Personale dirigenziale, amministrativo e non di ruolo aveva rappresentato alla dott.ssa -OMISSIS-le ragioni ostative al suo trasferimento in via definitiva presso la casa circondariale di-OMISSIS- sono infondati.

Secondo l’appellante il Direttore dell’Ufficio Terzo non sarebbe stato competente a decidere sugli incarichi dei dirigenti penitenziari, perché l’art. 10, comma 6, del D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 63, prevede che “ Gli incarichi ai dirigenti penitenziari sono conferiti, con provvedimento del direttore generale del personale e della formazione, su proposta del titolare dell’ufficio di livello generale al quale i funzionari sono assegnati. Il conferimento degli incarichi superiori è effettuato ai sensi dell’articolo 7, comma 3 ”;
sarebbe spettato al Provveditore Regionale, titolare dell’ufficio di livello generale di pertinenza, proporre al Direttore Generale l’attribuzione del nuovo incarico dirigenziale, una volta declassata la Scuola di -OMISSIS- da sede dirigenziale a sede non dirigenziale.

Ciò detto, anzitutto va chiarito che l’atto impugnato in primo grado è costituito solo dalla nota del Direttore dell’Ufficio Terzo del 12 gennaio 2018, mentre resta estranea alla domanda di annullamento l’assegnazione dal 7 ottobre 2017 presso la casa circondariale di-OMISSIS- che non può ritenersi compresa nella clausola di stile di estensione dell’impugnativa anche a ogni atto antecedente, conseguente e comunque connesso ( ex multis , C.d.S., sez. V, 19 ottobre 2020, n. 6311).

Come già visto, con quella nota il Direttore dell’Ufficio Terzo, in riscontro all’istanza della dott.ssa -OMISSIS-“ di essere trasferita presso la Casa Circondariale di -OMISSIS-con incarico provvisorio di vicedirettore del medesimo Istituto ”, si era limitato a rappresentare che:

allo stato non è possibile disporre il trasferimento in via definitiva, poiché la sede di interesse rientra tra quelle interessate dalla riorganizzazione del Ministero avviata con d.P.C.M. n. 84/2015 e successivi decreti attuativi e dalla conseguente attivazione della procedura per il conferimento degli incarichi così come disposto dal d.lgs. n. 63/2006.

Pertanto, nelle more della definizione della predetta procedura, è possibile disporre assegnazioni provvisorie disposte in ambito provveditoriale ”.

Dunque con quella nota non veniva a essere disposto alcun conferimento di incarico, né proposto alcunché a tale riguardo, ma solo rappresentata la ritenuta sussistenza di una condizione ostativa al trasferimento in via definitiva presso la casa circondariale di -OMISSIS-al di fuori delle apposite procedure per il conferimento degli incarichi, riconoscendo al contempo la possibilità di assegnazioni provvisorie. Per questa ragione non se ne poteva predicare il contrasto con l’art. 10 cit., ma al più discutere, anche in relazione al suo contenuto soprassessorio (“… allo stato non è possibile …”), se costituisse effettiva ottemperanza alla sentenza del T.A.R. che aveva ordinato all’amministrazione di provvedere sulle istanze della ricorrente.

In ogni caso è da escludere ogni profilo di disparità di trattamento, stante l’oggettiva diversità delle situazioni tra chi, in attesa del generale riassetto organizzativo, conservava nelle more la posizione già posseduta e chi (l’odierna appellante) non poteva farlo perché la sua posizione già più non esisteva.

16. – Il quarto motivo è infondato perché non risponde al vero che il T.A.R. abbia negato il demansionamento (sul punto v. sopra, al n. 12).

17. – Il quinto, sesto e ottavo motivo possono essere esaminati insieme per ragioni di connessione e risultano anch’essi infondati.

L’appellante non ha specificato quale sarebbe la documentazione che proverebbe il danno professionale, cui fa riferimento in termini assolutamente generici, peraltro privi di riscontro nella produzione di primo grado, composta quasi esclusivamente da provvedimenti amministrativi e certificazioni mediche.

Immune da critiche è l’osservazione del T.A.R. sul fatto che la patologia della ricorrente era antecedente alla (presunta) condotta illecita dell’amministrazione, tanto che nello stesso ricorso di primo grado (pag. 8) si ammette che i primi disturbi erano iniziati il 14 marzo 2016 (la sede dirigenziale della Direzione della Scuola di Formazione del Personale dell’Amministrazione Penitenziaria di -OMISSIS- era stata soppressa due settimane prima con l’art. 8 del

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