Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-08-08, n. 201404227

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-08-08, n. 201404227
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201404227
Data del deposito : 8 agosto 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04837/2012 REG.RIC.

N. 04227/2014REG.PROV.COLL.

N. 04837/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4837 del 2012, proposto da:
I M, rappresentato e difeso dall'avv. A C, con domicilio eletto presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Università degli Studi di Genova, nella persona del Rettore in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE I n. 00633/2012, resa tra le parti, concernente sospensione dal servizio - risarcimento danni


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Università intimata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 marzo 2014 il Cons. Vito Carella e udito l’avvocato dello Stato Grasso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I.- Per la migliore comprensibilità della vicenda processuale e leggibilità delle censure prospettate, conviene in anteprima puntualizzare i termini della controversia in esame.

L’appellante, ricercatore universitario in diritto pubblico, essendo stato tratto in arresto per estorsione e falso ideologico, veniva sospeso dal servizio prima con cautela obbligatoria (12 dicembre 2003) e poi in via facoltativa (12 dicembre 2008);
il procedimento disciplinare era subito attivato e contestualmente sospeso sino alla definizione del giudizio penale (27 novembre 2008);
il giudizio disciplinare veniva riattivato il 7 dicembre 2010 (alla luce della sentenza di rinvio della Corte di Cassazione n. 5402 del 3 dicembre 2009 e della successiva sentenza della Corte d’appello di Genova n. 25434 del 28 ottobre 2010 recante condanna alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione e 430 euro di multa);
la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 671 del 14 aprile 2011, ha condannato in via definitiva l’imputato alla pena di due anni e due mesi di reclusione (con la pena accessoria della interdizione dalla professione di avvocato di anni uno e mesi nove).

Il Consiglio Universitario Nazionale (CUN), nella sua composizione di Collegio di Disciplina (CdD), fissato il giorno della trattazione orale (26 gennaio 2011) poi rinviata alla nuova data per la concomitanza delle elezioni di parziale rinnovo del CUN (23 marzo 20011), declinava nel frattempo la propria competenza a seguito dell’entrata in vigore il 29 gennaio 2011 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 ( Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario ) e restituiva gli atti all’Ateneo procedente (22 febbraio 2011);
la citata università provvedeva ad informare il prevenuto della circostanza (10 marzo 2011) con sospensione del procedimento disciplinare in attesa della costituzione di un proprio Collegio di disciplina alla stregua dell’emanando nuovo statuto in applicazione della richiamata riforma universitaria.

In data 22 luglio 2011 il CUN comunicava che “ dopo la sospensione data dal rinnovo parziale del CUN, è stata disposta la ricostituzione del Collegio di Disciplina previsto dall'art. 3 della Legge n. 18/2006, insediatosi in data 20 luglio 2011, il quale continuerà a svolgere i procedimenti disciplinari indicati nel predetto art. 3 della Legge n. 18/2006, fino alla costituzione dei nuovi collegi presso le singole sedi universitarie, al perfezionamento del processo di attuazione della Legge n. 240/2010 ”;
l’università ritrasmetteva gli atti e la data di trattazione orale era fissata al 21 settembre 2011;
in pari data il CUN ha deliberato di comminare la sanzione disciplinare della sospensione di un anno dall’ufficio e dallo stipendio.

Il ricercatore sanzionato è stato pertanto riammesso in servizio dall’Università con decorrenza 22 settembre 2011, essendo stata la sanzione disciplinare comminata di durata inferiore alla sospensione cautelare sofferta (decreto rettorale n. 668 di pari data) e venendogli di conseguenza ricostruita la carriera (decreto rettorale n. 669 di pari data).

In primo grado, con il ricorso iniziale e cinque atti di motivi aggiunti, sono stati gravati i vari passaggi sopra illustrati, a partire dalla negata riammissione in servizio nel 2008 e sino ai predetti D.R. nn. 668-669, suffragati altresì da richiesta di condanna dell’Università al risarcimento dei danni cagionati.

II.- Risulta dalla sentenza appellata che il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, dichiarata la improcedibilità delle censure anteriori ai predetti decreti rettorali di regolazione del rapporto e compensate le spese di lite, ha nel resto respinto il gravame negli assunti che: il termine di ripresa del procedimento disciplinare andasse computato sulla base della data di acquisizione della sentenza della corte d’appello di Genova (n. 2412 del 2010), che giudicò in sede di rinvio dopo la pronuncia della corte di cassazione (n. 5402 del 2009);
a diversa decisione non potesse indurre la questione della pronuncia del CUN, prima declinante la competenza e poi ritenutosi competente ai sensi dell’art. 3 della legge 16.1.2008, n. 18;
fossero infondate le censure relative al negato passaggio del regime di impiego da tempo definito a tempo pieno durante la sospensione cautelare dal servizio imposta per un lasso di tempo assai lungo;
in secondo grado il giudice penale avesse irrogato un pena elevatissima con pronunce comportanti la risoluzione del rapporto e il cui quadro è mutato solo nell’ultima istanza di giudizio della Cassazione;
non avendo agito l’amministrazione in modo imprudente, fosse da disattendere la pretesa di ottenere la retrodatazione di tutti i profili della carriera al 13 maggio 2004;
la legittimità delle misure cautelari adottate rendesse impossibile l’accoglimento delle domande risarcitorie proposte dall’interessato.

Con l’appello il ricorrente, a mezzo di unico ma articolato mezzo di censura, ha criticato la sentenza per violazione di legge (artt. 64 e 74 c.p.a) e di nullità (integrale, omessa, contraddittoria, illogica motivazione su punti qualificanti del giudizio), sotto sei profili di doglianza (non è stato precisato il “ dies a quo ” da cui devono decorrere i 270 giorni per lo svolgimento del procedimento disciplinare per il calcolo della sua estinzione;
analogamente per quanto concerne l’acquisizione della sentenza di condanna ricevuta il 21 luglio 2010 e determinante l’estinzione del processo, rispetto alla data di adozione dei decreti rettorali il 22 settembre 2011;
il procedimento disciplinare non è mai stato sospeso in connessione alle vicende CUN e si è pertanto estinto, non potendo essere ricostituito un organismo abrogato;
tra uno ed altro atto sono decorsi più di 90 giorni, così realizzandosi una causa autonoma di estinzione;
nella ricostruzione della carriera andava applicato l’art. 97 e non 96 del d.P.R. n. 3 del 1957, con la decorrenza dal 13 maggio 2004 a tempo pieno e con la corresponsione degli arretrati, maggiorati di interessi e rivalutazione;
la sentenza non poteva essere decisa in forma semplificata).

L’interessato ha poi ulteriormente denunziato a corollario, nella sostanza in riproposizione, gli aspetti di seguito riportati:

a.- i termini del procedimento disciplinare, iniziati a decorrere il 21 luglio 2010, sono spirati il 17 aprile 2011 e la sanzione disciplinare inflitta con il D.R. n. 668 del 22 settembre 2011 è illegittima in quanto adottata il 428esimo giorno, ben oltre i 270 gg. di cui all'art. 9, comma 2, della legge n.19 del 1990, quando il procedimento disciplinare era ampiamente estinto (421 gg. secondo l’ipotesi di Unige fatta propria dal Tar Liguria );

b.- la sospensione di cui parla 1'art. 3, comma 3, della legge n. 18 del 2006, non è mai intervenuta ritualmente, tanto è vero che il ricorrente era convocato per il 26 gennaio e per il 23 marzo del 2011 (a riprova del funzionamento del Collegio medesimo);

c.- nessun provvedimento amministrativo che desse atto del mancato funzionamento del Consiglio di disciplina è mai stato assunto e ritualmente notificato all'incolpato;

d.- il CdD del CUN non poteva essere ricostituito il 20 luglio 2011 in base ad una norma abrogata e dunque inefficace;

e.- l’art. 10, comma 6, della legge n. 240 del 2010 non poteva essere applicato al caso di specie in quanto non avente effetto retroattivo;

f.- nelle more del procedimento disciplinare vi sono stati intervalli di tempo superiori ai 90 gg., senza l'emanazione di nessun efficace provvedimento, verificandosi dunque l'autonoma fattispecie estintiva di cui all'art. 120, comma 1, del d.P.R. n.3 del 1957;

g.- la ricostruzione della carriera dell'incolpato, pertanto, doveva avvenire in base al combinato disposto degli artt. 120 e 97 del citato d.P.R. con decorrenza 13 maggio 2004 e con il riconoscimento del tempo pieno a far data dall’1 novembre 2004;

h.- il tempo pieno, in ogni caso, doveva essere riconosciuto almeno dal 7 febbraio 2007;

i.- le somme recate negli impugnati decreti rettorali debbono essere maggiorate di interessi e rivalutazione;

l.- il procedimento amministrativo in argomento è stato aggravato oltre ogni ragionevole misura (art. 1 legge n. 241 del 1990) ed anche su questo profilo il Tar Liguria è stato silente;

m.- è stato violato l'art. 120, comma 3, del d.P.R. n.3 del 1957 in quanto, pur dopo l'evidente estinzione del procedimento disciplinare, non è stata revocata la sospensione cautelare dall'ufficio e dallo stipendio;

n.- la mancata notifica all'incolpato dell'asserito atto che avrebbe sospeso i termini del procedimento disciplinare e di quello che li avrebbe fatti nuovamente decorrere, implica la violazione degli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione in quanto l’università ha in tal modo impedito, oltre che il buono ed imparziale andamento dell'amministrazione, l'esercizio del diritto di difesa di esso ricorrente;

o.- in punto di risarcimento, l'esito del procedimento disciplinare, a prescindere dalla sua illegittimità per estinzione, dimostra l'assoluta sproporzione tra sanzione irrogata (sospensione di un 1 anno) e la sospensione cautelare sofferta (7 anni, 9 mesi e 10 giorni) e la gravità della responsabilità dell’università sarebbe dimostrata dal fatto che la p.a., pur avendo fin dall'ottobre 2004 tutta la documentazione che ha poi determinato l'assoluzione del ricorrente dalle ipotesi estorsive, non ha esitato a sposare le tesi accusatorie del Pubblico Ministero, causando discrezionalmente l'allontanamento dal servizio del proprio dipendente per un periodo temporale del tutto fuori luogo e non giustificato da motivi oggettivi (fattispecie penali) e soggettivi (malattia psichica dell'incolpato).

III.- L’Università di Genova ha resistito in giudizio e con la memoria depositata il 12 febbraio 2014 ha concluso per il rigetto dell’appello.

La causa è stata chiamata all’udienza del 10 giugno 2014 e trattenuta per essere decisa.

DIRITTO

1.- A seguito di giudizio penale esitato definitivamente con una condanna alla pena di due anni e due mesi di reclusione (con la pena accessoria della interdizione dalla professione di avvocato ad anni uno e mesi nove), è controversa nel presente giudizio la procedura disciplinare a carico del ricorrente, ricercatore universitario, la quale si è snodata dalla sospensione obbligatoria (nel 2003) e facoltativa (nel 2004) alla negata riammissione in servizio (nel 2008) e sino alla sanzione disciplinare comminata (un anno dall’ufficio e dallo stipendio) nonché alla susseguente ricostruzione della carriera operata dall’Università di Genova.

Nell’intrico degli atti di primo grado (introduttivo e ulteriori cinque per motivi aggiunti) e d’appello (numerosi profili diversi delle censure), il canone di sufficienza e della ragione più liquida consente di accorpare le doglianze sollevate nelle questioni dirimenti da esaminare in ordine logico: modalità in forma semplificata della sentenza qui impugnata;
negata riammissione in servizio nel 2008;
pretesa al tempo pieno;
estinzione del giudizio disciplinare;
competenza del Consiglio di Disciplina (CdD) afferente al Consiglio Universitario Nazionale (CUN);
ricostruzione della carriera.

Le tappe e le circostanze di causa sono state illustrate nella esposizione in fatto e, pertanto, alla luce delle relative scansioni temporali e funzionali, l’appello va respinto e la sentenza merita di essere confermata nelle sue statuizioni con diversa argomentazione.

2.- Relativamente alla prima questione è sufficiente osservare che il principio di sinteticità che deve permeare la redazione degli atti del giudice (art. 3 codice del processo amministrativo), al pari di quelli delle parti, non implica la necessità di una motivazione che, in modo meccanico e pedissequo, assuma partitamente a riferimento ogni singolo profilo argomentativo della parte.

Nel caso concreto, dalla trama complessiva della sentenza impugnata, che non è stata espressamente pronunciata in forma semplificata, emerge con evidenza la completa cognizione delle questioni dibattute e la loro trattazione in modo conciso e sufficiente a ricostruire il percorso motivazionale impresso, per nulla criptico come invece denunziato.

Consegue nella specie, essendo state rispettate le regole del processo amministrativo sulla completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, che non è sostenibile alcun profilo di denegata giustizia oppure di violazione dei diritti della difesa a causa della tecnica redazionale adottata nella stesura della sentenza in una vicenda nella quale i capisaldi della controversia sono di per sé chiari e definiti.

3.- Per quanto qui rilevante circa il secondo tema, l’art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 ( Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti ) prescrive che il procedimento disciplinare deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni e, quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore ad anni cinque, decorso il qual termine la sospensione cautelare è revocata di diritto.

O, relativamente alla tematica della mancata riammissione in servizio alla scadenza del periodo quinquennale di sospensione cautelare, giova ricordare che il Tribunale di Genova il 7 giugno 2007 aveva condannato il dipendente alla pena di sei anni di reclusione e ad € 500 di multa, con interdizione dai pubblici uffici (sentenza peraltro appellata dal Pubblico Ministero e riformata in appello dalla sentenza n. 735 del 20 marzo 2009 con la condanna alla pena di otto anni e sei mesi di reclusione ed € 4.100 di multa).

La non riammissione nel 2008 è stata dunque dipendente da un titolo penale precludente, sino a riforma, e pertanto l’inattuabilità della prestazione lavorativa e la negata riammissione non possono essere imputate all’amministrazione.

Correttamente quindi l’Università di Genova, alla scadenza della durata massima quinquennale di sospensione cautelare e come da D.R. n. 1017 del 26 novembre 2008, ha sospeso cautelarmente dall'ufficio e dallo stipendio il ricorrente a decorrere dal 12 dicembre 2008, ai sensi dell'art. 90 del R.D. n. 31 agosto 1933, n. 1592, e dell'art. 3, comma 4, della legge 16 gennaio 2006, n. 18, per la gravità dei fatti e per l’impossibilità di servizio attivo.

Tanto comporta anche l’impraticabilità della pretesa dedotta del passaggio in servizio a tempo pieno sin dall’11 novembre 2004 o almeno dal 7 febbraio 2007, mancando una prestazione effettiva in tal senso.

4.- Con riguardo alla dedotta estinzione del procedimento disciplinare (in relazione al nuovo giudizio svolto dalla Corte di appello di Genova su rinvio della Cassazione e concluso dalla sentenza n. 2142 dell’8 luglio 2010 alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione e € 430 di multa) va invece rilevato come l’amministrazione debba avere conoscenza del testo integrale della sentenza irrevocabile di condanna, e non già del semplice dispositivo.

Ne segue, contrariamente a quanto lamentato, che i termini per la prosecuzione del procedimento disciplinare (aperto con la contestazione degli addebiti in data 6 ottobre 2008) non sono iniziati a decorrere dal 21 luglio 2010, bensì dal 28 ottobre 2010, data attestata nell’impugnato D.R. n. 668 del 2011 di avvenuta acquisizione della predetta sentenza al protocollo riservato dell’ente al n. 25434;
né il ricorrente ha dimostrato il contrario e in opposizione sollevato querela di falso.

Risultano poi rispettati i termini di svolgimento del processo, sia nel totale dei 270 giorni preveduti dal precitato art. 9 della legge n. 19 del 1990 che di novanta giorni tra l’uno ed altro atto significativo del procedimento stesso, in considerazione della sospensione legale ostativa alla continuità dell’esercizio delle funzioni svolte dall’organo disciplinare, come previsto dall’art. 3 della legge n. 18 del 2006 ( Il termine è sospeso fino alla ricostituzione dell’organo disciplinare, nel caso in cui siano in corso operazioni di rinnovo del CUN che impediscano il regolare funzionamento di quest’ultimo ).

Specificamente, quanto agli intervalli di 90 giorni tra i vari passaggi procedurali, le relative censure sono destituite di fondamento, come si desume dall’esposizione in fatto: la sentenza della Cassazione è stata acquisita il 28 ottobre 2010;
il procedimento disciplinare è stato riattivato il 7 dicembre 2010;
l’iniziale trattazione orale veniva fissata al 26 gennaio 2011 e poi rinviata al 23 marzo 2011 per la concomitanza delle elezioni CUN;
nel frattempo è intervenuta la sospensione connessa alle innovazioni introdotte dalla legge n. 210 del 2010 al sistema disciplinare in vigore, di cui si dirà in appresso;
il nuovo Consiglio di disciplina del CUN si è insediato il 20 luglio 2011;
la sanzione è stata comminata il 21 settembre 2011 ed adottata il giorno successivo.

Di tali procedure l’inquisito risulta essere stato notiziato.

5.- Né rileva, ai fini estintivi del giudizio, sia sotto l’aspetto della continuità funzionale dell’organo che dei termini di novanta giorni, l’alterna vicenda relativa alla persistente competenza del Consiglio di Disciplina insediato presso il CUN.

La sopravvenuta legge n. 240 del 30 dicembre 2010 ( Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario ), con cui la funzione disciplinare centralizzata è stata decentrata al collegio di disciplina istituito presso ogni singolo Ateneo, nel contempo venendo abrogata la competenza CUN, fà rinvio a " modalità " attuative definite dallo Statuto il quale per l'effetto viene ad imprimere alle previsioni dell'art. 10 la loro efficace portata operativa secondo la scansione da esso statuto stesso operata (in termini di adozione e scelte).

Segue da ciò che l’abrogato articolo 3 della legge 16 gennaio 2006, n. 18 ( Riordino del Consiglio universitario nazionale-Collegio di disciplina ), non può essere considerato non più operante per effetto dell’introduzione della nuova disciplina prevista dalla recente riforma universitaria, ma seguita ad essere applicabile alle situazioni ed ai rapporti sorti durante il tempo in cui era vigente, sino alla modifica della relativa materia da parte del singolo Ateneo in esito alla concreta attuazione statutaria.

Difatti, contrariamente a quanto prospettato, l’esercizio dell’attività disciplinare verrebbe ad essere non più altrimenti praticabile e sarebbe intaccata la continuità dell’azione amministrativa disciplinare con l’interruzione delle funzioni esercitate, che sono invece assistite, in uno alla ridetta continuità, dal principio di immediata e sollecita definizione dell’azione disciplinare.

6.- Da disattendere è anche la censura relativa alla ricostruzione della carriera che, secondo la tesi del ricorrente, doveva invece avvenire in base al combinato disposto degli artt. 120 e 97, non 96, del citato d.P.R. n. 3 del 1957, con decorrenza 13 maggio 2004 e con il riconoscimento del tempo pieno a far data dall’1 novembre 2004, lamentando che l’Ateneo abbia sottratto 3 anni e mesi 2 dal periodo utile rispetto ai 7 anni, 9 mesi e giorni 10 di sospensione subita.

Di contro deve essere osservato che, non versandosi in tema di proscioglimento e riguardando la fattispecie mantenimento della sospensione cautelare disposta in dipendenza di procedimento penale, la norma applicabile è contenuta nel primo comma del predetto art. 96, secondo cui “ Qualora a seguito del procedimento disciplinare venga inflitta all’impiegato la sospensione dalla qualifica, il periodo di sospensione cautelare deve essere computato nella sanzione ”.

Giustamente quindi l’amministrazione universitaria, in sede di ricostruzione della carriera ai fini giuridici ed economici nonché allo scopo di determinare l’effettiva interruzione del servizio attivo, ha sommato il periodo di tempo corrispondente alla irrogata sospensione dalla qualifica (un anno) alla condanna penale inflitta definitivamente dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 671 del 14 aprile 2011 (due anni e due mesi di reclusione).

7.- Conclusivamente, avendo l’amministrazione ricevuta notizia completa della sentenza irrevocabile di condanna il 28 ottobre 2010 ed essendo stata dal Collegio di disciplina determinata la sanzione in data 21 settembre 2011 (inflitta il giorno dopo come da D.R. n. 668/2011) nonché detratto il periodo di sospensione legale dei termini in connessione al rinnovo parziale del Cun (dal 26 gennaio 2011 al 20 luglio 2011, giorno precedente all’insediamento del nuovo Consiglio di disciplina CUN), risulta ampiamente rispettata la durata massima di svolgimento del procedimento disciplinare entro i prescritti 270 giorni (effettivi 190 giorni).

Non viene quindi a esistere alcun valido presupposto che possa dare luogo a risarcimento per fatto imputabile all’amministrazione universitaria viceversa addebitabile unicamente al comportamento tenuto dal dipendente e sanzionato in sede penale e disciplinare.

Né sussiste alcuna fondata ragione nella pretesa vantata agli accessori (interessi e rivalutazione) sulle somme erogate a seguito della ricostruzione della carriera economica, perché non si tratta di ripristino a tutti gli effetti, bensì di ricostituzione della prestazione lavorativa dopo l'allontanamento dal servizio in virtù delle legittime sospensioni cautelari e in connessione alla sanzione penale e disciplinare irrogate: la riammissione in servizio, infatti, non fa minimamente caducare le dette sospensioni e i relativi atti con effetto retroattivo, comportando soltanto la ripresa ex nunc del sinallagma tra prestazione lavorativa e quella retributiva, con la eventuale corresponsione delle differenze retributive individuate all’attualità (nella specie, con il D.R. n. 669/2011).

I limiti della riammissione (riconoscimento del livello e dell'anzianità alla data di cessazione del servizio, computati i periodi di pena inflitti e di sanzione disciplinare), non determinano perciò, al di fuori di questi ambiti, nessuna continuità tra la precedente e la nuova situazione lavorativa, tale da sorreggere un inadempimento dell’amministrazione all’obbligazione lavorativa, alla stregua dei generali principi in tema di adempimento (art. 1218 c.c.).

8.- Pertanto, essendo la sentenza gravata esente dalle mende censurate e non emergendo dagli atti impugnati in primo grado alcun vizio sollevato di estinzione del procedimento disciplinare ovvero di irragionevolezza o di eccessività nell’operato dell’amministrazione universitaria, l’appello non può che essere respinto perché infondato e la sentenza confermata per le considerazioni tutte innanzi argomentate.

Stante la particolarità della fattispecie sussistono tuttavia equi motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

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