Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-02-23, n. 201201068

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-02-23, n. 201201068
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201201068
Data del deposito : 23 febbraio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03424/2011 REG.RIC.

N. 01068/2012REG.PROV.COLL.

N. 03424/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3424 del 2011, proposto dalla:
Società Agricola Garofalo S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati V B e M N, con domicilio eletto in Roma, via Emilia n. 88, presso lo Studio Vinti &
Associati;

contro

- il Commissario di Governo per l'Emergenza B negli allevamenti bufalini in provincia di Caserta e zone limitrofe;
- la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente p.t.
- il Prefetto della Provincia di Caserta;
- il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t.,
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I, n. 450 del 18 gennaio 2011, resa tra le parti, concernente il diniego, a seguito di interdittiva antimafia, di erogazione degli indennizzi per l’abbattimento di capi bufalini affetti da brucellosi.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Avvocatura Generale dello Stato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 gennaio 2012 il Cons. Dante D'Alessio e uditi per le parti l’avvocato Barone e l’avvocato dello Stato Santoro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- La Società Agricola Garofalo S.r.l., aveva impugnato davanti al T.A.R. per il Lazio il provvedimento n. 441 del 25 febbraio 2010, con cui il Commissario di Governo per l’emergenza brucellosi aveva comunicato “che non è possibile procedere, ai sensi e per gli effetti del comma 6, art. 4 del D. Lgs. dell’8/8/1994, n. 490, all’erogazione degli indennizzi, previsti dall’art. 3 comma 1 dell’OPCM n. 3634/2007”, che erano stati richiesti dall’interessata con diverse istanze, nonché la presupposta informativa antimafia del Prefetto di Caserta, prot. n. 1662/12.B.16/ANT/AREA1^ del 9 febbraio 2010, per le cause interdittive di cui all’art. 4 del d.lgs. 490/1994, pur in assenza delle cause di cui all’art. 10 della legge 575/1965.

Con successivi motivi aggiunti la Società Agricola Garofalo aveva poi impugnato il provvedimento, n. 2103 del 14 settembre 2010, con cui il Commissario di Governo per l’emergenza brucellosi, sempre sul presupposto dell’informativa antimafia del 9 febbraio 2010, aveva comunicato che non era possibile procedere all’erogazione degli indennizzi richiesti dalla Società Agricola Garofalo con ulteriore istanza del 20 maggio 2009.

2.- Il T.A.R. per il Lazio Sede di Roma, con la sentenza della Sezione I, n. 450 del 18 gennaio 2011, ha respinto il ricorso ritenendolo infondato anche in applicazione di pacifici principi in materia di interdittiva antimafia.

La Società Agricola Garofalo ha ora appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.

In particolare ha sostenuto, anche in appello, che le informazioni relative ad una pendenza penale a carico di R G, nato a Caserta il 10.8.1975, per aver favorito il latitante M B, non sarebbero significative ai fini dell’attività di prevenzione antimafia in quanto il citato R G già alla data dell’informativa dei Carabinieri non era più convivente con il padre A;
il procedimento penale per favoreggiamento ha ad oggetto un fatto verificatosi il 6 marzo 1999;
detto procedimento è l’unico a carico di R G, il quale non ha subito alcuna condanna penale;
l’interessato è stato socio, con una quota del 10%, della Buffalo Beef S.r.l. e non è mai stato socio della ricorrente né delle altre Società riconducibili alla famiglia Garofalo né avrebbe mai svolto alcun ruolo di amministrazione, di rappresentanza o di direzione delle stesse Società.

Con successiva memoria, l’appellante ha depositato copia del provvedimento n. 130/12.b/16/ANT/

AREA

1^ del 14 luglio 2011 con il quale il Prefetto di Caserta, a seguito di richiesta di riesame dell’interessata, ha dichiarato che “all’attualità… non risultano sussistere cause interdittive ai fini antimafia” a carico della Società Agricola Garofalo e delle altre tre società del gruppo, ed ha insistito per l’accoglimento dell’appello.

Resiste all’appello l'Avvocatura Generale dello Stato.

3.- Considerato che gli atti con i quali il Commissario di Governo per l’emergenza brucellosi ha comunicato alla Società Garofalo che non era possibile procedere all’erogazione degli indennizzi richiesti per l’abbattimento di numerosi capi bufalini affetti da brucellosi trovano il loro unico presupposto nella interdittiva antimafia emessa, in data del 9 febbraio 2010, dal Prefetto di Caserta, occorre esaminare le ragioni di tale interdittiva e le valutazioni compiute sulla stessa dal T.A.R.

4.- In proposito si devono innanzitutto condividere i principi generali che, in materia, sono stati affermati nella appellata sentenza del T.A.R. per il Lazio.

Con riferimento alla cd. interdittiva antimafia "tipica", prevista dall’art. 4 del D. Lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) anche questa Sezione (sentenze n. 5995 del 12 novembre 2011 e n. 5130 del 14 settembre 2011) ha affermato:

- che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;

- che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l’interdittiva prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;

- che tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;

- che, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;

- che, anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;

- che di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;

- che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

5.- Ciò premesso occorre ora vedere se l’interdittiva oggetto del presente giudizio risultava giustificata dagli elementi indiziari che erano stati indicati nel relativo provvedimento dal Prefetto di Caserta.

Al riguardo occorre osservare che l’interdittiva è stata emessa sulla base degli accertamenti compiuti dalla Questura di Caserta, dal Comando Provinciale Carabinieri di Caserta, dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Caserta, dal GICO della Guardia di Finanza di Napoli, dalla Direzione Investigativa Antimafia di Napoli e all’esito della riunione del Gruppo Ispettivo Antimafia che, il 5 febbraio 2010, ha proposto l’emissione di un provvedimento interdittivo “anche in considerazione della pendenza di un procedimento penale per favoreggiamento personale di un personaggio di spicco del clan camorristico dei casalesi”, evidenziando che anche altre società appartenenti alla famiglia Garofalo erano state raggiunte da provvedimenti interdittivi antimafia.

In particolare, il Comando Provinciale di Caserta della Regione Carabinieri Campania, con nota del 26 novembre 2008, nel confermare le informazioni fornite con precedente nota del 27 luglio 2006, aveva rilevato che a carico di R G, nato a Caserta il 10.8.1975, figlio convivente di A, risultava, presso la Procura di Santa Maria Capua Vetere, una pendenza penale per favoreggiamento personale per avere favorito il latitante M B, elemento di spicco del clan camorristico dei “Casalesi”, con udienza fissata per il giorno 13 gennaio 2009. Il Comando Provinciale di Caserta dei Carabinieri aveva altresì fatto presente che il citato R G ricopriva la carica di socio nella Società Buffalo Beef S.r.l. e che quest’ultima aveva partecipazione nella Società Casaro del Re S.r.l., entrambe colpite da decreto interdittivo antimafia.

La Divisione Polizia Anticrime della Questura di Caserta, con nota del 5 dicembre 2008, aveva poi aggiunto che il consigliere Giuseppe Garofalo risultava controllato il 31 ottobre 2008 con Giovanni Zagaria, denunciato il 7 febbraio 2008 dalla Tenenza di Piedimonte Matese per abuso d’ufficio, turbata libertà degli incanti, associazione per delinquere, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e truffa. Il Nucleo di Polizia Tributaria di Caserta della Guardia di Finanza, il 12 giugno 2009, aveva comunicato che il consigliere A Garofalo, nato a San Cipriano d’Aversa (Ce) il 31 marzo 1946, aveva pregiudizi di polizia per ricettazione e che Giovanni Garofalo, nato ad Aversa (Ce) il 1° giugno 1983 aveva pregiudizi di polizia per favoreggiamento per permanenza di clandestino e violazione alle norme sull’immigrazione.

6.- Alla luce di tali elementi emerge che l’interdittiva ha trovato il suo presupposto più rilevante nella pendenza di un procedimento penale, a carico di R G, nato a Caserta il 10.8.1975, figlio di A Garofalo socio della Agricola Garofalo, per favoreggiamento personale di un personaggio di spicco del clan camorristico dei casalesi.

Ulteriori pregiudizi sono stati accertati a carico dello stesso A Garofalo e dei soci Giuseppe Garofalo e Giovanni Garofalo.

7.- Ciò chiarito, come giustamente affermato dal T.A.R. per il Lazio, l’esistenza di un “procedimento penale per favoreggiamento personale di un personaggio di spicco del clan camorristico dei casalesi” (M B, all’epoca latitante) ha indubbiamente rilevanza indiziaria in ordine al possibile rischio di infiltrazione mafiosa.

Inoltre non può escludere il rischio di contiguità con la malavita la circostanza che la vicenda che aveva determinato l’avvio del processo penale si era verificato il 6 marzo 1999, tenuto anche conto che R G era stato poi controllato, in data 26 aprile 2002, dalla Polizia di Stato di Caserta ancora in compagnia di M B, pluripregiudicato ed affiliato al clan camorristico dei Casalesi, ed era stato anche indagato perché ritenuto responsabile di associazione mafiosa e poi prosciolto in sede di indagini su richiesta del P.M., in data 12 marzo 2007, dal reato di cui all’art. 416 bis c.p.

8.- La peculiarità del caso di specie, come osservato dal giudice di primo grado, è costituita peraltro dal fatto che il soggetto a carico del quale sussiste il procedimento penale (R G, nato a Caserta il 10 agosto 1975 e figlio di A, consigliere della Società) non ricopre cariche all’interno della Società né è socio della stessa.

In proposito, come giustamente sottolineato nella sentenza di primo grado e come si è già prima ricordato, deve ribadirsi che, per costante orientamento giurisprudenziale, la sussistenza di un rapporto di parentela, coniugio o affinità con un soggetto ritenuto in possibile contiguità con la malavita organizzata non è sufficiente da solo a suffragare l'ipotesi della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, dovendosi quest'ultima basarsi anche su altri elementi, sia pure indiziari, tali, nel loro complesso, da fornire obiettivo fondamento al giudizio di possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose.

In conseguenza il legame di parentela fra R G con il padre A, consigliere della Società, non potrebbe, in assenza di ulteriori elementi, assumere particolare significatività sotto il profilo della contiguità con ambienti malavitosi e, quindi, del rischio di possibile sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa della Società Agricola Garofalo.

9.- Il T.A.R. ha peraltro ritenuto che ulteriori elementi significativi potevano rinvenirsi nella particolare articolazione del gruppo di società dei fratelli Garofalo - tra le quali sono comprese la Buffalo Beef Soc. agricola a r.l. e il Casaro del Re Soc. agricola a r.l., anche nei confronti delle quali l’Autorità prefettizia ha adottato il provvedimento interdittivo antimafia - e nella circostanza che il sig. R G ha posseduto (sino all’11 febbraio 2010) il 10% delle quote della Buffalo Beef.

Considerato che il capitale delle società del Gruppo Garofalo risultava estremamente frazionato tra i quattro fratelli fondatori ed i diciassette discendenti, secondo il T.A.R., si doveva ritenere che R G era stato “titolare di una quota molto significativa del capitale sociale della Buffalo Beef e che tale status sussisteva anche al momento dell’adozione dell’impugnato provvedimento interdittivo antimafia, in data 9 febbraio 2010”.

Se è quindi vero che il sig. R G non è socio o amministratore della Società Garofalo e che dal solo rapporto di parentela (con il padre A, socio della Agricola Garofalo) non può ragionevolmente desumersi alcun rischio di tentativo di infiltrazione mafiosa, è altrettanto vero, secondo il T.A.R., che il sig. R G era titolare di una quota consistente del capitale della Buffalo Beef, con i conseguenti rischi di infiltrazione mafiosa, anche sulla Società ricorrente facente parte dello stesso Gruppo.

10.- Ritiene la Sezione che le conclusioni alle quali è giunto il T.A.R. per il Lazio non possano essere sul punto condivise.

L’accertata rilevanza delle informazioni a carico del sig. R G, nato a Caserta il 10 agosto 1975, non risulta infatti tale da giustificare il provvedimento interdittivo emesso a carico della Società Agricola Garofalo.

Infatti, come si è già ricordato, il sig. R G non solo non era socio né aveva alcuna carica di natura amministrativa nella Società Agricola Garofalo ma non era nemmeno in grado di influenzarne le scelte e l’attività con la sua quota di minoranza (il 12,5%) nella società agricola Buffalo Beef, a fronte delle quote possedute da altri soci (e familiari) nella società in questione e nelle altre società del gruppo.

Come si evince dalla relazione tecnica in atti, redatta dal dr. R S il 14 aprile 2011, non risulta che il sig. R G del 1975 sia mai stato dipendente della Società Buffalo Beef, o amministratore della stessa società, o sia stato investito di altra carica, o abbia mai percepito un compenso come dipendente, come consulente o ad altro titolo. Il sig. R G, con la sua quota del 12,5%, non disponeva poi della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria né disponeva di voti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea, e nemmeno poteva esercitare, per accordi o patti, un’influenza su altra società del gruppo. Ed anche a voler considerare la partecipazione del sig. R G in un teorico consolidamento dei bilanci del gruppo la sua quota corrisponderebbe al 2,63% del capitale sociale aggregato.

Sempre da tale relazione si evince che non risultava poi nessun collegamento azionario fra la Buffalo Beef (della quale era socio il sig. R G) e l’appellante Società Agricola Garofalo.

Tali elementi, che non sono stati in alcun modo contraddetti dall’amministrazione resistente, fanno ritenere non provato un possibile condizionamento sulla società Agricola Garofalo del sig. R G del 1975.

11.- A ciò si deve aggiungere che nei confronti degli altri soci e familiari non sono state evidenziate situazioni di accertata possibile contiguità con la malavita organizzata.

Infatti, come sostenuto dall’appellante, gli altri elementi evincibili dalle informative di Polizia che si sono prima elencati, devono ritenersi non rilevanti ai fini della configurabilità di un rischio di infiltrazione mafiosa e non costituiscono prova attendibile di contiguità degli stessi con la malavita organizzata.

12.- Sulla base di tali considerazioni l’interdittiva antimafia del 9 febbraio 2010 non appare sorretta da sufficienti elementi nemmeno indiziari.

Del resto anche la Prefettura di Caserta, con la precedente informativa del 30 ottobre 2007, aveva accertato, sulla base di elementi indiziari non dissimili (e forse in parte più gravi) che nei confronti della Società ricorrente e dei relativi amministratori non sussistevano le cause interdittive di cui all’art. 4 d.lgs. 490/1994 ed all’art. 10 l. 575/1965.

13.- Tale conclusione risulta rafforzata dalla nuova valutazione compiuta dal Prefetto di Caserta che, a seguito di richiesta di riesame dell’interessata (e dopo la cessione da parte di G R della quota posseduta nella Buffalo Beef), ha dichiarato, il 14 luglio 2011, che “all’attualità… non risultano sussistere cause interdittive ai fini antimafia” per la società Agricola Garofalo e per la altre società del gruppo.

Secondo l’appellante, inoltre, il nuovo provvedimento del Prefetto di Caserta ha fatto seguito ad accertamenti e sopralluoghi condotti presso le aziende del gruppo Garofalo, con verifica estesa ad ogni aspetto della relativa gestione contabile ed amministrativa.

Tale circostanza non risulta smentita dall’Avvocatura Generale dello Stato.

14.- L’appello risulta quindi fondato e la sentenza del TAR per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I, n. 450 del 18 gennaio 2011 deve essere pertanto annullata.

L’interdittiva antimafia del Prefetto di Caserta del 9 febbraio 2010 deve ritenersi illegittima e deve essere quindi annullata. In conseguenza devono essere annullati anche i provvedimenti, impugnati davanti al T.A.R., con i quali il Commissario di Governo per l'Emergenza B negli allevamenti bufalini in provincia di Caserta e zone limitrofe aveva comunicato che non era possibile, a causa della citata interdittiva, procedere, ai sensi e per gli effetti del comma 6, art. 4 del D. Lgs. n. 490 dell’8/8/1994, all’erogazione degli indennizzi richiesti.

15.- In considerazione della particolare natura della vicenda le spese dei due gradi di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti.

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