Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-05-28, n. 202404737

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-05-28, n. 202404737
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202404737
Data del deposito : 28 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/05/2024

N. 04737/2024REG.PROV.COLL.

N. 06037/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6037 del 2023, proposto da
R E, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda ter , n. 11157/2023, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Diana Caminiti e udito Roma Capitale l’avvocato Memeo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. R E ha interposto appello avverso la sentenza del Tar per il Lazio, sezione seconda ter, 3 luglio 2023 n. 1157, con cui si è rigettato il ricorso da Ella proposto avverso il provvedimento di Roma Capitale CA/153638/2022 del 20/09/2022, avente ad oggetto il rigetto dell'istanza di occupazione di suolo pubblico emergenziale Covid in Piazza degli Zingari, n. 3, dove la medesima, in tesi attorea, gestisce una galleria d'arte con esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (nel 25% della superficie del locale) con contestuale ordine di rimozione entro sette giorni dalla notificazione ed ove occorrer possa, in parte qua, avverso il punto 1 della D.A.C. 81/2020.

Con il ricorso di prime cure la ricorrente articolava le seguenti censure:

1) Violazione degli artt. 7 e ss. L. 241/90;

2) Illegittimità per violazione e falsa applicazione del punto 1 e 14 della d.a.c. 81/2020 e ss.mm.ii.;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, travisamento dei presupposti in fatto e diritto, illogicità e contraddittorietà.

In tesi attorea l'unica interpretazione logica proponibile del punto 1 della D.A.C. 81/2020 sarebbe nel senso che l’OSP Covid sia richiedibile dai titolari di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande per i quali è consentita la consumazione al tavolo (in cui quindi rientrava anche la ricorrente) e dai titolari di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande per cui l’attività di somministrazione sia prevalente;
se così non fosse, sussisterebbe disparità di trattamento tra gli esercizi che esercitano la somministrazione, prevalente o non, rispetto alle gallerie d'arte, il che renderebbe illegittimo il punto 1 della D.A.C. 81/2020.

3) In subordine: inopponibilità del punto 1 della D.A.C. 81/2020;
in estremo subordine, illegittimità in via propria e derivata per illegittimità della D.A.C. 81/2020 e segnatamente del punto 1 per violazione dell'art. 181 del d.l. 34/2020, dell'art. 5 della l. 287/1991 e dell'art. 18 della d.c.c. 35/2010;
assenza totale di istruttoria e motivazione, arbitrarietà, eccesso di potere, illogicita' e contraddittorietà.

Secondo la ricorrente, laddove si fosse ritenuta corretta l'interpretazione data dall'Amministrazione capitolina, sarebbe inopponibile alla ricorrente del punto 1 della D.A.C. 81/2020, la cui efficacia sarebbe stata sospesa in via cautelare con effetti erga omnes ;
sarebbe in subordine illegittimo il punto 1 della D.A.C. 81/2020 laddove risulterebbe assentire l'occupazione di suolo pubblico emergenziale anche " ai centri sportivi all’interno del perimetro di concessione, le attività ricettive con autorizzazione per la somministrazione ai non alloggiati e le librerie in cui la vendita di libri è prevalente " e la escluderebbe per le gallerie d'arte in cui la galleria d'arte è prevalente (condizione che sarebbe identica a quella delle librerie con somministrazione).

2. Avverso la sentenza di prime cure, oggetto dell’odierno appello, la signora R ha articolato le seguenti censure:

1)Erroneità ed omessa pronuncia: violazione degli artt. 7 e ss. l. 241/90

Secondo parte appellante il Primo Giudice non avrebbe considerato che se l'Amministrazione avesse avviato un procedimento, trattandosi di attività discrezionale, Ella avrebbe potuto esporre le proprie ragioni con effetti deflattivi del contenzioso;

2) Erroneità ed omessa pronuncia: illegittimità in via propria e derivata per illegittimità della D.A.C. 81/2020 e segnatamente del punto 1 per violazione dell'art. 181 del d.l. 34/2020, dell'art. 5 della l. 287/1991 e dell'art. 18 della d.c.c. 35/2010;
assenza totale di istruttoria e motivazione, arbitrarietà, eccesso di potere, illogicita' e contraddittorietà.

In tesi di parte appellante la sentenza di prime cure non avrebbe correttamente considerato la dedotta illegittimità della D.A.C. 81/2020 in forza della quale tutti titolari di esercizi di somministrazione, prevalente o non, possono richiedere occupazione di suolo pubblico emergenziale, tranne le gallerie d'arte, probabilmente semplicemente dimenticate dall'elenco. Non solo, potrebbero godere del beneficio anche librerie dove l'attività di libreria è prevalente (nella medesima situazione delle gallerie d'arte dove l'attività di galleria è prevalente), dal che discenderebbe l'assoluta illogicità ed arbitrarietà della Deliberazione, laddove il giudice di prime cure aveva ritenuto non estensibile l’elenco, sulla base del rilievo della natura eccezionale della disposizione, senza peraltro debitamente considerare che l'art. 181 del D.L. 34/2020, nell'indicare i soggetti destinatari degli aiuti emergenziali e facoltizzati a richiedere occupazioni di suolo pubblico emergenziali, menzionerebbe espressamente l'art. 5 della L. 287/1991, che indica le tipologie di esercizi di somministrazione in Italia, fra cui quelle esercitate congiuntamente ad altra attività.

Tale disposto normativo, in tesi attorea, aveva avuto la sua evoluzione a seguito dello spostamento di competenza in materia di commercio dallo Stato alle Regioni e Comuni, culminando nella D.C.C. 35/10 che, nella Capitale, indicava definitivamente le tipologie degli esercizi di somministrazione nel territorio di Roma, espressamente menzionando le gallerie d'arte ove può esercitarsi somministrazione non prevalente (art. 18).

A ciò conseguirebbe la violazione di legge nell'esclusione delle gallerie d'arte con somministrazione non prevalente dall'alveo dei soggetti facoltizzati a richiedere Osp Covid.

La sentenza di prime cure , in tesi di parte appellante , sarebbe erronea anche nel punto in cui aveva ritenuto che la ricorrente non avesse esattamente evidenziato quali fossero i termini dell’asserita disparità di trattamento, avendo per

contro

Ella sostenuto che la norma di rango nazionale consentiva la possibilità di usufruire dell’occupazione della OSP Covid a tutti gli esercizi abilitati alla somministrazione (senza distinzione fra abilitazione totale o in misura percentuale) e che Roma Capitale l’aveva consentita a qualunque esercizio facoltizzato alla somministrazione, sia totale che in misura percentuale, negandolo solo alle gallerie d'arte senza alcuna motivazione.

3. L’istanza di tutela monocratica è stata rigettata con decreto n. 2874/2023 alla stregua dei seguenti rilievi: “ Considerato che al sommario esame proprio della presente fase non si ravvisano elementi per discostarsi dagli argomenti della sentenza appellata, stante il carattere eccezionale della occupazione di suolo pubblico per somministrazione di alimenti e bevande in ragione dell’emergenza pandemica, sicché i casi in cui essa è consentita sono da ritenere tassativi e di stretta interpretazione;

né può predicarsi una possibile disparità di trattamento tra esercizi commerciali in tesi “analoghi” (in tesi di parte ricorrente le gallerie d’arte dovrebbero fruire dello stesso regime delle librerie e dei centri sportivi), in ragione della tassatività che non consente estensioni analogiche e del carattere discrezionale della scelta operata dall’Amministrazione comunale nella individuazione delle categorie di esercizi che possono beneficiare delle occupazioni di suolo pubblico in questione;

ritenuto che in difetto di fumus boni iuris non è suscettibile di favorevole apprezzamento il periculum in mora, dovendosi anche comparare e bilanciare l’interesse del singolo esercizio alla occupazione di suolo pubblico con quello della collettività alla fruibilità comune e indistinta degli spazi pubblici quali beni comuni;

ritenuto infine che i precedenti cautelari della Sezione invocati da parte ricorrente si riferiscono, a differenza del presente caso, a vicende in cui non vi era ancora una pronuncia di merito del Tar ”.

3.1. L’istanza di tutela cautelare è stata poi rigettata con ordinanza 31 agosto 20223 n. 3611 alla stregua dei seguenti rilievi: “Ritenuto che l’istanza di sospensiva non sia meritevole di accoglimento per difetto del presupposto del fumus boni iuris, non essendovi ragioni per discostarsi da quanto ritenuto con il decreto presidenziale n. 2874/2023, stante il carattere eccezionale della occupazione di suolo pubblico per somministrazione di alimenti e bevande in ragione dell’emergenza pandemica, sicché i casi in cui essa è consentita sono da ritenere tassativi e di stretta interpretazione ed in ragione del rilievo che il precedente indirizzo cautelare espresso da questa Sezione si riferisce a vicende in cui non vi era ancora un pronunciamento di merito da parte del Tar;

Ritenuto inoltre che la censura riferita alla violazione dell’art. 7 l. 241/90 su cui il Tar non si è pronunciato, è sprovvista di fums boni iuris, atteso che Roma Capitale si è vincolata a monte con la DAC n. . 81/2020, rispetto alla quale non era ovviamente ammissibile la comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto generale, per cui rispetto all’atto applicativo trova applicazione il disposto dell’art. 21 octies comma 2, prima parte, l. 241/90, venendo in rilievo un’attività vincolata ”.

4. In data 29 febbraio 2024 parte appellante ha dichiarato di non avere più interesse alla decisione, sulla base dell’incomprensibile motivazione di non avere più “ la disponibilità dell’appello ”.

5. Roma Capitale con la memoria di discussione ha in via preliminare eccepito l’inammissibilità dell’appello, sulla base del rilievo che la Determina Dirigenziale prot. CA/153638/2022 del 20 settembre 2022, oggetto del ricorso di prime cure, non avrebbe ad oggetto Piazza degli Zingari n. 3, indicata nell’atto di appello e che dalla allegata Visura Camerale si evincerebbe che l’appellante – ditta individuale R E - non solo non avrebbe sede in Piazza degli Zingari n. 3 (come pure erroneamente indicato nell’intestazione del ricorso), ma in detta Piazza non aveva neppure dislocata una unità locale;
da ciò l’originario ed assoluto difetto di interesse della ricorrente alla riforma della gravata sentenza che aveva statuito in ordine ad una D.D. avente ad oggetto solo ed esclusivamente Via Teatro n. 41.

In subordine ha richiesto che, nel dichiarare l’improcedibilità del ricorso, si proceda all’accertamento della soccombenza virtuale, con condanna di parte appellante alla refusione delle spese di lite.

6. Parte appellante, con successiva memoria difensiva, ha replicato all’avversa eccezione di inammissibilità, affermando che l’indicazione di Piazza degli Zingari, quale sede della propria attività era dovuta ad un mero refuso, essendo per contro indubbio che il provvedimento oggetto di impugnativa in prime cure fosse riferibile al locale ove aveva la sede della propria attività. Ha quindi insistito per la compensazione delle spese di lite, avuto riguardo anche alla novità della questione.

7. La causa è stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 9 maggio 2024.

DIRITTO

8. In limine litis va precisato come possa prescindersi dall’eccezione di inammissibilità dell’appello – ma in realtà anche del ricorso di prime cure in cui non è indicato, al pari che nell’atto di appello, quale atto oggetto di impugnativa quello allegato agli atti, n. CA/2972/2022 del 20/09/2022, riferibile all’esercizio gestito dalla ricorrente sito in via del Teatro Pace, ma il provvedimento CA/153638/2022 del 20/09/2022, riferibile ad un esercizio sito in Piazza degli Zingari (cui fa riferimento peraltro anche la sentenza appellata) - avuto riguardo alla dichiarazione del legale di parte appellante, circa la sopravvenuta carenza di interesse alle decisione.

9. Ed invero, avuto riguardo a tale dichiarazione, l’appello va dichiarato improcedibile, non potendo il giudice a fronte della dichiarazione della parte, decidere diversamente, stante il principio dispositivo che governa anche il processo amministrativo.

10. L’improcedibilità tanto del ricorso di primo grado quanto del ricorso in appello peraltro, stante il mancato accordo delle parti sulle spese processuali ed anzi l’espressa richiesta del Comune di Roma Capitale alla refusione delle spese di lite, non esime peraltro il giudice dal pronunciarsi sulla soccombenza virtuale.

Infatti la dichiarazione di improcedibilità, al pari di quella di cessata materia del contendere, comporta che, al di fuori dei casi di compensazione, il giudice debba liquidare le spese di giudizio secondo il criterio della cd. soccombenza virtuale, ovvero secondo quello che sarebbe stato l'esito del processo ove detta declaratoria non fosse intervenuta, apprezzato secondo una sommaria delibazione del merito della pretesa azionata (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 17 agosto 2022, n.7214).

Secondo l’indirizzo ancora più rigoroso seguito dalla Suprema Corte di Cassazione la cessazione della materia del contendere, che sopravviene nel corso del processo, non esonera il giudice dal provvedere sulle spese dell'intero giudizio, anche in mancanza di istanza di parte, valutando, al riguardo, se sussistano giusti motivi di totale o parziale compensazione, sui quali il giudicante deve adeguatamente motivare, ovvero addossando dette spese all'una o all'altra parte secondo il criterio della soccombenza virtuale e le "gravi ed eccezionali ragioni", atte a legittimare la compensazione, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, non potendosi ritenere sufficiente, per derogare il principio della soccombenza, il mero riferimento alla peculiarità della materia del contendere (Cassazione civile sez. I, 16 giugno 2023, n.17256).

Analoghi principi debbono pertanto applicarsi con riguardo all’improcedibilità del ricorso.

11. Ciò posto, ad avviso del collegio - avuto anche riguardo al comportamento processuale di parte appellante, che si è determinata alla richiesta di declaratoria di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione solo dopo il rigetto tanto dell’istanza di tutela cautelare monocratica, quanto dell’istanza di tutela cautelare collegiale, senza neanche esattamente specificare le ragioni della sopravvenuta carenza di interesse, riferite ad un’asserita indisponibilità dell’appello - non vi sono ragioni per derogare al principio generale della soccombenza virtuale, rispetto al quale il principio di compensazione costituisce l’eccezione, da motivare adeguatamente, secondo il chiaro tenore testuale dell’art. 92 c.p.a. che rimette al giudice il relativo apprezzamento, avuto tra l’altro riguardo alla novità della questione o al mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni controverse.

11.1. Ed invero nell’ipotesi di specie la novità della questione, se poteva giustificare la compensazione delle spese di lite in prime cure (peraltro il primo giudice ha compensato le spese avendo riguardo non alla novità della questione, ma alle scarne difese spiegate dall’amministrazione resistente), a fronte della chiara e condivisibile decisione del primo giudice - che ha semplicemente applicato i principi in materia circa i limiti del sindacato degli atti amministrativi discrezionali, ovvero della D.A.C. n. 81/2020, rispetto alla quale il provvedimento adottato nei confronti di parte appellante si pone come atto consequenziale di carattere vincolato, evidenziando altresì il carattere eccezionale della occupazione di suolo pubblico per somministrazione di alimenti e bevande in ragione dell’emergenza pandemica - non giustifica la compensazione nell’odierno giudizio di appello.

11.2. E’ infatti noto che il ricorso in appello non può limitarsi ad un mero richiamo ai motivi del ricorso di primo grado, ma deve risolversi in specifiche censure contro la sentenza di prime grado, ai sensi del chiaro tenore testuale dell’art. 101 c.p.a., atte ad evidenziare l’erroneità della decisione appellata.

11.3. Ciò posto, la sentenza di prime cure si sottrae alle articolate censure, in quanto, come osservato dal primo giudice e condiviso in sede cautelare da questa Sezione, la normativa emergenziale di Roma Capitale ha inteso contemperare le esigenze di “ampliamento” delle occupazioni di suolo pubblico con quelle di gestione razionale del suolo e di salvaguardia del patrimonio pervenendo ad approvare una disciplina eccezionale, in deroga agli ordinari criteri, in cui è sospesa persino l’applicazione dei P.M.O. del Centro Storico.

Nelle stesse premesse della D.A.C n. 81 del 2020 è precisato che “ si rende necessaria una ponderazione degli interessi pubblici coinvolti con particolare riguardo all'esigenza di sostegno delle attività produttive in relazione alla particolare congiuntura economica determinatasi a seguito dell'emergenza Covid-19, nonché alla necessità che sia assicurato il corretto insediamento delle occupazioni di suolo pubblico in ambito urbano onde garantire il decoro, la visibilità e la godibilità degli spazi pubblici, la percezione dello spazio architettonico e/o paesaggistico, la pubblica fruizione e la sicurezza delle aree interessate, nonché la migliore applicazione delle prescrizioni in tema di distanziamento sociale, garantendo attraverso l'azione di controllo da parte della Polizia Locale il diritto al riposo dei residenti ”.

Pertanto al punto 1 della Dac 81/2020, avversato da parte appellante, occorre dare una lettura in linea con le finalità descritte, assegnando il dovuto rilievo e rispetto alla diversità delle singole fattispecie.

Roma capitale, nel dare attuazione alla normativa primaria di cui all’art. 181 del D.L. 34 del 19 maggio 2020, ha in tale contesto, come sottolineato dal primo giudice, introdotto una regolamentazione eccezionale (e di maggior favore), ricomprendendo oltre agli esercizi destinati in via principale all’attività di somministrazione e titolari di OSP ordinaria anche altri esercenti, i quali somministrano alimenti e bevande soltanto in via accessoria all’attività commerciale principale: librerie e centri sportivi.

Data la natura eccezionale della disposizione non è pertanto consentita una interpretazione estensiva a soggetti che esercitino altre attività in via prevalente e intendano esercitare (oppure già esercitino) in via accessoria quella di somministrazione.

11.4. La prescrizione contenuta nella D.A.C. n. 81/2020 inoltre, come evidenziato dal primo giudice non è foriera di disparità di trattamento fra l’attività esercitata dalla ricorrente in via principale (galleria d’arte) e quelle espressamente contemplate nella delibera, avuto riguardo alla ontologica differenza tra gli esercizi in questione ed alla circostanza che la richiamata esigenza di contemperamento degli interessi (propria di qualsiasi scelta discrezionale amministrativa) non risulta irragionevolmente effettuata laddove essa abbia privilegiato le attività commerciali alle quali la somministrazione di alimenti e bevande su suolo pubblico è connaturata (integrando l’attività principale), con alcune deroghe (centri sportivi e librerie) nei quali tale attività è comunque – sebbene non principale- significativa e accessoria a quella principale.

11.5. Neppure coglie nel segno, secondo quanto sia pure sinteticamente affermato dal primo giudice, la deduzione di parte appellante secondo cui la D.A.C. n. 81/2020 sarebbe in contrasto con l'art. 181 del D.L. 34/2020 che, nell'indicare i soggetti destinatari degli aiuti emergenziali e facoltizzati a richiedere occupazioni di suolo pubblico emergenziali, menzionerebbe espressamente l'art. 5 della L. 287/1991, che indica le tipologie di esercizi di somministrazione, fra cui quelle esercitate congiuntamente ad altra attività.

Ed invero l’art. 181 comma 1 del D.L. 34/2020 prevede expressis verbis che “ Anche al fine di promuovere la ripresa delle attività turistiche, danneggiate dall'emergenza epidemiologica da COVID-19, le imprese di pubblico esercizio di cui all'articolo 5 della legge 25 agosto 1991, n. 287, titolari di concessioni o di autorizzazioni concernenti l'utilizzazione del suolo pubblico, tenuto conto di quanto stabilito dall'articolo 4, comma 3-quater, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, sono esonerati dal 1° maggio fino al 31 dicembre 2020 dal pagamento della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al Capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 e dal canone di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 ”.

Il comma 2 a sua volta prevede che “ A far data dallo stesso termine di cui al comma 1 e fino al 31 dicembre 2020, le domande di nuove concessioni per l'occupazione di suolo pubblico ovvero di ampliamento delle superfici già concesse sono presentate in via telematica all'ufficio competente dell'Ente locale, con allegata la sola planimetria, in deroga al decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160 e senza applicazione dell'imposta di bollo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642” .

La circostanza che detti disposto normativi facciano rinvio alle imprese di pubblico esercizio di cui all'articolo 5 della legge 25 agosto 1991, n. 287, riferibile a tutti gli esercizi in cui è consentita la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, fra i quali in tesi attorea sarebbero ricomprese le gallerie d’arte, non è infatti dirimente, facendosi altresì riferimento agli esercizi che siano già titolari di concessioni o di autorizzazioni concernenti l'utilizzazione del suolo pubblico, e dunque ai titolari di OSP ordinaria, laddove, come evidenziato nella relazione di Roma capitale allegata in prime cure , ai sensi dell’art. 11 della DAC 21/21, le gallerie d’arte non sono legittimate all’ottenimento della OSP ordinaria.

Roma capitale ha pertanto esteso in via eccezionale la portata del disposto dell’art. 181 del D.L. 32/2020, prevedendo l’OSP Covid anche per coloro che non sono titolari di OSP ordinaria, ma in via eccezionale riservandola ai soli esercizi indicati, per cui appare del tutto condivisibile il ragionamento del primo giudice, fondato sul carattere eccezionale dell’indicata estensione.

11.6. Né risulta fondata la censura riferita alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, sulla quale il primo giudice non avrebbe motivato.

Ed invero nel giudizio amministrativo l'art. 101 c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) - che fa riferimento a " specifiche censure contro i capi della sentenza gravata " - deve essere coordinato con il principio di effetto devolutivo dell'appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione - ove necessario - della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (ex multis Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308;
17 gennaio 2020, n. 430;
13 febbraio 2017, n. 609).

Nell’ipotesi di specie, come già evidenziato in sede cautelare, la comunicazione di avvio del procedimento non era certamente predicabile rispetto all’atto generale di cui alla D.A.C. n. 81 del 2020, in applicazione di quanto notoriamente statuito nell’art. 13 della L. 241/90 (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 09 dicembre 2022, n. 10788 secondo cui in materia di partecipazione procedimentale l'art. 13 della L. n. 241 del 1990 esclude dall'applicazione degli istituti di partecipazione procedimentale gli atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione). Ne consegue che, avendo Roma Capitale speso a monte detta discrezionalità con l’adozione di tale atto, alcuna utilità avrebbe potuto apportare la parte rispetto all’atto applicativo oggetto di impugnativa, di natura vincolata, rispetto al quale ben può applicarsi il disposto dell’art. 21 octies comma 2 l. 241/90, prima parte, secondo il costante orientamento giurisprudenziale in materia.

12. Né la compensazione delle spese potrebbe trovare giustificazione in contrasti giurisprudenziali, in quanto come correttamente evidenziato in sede di tutela cautelare monocratica, i precedenti cautelari della Sezione invocati da parte ricorrente e per lo più fondati sull’apprezzamento del solo periculum in mora, si riferiscono, a differenza del presente caso, a vicende in cui non vi era ancora una pronuncia di merito del Tar.

13. Le spese di lite pertanto vanno poste a carico di parte appellante, liquidandosi come da dispositivo.

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