Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-02-23, n. 201201012

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-02-23, n. 201201012
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201201012
Data del deposito : 23 febbraio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06613/2007 REG.RIC.

N. 01012/2012REG.PROV.COLL.

N. 06613/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6613 del 2007, proposto da
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato e presso gli uffici della medesima domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Cli Firenze s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati G Mbidelli e F D, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via G. Carducci, 4;

per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I, n. 02484/2007, resa tra le parti, concernente PUBBLICITA' INGANNEVOLE


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2012 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati D'Ascia e Donati;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio con l’appello dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio, I, 21 marzo 2007, n. 2484, è quella del carattere ingannevole , o meno, dell’etichetta delle confezioni di olio extravergine di oliva Cli, sanzionata il 18 dicembre 1997 dalla stessa AGCM perché concepita con caratteristiche tali (indicazione “Cli Firenze”, posta sull’etichetta) da indurre nel consumatore l’inesatta convinzione che il prodotto fosse realizzato con pregiate olive toscane, anziché – come in concreto poi verificato – con olive provenienti da diverse zone italiane o da altri paesi del Mediterraneo.

Con la detta sentenza (che non risulta notificata) il ricorso proposto dalla Cli Firenze s.p.a. contro l’atto sanzionatorio e inibitorio è stato accolto sotto il profilo dell’eccesso di potere per difetto di motivazione ed illogicità manifesta, contenendo l’etichetta contestata solo la denominazione e la sede della ditta produttrice, la specificazione del prodotto (olio extra-vergine di oliva) e la denominazione specifica attribuita al prodotto (“Frant’olio”, commercializzato nel 1997), senza alcun riferimento al luogo di provenienza delle olive Il supposto convincimento del consumatore, di trovarsi in presenza di un olio proveniente da olive toscane, era dunque un “assunto sostanzialmente indimostrato”.

In sede di appello (n. 6613/07, notificato il 19 luglio 2007 e depositato il 3 agosto 2007), l’AGCM ha sottolineato invece che l’indicazione “Firenze” , posta sull’etichetta, lascia intendere che l’olio in questione è “interamente prodotto con materie prime raccolte in Toscana” , ovvero in una delle zone “più rinomate per la qualità degli oli d’oliva” . L’istruttoria, invece, aveva dimostrato come le olive lavorate provenissero prevalentemente dalla Puglia, dalla Grecia e dalla Spagna. Il consumatore, pertanto, avrebbe potuto essere orientato nelle proprie scelte in base al “distorto convincimento suscitato da quanto riportato nell’etichetta” , in assenza di ulteriori informazioni da cui potesse evincersi che l’olio contenuto nella confezione non fosse di provenienza toscana. Pur non contenendo informazioni non veritiere, pertanto, il messaggio era idoneo a trarre in inganno i destinatari riguardo all’origine ed alle caratteristiche del prodotto, con conseguente legittimità della sanzione irrogata.

Il Collegio non condivide questi argomenti .

Correttamente, infatti, la società appellata ha evidenziato come la dicitura “Cli Firenze”, riportata sull’etichetta del prodotto commerciale, coincideva con il marchio registrato della produttrice, nonché con la denominazione della medesima, con conseguente carattere dubbio della stessa natura pubblicitaria del messaggio sanzionato. L’Autorità, pertanto, avrebbe dovuto farsi carico di ulteriori indagini prima di ravvisare non solo l’ ingannevolezza , ma lo stesso carattere pubblicitario di un’indicazione come quella di cui trattasi.

Si deve piuttosto osservare che - a parte ogni questione, qui non rilevante, sulla disciplina delle denominazioni di origine - la società interessata aveva in linea di principio il diritto di avvalersi del suo marchio (cioè di un suo segno distintivo) registrato, quand’anche recante un’indicazione geografica (peraltro pertinente alla sua localizzazione) come “Firenze”.

La circostanza poi che questo uso fornisse ai consumatori elementi atti a renderli edotti di una provenienza geografica della merce non concerneva evidentemente, allo stato della normativa del tempo, la materia prima (le olive), bensì il prodotto finale medesimo (l’olio extravergine, la cui trattazione, imbottigliamento e commercializzazione presso l’azienda evidentemente non era ingannevole) e riguardava un produttore noto, la cui affidabilità si riferiva alla dichiarata lunga esperienza nel settore (esperienza che il marchio fa risalente al 1893). Il riferimento indotto dalla parola “Firenze” ad una zona rinomata per la produzione di olio, in cui lo stesso produttore aveva sede, è circostanza che non necessariamente si riferisce – in quel quadro normativo - alla coltivazione delle olive.

Quanto sopra non esclude che anche il marchio possa avere valenza pubblicitaria, tenuto conto dell’ampiezza della nozione, ai sensi della normativa applicabile ai fatti di cui è causa (art. 2 d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, secondo cui si intende per pubblicità “qualsiasi messaggio […] che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita” ). Appare però più arduo individuare – in rapporto alla riproduzione di un marchio registrato – il carattere di pubblicità ingannevole , come definita dalla disposizione, ovvero come messaggio che “in qualunque modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche a cui è rivolta o che raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico” .

La normativa in questione – non sostanzialmente dissimile, per quanto qui interessa, da quella successivamente introdotta dal Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206) – deve infatti ritenersi riferita ad un consumatore medio, in grado di distinguere il marchio di fabbrica (Cli – Firenze), peraltro graficamente separato dal resto dell’etichetta, dalle altre informazioni che nell’etichetta stessa si limitavano a garantire un certo livello di qualità, senza alcun riferimento alla zona di produzione delle materie prime impiegate.

Vale comunque rimarcare – ove mai si volesse porre, anziché la questione dell’ ingannevolezza del messaggio che si immagina contenuto nella denominazione etichettata, la diversa questione della c.d. tracciabilità dei prodotti agroalimentari e della più adeguata informazione del consumatore in ordine a storia, origine e caratteristiche del prodotto - che all’epoca (ormai molto risalente) dei fatti e dell’atto sanzionatorio impugnato non era ancora in vigore l’attuale disciplina, derivante dai Regolamenti (CE) n. 1019/2002 e 182/2009 sulla commercializzazione dell’olio d’oliva, né il conseguente e attuativo d.m. 10 novembre 2009, n. 8077 ( Disposizioni nazionali relative alle norme di commercializzazione dell’olio di oliva di cui al Regolamento (CE) n. 182 della Commissione del 6 marzo 2009 che modifica il Regolamento (CE) n. 1019/2002 ) che impone di indicare in etichetta l'origine delle olive impiegate per produrre olio extravergine di oliva. Del resto, la stessa Cli afferma incidentalmente di avere poi rispettato questa sopravvenuta normativa, inserendo nei suoi prodotti le indicazioni sull’area di provenienza delle olive.

Indipendentemente dunque dalla riconducibilità del caso in esame, che è del 1997, a quelle sopravvenute disposizioni, ratione temporis qui non rilevanti, vale anche considerare che nella specie, sul retro della confezione si indicava con evidenza come il prodotto fosse ottenuto con “oli extra-vergini di oliva comunitari”, confezionati e garantiti dalla Cli sul piano della qualità, in quanto ottenuti “direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici” .

Non sembra inutile sottolineare, peraltro, come nella gamma di prodotti allora offerti al mercato dalla medesima società risultasse anche l’olio d’oliva denominato Ligustro, del quale invece si forniva l’indicazione geografica protetta come olio toscano : il che pare confermare la presenza, in capo all’impresa sanzionata, di pratiche commerciali non finalizzate a trarre in inganno il consumatore.

Per le ragioni esposte, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto. Quanto alle spese giudiziali, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della delicatezza della questione sottoposta a giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi