Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-06-07, n. 201203370

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-06-07, n. 201203370
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201203370
Data del deposito : 7 giugno 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06182/2002 REG.RIC.

N. 03370/2012REG.PROV.COLL.

N. 06182/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6182 del 2002, proposto da:
Presidente del Consiglio di Stato, Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, Presidente T S;
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Gen. dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

S S, rappresentato e difeso dagli avv. E S, S S, con domicilio eletto presso Omnia Service Srl Agenzia in Roma, via Duilio, 22;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. SARDEGNA - CAGLIARI n. 00389/2002, resa tra le parti, concernente INVIO IN MISSIONE DI MAGISTRATI.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2012 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati S S e Daniela Giacobbe e Paola Zerman (avv.St.);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con l’appello in esame, il Presidente del Consiglio di Stato ed altri, come in epigrafe indicati, impugnano la sentenza 6 aprile 2002 n. 389, con la quale il TAR per la Sardegna, in accoglimento dei ricorsi proposti dal dott. S S, ha annullato, tra gli altri, tutti gli atti di designazione del Collegio costituito dai magistrati Ferrari, Cardoni e Russo.

La controversia attiene, in sostanza, alla prospettata illegittimità degli atti di composizione del Collegio giudicate di taluni ricorsi proposti dal dott. S S, magistrato amministrativo, innanzi al TAR per la Sardegna, composizione determinata con designazione ed invio di magistrati diversi da quelli incardinati presso detto Tribunale, per effetto della incompatibilità di questi ultimi. Si è, in particolare, lamentato che detta incompatibilità si sarebbe determinata per effetto dell’accoglimento di istanze di astensione proposte da quei magistrati, da parte del Presidente del TAR, anch’egli in posizione di incompatibilità, e che per questo avrebbe dovuto astenersi da ogni attività.

La sentenza appellata afferma:

- gli atti impugnati, concernenti la costituzione del collegio giudicante presso il TAR Sardegna “hanno natura di atti amministrativi preordinati alla nomina del Collegio, e non di atti giurisdizionali, di tal che essi sono immediatamente impugnabili dagli interessati che se ne ritengano lesi”;

- tali atti sono immediatamente impugnabili, perché non costituiscono atti endoprocedimentali, “bensì costituiscono atti finali del sub-procedimento di designazione del collegio giudicante che si inserisce nell’attività prodromica all’esercizio dell’attività giurisdizionale del Collegio stesso”;

- poiché gli atti suddetti “non costituiscono normale estrinsecazione dei poteri in materia attribuiti dall’art. 6 l. n. 186/1982 al Presidente del TAR . . . vi è il rischio che il Collegio così costituito possa non corrispondere al paradigma del giudice naturale precostituito per legge”;

- l’incompatibilità dei magistrati in servizio presso il TAR Cagliari è stata “illegittimamente vagliata dallo stesso Presidente S, a sua volta incompatibile e quindi tenuto ad evitare ogni attività, sia pure di natura amministrativa e prodromica a quella giurisdizionale, concernente il contenzioso promosso da S S”;
peraltro, ciò non costituisce “mera violazione dell’obbligo di astenersi ai sensi dell’art. 51 c.p.c. che . . . non costituisce causa di nullità della sentenza”;

- sulle istanze di astensione di alcuni giudici del TAR Sardegna avrebbe dovuto pronunciarsi “una autorità in posizione di terzietà” (Presidente del Consiglio di Stato), e non il Presidente S che “non era legittimato, a causa della sua incompatibilità”;

- la designazione dei magistrati è avvenuta senza “indicazione di criteri atti a definire i Tribunali più vicini ai sensi del terzo comma dell’art. 19 Regolamento interno CP”.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando, poiché il Tribunale ha “pronunciato su un ricorso in realtà inammissibile, perché volto a dedurre in via autonoma ed in primo grado doglianze che andavano invece correttamente versate in sede di impugnazione delle sentenze pronunciate dai Collegi (in tesi) irregolarmente costituiti”

b) error in iudicando, poiché il ricorso deve essere ritenuto inammissibile in quanto “rivolto al impugnare atti non aventi natura amministrativa”, poichè “si iscrivono tutti all’interno del procedimento finalizzato alla designazione del Collegio giudicante dunque prodromico all’esercizio dell’attività giurisdizionale” e vanno ritenuti “atti neutri di amministrazione della giurisdizione”. In definitiva, la parte di una controversia civile, penale o amministrativa non può ricorrere al giudice amministrativo per far valere l’invio in missione o l’applicazione di magistrati, “e ciò perchè l’ordinamento appresta alla parte che si ritenga lesa da quegli atti neutri, di amministrazione della giurisdizione, un solo strumento che è quello – ricorrendone i presupposti – dell’impugnazione degli atti adottati dal giudice irregolarmente costituito”;

c) error in iudicando poiché il ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, in quanto non notificato ad alcuno dei magistrati componenti il Collegio giudicante;

d) error in iudicando, in quanto, nell’accogliere l’istanza di astensione di taluni magistrati, il Presidente S “si è limitato ad espletare un’attività organizzativa di tipo dovuto, oltre tutto concretatasi nell’adozione di atti favorevoli all’interessato”, con conseguente rilievo di un profilo di inammissibilità del ricorso in I grado per difetto di interesse.

Si è costituito in giudizio il dott. S S, che ha concluso richiedendo pronunciarsi l’inammissibilità e comunque di rigettarsi l’appello, stante l’infondatezza, proponendo altresì appello incidentale, con riproposizione dei motivi dichiarati assorbiti..

Nelle more del giudizio lo Stara ha proposto “ricorso per astensione, o, in difetto di astensione, per ricusazione ex art.18 c.p.a” rivolto all’intero collegio attualmente giudicante.

Inoltre ha proposto istanza diretta a far constare l’intervenuta perenzione del ricorso in appello in discussione, con la richiesta di rimessione al Presidente della Sezione per la dichiarazione di perenzione.

All’udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. Preliminarmente, il Collegio deve esaminare l’istanza di ricusazione proposta dal dott. S S.

Nel presente caso, occorre osservare che le ragioni della ricusazione (proposta per il caso in cui i componenti del Collegio non abbiano in precedenza aderito all’invito di astenersi, loro rivolto dalla parte) si fondano, in sostanza, su ragioni processuali, afferenti alla fissazione di una pluralità di cause che vedono tutte come parte l’avv. S S.

Secondo il ricusante, in particolare una pluralità di “anomalie tecniche” evidenziate nell’atto di ricusazione, “valgono ad evidenziare, fino prova contraria, una costante e perseverante ostilità nei confronti del sottoscritto, sotto vari profili, integrante inimicizia in senso funzionale, rilevante nei sensi e in rapporto della previsione di cui all’art. 51, comma 1, n. 3 c.p.c.”.

Il ricusante chiede quindi di “darsi atto dell’effetto sospensivo della presente ricusazione”.

Occorre ricordare che questa Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi in tema di ricusazione (sotto il vigore del nuovo Cpa) con sentenza 28 febbraio 2012 n. 1162 (e già prima con ord. 6 giugno 2011 n. 3406), dalle cui considerazioni non vi è ragione di discostarsi.

Orbene, l’art. 18 Cpa prevede, in ordine alla decisione dell’istanza di ricusazione, tra l’altro che:

a) “il collegio investito della controversia può disporre la prosecuzione del giudizio, se ad un sommario esame ritiene l’istanza inammissibile o manifestamente infondata” (comma 4);

b) che “in ogni caso la decisione definitiva sull’istanza è adottata, entro trenta giorni dalla sua proposizione, dal collegio previa sostituzione del magistrato ricusato, che deve essere sentito” (comma 5).

Dalle norme riportate si evince che, nella prima ipotesi (cioè quando ravvisi l’inammissibilità o la manifesta infondatezza dell’istanza), il Collegio può decidere, anche in composizione comprendente il o i magistrati ricusati, dovendosi porre il problema del rinvio ad altra udienza (“previa sostituzione del magistrato ricusato”):

- sia quando non si rinvengano ragioni fondanti la declaratoria di inammissibilità o manifesta infondatezza dell’istanza (e quindi la stessa deve essere compiutamente esaminata);

- sia quando il Collegio ha delibato l’inammissibilità o la manifesta infondatezza dell’istanza, essendo in questo caso prevista una “seconda decisione”, come si evince dal comma 8, secondo periodo, in base al quale “l’accoglimento dell’istanza di ricusazione rende nulli gli atti compiuti ai sensi del comma 4 con la partecipazione del giudice ricusato”, norma che sarebbe priva di senso ove non si prevedesse una decisione successiva alla immediata delibazione di cui al comma 4, in applicazione – anche in questo caso – del successivo comma 5.

Né vi sono ragioni per distinguere, quanto all’applicazione dei commi 4 e 5 dell’art. 18, l’ipotesi in cui destinatario dell’istanza di ricusazione sia un determinato (o più determinati) componenti del Collegio giudicante, ovvero oggetto dell’istanza siano tutti i componenti del Collegio medesimo, di modo che, anche nel presente caso, il Collegio deve innanzi tutto delibare l’istanza e, se la ritenga inammissibile o manifestamente infondata, procedere oltre nel giudizio.

Allo stesso tempo, laddove oggetto di ricusazione è lo stesso intero Collegio, l’ulteriore valutazione dell’istanza di ricusazione – salvo quanto di seguito precisato - sarà effettuata da un Collegio avente composizione totalmente diversa.

In sostanza, l’art. 18 Cpa ha inteso, sul punto, meglio precisare – in ordine al procedimento conseguente all’istanza di ricusazione – quanto in generale previsto dall’art. 53, primo comma, c.p.c., il quale si limita a prevedere, per quel che interessa nella presente sede, che “sulla ricusazione decide . . . il collegio se è ricusato uno dei componenti del Tribunale o della Corte”.

La soluzione adottata dal Codice, che consente la immediata delibazione dell’istanza da parte del Collegio cui appartiene il giudice ricusato, ovvero da parte del Collegio ricusato nella sua totalità, è senza dubbio aderente al principio di effettività della tutela giurisdizionale, in quanto tesa ad evitare che con una pluralità di successive istanze di ricusazione venga paralizzata l’attività giurisdizionale. Essa è altresì conforme a quanto espresso anche dalla Corte Costituzionale, secondo la quale esiste un potere delibatorio del giudice della causa in ordine all’istanza di ricusazione, onde evitare che atti di ricusazione pretestuosi comportino effetti di ritardo o paralisi del giudizio (Corte cost., 18 marzo 2005 n. 115 e 23 luglio 2002 n. 388).

Nel merito, il Collegio ritiene che l’istanza di ricusazione è manifestamente infondata, in quanto essa individua il motivo di ricusazione dei componenti del Collegio in ragioni puramente afferenti all’andamento della causa, che di per sé (e quindi in difetto di ulteriore, specifica allegazione probatoria), non possono denotare alcun pregiudizio (tantomeno “inimicizia funzionale”), nei confronti di una delle parti

E ciò a maggior ragione ove si consideri che per i componenti del Collegio (peraltro modificatosi per ragioni accidentali nella sua composizione), pur fatti oggetto di ricusazione, non vi è stato alcun “contatto processuale” prima della proposizione stessa dell’istanza (cfr. Cass. Sez. Un., 21 settembre 2010 n. 20159, che ha ritenuto inammissibile un’istanza di ricusazione proposta avverso il collegio nel suo complesso, essendo le cause di astensione e ricusazione nel vigente ordinamento sempre riferibili direttamente o indirettamente al giudice come persona fisica).

Ciò ad eccezione di una serie di lettere del presidente, in risposta all’avv. Stara che chiedeva rinvii, in cui si facevano presente esigenze organizzative e si rilevava che la fissazione delle cause (inizialmente a novembre 2011) era stata conosciuta fin dal maggio 2011. Al che si aggiunga che in occasione dell’udienza di novembre è stata accolta la richiesta dell’avv. Stara di un ulteriore rinvio (nel caso all’udienza del 21 febbraio 2012), per tener conto dell’indisposizione fisica del legale nella data prevista come da comunicazione della stessa fatta pervenire il medesimo giorno della cennata udienza di novembre 2011.

Un simile comportamento, come quello degli altri membri del collegio, che non si sarebbero opposti alla determinazione del presidente, in alcun modo può essere identificato come potenziale causa di ricusazione.

Nel caso di specie, si tratta, in sostanza, di doglianze attinenti ad aspetti specifici della dinamica processuale (fissazione di una pluralità di cause nella medesima udienza, mancato accoglimento di istanze, etc.), che attengono ad un andamento comunque fisiologico del processo, e che non consentono di ritenere venuta meno la terzietà ed imparzialità del giudice.

Il Collegio riscontra, dunque, una sostanziale assenza di ragioni specifiche ex art. 18, comma 1 Cpa e artt. 51 e 52 C.p.c., nell’istanza di ricusazione in esame, tale da non farla ritenere affatto rapportabile alle ipotesi enucleate dalle predette disposizioni..

Il Collegio ritiene, inoltre, che la previsione di cui all’art. 18, commi 5 e 8, già sopra illustrata – secondo la quale occorre “in ogni caso”, una decisione definitiva sull’istanza di ricusazione (anche in presenza di una previa, sfavorevole delibazione della medesima), decisione definitiva che deve essere assunta dal Collegio “previa sostituzione del magistrato ricusato, che deve essere sentito” – concerne ipotesi ordinarie e specifiche di ricusazione.

Si è già detto che, in linea generale, allorché oggetto di ricusazione è lo stesso intero Collegio, l’ulteriore valutazione dell’istanza di ricusazione sarà effettuata da un Collegio avente composizione totalmente diversa.

Questo Collegio, tuttavia, ritiene che l’art. 18, co. 5, non sia applicabile laddove – come nel caso di specie - non solo l’intero Collegio sia stato oggetto di ricusazione (e di volta in volta singoli componenti del medesimo), ma la ragione fondante di ciò sia da rinvenirsi, in pratica, nella mera adozione di atti processuali (peraltro, come si è detto, nemmeno riferibili al medesimo Collegio).

Inoltre, non può farsi luogo a un secondo giudizio sulla revocazione tutte le volte che - per reiterazione della stessa nei confronti del Giudice, sia pure per supposte ragioni di volta in volta differenti, ovvero per sua proposizione alternativamente ora nei confronti dell’uno ora dell’altro dei componenti del Collegio – questa appare finalizzata a obiettivi meramente dilatori, al fine cioè di evitare la definizione del giudizio.

Ciò è reso ancora più evidente nel giudizio amministrativo laddove, mancando, in virtù della natura stessa di tale giudizio, una articolazione della fase istruttoria, il primo momento di “contatto” tra il giudice e le parti, e quindi la possibilità stessa di ricusazione, intervengono (come in questo caso) alla (o in vista della) stessa udienza pubblica volta alla decisione definitiva della controversia.

In definitiva, si intende affermare che l’art. 18 può essere applicato, nella pienezza delle norme ricavabili dalle sue disposizioni, solo in caso di ragioni di ricusazione che non appaia ictu oculi palesemente inammissibile o infondata e che, per le ragioni stesse su cui è fondata, appaia astrattamente proponibile e/o reiterabile nei confronti di qualunque Giudice chiamato a giudicare della controversia.

Tale interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 18 Cpa, ora offerta dal Collegio, è resa indispensabile dall’esigenza di consentire l’ordinato e celere svolgimento del giudizio, evitando che a ciò si frappongano istanze di ricusazione manifestamente inammissibili o infondate, ovvero un uso dell’istituto reiterato e non conforme alla ratio legis, con conseguenti riflessi sul diritto alla tutela giurisdizionale delle altre parti del giudizio, garantito dall’art. 24 Cost.

E ciò in coerenza con le esigenze considerate anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (ordd. nn. 115/2005 e 388/2002) e della Corte di Cassazione ( Sez. Un. n. 3948/1989).

Secondo la Suprema Corte, l’istituto della ricusazione non può (così come quello dell’astensione), “essere utilizzat(o) senza limiti, in quanto, se fosse consentito a qualunque giudice -persona di astenersi illimitatamente o alle parti di illimitatamente ricusare il giudice si renderebbe impossibile l'esercizio della giurisdizione escludendo la stessa giuridicità dell'ordinamento. Il limite dell'astensione e della ricusazione è quindi costituito dal fatto che siffatti poteri non possono essere esercitati fino al punto che si giunga al diniego di giustizia, in modo, cioè, che non si escluda la necessaria soggezione delle parti al giudizio.”.

Aggiunge ancora la Corte che non è possibile riconoscere alla parte “il potere di arrestare un processo a proprio piacimento”. Essa afferma ancora, con riferimento al caso sottoposto al suo giudizio, che “la possibilità della presentazione di illimitate istanze di ricusazione ad ognuna delle quali dovrebbero conseguire la sospensione ipso iure del processo impone una interpretazione che impedisca l'uso dei mezzi messi a disposizione dell'ordinamento per la realizzazione di risultati contrari a quelli voluti dal legislatore e ciò soprattutto quando tale interpretazione previene gli abusi, ma non danneggia la parte”.

Per le ragioni sin qui esposte, l’istanza di ricusazione proposta deve essere rigettata, in quanto manifestamente infondata, escluso ogni ulteriore esame della stessa.


3. Ancora in via preliminare, va esaminata la questione, sottoposta con memoria unica depositata in data 31 gennaio 2012 e reiterativa delle precedenti, con la quale si allega l’intervenuta perenzione che si sarebbe verificata nel presente giudizio, ai sensi dell’art. 1 dell’Allegato 3 al cod. proc. amm.

In estrema sintesi, l’istante contesta la fissazione di udienza intervenuta dopo la scadenza del termine di 180 giorni di cui alla disposizione testé richiamata, assumendo che la mancata presentazione di nuova domanda di parte di fissazione di udienza nel predetto termini avrebbe comportato ineluttabilmente la perenzione del giudizio, da dichiararsi con decreto presidenziale.

Peraltro, lo stesso ricorrente precisa di essere del tutto interessato alla definizione del giudizio nel merito, e che l’invocata dichiarazione di perenzione gli consentirebbe di “riattivare” il giudizio con apposita opposizione, con ciò superando gli inconvenienti cagionatigli dalla contestuale fissazione in unica udienza di una gran quantità di ricorsi nei quali egli è direttamente interessato.

Al riguardo, il Collegio rileva che – al di là di ogni questione ermeneutica in ordine all’esatta portata applicativa della norma transitoria sopra citata – l’intervenuta fissazione dell’udienza di merito non risulta avere in alcun modo pregiudicato l’esercizio dei diritti di difesa dell’istante: infatti, per un verso egli ha ab initio chiarito di avere ancora interesse alla definizione del giudizio (con ciò venendo meno la ratio stessa dell’istituto della perenzione, che è proprio quella di accertare la persistenza o meno dell’interesse del ricorrente), e comunque gli inconvenienti pratici lamentati sono certamente superati in virtù non solo e non tanto dell’intervenuta comunicazione della fissazione della prima udienza di merito con molti mesi di anticipo, ma anche dell’ulteriore rinvio di cui l’istante ha fruito a tale udienza (dal 15 novembre 2011 e 21 febbraio 2012), ciò che gli ha consentito di svolgere al meglio le proprie difese.


4. Nel merito, l’appello è fondato, in accoglimento dei primi due motivi proposti, poiché il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, per le ragioni di seguito esposte, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile dal primo giudice.

Infatti, gli atti oggetto di impugnazione in primo grado, lungi dall’avere natura di provvedimenti amministrativi (e quindi, in quanto tali, possibile oggetto di impugnazione da parte di chi dagli stessi si ritenga leso) hanno invece natura di atti giudiziari, in quanto strettamente propedeutici all’esercizio della funzione giurisdizionale e, come tali, estranei alla disciplina degli atti amministrativi (Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2008 n. 1363 e 22 giugno 2004 n. 4471).

Come peraltro esattamente rilevato dagli appellanti con il primo motivo di impugnazione, ai sensi degli artt. 158 e 161 c.p.c. (certamente applicabili anche al giudizio innanzi al giudice amministrativo), ogni nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice, nel caso di sentenze soggette ad appello o a ricorso per Cassazione “può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione”.

Per un verso, quindi, la natura giuridica degli atti ne esclude l’impugnazione davanti al giudice amministrativo, per altro verso l’ordinamento giuridico assicura espressamente il rimedio avverso eventuali nullità afferenti la costituzione del giudice, convogliando ogni doglianza attinente ai medesimi profili di nullità negli ordinari mezzi di impugnazione previsti per la sentenza pronunciata da quello stesso Collegio che si ritiene illegittimamente costituito.

Per le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto, ciò comportando la riforma della sentenza di I grado, e, di conseguenza, la declaratoria di inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado e del successivo ricorso per motivi aggiunti.

L’accoglimento per le ragioni esposte dell’appello principale rende inammissibile il proposto appello incidentale.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

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