Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-03-04, n. 201501064
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N. 01064/2015REG.PROV.COLL.
N. 04345/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4345 del 2014, proposto da:
Oppedisano G, rappresentato e difeso dall’avv. F C, con domicilio eletto presso la segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Comune di Roccella Jonica - Area Gestione del Territorio-Settore Urbanistica, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. L R, con domicilio eletto presso Francesco Armocida in Roma, Via Edoardo D’Onofrio, 212;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00716/2013, resa tra le parti, concernente della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA - SEZIONE STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 716/2013, resa tra le parti, concernente acquisizione gratuita del bene immobile utilizzato in modo difforme dall’atto concessorio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Roccella Jonica-Area Gestione del Territorio-Settore Urbanistica;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2015 il Presidente Giuseppe Severini e uditi per le parti gli avvocati F C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il signor Oppedisano G (in seguito “ricorrente”), con il ricorso n. 558 del 2013 proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, ha chiesto l’annullamento del provvedimento prot. n. 12762 CL 6.1.1 del 19 agosto 2013, notificato il 23 agosto 2013, del Comune di Roccella Jonica con il quale gli si comunicava che si sarebbe proceduto all’acquisizione gratuita del bene e dell’area di sedime di proprietà, riportato in catasto al foglio 42 part. 185 sub 7, sito al 4° piano del fabbricato ubicato alla Via Vico Grosso n. 3 – 5 “ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 241 del 1990 e dell’art.31 comma 3 d.P.R n. 380 del 2001” , essendo stato rilevato l’utilizzo del locale deposito come cucina, comportando ciò “la variazione essenziale dell’atto concessorio che ha autorizzato la realizzazione dei locali depositi, pertanto trattasi di interventi in totale difformità al permesso di costruire in sanatoria per come previsto dall’art. 31, comma 1 del d.P.R. n. 380 del 2001 e ss.mm.ii” , e considerato “che non si è provveduto al ripristino dello stato progettuale nei tempi previsti dalla normativa vigente” .
2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria con la sentenza n. 716 del 2013, pronunciata in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 Cod. proc. amm., ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile e in parte lo ha rigettato. Ha condannato il ricorrente al pagamento a favore del Comune di Roccella Jonica delle spese del giudizio, liquidate nel complesso in €1.500,00, oltre gli accessori di legge.
3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado, con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività.
La domanda cautelare è stata accolta con l’ordinanza n. 2966 del 2014.
4. All’udienza del 27 gennaio 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. La sentenza impugnata evidenzia che il Comune, a seguito di sopralluogo di cui al verbale del 23 gennaio 2012, aveva accertato la non autorizzata modificazione da parte del ricorrente della destinazione d’uso dei locali di cui si tratta da “depositi” a residenziale, precisamente quale cucina, che con successiva ordinanza, n. 7 del 23 febbraio 2012, notificata il 29 febbraio successivo, era stato ingiunto al ricorrente il ripristino dei locali allo stato progettuale e che il ricorrente non aveva impugnato tale ingiunzione, rimasta poi ineseguita come risultante dal successivo sopralluogo in data 19 agosto 2013.
Ciò rilevato il ricorso:
- è dichiarato inammissibile nella parte in cui non deduce vizi propri del provvedimento impugnato, di acquisizione del bene e dell’area di sedime, ma di quello, presupposto, di ingiunzione al ripristino, poiché, afferma il primo giudice, ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, l’acquisizione avviene automaticamente se l’ingiunzione al ripristino non è ottemperata ed è quindi atto dovuto e consequenziale, privo di discrezionalità e di autonoma portata lesiva avverso il quale non possono essere dedotte, di conseguenza, censure che avrebbero dovuto essere rivolte contro la presupposta ingiunzione di ripristino;
- è respinto, nella parte in cui il provvedimento impugnato è censurato per il suo autonomo vizio di carenza dei presupposti, dedotto per non avere il Comune fatto seguire all’ingiunzione di ripristino altro provvedimento se non quello di acquisizione del bene e dell’area di sedime, poiché, rileva altresì il primo giudice, ai sensi dell’art 31, l’unico provvedimento presupposto è quello di ingiunzione al ripristino dovendo l’Amministrazione farvi seguire ex lege , se inottemperato, quello di acquisizione, dato l’obbligo i emettere atti sanzionatori dell’abuso edilizio quale illecito a carattere permanente.
2. Nell’appello:
-a) si afferma che il provvedimento di acquisizione poteva essere impugnato anche per vizi propri di quello presupposto poiché, essendo stato emanato dopo più di un anno e mezzo da quello di ingiunzione al ripristino, e non come ivi previsto, entro i seguenti quarantacinque giorni, per effetto del lungo tempo così trascorso è venuta a mancare ogni funzione strumentale del provvedimento successivo rispetto a quello precedente;
-b) si deducono censure nel merito, già proposte in primo grado, ritenendo che: b.1.) l’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 non si applica al caso in esame;esso regola gli interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire ovvero con variazioni essenziali, non rapportandosi a ciò il mero cambio di destinazione per uso diverso da quello in progetto e non risultando quindi autorizzato, alla stregua della norma, il provvedimento di acquisizione del bene e dell’area al patrimonio comunale;b.2) non basta peraltro che un vano “deposito” sia destinato ad “abitabile” perché possa dirsi avvenuto il cambio di destinazione d’uso ad abitazione, essendo necessario che il vano abbia le caratteristiche oggettive per essere tale, ciò che non è nella specie, in ragione della sua dimensione (l’altezza è inferiore a mt. 2,70 e la superficie è di soli 8 mq), della sua carente attrezzatura per uso cucina e, infine, del suo uso a tale fine non normale e duraturo ma del tutto occasionale.
3. L’appello è infondato per le ragioni che seguono.
3.1. Non può anzitutto essere accolta la censura di cui sopra sub 2.a).
Sul rapporto tra ordinanza di demolizione e ripristino non ottemperata e successivo provvedimento di acquisizione del bene e dell’area di sedime la concorde giurisprudenza (es. Cons. Stato, IV, 18 novembre, 2014, n. 5666 e 26 agosto 2014, n. 4279;V, 8 aprile 2014, n. 4213), da cui non vi è motivo di discostarsi, ha chiarito che:
- l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive realizzate non è un provvedimento di autotutela ma una misura sanzionatoria che segue all’inottemperanza dell’ordine di demolizione e ripristino e che opera di diritto perché atto dovuto a carattere meramente dichiarativo;la scadenza del termine per ottemperare è il presupposto per l’applicazione automatica della sanzione amministrativa del trasferimento coattivo al Comune della proprietà sull’immobile quale effetto previsto dalla legge (ex art. 31, commi 3 e 4, d.P.R. n. 380 del 2001);
- è inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale della costruzione abusiva e dell’area di sedime, nel caso di mancata impugnazione dell’ingiunzione a demolire per vizi relativi a tale atto, essendo il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale autonomamente impugnabile solo per vizi propri.
Quanto sopra si applica al caso di specie, dove non è contestato che l’ordine di ripristino non è stato impugnato e che non è stato eseguito;non ha rilevanza, in tale quadro, il decorso del termine ivi eventualmente stabilito per l’adozione del conseguente provvedimento sanzionatorio dell’acquisizione;né che vi si sia provveduto un anno e mezzo dopo l’emanazione dell’ordine di ripristino.
Il solo termine stabilito dall’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 è infatti quello di novanta giorni dall’ingiunzione di rimozione o demolizione, assegnato al responsabile dell’abuso perché provveda all’esecuzione, decorso il quale “il bene e l’area di sedime […] sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune” (comma 3), essendo l’accertamento dell’inottemperanza “titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari” (comma 4);il decorso del termine che l’Amministrazione abbia ritenuto necessario per l’acquisizione non ha perciò incidenza sul suo dovere di legge di comunque provvedervi, permanendo la funzione strumentale dell’acquisizione rispetto all’ordine di ripristino, né incide su quello per l’interessato di impugnare tale ordine a propria tutela.
La sentenza di primo grado deve essere perciò confermata poiché correttamente vi si rileva l’inottemperanza all’ordine di ripristino, l’obbligatorietà della conseguente ordinanza di acquisizione e, con ciò, la non ammissibilità di censure avverso questa ordinanza in quanto relative al non impugnato ordine di ripristino.
3.2. Riguardo le censure di cui sopra sub 2.b) il Collegio osserva che: ai sensi della concessione edilizia in sanatoria n. 320 del 29 luglio 1996 (citata nell’ordinanza di ripristino) era stata autorizzata la destinazione a deposito del locale di cui si tratta, non risultando ciò contestato;questa destinazione è stata mutata a funzionalità di cucina, come accertato nei sopralluoghi del 3 novembre 2011 (verbale del 23 gennaio 2012) e del 19 agosto 2013 (le cui risultanze sono esposte nel provvedimento di acquisizione) e provato altresì dalle fotografie in atti, in contrasto inoltre con l’art. 92 del regolamento edilizio comunale essendo il locale di altezza è minore a quella di m. 2,70 ivi richiesta per le cucine (come provato dalla planimetria in atti);non rilevando l’eventuale uso saltuario sulla diversa destinazione che sia stata data.
Da tutto ciò consegue che questo mutamento è in difformità dal titolo abilitativo e comporta una diversa incidenza sul carico urbanistico, per quanto limitata a un solo locale, qualificandosi quale “trasformazione edilizia” che non poteva essere eseguita in totale assenza di ogni tipo di titolo, come è in fatto avvenuto (Cons. Stato, V, 20 agosto 2013, n. 4182;IV, 14 ottobre 2011, n. 5539), che l’Amministrazione ne ha perciò correttamente ordinata l’eliminazione con il ripristino e che, inottemperato quest’ordine, a fronte del detto mutamento, rapportabile alla previsione del comma 1 del più volte citato art. 31 (che resta ferma ai sensi del successivo art. 32) in quanto trasformazione edilizia, altro non poteva disporre se non l’acquisizione, con l’effetto altrimenti dell’irreversibilità dell’abuso.
4. Per quanto considerato l’appello è infondato e deve essere respinto.
Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in euro 2.000.