Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-04-21, n. 202103244

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-04-21, n. 202103244
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202103244
Data del deposito : 21 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/04/2021

N. 03244/2021REG.PROV.COLL.

N. 03420/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3420 del 2019, proposto dal Ministero della Giustizia e dal Ministero dell'Interno, in persona dei Ministri pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

i signori C B, G C, G S, A F, L P, C G, D B, L F, M G, L B, A G, D A, M D F, P S, R L, rappresentati e difesi dagli avvocati D M ed E Q, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Prima, n. 863 del 23 gennaio 2019, resa tra le parti, concernente il riconoscimento del diritto a percepire l’indennità giudiziaria.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori C B, G C, G S, A F, L P, C G, D B, L F, M G, L B, A G, D A, M D F, P S e R L;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 marzo 2021, svoltasi in video conferenza ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, il consigliere Nicola D’Angelo;

Nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I signori C B, luogotenente dell’Arma dei Carabinieri, G C, luogotenente dell’Arma dei Carabinieri, G S, luogotenente dell’Arma dei Carabinieri, A F, luogotenente dell’Arma dei Carabinieri, L P, brigadiere dell’Arma dei Carabinieri, C G, ispettore superiore della Polizia di Stato, D B, ispettore superiore della Polizia di Stato, L F, ispettore superiore della Polizia di Stato, M G, sovrintendente capo della Polizia di Stato, L B, sovrintendente della Polizia di Stato, A G, assistente capo della Polizia di Stato, D A, assistente capo della Polizia di Stato, M D F, maresciallo capo della Guardia di Finanza, P S, luogotenente dell’Arma dei Carabinieri, e R L, luogotenente dell’Arma dei Carabinieri, in servizio presso le sezioni di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica del Tribunale di Brescia, hanno svolto le loro mansioni in affiancamento alle singole segreterie dei sostituti Procuratori, coadiuvando i magistrati e il personale di segreteria.

1.1. In particolare, il Procuratore della Repubblica di Brescia, in accordo con il Presidente dello stesso Tribunale, per agevolare la stesura dei provvedimenti del GIP conseguenti alle richieste dell’ufficio del Pubblico Ministero, ha disposto la condivisione delle cartelle informatiche contenenti i files degli atti relativi all’attività degli uffici predetti, già esistenti nei computer in uso allo stesso Pubblico Ministero, al segretario e all’ufficiale di polizia giudiziaria affiancato al magistrato. Di conseguenza, con note n.535/2005 del 10 dicembre 2005 e n. 535/2005 dell’11 maggio 2006 il Procuratore della Repubblica ha evidenziato la necessità che i sopra menzionati ufficiali di polizia giudiziaria, affiancati ai Pubblici Ministeri, provvedessero ad alimentare dette cartelle condivise, con l’inserimento dei capi di imputazione nella cartella creata dai tecnici informatici, installata sui personal computer in uso ai medesimi, nonché ad inserire nei fascicoli di indagine i seguiti del procedimento a registro generale informatico, utilizzando una user id e password rilasciata dal dirigente di cancelleria.

2. Ciò premesso, i suddetti ufficiali di polizia giudiziaria hanno sostenuto che le specifiche mansioni di cancelleria svolte, consistenti nell’attività di materiale di supporto amministrativo agli uffici del Pubblico Ministero, fosse analoga a quelle del personale di segreteria e dunque non riconducibile alle funzioni attribuite istituzionalmente alle sezioni di polizia giudiziaria.

2.1. Per questa ragione, essi hanno chiesto al Tar per il Lazio, sede di Roma, l’accertamento del loro diritto a percepire l’indennità giudiziaria (ora di amministrazione) di cui alla legge 22 giugno 1988, n. 221, dalla data di maturazione dei rispettivi crediti, con conseguente condanna delle Amministrazioni intimate al pagamento della suddetta indennità, oltre interessi e rivalutazione.

2.2. Secondo i ricorrenti, lo svolgimento in concreto di attività amministrativa di supporto agli uffici dei magistrati, con mansioni analoghe a quelle svolte dai dipendenti del Ministero della Giustizia applicati alle cancellerie e segreterie giudiziarie, darebbe infatti diritto alla percezione dell’indennità giudiziaria riconosciuta dalla citata legge n. 221/1988 al personale delle stesse strutture.

2.3. Tale riconoscimento, giustificato dalle mansioni svolte (comprovate dai provvedimenti del Procuratore della Repubblica n. 535/2005 del 10 dicembre 2005 e n. 535/2005 dell’11 maggio 2006 e dal provvedimento del Procuratore aggiunto del 10 settembre 2009), andrebbe quindi esteso anche al personale comandato, distaccato o comunque fuori ruolo, purché effettivamente addetto ai servizi amministrativi.

2.4. L’indennità, per i ricorrenti, troverebbe applicazione anche dopo l'entrata in vigore della norma interpretativa contenuta nell’art. 3, comma 60, della legge n. 537/1993, secondo cui le disposizioni di cui alla legge n. 221/1988 si sono applicate solo al personale espressamente previsto in servizio presso le Amministrazioni contemplate dalle stesse disposizioni, permanendo come unico requisito necessario per la spettanza dell’indennità lo svolgimento della prestazione lavorativa presso gli uffici delle varie magistrature. Si tratterebbe, dunque, di un emolumento dovuto se e nella misura del concreto esercizio dell’attività di specie e non una voce ordinaria della retribuzione.

2.4. Nel riconoscimento della stessa non sussisterebbe poi il divieto di cumulo tra indennità accessorie, in quanto quelle già percepite ed erogate dalle rispettive Amministrazioni di appartenenza avrebbero svolto una funzione di integrazione stipendiale, invece l’indennità giudiziaria sarebbe da porre al di fuori della retribuzione.

3. Il Tar del Lazio, sede di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, dopo aver affermato la propria competenza territoriale, ha parzialmente accolto il ricorso. Lo stesso Tribunale ha infatti evidenziato che l’indennità giudiziaria di cui all’art. 2 della legge 22 giugno 1988, n. 221, non sarebbe diretta a compensare le prestazioni svolte nella struttura dell’organizzazione giudiziaria, ma ad indennizzare il personale amministrativo delle cancellerie e segreterie giudiziarie per le attività svolte presso tali specifici uffici, e ciò indipendentemente dall’appartenenza ai ruoli dell’Amministrazione giudiziaria, con la sola condizione dell’effettiva applicazione ai servizi amministrativi.

3.1. In sostanza, per il giudice di primo grado, l’indennità giudiziaria spetterebbe al personale, sia esso di ruolo delle segreterie giudiziarie e delle cancellerie, sia esso in posizione di comando, distacco, assegnazione o utilizzo comunque denominato presso gli uffici suddetti, che svolge attività amministrative proprie e caratteristiche dei servizi di cancelleria e segreteria. La ratio giustificativa della stessa indennità, pur trovando la sua fonte diretta e immediata nel rapporto di lavoro che lega il dipendente alla struttura amministrativa dell'organizzazione giudiziaria, non sarebbe dunque finalizzata a compensare direttamente ed esclusivamente tale prestazione, ma sarebbe tesa ad indennizzare solo il personale amministrativo comunque utilizzato nelle cancellerie e nelle segreterie giudiziarie per il particolarmente intenso, delicato ed ininterrotto servizio prestato per l'esatto e ordinato funzionamento degli uffici giudiziari.

3.2. Né, secondo il Tar, contrasterebbe con tale conclusione quanto stabilito dall’art. 3, comma 60, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, secondo cui “ le disposizioni di cui all’art. 168 della legge 11 luglio 1980, n. 312 e alle leggi 22 giugno 1988, n. 221 e 15 febbraio 1989, n. 51, si interpretano nel senso che si applicano al personale in esse espressamente previsto purché in servizio presso le amministrazioni contemplate dalle norme stesse ”. Le suddette previsioni non implicherebbero che l’indennità spetti solo al personale organicamente inquadrato nei ruoli a servizio delle magistrature, ma si limiterebbero soltanto a sancire la inapplicabilità in via analogica del beneficio in esame a personale diverso da quello espressamente contemplato, valorizzando, pertanto, proprio il legame funzionale in luogo del rapporto formale di dipendenza organica del dipendente ed ammettendo, quindi, che l’unico requisito necessario per la spettanza dell’indennità è lo svolgimento della prestazione lavorativa presso gli uffici delle varie magistrature.

3.3. Per queste ragioni, il giudice di primo grado ha ritenuto che potesse essere riconosciuta ai ricorrenti l’indennità di cui è causa in considerazione dell’attività lavorativa in concreto svolta ed in relazione ai diversi ed effettivi periodi di svolgimento, anche in assenza di opposizione da parte delle Amministrazioni interessate.

3.4. Il riconoscimento dell’indennità è stato tuttavia condizionato all’applicazione dell’art. 3, comma 63, della legge n.537/1993 i dipendenti pubblici in posizione di comando, di fuori ruolo o in altre analoghe posizioni non possono cumulare indennità, compensi o emolumenti, comunque denominati, anche se pensionabili, corrisposti dall’Amministrazione di appartenenza con altri analoghi trattamenti accessori previsti da specifiche disposizioni di legge a favore del personale dell’Amministrazione presso la quale i predetti pubblici dipendenti prestano servizio ”. Di conseguenza, in considerazione del divieto di cumulo delle indennità riconosciute, l’attribuzione del beneficio invocato dai ricorrenti è stato riconosciuto dal Tar tenendo conto delle altre indennità eventualmente già percepite dai medesimi, salva la facoltà di optare per l'indennità economicamente più vantaggiosa.

4. I Ministeri della Giustizia e dell’Interno hanno proposto appello contro la suddetta sentenza, sulla base di un unico ed articolato motivo di gravame.

4.1. Violazione dell’art. 2, comma 2, dell’art. 71, comma 1, dell’Allegato A, comma 1, lettera p) del d.lgs. n. 165/2001.

4.1.1. La domanda proposta dagli originari ricorrenti è stata finalizzata ad ottenere la corresponsione dell’indennità giudiziaria, riconosciuta al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie per effetto della previsione di cui all’art. 2 della legge n. 221/1988. Il Tar per il Lazio, nel riconoscere in favore dei richiedenti il diritto alla stessa indennità, ha fatto applicazione di un risalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui l’indennità giudiziaria sarebbe diretta ad indennizzare il personale amministrativo delle cancellerie e segreterie giudiziarie per i compiti intensi e delicati, indipendentemente dall’appartenenza ai ruoli dell’Amministrazione giudiziaria e purché il personale sia effettivamente addetto ai servizi amministrativi.

4.1.2. Per le Amministrazioni appellanti le conclusioni del Tar non hanno tenuto conto dell’evoluzione della normativa di riferimento: il ragionamento seguito dal giudice di primo grado risulterebbe infatti ancorato ad una ricostruzione delle fonti, che risulta ormai superata.

4.1.3. In particolare, l’indennità giudiziaria originariamente prevista per i soli magistrati ordinari dall’art. 3 della legge n. 27/1981 e poi per i magistrati amministrativi, contabili e militari, nonché per gli avvocati e procuratori dello Stato, è stata successivamente estesa, con la legge n. 221/1988, al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie.

A seguito della contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 29/1993 e delle sue successive modificazioni, ai contratti collettivi è stato attribuito il valore di “fonte” dei rapporti di lavoro (art. 45, comma 1) per il trattamento economico fondamentale ed accessorio. L’art. 72, comma 1, del d.lgs. n. 29/1993 (ora art.71, comma 1, del d.lgs. 165\2001), ha poi stabilito che - a seguito della stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997 - cessavano di produrre effetti, in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati, le norme generali e speciali di cui agli allegati A) e B) del decreto stesso. In particolare, l’allegato A, al comma 1, lettera p), ha previsto espressamente tra le norme che cessano di produrre effetti anche la legge n. 221/1988 (invocata dagli appellanti per il riconoscimento dell’indennità). Con il D.P.C.M. 3 marzo 1995, il Governo è stato quindi autorizzato a sottoscrivere il primo contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto del personale dipendente dai Ministeri, concordato tra l’ARAN e le confederazioni sindacali.

L’art. 34, comma 1, del suddetto contratto collettivo, sottoscritto il 16 maggio 1995, ha in particolare previsto che i trattamenti economici accessori in atto presso le singole Amministrazioni del comparto, secondo la specifica disciplina legislativa, contrattuale ed amministrativa in vigore, andavano conservati nelle Amministrazioni medesime tramite apposite tabelle, della determinazione della retribuzione accessoria mensile distinta per livello.

Lo stesso contratto collettivo 1994/97, disciplinando la retribuzione accessoria di tutti i dipendenti del comparto (art. 34, comma 2, lett. a), con l’intento di mantenere il trattamento economico accessorio già in godimento, ha previsto la conservazione di un’indennità qualificata di amministrazione (unica per tutti i Ministeri e variabile solo nel quantum ) avente carattere fisso e continuativo della retribuzione, riconosciuta a tutti i dipendenti del comparto a prescindere dall’effettivo servizio e dalla tipologia di funzione espletata. Il successivo CCNL del 16 febbraio 1999 ha poi disposto un incremento degli importi dell’indennità di amministrazione (di cui al citato art. 34 del CCNL del 1995) e, con comma aggiunto dall’art. 17 del CCNL integrativo di cui all’Accordo 16 maggio 2001 – Comparto Ministeri -, ha previsto la corresponsione della indennità di amministrazione in dodici mensilità, riconoscendole “ carattere di generalità ” e “ natura fissa e ricorrente ”.

Successivamente, il d.lgs. n. 165/2001 ha previsto, all’art. 2, comma 2, che “ l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi (…) o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dal relativo rinnovo contrattuale ”.

4.1.4. Dal quadro sopra delineato, secondo parte appellante, emerge quindi che in conseguenza della privatizzazione e della contrattualizzazione nell’ambito del pubblico impiego, il trattamento retributivo del personale del Ministero della Giustizia possa avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e che, a fronte della espressa disapplicazione della normativa relativa all’indennità giudiziaria, il primo contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto ministeri, sottoscritto in data 16 maggio 1995, ha introdotto l’indennità di amministrazione, che ha natura e presupposti diversi rispetto a quella giudiziaria (in sostanza, l’emolumento ha assunto carattere generale e continuativo, riconosciuto, sia pure con importo diverso, in via esclusiva, ai dipendenti del comparto Ministeri, a prescindere dalla natura dell’attività espletata).

4.1.5. Di conseguenza, secondo le Amministrazioni appellanti, l’indennità in esame non potrebbe più trovare applicazione nei confronti di personale estraneo al comparto Ministeri.

4.1.6. In ogni caso, evidenzia parte appellante, circa l’attività lavorativa svolta in concreto dai ricorrenti, nessun rilievo giuridico potrebbe avere l’assenza di opposizione delle stesse Amministrazioni rilevata dal Tar, in quanto l’art. 64 c.p.a. è entrato in vigore dopo la proposizione del ricorso e comunque la mancata presa di posizione sui fatti rappresentati dai ricorrenti non avrebbe potuto integrare una piena prova, né un'ammissione implicita del fatto ex adverso dedotto, spettando invece a loro la dimostrazione della fondatezza delle loro asserzioni.

4.1.7. D’altra parte, le mansioni espletate dagli appartenenti alle sezioni di polizia giudiziaria, che gli appellati asseriscono essere state di natura prevalentemente amministrativa, risulterebbero invece differenti rispetto a quelle del personale amministrativo. Queste ultime, infatti, sono specificate da un mansionario generale allegato al Contratto Collettivo Nazionale Lavoro che tiene,

tra l’altro, conto delle diverse qualifiche professionali e poi, nello specifico, vengono dettagliate ed assegnate al personale con le disposizioni di servizio a firma del dirigente amministrativo. Di contro, le attività amministrative e burocratiche svolte dal personale di polizia giudiziaria risultano essere in stretta correlazione con le principali attività di istituto.

5. Gli appellati si sono costituiti in giudizio il 30 maggio 2019, chiedendo il rigetto dell’appello, ed hanno depositato memorie il 28 agosto e il 21 settembre 2019.

6. Con l’ordinanza collegiale n. 7012 del 15 ottobre 2019, questa Sezione ha ritenuto necessaria: “ l’acquisizione di una documentata relazione, da cui si possano evincere le seguenti circostanze:

a) quanti siano stati i dipendenti del Ministero dell’interno e dell’Arma dei Carabinieri che hanno lavorato – che abbiano cessato tale attività o che lavorino tutt’ora - presso gli uffici della procura della Repubblica di Brescia, con l’indicazione delle relative qualifiche, che abbiano chiesto la corresponsione della indennità prevista dall’art. 2 della legge n. 221 del 1988;

b) se tali dipendenti (o dipendenti di altre Amministrazioni) abbiano percepito emolumenti di qualsiasi natura e comunque denominati, per il fatto di prestare l’attività lavorativa presso gli uffici della procura della Repubblica di Brescia;

c) quanti dipendenti del Ministero – o di altre Amministrazioni - abbiano prestato servizio presso altri uffici delle procure della Repubblica, svolgendo attività analoghe a quelle che gli appellati dichiarano di avere svolto e di continuare a svolgere (precisando se essi abbiano chiesto o ottenuto in sede amministrativa ovvero chiesto o ottenuto in sede giurisdizionale il pagamento di una indennità, a causa dello svolgimento della medesima attività lavorativa);

d) se risulti che dipendenti di altre Amministrazioni – anche di altri comparti - abbiano chiesto o ottenuto in sede amministrativa o in sede giurisdizionale il pagamento di una indennità, a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa presso gli uffici giudiziari del territorio nazionale;

e) quali siano state le effettive mansioni svolte dagli appellati, nel periodo in relazione al quale la sentenza impugnata ha ritenuto spettante l’indennità in questione;

f) ogni altro elemento utile a definire il presente giudizio.

Tale relazione dovrà essere redatta dal Ministero della giustizia, con l’ausilio del Ministero dell’Interno e con la collaborazione delle altre amministrazioni per quanto di propria competenza, entro il termine di giorni novanta, decorrente dalla comunicazione della presente ordinanza ”.

7. Con la successiva ordinanza collegiale n. 2488 del 20 aprile 2020, questa Sezione ha disposto: “ Considerato che l’ordinanza n. 7012 del 2019 ha fissato il termine di novanta giorni, per il deposito della relazione;

Vista l’istanza formulata in data 14 gennaio 2020 dal Ministero della giustizia e dal Ministero dell’interno, con cui è prospettata la difficoltà di dare tempestiva esecuzione alla medesima ordinanza ed è chiesta una proroga del termine per il deposito della relazione;

Vista la memoria depositata dagli appellati, i quali hanno chiesto che sia fissata l’udienza per la definizione del secondo grado del giudizio, senza ulteriori differimenti;

Considerato che l’istanza di proroga è accoglibile, poiché si basa su ragioni serie ed è volta ad effettuare i dovuti accertamenti (dovendosi riservare in sede di definizione del giudizio ogni valutazione sulle deduzioni formulate dagli appellati, con la memoria di data 8 aprile 2020);

Considerato che, nella relazione istruttoria, i Ministeri appellanti – per il caso in cui sia risultato lo svolgimento in fatto delle mansioni che gli appellati deducono di avere svolto - dovranno inoltre precisare:

se tale svolgimento sia stato autorizzato o comunque disposto con atti formali dalla autorità giudiziaria o da una autorità amministrativa;

quali siano i criteri di selezione dei dipendenti del Ministero dell’interno e dell’Arma dei Carabinieri, che prestano la loro attività lavorativa presso gli uffici delle procure della Repubblica;

Rilevato che, pertanto, il termine fissato dalla ordinanza della Sezione n. 7019 (rectius: 7012) del 2019 va prorogato al 15 luglio 2020 ”.

8. Le Amministrazioni appellanti hanno depositato la documentazione richiesta con i predetti incombenti istruttori il 15 e il 16 luglio 2020.

9. Gli appellati hanno, infine, depositato documenti il 21 gennaio 2021, una memoria il 28 gennaio 2021 e, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 28 del 2020, così come integrato dall’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, note di udienza il 1° marzo 2021.

10. La causa è stata trattenuta in decisione, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, nell’udienza pubblica tenutasi in video conferenza il 4 marzo 2021.

11. Ritiene la Sezione che l’appello è fondato e va accolto (a prescindere dell’evidente infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’appello derivante, secondo gli appellati, dalla carente attività difensionale svolta dall’Amministrazione in primo grado).

12. Con il ricorso proposto al Tar per il Lazio, sede di Roma, gli originari ricorrenti hanno dedotto di avere la qualifica di agenti e di ufficiali della polizia giudiziaria e di aver svolto la loro attività lavorativa in affiancamento alle singole segreterie dei sostituti Procuratori, coadiuvando i magistrati e il personale delle stesse segreterie. In particolare, di aver svolto in concreto mansioni analoghe a quelle espletate dal personale di segreteria dipendente dal Ministero della giustizia.

12.1. Gli appellati hanno quindi chiesto l’accertamento del loro diritto di percepire la ‘indennità giudiziaria’ di cui all’art. 2 della legge 22 giugno 1988, n. 221, dalla data di maturazione dei relativi crediti.

13. Il Tar per il Lazio, con la sentenza n. 863 del 2019, ha parzialmente accolto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese del giudizio. In particolare, il TAR, come sopra evidenziato, ha richiamato la giurisprudenza sulla natura della ‘indennità giudiziaria’ e sulla sua spettanza a tutto il personale, sia esso di ruolo delle segreterie giudiziarie e delle cancellerie, sia esso in posizione di comando, distacco, assegnazione o utilizzo comunque denominato presso gli uffici suddetti, che assicuri in concreto l’indicata funzione, attività amministrative proprie e caratteristiche dei servizi di cancelleria e segreteria, indipendentemente dalla sua appartenenza ai ruoli dell’Amministrazione giudiziaria. Il TAR ha quindi ritenuto che l’indennità fosse dovuta anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 3, comma 60, della legge n. 537 del 1993 e che gli interessati, fermo restando il divieto di cumulo, potessero scegliere se percepire l’importo calcolato sulla base della legge n. 221 del 1988 o l’indennità accessoria legata alla specifica prestazione di lavoro svolta.

14. Sulla base di un unico ed articolato motivo di appello, il Ministero della giustizia ed il Ministero dell’Interno hanno chiesto la riforma della sentenza del Tar, deducendo, sostanzialmente che:

- l’art. 45 comma 1, del decreto legislativo n. 29 del 1993, ha disposto, a seguito della contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego, che il trattamento economico fondamentale ed accessorio fosse definito dai contratti collettivi con un meccanismo di delegificazione;

- l’art. 71, comma 1, del medesimo decreto legislativo ha previsto che, con la stipula dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, hanno cessato di produrre effetti, per i soggetti da essi previsti, le norme generali e speciali di cui agli allegati A e B, tra cui la legge n. 221 del 1988, indicata nel comma 1, lettera p), dell’allegato A;

- con il d.P.C.M. 3 marzo 1995, il Governo è stato autorizzato a sottoscrivere il primo contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto del personale dipendente dai Ministeri (di data 16 maggio 2005), il cui art. 34, al comma 1, ha previsto la conservazione dei trattamenti economici accessori e al comma 2 ha rimandato all’allegato B per l’indicazione delle tabelle sulla determinazione della retribuzione accessoria mensile, distinta per Amministrazioni e livelli, mantenendo il trattamento economico accessorio già in godimento;

- i successivi contratti del 22 ottobre 1997, del 16 febbraio 1999 e del 16 maggio 2001 hanno modificato le tabelle e gli importi dell’indennità di amministrazione, prevedendo la corresponsione in dodici mensilità;

- per l’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, l’attribuzione di trattamenti economici può quindi avvenire esclusivamente mediante contratti collettivo o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti non hanno più efficacia a far data dal relativo rinnovo contrattuale;

- da tale quadro normativo, si desume che i dipendenti del Ministero della giustizia percepiscono una indennità, ‘che ha natura e presupposti diversi rispetto alla disapplicata indennità giudiziaria’, che ha ‘carattere di emolumento generale e continuativo, sia pure con importo diverso, in via esclusiva, ai dipendenti del comparto Ministeri, a prescindere dalla natura dell’attività espletata’, con la conseguente impossibilità di corrispondere l’indennità di amministrazione al personale di altri comparti;

- il TAR nel ritenere ‘ non contestati i fatti ’ dedotti degli interessati, ha erroneamente attribuito all’art. 64, comma 2, del c.p.a. un effetto comprovante le effettive mansioni svolte, non tenendo conto, per di più, che la disposizione è entrata in vigore dopo la proposizione del ricorso di primo grado;

- l’attività svolta dagli interessati sarebbe riferibile a quella di polizia giudiziaria, quindi alle loro qualifiche.

15. Questa Sezione con l’ordinanza collegiale sopra menzionata (n. 7012/2019) ha chiesto una documentata relazione al Ministero della Giustizia sulle presenze e sulle mansioni del personale dipendente dal Ministero degli Interni e dall’Arma dei Carabinieri presso la Procura di Brescia e più in generale presso le altre Procure della Repubblica, nonché notizie sulla percezione da parte degli interessati di emolumenti accessori di qualsiasi natura per l’attività lavorativa svolta.

15.1. La relazione richiesta, con annessa una corposa documentazione, è stata depositata in giudizio il 15 e il 16 luglio 2020. L’Amministrazione della Giustizia ha, con completezza, chiesto conto delle circostanze oggetto di giudizio non solo alla Procura Generale direttamente coinvolta (Brescia), ma, per il tramite delle altre Procure Generali, a tutte le Procure della Repubblica, nonché all’Arma dei Carabinieri, al Ministero dell’Interno e alla Guardia di Finanza.

15.2. Dalla relazione e dalla documentazione prodotta, è emerso, in sintesi, che le attività amministrative e burocratiche svolte dal personale di polizia giudiziaria presso le Procure della Repubblica risultano essere, in linea generale, in stretta correlazione con le attività di istituto, cioè con quelle relative alle mansioni di polizia giudiziaria (talvolta il suddetto personale è anche utilizzato negli adempimenti relativi alla segreteria dei magistrati).

15.3. In particolare, per la Procura di Brescia le attività in affiancamento della segreteria dei Pubblici Ministeri sono state svolta nell’ambito dei compiti di istituto degli addetti, posto che presso gli stessi uffici operava comunque un cancelliere con compiti invece prettamente amministrativi (presso la stessa Procura erano applicate ventidue persone provenienti dai Carabinieri, dalla Polizia di Stato e dalla Guardia di Finanza con compiti di istituto e non burocratici- cfr. relazione del Procuratore di Brescia del 9 dicembre 2019).

15.4. Inoltre, come evidenziato dall’Arma dei Carabinieri e dal Ministero dell’Interno, per i dipendenti interessati sono stati riconosciuti emolumenti accessori, ad esempio a titolo di compenso per l’efficienza dei servizi istituzionali, compensi per lavoro straordinario, indennità per servizi esterni, o altre indennità previste dalle Amministrazioni di appartenenza, ma mai un’indennità di amministrazione (cfr. note depositate in esito al richiamato incombente istruttorio del Comando Generale dell’Arma del 9 giugno 2020 e del 12 dicembre 2019 e nota Ministero dell’Interno del 19 dicembre 2019, mentre con nota del Comando Generale della Guardia di Finanza dell’8 maggio 2020 è stato specificato che l’indennità non è stata attribuita dallo stesso Corpo).

15.5. L’Amministrazione della giustizia ha poi sottolineato (cfr. relazione del 14 luglio 2020) come gli appartenenti alle forze dell’ordine assegnati alla Procura di Brescia non fossero in posizione di comando ex art. 51 del CCNL del comparto Ministeri, ma applicati ai sensi del d.lgs. n. 271/1989 ai fini della costituzione della sezione di polizia giudiziaria per compiti ovviamente rientranti nelle specifiche attribuzioni delle istituzioni di appartenenza (peraltro, in aggiunta alle considerazione dell’Amministrazione, ai sensi delle disposizioni di attuazione all’art. 10 del c.p.p., introdotte dal citato d.lgs. n. 271/1989, non va sottaciuto che: “ il personale delle sezioni è esonerato, quanto all'impiego, dai compiti e dagli obblighi derivanti dagli ordinamenti della amministrazioni di appartenenza non inerenti alle funzioni di polizia giudiziaria, salvo che per casi eccezionali o per esigenze di istruzione e addestrative, previo consenso del capo dell'ufficio presso il quale la sezione è istituita ” - cfr. comma 3).

16. Ciò premesso, al di là della prova di quali attività abbiano in concreto svolto gli interessati (in ogni caso, non può trovare applicazione nella fattispecie, in ordine alla mancata opposizione dell’Amministrazione, l’articolo 64, comma 2, del c.p.a., in quanto ancora non in vigore al momento della proposizione del giudizio di primo grado), il punto centrale della controversia risiede comunque nella circostanza che l’indennità giudiziaria, ora denominata di amministrazione, ha una natura e presupposti diversi rispetto a quella prevista dall’art. 2 della legge n. 221/1988 (disposizione invocata dai ricorrenti per il suo riconoscimento).

16.1. Essa è infatti, almeno dall’Accordo integrativo del 16 maggio 2001 del Comparto Ministeri, un emolumento che ha “ carattere di generalità ” e “ natura fissa e ricorrente ” riconosciuto in via esclusiva per i dipendenti dello stesso comparto (quindi non per il Comparto Sicurezza, per il quale l’eventuale attività svolta presso gli uffici giudiziari dà luogo ad indennità collegate all’appartenenza alle relative istituzioni).

16.2. Ai dipendenti della Polizia di Stato, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, in servizio presso il Tribunale non spetta quindi l'indennità di amministrazione, ex indennità giudiziaria, prevista dal

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