Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-08-11, n. 202307751

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-08-11, n. 202307751
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202307751
Data del deposito : 11 agosto 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/08/2023

N. 07751/2023REG.PROV.COLL.

N. 02596/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2596 del 2022, proposto da
O P &
C S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato D L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Porto Cesareo, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A Q, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Prima) n. 1317/2021, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Porto Cesareo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2023 il Cons. Maurizio Antonio Pasquale Francola e preso atto delle conclusioni rassegnate dalle parti per iscritto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La O P &
C. s.a.s., nella duplice qualità di titolare sia della struttura ricettiva denominata “Hotel Paradise” sita in Porto Cesareo alla Via Riviera di Levante, sia della concessione demaniale marittima n. 10 del 29.05.2007 avente ad oggetto un’area demaniale della consistenza di mq 600 con relativo fronte mare di m. 40,00 a servizio della predetta struttura ricettiva retrostante, domandava, in data 14.04.2016, un ampliamento di mq 320,00 dell’area demaniale già in concessione.

Il Comune di Porto Cesareo rigettava la domanda di ampliamento e la contestuale domanda di risagomazione dell’area demaniale già in concessione con provvedimento prot. n. 6942 del 13.04.2017, che la O P &
C. s.a.s. impugnava (RG n. 878/2017) anche al fine di ottenere il risarcimento dei danni lamentati.

Con sentenza n. 766/2018 il T.A.R. per la Puglia, sezione staccata di Lecce, respingeva il ricorso.

La O P &
C. s.a.s. proponeva appello (RG n. 46/2019) che il Consiglio di Stato, con sentenza n. 575/2020 del 24.01.2020, accoglieva.

In seguito, con nota prot. n. 9703 del 27.04.2020, il Comune di Porto Cesareo preavvisava nuovamente il diniego dell’istanza di ampliamento della concessione demaniale marittima n. 10/2007, adottando, in seguito, il provvedimento prot. n. 0029977 datato 23.11.2020 con il quale nuovamente si negava il chiesto ampliamento per i seguenti motivi: a) la richiesta costituirebbe, in realtà, una domanda di rilascio di nuova concessione, come tale implicante l’esperimento di apposita procedura concorsuale ai sensi dell’art. 8 della L.R. Puglia n. 17/2015, sol perché l’istanza è propedeutica a consentire lo svolgimento di una nuova e autonoma attività commerciale (ovvero il chiosco-bar presente sulla spiaggia a servizio dell’Hotel Paradise);
b) “ la rilevante consistenza dell’“ampliamento” richiesto (come detto di oltre la metà della superficie concessa, con incremento del fronte mare di oltre il 50%), finisce con il realizzare un vero e proprio stravolgimento delle condizioni originarie … ”;
c) il tratto di costa in questione sarebbe localizzato in una zona centrale dell’abitato di Porto Cesareo da sempre vocato all’uso pubblico per la libera fruizione e balneazione, essendo normalmente utilizzato dalle famiglie e dai residenti di Porto Cesareo, al punto da doversi ritenere siffatto uso da preservare in quanto corrispondente ad un interesse generale preminente rispetto allo sfruttamento dell’arenile a scopo di lucro;
d) “ la nuova attività commerciale determinerebbe un ulteriore rilevante afflusso di uomini e mezzi;
tra l’altro la zona in questione è interessata da un notevole traffico veicolare per la presenza di numerose altre attività commerciali, circostanza suscettibile di incidere anche sul piano della sicurezza e dell’ordine pubblico, sicché appare prioritario evitare l’ulteriore aggravamento della situazione attuale
”;
e) l’eventuale sottrazione di ulteriore arenile all’uso pubblico sarebbe in contrasto con le previsioni di cui all’art.

5.3 del vigente P.R.C. che destina prioritariamente a spiaggia libera proprio gli ambiti demaniali di più facile accesso nei centri abitati o a ridosso degli stessi.

Avverso siffatto provvedimento la O P &
C. s.a.s. presentava ricorso che il T.A.R. Puglia, sezione staccata di Lecce, rigettava con la pronuncia della sentenza n. 1317/2021 pubblicata il 27 agosto 2021.

La società, allora, proponeva appello, censurando le motivazioni della decisione adottata dal giudice di primo grado ed insistendo nella proposta domanda di annullamento dell’impugnato provvedimento di diniego e nella domanda di risarcimento del danno.

Si costituiva il Comune di Porto Cesareo, opponendosi all’accoglimento dell’appello in quanto infondato in fatto e in diritto.

Con ordinanza n. 2015/2022 il Collegio rigettava l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata, compensando le spese processuali della relativa fase.

All’udienza pubblica del 27 giugno 2023, il Collegio tratteneva l’appello in decisione.

DIRITTO

I. – L’oggetto del decidere.

Il provvedimento di diniego impugnato è contraddistinto da una motivazione redatta secondo la tecnica redazionale dei motivi plurimi ed autonomi, essendo state, infatti, indicate le molteplici ragioni ritenute dal Comune di Porto Cesareo ostative all’accoglimento dell’istanza dell’appellante.

Il che ha correttamente indotto quest’ultimo ad articolare specifici motivi di impugnazione per ognuno dei predetti motivi, onde salvaguardare la proposta domanda di annullamento da un’eventuale declaratoria di inammissibilità per carenza di interesse a ricorrere dipendente dall’omessa articolazione di apposite censure nei confronti anche soltanto di una delle molteplici ragioni ostative riportate nella motivazione dell’impugnato provvedimento di diniego.

Costituisce, infatti, principio consolidato ritenere sufficiente, ai fini della verifica della legittimità del provvedimento amministrativo fondato su una pluralità di motivi autonomi, che almeno uno di essi risulti in grado di sorreggere per intero l'atto stesso;
il che si verifica quando anche uno soltanto di essi non forma oggetto di specifica censura. Sussistendo detta evenienza, il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse, considerato che il provvedimento impugnato continuerebbe a produrre i suoi effetti perché mantenuto in vita dal motivo non contestato e da solo sufficiente a giustificare la determinazione in esso contenuta (Consiglio di Stato, sez. II, 14/10/2022, n. 87784;
Cons. Stato, sez. III, 1.8.2022, n. 6751;
Cons. Stato, sez. V, 11.1.2022, n. 200;
Cons. Stato, sez. VI, 7.1.2014, n. 12;
18.5.2012, n. 2894 e 27.4.2015, n. 2123;
Cons. Stato, sez. V, 25.2.2015, n. 927).

Sennonché la peculiare motivazione plurima caratterizzante la motivazione del provvedimento in questione non influisce soltanto sulle modalità di predisposizione del ricorso ma anche sulla tecnica redazionale della sentenza, ben potendo il giudice limitare il proprio sindacato alle censure ritenute infondate inerenti ad un motivo autonomo di diniego validamente opposto dall’Amministrazione all’istante e da solo sufficiente a giustificare la decisione assunta.

Secondo quanto, infatti, affermato dal Consiglio di Stato « Non collide e non pregiudica l'effettività della tutela quella tecnica di giudizio che, in attuazione dei principi del giusto processo, tra cui figurano anche la celerità e le esigenze di economia processuale, seleziona i motivi da scrutinare: a) in forza della c.d. ragione più liquida;
b) in ragione della ripetitività dei motivi medesimi rispetto ad altri già esaminati e respinti;
c) nel caso in cui il provvedimento impugnato si fondi su una pluralità di ragioni autonome, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità
» (Consiglio di Stato, sez. IV, 12/09/2017, n. 4288).

E poiché, nella fattispecie, la dichiarata sussistenza di interessi pubblici contrari al rilascio del chiesto provvedimento ampliativo costituisce di per sé motivazione sufficiente a giustificare il provvedimento impugnato occorre procedere all’esame delle censure dedotte in relazione a siffatto motivo di diniego, in caso di fondatezza delle stesse procedendo, poi, all’esame anche delle doglianze concernenti le ulteriori ragioni ritenute ostative all’accoglimento dell’istanza dell’appellante.

Il Comune di Porto Cesareo ha motivato la propria decisione adducendo a ragione del diniego opposto, tra l’altro, “ che il tratto di costa in questione è localizzato in una zona centrale dell’abitato di Porto Cesareo ed è da sempre vocato all’uso pubblico per la libera fruizione e balneazione;
in particolare la spiaggia è normalmente utilizzata dalle famiglie e dai residenti di Porto Cesareo;
tale uso va preservato in coerenza con l’interesse generale che è prevalente rispetto allo sfruttamento dell’arenile a scopo di lucro
”.

II. – La decisione di primo grado .

L’adito T.A.R. ha ritenuto infondato il terzo motivo articolato dall’appellante sul punto, poiché, da un lato, la scelta di concedere o meno in utilizzo determinate aree demaniali rientrerebbe nell’ampia discrezionalità dell’Autorità Amministrativa e, dall’altro, il provvedimento impugnato sarebbe, in relazione al profilo dell’interesse pubblico perseguito, adeguatamente motivato, non ravvisandosi profili di contraddittorietà nella decisione assunta.

III. – Il primo motivo di appello .

Con il primo motivo di appello si lamenta l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui non ha accolto la censura con la quale si contestava la possibilità per l’Amministrazione comunale di formulare nuovi ed ulteriori motivi ostativi rispetto a quelli caratterizzanti il precedente diniego annullato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 575/2020, avendo il Comune, infatti, per la prima volta manifestato con il provvedimento in questa sede impugnato l’esistenza di un preminente interesse pubblico ostativo all’accoglimento delle istanze di ampliamento della concessione demaniale marittima n. 10/2007 e di risagomazione dell’area già in concessione presentate dall’appellante.

Quest’ultimo, infatti, deduce che il primo provvedimento di diniego annullato dal Consiglio di Stato con la citata pronuncia era stato preceduto già da ben due differenti preavvisi di rigetto, con i quali il Comune rappresentava l’esistenza di molteplici e diversi motivi ostativi all’accoglimento delle istanze in questione.

Di conseguenza, l’annullamento del predetto provvedimento non avrebbe potuto consentire al Comune la formulazione, per la terza volta, di ulteriori ragioni ostative del tutto diverse da quelle precedenti, esulando siffatta evenienza dalla logica propria del one shot temperato.

III.1. – Il primo motivo di appello è infondato .

Il Collegio, anzitutto, osserva che il giudicato formatosi sulla richiamata pronuncia del Consiglio di Stato ha decretato la regola da seguire per la definizione del rapporto tra le parti in causa, essendo, infatti, tenuto il Comune a riesaminare le istanze dell’appellante ma non anche ad accoglierle.

La sentenza, infatti, non definisce anche la tipologia di provvedimento da adottare, non pronunciandosi anche sulla spettanza del bene della vita anelato dall’istante, essendo in tal senso univocamente indicativa la formula “ salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione ” riportata tanto in motivazione (al par. 9.), quanto nel dispositivo di accoglimento del proposto appello.

Il Comune di Porto Cesareo, pertanto, aveva la possibilità di addurre ulteriori ragioni ostative rispetto a quelle già articolate nel precedente provvedimento di diniego annullato in sede giurisdizionale, potendo rilevare, durante il riesame dell’istanza dell’appellante, anche motivi nuovi, purché non meramente defatigatori, idonei a giustificare il mancato rilascio del chiesto provvedimento ampliativo.

L’articolazione, dunque, di due precedenti preavvisi di rigetto in relazione al primo provvedimento di diniego poi annullato in sede giurisdizionale non costituisce un elemento rilevante in questa sede poiché assorbita e coperta dal giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 575/2020 statuente l’annullamento del provvedimento controverso seguito dalla riconosciuta possibilità per il Comune di determinarsi ancora una volta con un diniego purché motivato da ragioni differenti rispetto a quelle precedentemente già esternate, in virtù della formula “ salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione ”.

Il che è coerente con il rispetto del principio evocato dall’appellante.

Il giudicato per la sua latitudine ed ampiezza permetteva, infatti, di garantire la corretta applicazione del c.d. one shot temperato, formatosi in sede giurisprudenziale per evitare che l'amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale;
tanto comporta che è dovere della stessa pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l'affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l'avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato;
tale principio costituisce il punto di equilibrio tra due opposte esigenze, quali la garanzia di inesauribilità del potere di amministrazione attiva e la portata cogente del giudicato di annullamento con i suoi effetti conformativi.

Al riguardo, va ricordato che tale principio è già emerso come consolidato nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, come principio del c.d. one shot temperato, onde evitare che l'amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale (Consiglio di Stato, sez. VI, 04/05/2022, n. 3480).

Si ritiene quindi dovere della stessa pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l'affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l'avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato;
tale principio costituisce il punto di equilibrio tra due opposte esigenze, quali la garanzia di inesauribilità del potere di amministrazione attiva e la portata cogente del giudicato di annullamento con i suoi effetti conformativi (cfr. in tal senso Consiglio di Stato, sez. V, 8 gennaio 2019, n. 144, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321 e sez. III, 14 febbraio 2017, n. 660).

Né, peraltro, a differente conclusione può pervenirsi in ragione del novellato testo dell’art. 10 bis L. n. 241/1990 secondo cui " in caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato ", poiché, in primo luogo, il giudicato formatosi sulla sentenza n. 575/2020 del Consiglio di Stato non contempla alcuna specificazione al riguardo (come sarebbe stato, invece, doveroso qualora l’intento fosse stato quello di adeguare la riedizione del potere alla nuova normativa), limitandosi soltanto a devolvere per intero il riesame della fattispecie all'amministrazione nell’osservanza di alcuni principi guida, con la implicita e piena possibilità, dunque, di apprezzare tanto il materiale già versato in istruttoria quanto quello emerso successivamente.

In secondo luogo, il nuovo testo dell’art. 10 bis L. n. 241/1990 non sarebbe applicabile alla fattispecie in ragione della generale regola tempus regit actum , poiché, pur essendo stato introdotto dall'art. 12, comma 1, lett. e) del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, ed ossia in data antecedente all'adozione del provvedimento in questa sede impugnato, contempla una disciplina sostanziale che orienta l’esercizio del potere sin dal suo primo atto, al punto da poter trovare applicazione solo in relazione ai procedimenti successivi all'entrata in vigore della novella, avuto riguardo al loro "incardinamento" originario e non alla data in cui viene riesercitato, ora per allora, il relativo potere (Consiglio di Stato sez. II, 22/05/2023, n. 5072).

Ponendo, infatti, un limite sostanziale al potere amministrativo, il nuovo art. 10 bis L. n. 241/1990 è applicabile soltanto ai procedimenti iniziati dopo la sua entrata in vigore, essendo all’uopo rilevante il tempo di presentazione dell’istanza costituente atto di impulso dell’interessato e non l’avvio del riesame dipendente da un precedente annullamento, essendo l'Amministrazione gravata dell'obbligo di prendere in esame e porre come motivo di eventuale rigetto tutti gli elementi emersi in sede procedimentale (Cons. Stato, sez. II, n. 6829/2022).

Pertanto, il motivo è destituito di fondamento, ben potendo il Comune di Porto Cesareo adottare un nuovo provvedimento di diniego motivato da ragioni ostative ulteriori e differenti rispetto a quelle contemplate nel primo provvedimento annullato dal Consiglio di Stato con la citata sentenza.

IV. – Il secondo motivo di appello .

Con il secondo motivo di appello si lamenta l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui non ha accolto la censura con la quale si contestava la motivazione in sé adottata dall’Amministrazione comunale, poiché l’ampliamento della concessione demaniale non avrebbe implicato alcun pregiudizio per l’interesse pubblico alla libera fruizione dell’arenile ad opera delle famiglie e dei residenti di Porto Cesareo, dal momento che sarebbe rimasto libero circa il 92,48% del litorale adibito a spiaggia. Il tratto di spiaggia di cui si domanda la concessione, infatti, sarebbe talmente contenuto da non pregiudicare il predetto interesse pubblico.

Inoltre, nelle aree demaniali in questione non sarebbero presenti altre concessioni demaniali ed altri stabilimenti balneari. Donde, la riprova dell’illegittimità dell’impugnato provvedimento in relazione proprio al profilo motivazionale, non essendo stato adeguatamente bilanciato l’interesse privato dell’appellante con il dichiarato interesse pubblico nell’occasione salvaguardato dalla Amministrazione comunale.

IV.1. – Il secondo motivo di appello è infondato .

Come noto, la gestione dei beni del demanio marittimo rientra nell’ampia discrezionalità dell’Autorità Amministrativa poiché coinvolge interessi pubblici fondamentali della collettività.

I beni del demanio marittimo elencati dall’art. 822 co.1 c.c., ed ossia il lido del mare, le spiagge, le rade e i porti, al pari di quelli indicati dall’art. 28 cod. nav., ed ossia le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare ed i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo, sono, infatti, beni pubblici puri, in quanto non rivali, né escludibili, essendo accessibili a tutti e suscettibili di godimento congiunto simultaneo da parte di più soggetti, tale che l’uso ad opera di taluno non esclude il pari utilizzo contemporaneo ad opera di altri.

E poiché la concessione in uso di siffatti beni esclude o limita l’uso generale della collettività al quale i medesimi sono naturalmente soggetti e destinati, è necessario che l’Amministrazione adeguatamente valuti le esigenze del pubblico uso e che il concessionario corrisponda un canone in funzione tanto corrispettiva del vantaggio personale derivante dall’acquisizione di un diritto di utilizzo esclusivo del bene demaniale richiesto, quanto compensativa del pregiudizio sofferto dalla generalità dei consociati a causa della perdita o della limitazione del libero uso del bene dipendente dall’attitudine del diritto di uso esclusivo concesso di limitare o pregiudicare in tutto o in parte il diritto pubblico di uso collettivo originariamente esercitato o esercitabile e giustificatamente sacrificato in ragione delle finalità pubblicistiche, in concreto, perseguite dall’Autorità concedente con il rilascio della concessione.

L’Amministrazione, infatti, può concedere l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo e “ compatibilmente con le esigenze del pubblico uso ” (art. 36 cod. nav.).

Il soddisfacimento di finalità pubblicistiche costituisce, dunque, un elemento imprescindibile della concessione di beni pubblici, al punto da costituirne scopo e ragione essenziale, deponendo chiaramente in tal senso l’art. 37 cod. nav., laddove, in presenza di più richieste di concessione, rimette al discrezionale giudizio dell’Amministrazione la valutazione in ordine alla migliore rispondenza di un certo utilizzo anziché di un altro rispetto ad un più rilevante interesse pubblico, sottintendendo un complesso bilanciamento di molteplici profili di rilievo che si colgono, da un lato, con riguardo al vantaggio conseguito dalla collettività in ragione delle finalità pubbliche per il soddisfacimento delle quali il bene è concesso in uso ad altri e, dall’altro, in relazione al nocumento patito dalla medesima collettività a causa della temporanea sottrazione del bene all’uso libero e generalizzato cui è naturalmente o potenzialmente destinato. La preminenza del primo interesse pubblico sul secondo giustifica la concessione del bene in uso vincolato ad un determinato scopo, ma non significa che il secondo interesse venga del tutto meno, rilevando proprio sul piano della determinazione del canone in qualità di uno dei molteplici parametri di riferimento da tenere in adeguata considerazione.

La complessa valutazione degli interessi pubblici coinvolti dalla decisione di concedere o meno il rilascio della chiesta concessione di beni demaniali culmina, dunque, in un giudizio comparativo di eventuale preminenza dell’interesse pubblico potenzialmente soddisfatto dal peculiare utilizzo del bene che il concessionario si sia impegnato a garantire rispetto all’interesse pubblico attuale a mantenere il libero uso del bene da parte della collettività, al punto da imporre una sintesi tra il primo in funzione propulsivo-innovativa ed il secondo in funzione oppositivo-conservativa, posto che, secondo quanto desumibile dall’art. 36 cod. nav., l’utilizzo esclusivo può essere concesso compatibilmente con le esigenze del pubblico uso.

Ma qualora il vantaggio scaturente per la collettività dal rilascio di una concessione in uso esclusivo sia reputato inferiore rispetto alle utilità scaturenti dal libero utilizzo del bene demaniale in questione, l’Autorità amministrativa non potrebbe accordare all’istante il chiesto provvedimento ampliativo.

E poiché siffatta valutazione è ampiamente discrezionale, la decisione dell’Amministrazione, limitatamente a siffatto profilo, è censurabile soltanto in caso di illegittimità per manifesta o macroscopica contraddittorietà o irrazionalità della motivazione.

Nel caso in esame, non si rinvengono i predetti presupposti per il chiesto annullamento dell’impugnato provvedimento, poiché il Comune di Porto Cesareo ha ritenuto maggiormente utile per la collettività il libero utilizzo del bene demaniale in questione rispetto al rilascio della concessione chiesta dall’appellante, valorizzando all’uopo due elementi, ossia la vicinanza dell’area al centro abitato ed il tradizionale uso pubblico della spiaggia per la libera fruizione e balneazione, che rendono la decisione coerente, logica e non censurabile sul piano motivazionale.

Non può, infatti, dolersi l’appellante della mancanza di un adeguato contemperamento delle proprie esigenze imprenditoriali, poiché l’Amministrazione comunale ha ritenuto preminente l’interesse pubblico al libero utilizzo del bene non soltanto sulle finalità economiche perseguite dal richiedente ma anche sulle utilità pubbliche eventualmente scaturenti per la collettività dal rilascio della chiesta concessione.

Né, peraltro, può ritenersi decisiva l’argomentazione difensiva secondo cui l’area da concedere in uso esclusivo all’appellante sarebbe talmente esigua rispetto alle restanti parti dell’arenile adibite al libero utilizzo ad opera della collettività da non pregiudicare il dichiarato uso pubblico tutelato dalla Amministrazione comunale con l’impugnato provvedimento di diniego, poiché la scelta del bene da sottrarre in tutto o in parte alla libera fruizione onde riservarne l’utilizzo esclusivo in favore del concessionario richiedente costituisce il risultato di un complesso giudizio discrezionale nel quale concorrono una molteplicità variegata di fattori tra i quali, per quanto di interesse in questa sede, anche (e soprattutto) il disagio arrecato alla cittadinanza dall’interruzione del tradizionale ed ormai consueto utilizzo di quella determinata spiaggia e dalla necessità di recarsi altrove per poter liberamente fruire del mare.

La decisione, dunque, dell’Amministrazione comunale di ascrivere un peso rilevante alla valorizzazione del tradizionale libero utilizzo dell'area demaniale di cui l’appellante domanda il rilascio di una concessione di uso non può essere censurata nel merito, attesa l'ampia discrezionalità spettante ai Comuni in tema di rilascio delle concessioni sui beni pubblici, specie laddove essi intendano mantenere su tali aree l'uso maggiormente rispondente all'interesse pubblico (Consiglio di Stato, sez. VII, 07/07/2023, n. 6701).

Anche il secondo motivo, pertanto, è infondato, come l’intero appello che, quindi, deve essere respinto.

Non occorre, infatti, procedersi all’esame delle ulteriori censure dedotte in primo grado e riproposte in appello poiché il profilo motivazionale del provvedimento impugnato esaminato è di per sé sufficiente a giustificare il diniego dei chiesti provvedimenti ampliativi.

Inoltre, la non illegittimità del provvedimento impugnato esclude la fondatezza della domanda di risarcimento danni proposta dall’appellante.

V. – Le spese processuali .

Le spese processuali seguono la soccombenza ed avuto riguardo ai parametri di cui al D.M. 55/2014, aggiornati con il D.M. 37/2018 e con il D.M. 147/2022, nonché all’attività difensiva svolta in giudizio dalle parti, devono liquidarsi a carico dell’appellante ed in favore dell’Amministrazione appellata in € 4.000,00 oltre rimborso forfettario al 15,00%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge.

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