Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2009-09-29, n. 200905870

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2009-09-29, n. 200905870
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 200905870
Data del deposito : 29 settembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05888/2004 REG.RIC.

N. 05870/2009 REG.DEC.

N. 05888/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 5888 del 2004, proposto da:
D L R, rappresentato e difeso dall'avv. V P, con domicilio eletto presso Studio Moscarini in Roma, via Sesto Rufo N. 23;

contro

Soprintendenza Per i Beni A.A.A. di Bari, Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;
Comune di Corato;

per la riforma

della sentenza del Tar Puglia - Bari :sezione Ii n. 01543/2004, resa tra le parti, concernente ANN. CONCESSIONE EDILIZIA IN SANATORIA - NULLA OSTA PAESAGGISTICO.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 23 bis comma sesto della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2009 il dott. Gabriella De Michele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con atto di appello notificato il 24.5.2004 la signora Rosaria De Luisi impugnava la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, sez. II, n. 1543/04 del 24.3.2004, che non risulta notificata, con la quale si respingeva il ricorso dalla medesima proposto avverso l’annullamento, con atto n. 11569 del 9.6.1998, del nulla-osta ad una concessione edilizia in sanatoria per l’ampliamento di un immobile, rilasciato dal Sindaco del Comune di Corato il 27.4.1998.

Nella sentenza appellata si respingeva un triplice ordine di censure prospettato nell’impugnativa (competenza del Ministro e non dell’Organo periferico, violazione dell’art. 1 della legge regionale 15.3.1996, n. 5 e violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90), in base alle seguenti considerazioni:

1) effettiva competenza del Soprintendente e non del Ministro, dopo la riforma (D.Lgs. 3.2.1993, n. 29;
D.M. 13.3.1996) che ha separato i poteri di indirizzo politico da quelli di gestione);

2) carattere vincolato del nulla-osta paesaggistico, da emettere a firma del sindaco “previo parere conforme della Commissione Edilizia Comunale”, in rapporto a detto parere;

3) insussistenza dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, per procedimenti come quello in esame avviati su istanza di parte.

In sede di appello si precisavano la natura delle opere eseguite e la data della relativa esecuzione (ampliamento con mutamento di destinazione d’uso di un caseggiato rurale, completato verso la fine del mese di settembre 1983), con successiva richiesta di condono in base alla legge n. 47/1985.

Al momento dell’acquisizione del parere, prescritto in presenza di vincolo paesaggistico, la Commissione Edilizia Integrata del Comune – competente in forza di sub-delega della Regione – si esprimeva negativamente, in quanto l’intervento in questione, “per tipologia, soluzione architettonica, volumetria, destinazione d’uso” avrebbe comportato “pregiudizio dei valori ambientali dei luoghi”;
un diverso avviso, tuttavia, veniva successivamente espresso dall’Assessore all’Urbanistica e all’Edilizia Residenziale privata, secondo il quale l’intervento stesso avrebbe potuto essere assentito, condizionatamente alla collocazione di “alberature di alto fusto di essenze tipiche del luogo”, a contorno dell’edificio. A quest’ultimo parere si atteneva il Sindaco, il cui provvedimento favorevole veniva tuttavia annullato dalla Soprintendenza, con l’atto che è oggetto del presente giudizio. In sede di appello, venivano prospettate le seguenti ragioni difensive:

1) Travisamento ed erronea valutazione dei presupposti in fatto e in diritto;
insussistenza del vizio di legittimità (violazione dell’art. 1 della legge reg. n. 5/1996), posto dalla Soprintendenza a base dell’atto di annullamento contestato, in quanto il “giudizio espresso dall’organo tecnico (Commissione Edilizia)” non avrebbe potuto essere modificato”se non attraverso contrarius actus…. emesso a conclusione di un’istruttoria tecnica”;
legittimamente, pertanto, il Sindaco avrebbe seguito il parere del dirigente del settore tecnico, al termine dell’istruttoria;

2) omessa valutazione di censure, contenute nel ricorso di primo grado;

3) violazione o falsa applicazione dell’art. 82, comma 9, del D.P.R. n. 616/1977;
difetto di motivazione, in quanto la Soprintendenza avrebbe omesso di valutare l’effettiva incompatibilità, o meno, delle opere abusive, in rapporto ai valori paesaggistici del territorio interessato;

4) eccesso di potere per carenza di istruttoria, non considerato nella sentenza gravata;

5) corretta applicazione nel caso di specie della legge reg. n. 5/1996, in considerazione della “pari dignità” del parere tecnico reso dalla Commissione Edilizia, rispetto a quello del dirigente dell’U.T.C., peraltro in grado di sostituire l’organo collegiale, in caso del medesimo ex art. 41, comma 1 della legge n. 449/1997;

6) effettiva violazione o falsa applicazione dell’art. 82, comma 9 del D.P.R. n. 616/1977;
eccesso di potere per carenza di istruttoria, in quanto la Soprintendenza si sarebbe limitata a rilevare una supposta violazione di legge, senza considerare il parere reso dall’Ufficio Tecnico e senza esplicitazione delle ragioni di pregio naturalistico-ambientale che osterebbero all’intervento, ovvero delle possibili prescrizioni, per un armonico inserimento dell’opera nell’ambiente.

L’Amministrazione statale appellata, costituitasi in giudizio, resisteva formalmente all’accoglimento dell’impugnativa;
il Comune di Corato non si è costituito in giudizio.

DIRITTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne l’annullamento – da parte della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Bari – di una autorizzazione paesaggistica, rilasciata dal Sindaco del Comune di Corato nell’ambito di una procedura di condono edilizio, nonostante il parere negativo della Commissione Edilizia integrata, ma in adesione al difforme parere del Dirigente del Settore Edilizia Privata. Nel ricorso di primo grado, l’annullamento in questione veniva contestato in base a tre ordini di censure: I) incompetenza, in quanto detto annullamento avrebbe dovuto essere emesso dal Ministro e non dal Soprintendente;
II) violazione dell’art. 1 della legge della Regione Puglia 15.3.1996, n. 5 e dell’art. 82, comma 9, del D.P.R. 24.7.1977, n. 616;
eccesso di potere sotto i profili del difetto di motivazione e di istruttoria;

III) violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90, per omessa comunicazione di avvio del procedimento.

In sede di appello l’impostazione difensiva risulta in parte diversa, non essendo state riproposte la prima e la terza censura, con introduzione, quale primo motivo di gravame, di una nuova formale argomentazione difensiva (travisamento ed erronea valutazione dei presupposti in fatto e in diritto). Premesso quanto sopra, sembra appena il caso di ricordare come non sia consentito al Collegio accedere ad alcun ampliamento della domanda, in base al noto divieto di “ius novorum” in appello (quale principio sancito dall’art. 345, comma 2, c.p.c., nella formulazione modificata con L. 26.11.1990, n. 35, che vieta la proposizione in appello di nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio”: cfr. in tal senso Cons. St., sez. V, 2.10.2006, n. 5724;
Cons. St., sez. VI, 29.7.2005, n. 4115, 27.7.4176 e 22.4.2008, n. 1854).

Nella situazione in esame, si può tuttavia ritenere che l’appellante – più che introdurre argomenti del tutto nuovi – si limiti ad ampliare e formalizzare questioni solo accennate in primo grado di giudizio, senza incorrere in una vera e propria inammissibilità del gravame: gravame che risulta, comunque, infondato in base alle considerazioni di seguito esposte, tenuto conto anche dell’effetto devolutivo dell’appello, in base al quale in secondo grado di Giudizio il Giudice è chiamato a valutare tutte le domande, anche integrando – ove necessario – la motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, carenze motivazionali di quest’ultima (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. V, 13.2.2009, n. 824;
Cons. St., sez. VI, 24.2.2009, n. 1081).

Quanto alle censure non formalmente riproposte, la prima (incompetenza del Soprintendente) risulta respinta in primo grado di giudizio con motivazione senz’altro condivisibile, in quanto riferita alla separazione dei poteri di indirizzo politico del Ministro da quelli di gestione dei dirigenti degli uffici amministrativi, in base al D.Lgs. 3.2.1993, n. 29, con successiva attribuzione della competenza di cui trattasi ai Soprintendenti Regionali.

Quanto alle ulteriori prospettazioni difensive della originaria ricorrente, riferite a violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90, la motivazione della sentenza (insussistenza dell’obbligo per i procedimenti avviati su istanza di parte) non appare viceversa condivisibile, poichè – alla data di emanazione dell’annullamento della Soprintendenza (9.6.1998), il prevalente orientamento della giurisprudenza riconosceva l’obbligo in questione, essendo la sub-procedura di controllo di cui trattasi non avviata su istanza di parte, ma richiesta dalla legge ed avviata con la trasmissione alla Soprintendenza del nulla osta paesaggistico (cfr., fra le tante, Cons. St., sez. VI, 3.2.2004, n. 342, 25.3.2004, n. 1626, 14.1.2003, n. 119, 2.9.2003, n. 4866);
risulta successiva all’emanazione dell’atto impugnato, d’altra parte, l’espressa abrogazione normativa del predetto obbligo, in base al rinvio operato dall’art. 4 del D.M. 13.6.1994, n. 495 (regolamento contenente disposizioni attuative della legge n. 241/90, comma 1 bis, nel testo aggiunto dal D.M. 19.6.2002, n. 165 all’art. 151 del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490: cfr. anche Cons. St., sez. VI, 1.7.2003, n. 2835, TAR Lazio, Roma, sez. II, 20.1.2004, n. 497).

Appare anche condivisibile, tuttavia, l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’avviso partecipativo avrebbe potuto comunque ritenersi assolto, attraverso la mera comunicazione di avvenuta trasmissione degli atti alla Soprintendenza, essendo tale trasmissione finalizzata ex lege ad un controllo, esercitabile in via ablatoria (cfr al riguardo Cons. St., sez. V, 29.5.2006, n. 3220;
Cons. St., sez. VI, 21.3.2006, n. 1506). In assenza di documentazione in atti, che provi l’inoltro di tale comunicazione all’attuale appellante, deve in ogni caso ritenersi che la censura non possa nella fattispecie essere accolta, pur non essendo ancora in vigore – alla data di emanazione dell’atto impugnato – l’art. 21 octies della legge n. 241/90, nel testo introdotto dall’art. 14 L. n. 15/2005 (carattere non invalidante dei vizi formali, in presenza di atti il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso);
come di seguito illustrato, infatti, l’atto di annullamento della Soprintendenza risulta emesso nella situazione in esame quale atto vincolato, con riferimento ad una specifica fattispecie di violazione di legge, in rapporto alla quale la comunicazione di avvio del procedimento avrebbe potuto ritenersi dovuta solo per l’esatto accertamento dei fatti, non contestabili viceversa nel caso di specie (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. IV, 15.7.1999, n. 1245;
Cons. St., sez. V, 23.2.2000, n. 948;
Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 20.1.2003, n. 1).

Quanto al potere esercitato dalla Soprintendenza, non è dato ravvisare la prospettata violazione dell’art. 82 del D.P.R. 24.7.1977, n. 616, essendo riconducibile a tale norma la permanenza in capo all’Autorità centrale delle funzioni di protezione delle bellezze naturali, con delega di tali funzioni alle Regioni, le quali – a norma dell’art. 118 della Costituzione – possono poi sub-delegare le funzioni stesse ai Comuni, come frequentemente si rileva nella materia di cui trattasi e come positivamente riscontrabile nella Regione Puglia, in cui con legge regionale 24.3.1995, n. 8 sono state assegnate ai Comuni le funzioni relative al rilascio dell’autorizzazione, per trasformazioni di immobili soggetti a tutela paesaggistica. L’organo chiamato ad esprimere il parere in questione è la Commissione Edilizia comunale, di norma nella composizione integrata con esperti in materia ambientale, paesaggistica e storico-architettonica (cfr. in tal senso, per quanto qui interessa, art. 3 L.reg. n. 8/95 cit.). Con successiva legge regionale 15.3.1996, n. 5, poi, sono state specificamente sub-delegate ai Comuni le funzioni relative all’emissione del nulla osta, prescritto dall’art. 32 della legge 28.2.1985, n. 47, con prevista pronuncia del Sindaco al riguardo “previo parere conforme della Commissione edilizia comunale integrata”.

La competenza – ex art. 2 L reg. n. 8/95 cit. – del Sindaco e non del dirigente dell’ufficio tecnico comunale, per emanazione del parere di cui trattasi, è stata ritenuta prevalente sulla normativa statale già sopra richiamata, circa la scissione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni di gestione, stante il carattere speciale ed attinente all’autonomia regionale della predetta disposizione (cfr. in tal senso TAR Puglia, Lecce, sez. I, 28.2.2000, n. 1534;
Cons. St., sez. VI, 30.8.2002, n. 4368). Allo stesso modo, d’altra parte, deve ritenersi legittima e non fungibile l’attribuzione delle valutazioni tecnico-discrezionali, a cui è legata l’emissione del parere, alla Commissione Edilizia integrata, a cui non può sostituirsi, per assenza di delega, alcun altro organo tecnico del Comune.

Per quanto sopra, nessuna delle argomentazioni difensive, prospettate dall’appellante, può trovare accoglimento, né per quanto riguarda la possibile emissione di un “contrarius actus” da parte del dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale, in quanto soggetto privo di competenze nella procedura di cui trattasi, né per le ipotizzate ragioni di difetto di motivazione e di istruttoria.

Deve essere ricordato infatti che la Soprintendenza – nel quadro di competenze ripartite in precedenza delineato – risulta titolare di una potestà di annullamento esercitabile per qualsiasi vizio di violazione di legge o eccesso di potere, ma senza facoltà di procedere a rinnovato apprezzamento di merito (cfr. in tal senso Cons. St., Ad.Plen., n. 1/01;
Cons. St, sez. VI, 23.2.2009, nn. 1050 e 1051). Solo quando la valutazione della Soprintendenza stessa si configurasse come verifica del corretto esercizio della discrezionalità tecnica, rimessa all’Amministrazione comunale, entrerebbero in discussione i noti parametri di logicità, congruità e completezza dell’istruttoria, dovendo l’oggetto del controllo estendersi alla esatta valutazione del fatto, secondo i parametri della disciplina nella fattispecie applicabile. Quando viceversa, come nel caso di specie, fosse riscontrabile una violazione di legge in senso stretto – risultando disatteso il parere discrezionale dell’unico organo tecnico competente (parere non solo obbligatorio, ma vincolante sotto il profilo del giudizio di merito espresso, non essendo il Sindaco in possesso della specifica professionalità al riguardo richiesta) – non potevano richiedersi all’organo di controllo motivazioni ulteriori, rispetto alla mera enunciazione della illegittimità riscontrata, né si imponevano esigenze istruttorie, per circostanze enunciate nel medesimo atto annullato.

Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto;
quanto alle spese giudiziali, tuttavia, ne appare equa la compensazione, in considerazione della complessità della disciplina normativa di riferimento.

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