Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-08-13, n. 201905703
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Pubblicato il 13/08/2019
N. 05703/2019REG.PROV.COLL.
N. 08306/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8306 del 2015, proposto dal sig. P B, rappresentato e difeso dall'avvocato N G, con domicilio eletto presso lo studio Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
contro
il Comune di Villa Collemandina, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati G I e F P, con domicilio eletto presso lo studio F P in Roma, viale Maresciallo Pilsudski, n. 118;
nei confronti
i signori G D, G P, A P, B P, R F, A Pni, Alessia Pieroni, Teresa Paredes, Sonia Fioriti, le ultime due nella qualità di eredi del sig. Adriano Fioriti, nonché la Cooperativa Edilizia il Pianello a r.l. in liquidazione, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Carlo Barsanti, con domicilio eletto presso lo studio Luca Pardini in Roma, via G.G. Belli, n. 36;
le signore Pierina B ed Arcangela B, rappresentate e difese dall'avvocato N G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Prima, n. 290 del 24 febbraio 2015, resa tra le parti, concernente la richiesta di risarcimento dei danni subiti a seguito dell’occupazione di terreni non seguita dall’emanazione del decreto di esproprio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Villa Collemandina e dei signori G D, G P, A P, B P, R F, A Pni, Alessia Pieroni, Teresa Paredes, Sonia Fioriti, Pierina B ed Arcangela B, nonché della Cooperativa Edilizia il Pianello a r.l. in liquidazione;
Visto l’appello incidentale proposto dal Comune di Villa Collemandina;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il Cons. Luca Lamberti e uditi per le parti l’avvocato Catia Pratini su delega dell’avvocato N G e l’avvocato F P;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con atto di citazione del 15 novembre 2000, i signori Pierina, Pietro ed Arcangela B, in proprio e quali eredi della signora Margherita B, hanno adito il Tribunale di Lucca al fine di ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza dell’occupazione e della conseguente irreversibile trasformazione di due terreni da parte del Comune di Villa Collemandina senza, tuttavia, che venisse mai emanato il decreto di esproprio.
In particolare, i signori B hanno svolto due distinte istanze risarcitorie:
a) una riferita ad un terreno sito in località Piane, occupato in esecuzione di un decreto sindacale del 19 marzo 1986 e su cui è stato realizzato un campo da calcio con strutture connesse;
b) l’altra riferita ad un terreno sito in località Vergaia, occupato in esecuzione di un decreto sindacale del 13 febbraio 1985 ed utilizzato per la realizzazione di interventi di edilizia economica e popolare.
L’istanza sub a) è stata svolta da tutti gli attori, comproprietari del bene, avverso il Comune, mentre l’istanza sub b) è stata formulata dal solo sig. P B, proprietario esclusivo del cespite, nei confronti del Comune, del soggetto attuatore dell’intervento (la cooperativa edilizia a r.l. “Il Pianello”) e dei singoli soci assegnatari.
Il Tribunale di Lucca ha, tuttavia, declinato la propria giurisdizione a favore del Giudice Amministrativo con sentenza n. 1028 del 19 agosto 2010.
2. I signori B hanno, quindi, riproposto le proprie istanze avanti il T.a.r. per la Toscana, che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha deciso come segue.
a) Quanto al sito in località Piane, il T.a.r. ha accolto la domanda risarcitoria limitatamente al danno da protrazione dell’occupazione illegittima, sulla scorta della considerazione secondo la quale l’irreversibile trasformazione del fondo non determinerebbe l’acquisizione della proprietà in capo al Comune;il T.a.r., peraltro, ha respinto l’eccezione riconvenzionale di usucapione avanzata dal Comune, ravvisando l’efficacia interruttiva dell’atto di citazione del 15 novembre 2000.
In ordine al quantum , il T.a.r. ha preso a riferimento il valore venale del fondo come computato nella c.t.u. disposta a suo tempo nel giudizio civile (che aveva fatto riferimento alla destinazione urbanistica del terreno al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio) ed ha, quindi, individuato il danno risarcibile nello “ interesse legale per ciascun anno del periodo di occupazione illegittima … sul valore di mercato nell’anno di riferimento ”, ottenuto mediante “ rivalutazione anno per anno del valore calcolato dal c.t.u. all’epoca dell’occupazione ”.
Il T.a.r. ha, infine, parzialmente accolto l’eccezione di prescrizione svolta dal Comune, rilevando che “ il carattere permanente dell’illecito comporta che il termine di prescrizione della relativa azione risarcitoria riprenda a decorrere da ciascun momento dell'illegittima occupazione, per tutto il tempo in cui questa si protrae ”: il T.a.r. ha, pertanto, dichiarato prescritto il credito dei signori B con riferimento al periodo intercorrente tra il termine dell’occupazione legittima (19 marzo 1995, alla luce delle proroghe disposte con gli articoli 14, comma 2, d.l. n. 534 del 1987 e 22 l. n. 158 del 1991) ed il 15 novembre 1995.
b) Quanto al terreno sito in località Vergaia, il T.a.r. ha preliminarmente osservato che, nella specie, difetterebbero i due “ caratteri fondamentali ” dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, ossia “ l’irreversibile destinazione del suolo privato a parte integrante di un’opera pubblica (bene demaniale o patrimoniale indisponibile) e l’appartenenza a un soggetto pubblico ”;il T.a.r., peraltro, ha affermato che la vicenda de qua sarebbe sussumibile nel disposto dell’art. 3 l. n. 458 del 1988 nel testo risultante dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 486 del 27 dicembre 1991: tale disposizione, abrogata dal d.p.r. n. 327 del 2001, sarebbe nondimeno applicabile alle occupazioni anteriori al 30 giugno 2003, ai sensi dell’art. 58 del medesimo d.p.r. n. 327.
Il T.a.r., tuttavia, non ha scrutinato la questione di legittimità costituzionale della disposizione in parola in relazione all’art. 1 Protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sulla scorta dell’assunta irrilevanza della questione stessa alla luce delle eccezioni formulate dalle parti resistenti.
Il T.a.r. ha, in particolare, sostenuto che:
- se l’art. 3 fosse reputato dalla Corte legittimo e, dunque, dovesse essere nella specie applicato, comunque il diritto al risarcimento del danno per equivalente monetario sarebbe prescritto nei confronti di tutte le parti resistenti ai sensi dell’art. 2947 c.c.: l’occupazione legittima, invero, sarebbe terminata in data 13 febbraio 1994, ma l’atto di citazione sarebbe stato notificato solo in data 15 novembre 2000, dunque oltre il quinquennio;
- se, viceversa, l’art. 3 non fosse da applicare (se, in altre parole, venisse accolta dalla Corte costituzionale l’eventuale questione di legittimità costituzionale), comunque i soci assegnatari avrebbero acquisito il diritto di superficie sull’area in virtù dell’istituto dell’usucapione abbreviata disciplinato dall’art. 1159 c.c., sì che sarebbe impossibile la restituzione materiale del cespite: invero, ha argomentato il T.a.r., il decennio previsto dall’art. 1159 c.c. sarebbe interamente decorso, posto che l’atto di assegnazione sarebbe stato trascritto in data 4 dicembre 1991, ma soltanto in data 22 febbraio 2002, nell’ambito del giudizio radicato avverso il Comune con il mentovato atto di citazione del 15 novembre 2000, il sig. B avrebbe formalmente esteso le proprie istanze anche nei confronti dei soci assegnatari.
3. Il sig. P B ha interposto appello con riguardo al capo della decisione relativo al terreno in località Vergaia.
Il sig. B ha, in primo luogo, sostenuto che l’art. 3 l. n. 458 del 1988, nel testo vigente a seguito della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 486 del 1991, non potrebbe trovare applicazione nella specie, posto che, all’indomani della riconosciuta inapplicabilità nel nostro ordinamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, sarebbero interamente venute meno le ragioni di uguaglianza sottese alla sentenza in discorso: egli, pertanto, sarebbe tuttora pieno proprietario del cespite, in virtù dell’inidoneità dell’occupazione e della conseguente irreversibile trasformazione del fondo ad opera della mano pubblica ad incidere sullo statuto proprietario del bene.
Ove, viceversa, si dovesse ritenere applicabile la disposizione in parola, il sig. B ha sostenuto che sarebbe necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come costantemente interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
La questione, del resto, sarebbe rilevante.
Non sarebbe, invero, maturata l’usucapione abbreviata a favore dei soci assegnatari: sino all’entrata in vigore del d.p.r. n. 327 del 2001, infatti, il diritto vivente avrebbe funditus precluso la formulazione di una domanda di restituzione materiale del bene (si cita la sentenza di questa Sezione 3 luglio 2014, n. 3346), per cui sino ad allora non avrebbe potuto specularmente darsi, in virtù del principio desumibile dall’art. 2935 c.c., alcun possesso ad usucapionem .
A tutto concedere, ha proseguito il sig. B, il termine a quo dell’usucapione abbreviata dovrebbe essere individuato non alla data di trascrizione dell’atto di assegnazione (ossia al 4 dicembre 1991), bensì al 13 febbraio 1994, termine del periodo di occupazione legittima: pertanto, il decennio stabilito dall’art. 1159 c.c. non sarebbe comunque maturato al momento (22 febbraio 2002) della proposizione della domanda giudiziale avverso i soci.
Oltretutto, negli atti di assegnazione sarebbe stata fatta menzione del perdurare dell’occupazione legittima sino al 1994: difetterebbe, pertanto, la buona fede in capo ai soci.
In sostanza, l’accoglimento della questione di costituzionalità determinerebbe il riconoscimento della sua qualità di pieno proprietario del terreno “ libero da diritti di superficie ”.
Di converso, non si sarebbe neppure verificata alcuna prescrizione del diritto al risarcimento del danno per equivalente monetario: l’instaurazione del giudizio di opposizione alla stima con atto di citazione del 6 maggio 1988, la conseguente accettazione dell’indennità stabilita in tale giudizio con atto del 29 novembre 1995 e la successiva comunicazione al Sindaco in data 1° febbraio 1996 con il preciso conteggio del dovuto configurerebbero, infatti, atti interruttivi della prescrizione nei confronti del Comune e, dunque, anche di tutti gli aventi causa dell’Ente.
In virtù di tali considerazioni il sig. B ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il Comune, il soggetto attuatore ed i soci assegnatari siano condannati, in solido, “ a risarcire il danno corrispondente al valore di mercato del bene … stabilito dal c.t.u. nominato dal Tribunale di Lucca … nella misura di € 35.893,75 con interessi e rivalutazione monetaria dal 23 novembre 1989 ”, previa eventuale formulazione dell’incidente di costituzionalità dell’art. 3 l. n. 458 del 1988.
4. Si sono costituiti i soci assegnatari, il soggetto attuatore ed il Comune.
4.1. I soci assegnatari ed il soggetto attuatore hanno sostenuto, a sostegno della correttezza del decisum di prime cure, che:
- “ i soci della cooperativa hanno acquisito il possesso degli alloggi dalla cooperativa alienante, cui il diritto di superficie sul terreno de quo era stato trasferito per l’attuazione del PEEP con la convenzione del 10.08.1985 da parte del Comune ”;
- “ l’eventuale e non provata conoscenza del fatto che all’occupazione legittima non seguì il decreto di espropriazione è irrilevante perché <<la buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto>>(art. 1147 c.c.) ”
- “ il diritto al rispetto dei propri beni, affermato dall’art. 1 del Protocollo CEDU, è in questo caso venuto meno nel momento in cui, per la prolungata inerzia del titolare a richiederne la tutela, è legalmente maturato a favore di altri il diritto al rispetto dei propri beni ”.
4.2. Il Comune ha, altresì, depositato un appello incidentale avverso il capo della decisione afferente al fondo ubicato in località Piane ed ha, in proposito, sostenuto che:
- il T.a.r. avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, poiché i signori B avrebbero chiesto il danno da perdita della proprietà del bene, mentre il T.a.r. avrebbe riconosciuto loro il ben diverso danno da perdita della disponibilità materiale del bene: la sentenza, pertanto, sarebbe nulla;
- comunque, la maturazione dell’usucapione non potrebbe essere interrotta – come, viceversa, ritenuto dal T.a.r. – da iniziative giurisdizionali tese solo ad ottenere il risarcimento del danno, dunque connotate da un carattere meramente obbligatorio e non già reale;
- l’acquisto per usucapione “ fa venir meno ab origine l’illiceità della condotta lesiva … in virtù della retroattività degli effetti ” propria dell’istituto.
Quanto all’appello svolto dal sig. B, il Comune ha sostenuto che:
- il possesso decennale dei soci sarebbe basato su un idoneo titolo di acquisto concluso con la cooperativa;
- la memoria presentata dal sig. B in data 22 febbraio 2002 si limiterebbe ad estendere ai soci assegnatari (chiamati in causa dalla cooperativa, a sua volta evocata in giudizio dal Comune) la domanda di danni originariamente svolta contro il Comune: tale domanda, priva di contenuto reale, sarebbe inidonea ad interrompere il termine per usucapire;
- oltretutto, tale memoria sarebbe stata semplicemente depositata ma non notificata, per cui non potrebbe avere tout court efficacia interruttiva;
- gli atti cui il sig. B annette efficacia interruttiva della prescrizione del diritto al risarcimento atterrebbero, in realtà, ad una causa petendi (l’indennità di espropriazione) ontologicamente diversa da quella cui inerisce il presente giudizio (il risarcimento per la perdita di proprietà del bene a seguito di un illecito);di converso, non vi sarebbe stato alcun riconoscimento di debito da parte del Comune.
5. Alla camera di consiglio del 29 marzo 2018, fissata per la delibazione dell’istanza cautelare formulata dal Comune a seguito del radicamento ex adverso di giudizio di ottemperanza avanti il T.a.r. per l’esecuzione della sentenza in questa sede impugnata, il ricorso è stato rinviato al merito con l’impegno del sig. B a non portare ad esecuzione la pronuncia.
Coerentemente con tale impegno, i signori Pierina, Pietro ed Arcangela B hanno dichiarato, nell’ambito del cennato giudizio di ottemperanza, di non avere ulteriore interesse alla coltivazione del processo, che il T.a.r. ha, conseguentemente, dichiarato improcedibile con sentenza n. 558 del 20 aprile 2018.
6. Il ricorso è stato, quindi, discusso e trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 9 maggio 2019, in vista della quale il ricorrente ed il Comune hanno versato in atti difese scritte.
7. L’appello svolto dal sig. B è fondato ai sensi e per gli effetti che seguono, mentre l’appello incidentale del Comune va respinto.
8. Il Collegio prende le mosse proprio dall’appello incidentale.
8.1. Il Collegio evidenzia, anzitutto, che l’appello incidentale è da reputare tardivo ai sensi dell’art. 334 c.p.c. (cfr., Cons. Stato, Ad. Plen., 16 dicembre 2011, n. 24;v. anche Sez. IV, 3 settembre 2014, n. 4489;Sez. IV, 12 giugno 2013, n. 3256;Sez. III, 18 marzo 2013, n. 1582), in quanto spedito per la notifica entro i sessanta giorni dalla ricezione della notificazione dell’appello principale, ma oltre il termine lungo per impugnare la sentenza: poiché la legge stabilisce che l’appello incidentale tardivo “ perde ogni efficacia ” solo a fronte dell’inammissibilità dell’appello principale, circostanza che nella specie non ricorre, l’appello incidentale va trattato.
8.2. Quanto, appunto, al merito del gravame incidentale, il Collegio osserva che la sentenza impugnata non ha violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Nel ricorso in riassunzione avanti il T.a.r. i signori B avevano chiesto, con riferimento al terreno in località Piane, che il Tribunale riconoscesse “ la illegittimità della detenzione dei terreni da parte del Comune a partire dal 16 aprile 1993, data di scadenza dell’occupazione illegittima ” e, conseguentemente, condannasse l’Ente locale a risarcire il danno “ corrispondente al valore di mercato del bene acquisito ”.
I signori B, invero, a seguito di declaratoria di difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, si erano limitati a riproporre la propria originaria domanda di giustizia al Giudice indicato come fornito di giurisdizione.
La conformazione della domanda giudiziale, del resto, rispecchiava il diritto vivente all’epoca in cui la domanda era stata per la prima volta proposta avanti l’Autorità Giudiziaria: allora, come noto, l’ordinamento conosceva l’istituto della occupazione acquisitiva, per il quale l’occupazione del bene da parte dell’Amministrazione, seguita dall’irreversibile trasformazione, incideva sullo statuto proprietario del cespite, determinando l’acquisizione della relativa proprietà a titolo originario a favore dell’Ente pubblico occupante.
La richiesta di giustizia avanzata dai signori B, invero, aveva come causa petendi la posizione dominicale illo tempore incisa dall’indebita occupazione del bene da parte dell’Amministrazione e ne chiedeva la tutela nell’ambito dei rimedi allora considerati rilevanti dalle Corti.
Correttamente, dunque, il Tribunale ha fatto riferimento alla (diversa) tutela contemplata dall’attuale diritto vivente, che ha espunto dall’ordinamento, per insuperabile contrasto con superiori principi sovranazionali cui la Repubblica è costituzionalmente tenuta a conformarsi, l’istituto dell’occupazione acquisitiva.
Più in particolare, venuto meno il riconoscimento della valenza acquisitiva dei comportamenti di apprensione materiale del bene posti in essere sine titulo dall’Amministrazione, il Tribunale ha ricondotto la domanda dei signori B nell’alveo dell’ordinario illecito aquiliano ed ha, pertanto, condannato l’Ente al risarcimento del solo danno (“ a carattere permanente ”) da perdita della disponibilità materiale del bene, specificando che la proprietà è rimasta in capo ai ricorrenti.
8.3. Per analoghe ragioni, non ha pregio l’osservazione comunale secondo cui la maturazione dell’usucapione non potrebbe essere interrotta da iniziative giurisdizionali a carattere meramente obbligatorio.
Il Collegio, in proposito, rileva che, con riferimento al periodo di tempo in cui trovava applicazione l’istituto dell’occupazione acquisitiva, non è in radice ravvisabile alcun possesso ad usucapionem : è sufficiente, sul punto, richiamare, ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a., la sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio 9 febbraio 2016, n. 2, § 5.3 (v. anche, in seguito, Cons. Stato, Sez. IV, 1° agosto 2017, n. 3838;Sez. IV, 30 agosto 2017, n. 4106).
Non vi è, dunque, ragione di scrutinare l’effettiva valenza interruttiva della domanda giudiziale proposta dai signori B, in considerazione della circostanza pregiudiziale della non decorrenza, a monte, di alcun termine ad usucapionem a favore del Comune.
9. Quanto all’appello svolto dal sig. P B, il Collegio evidenzia, anzitutto, che la disposizione dell’art. 3 l. n. 458 del 1988 è stata da ultimo interpretata da questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. IV, 18 maggio 2018, n. 3009;Sez. IV, 18 gennaio 2019, n. 460) in maniera costituzionalmente e convenzionalmente orientata.
9.1. In particolare, “ la lettera della disposizione (abrogata dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 58, a decorrere dall'entrata in vigore dello stesso D.P.R. e, per questo, ancora applicabile alle espropriazioni la cui dichiarazione di pubblica utilità è anteriore, come nel caso all’esame, al 30 giugno 2003), nel fare riferimento al mero aspetto (procedimentale) della mancata retrocessione come mera conseguenza del fatto (sostanziale) dell’appropriazione, si presta ad una (doverosa) lettura di adeguamento interpretativo alla luce dell'art. 42 Costituzione ”, nel senso che “ escluso il presupposto sostanziale a monte (il potere di acquisizione indiretta) cade, necessariamente, l’effetto meramente procedimentale a valle (il potere di non retrocedere il bene), così riconvertendo anche quest’ultima residuale ipotesi di occupazione appropriativa ” (così la sentenza n. 3009 del 2018).
In sostanza, la non (ulteriore) predicabilità, in punto di diritto sostanziale, della valenza acquisitiva dell’occupazione sine titulo da parte dell’Amministrazione determina l’irrilevanza della previsione processuale della non retrocedibilità del bene, evidentemente dettata nell’implicito presupposto logico-giuridico dell’intervenuto acquisto del bene a titolo originario in capo all’Amministrazione (indebitamente) occupante.
La disposizione, in altre parole, non è applicabile nella presente vicenda in quanto implicitamente basata su un presupposto giuridico (l’acquisto a titolo originario in capo all’Amministrazione) nella specie non sussistente.
Ne consegue, sul crinale processuale, l’irrilevanza della relativa questione di legittimità costituzionale.
9.2. Né può sostenersi che si sia verificata l’usucapione abbreviata in favore dei soci assegnatari.
9.2.1. La citata sentenza dell’Adunanza Plenaria, invero, esclude la valenza ad usucapionem del possesso mantenuto dall’Amministrazione su un bene occupato sine titulo in quanto, a fronte di tale condotta materiale, il proprietario del bene non si vedeva riconosciuta dall’ordinamento, all’epoca in cui operava l’istituto dell’occupazione acquisitiva, alcuna azione utile per recuperare il possesso del fondo.
In costanza dell’applicazione di tale istituto, infatti, si riteneva che il proprietario del bene perdesse tale qualità al momento dell’irreversibile trasformazione del fondo e, pertanto, non avesse la possibilità giuridica di recuperare il possesso del bene: è, dunque, coerente concludere che, in assenza della facoltà di tutela reale del diritto dominicale in capo al proprietario inciso dall’occupazione sine titulo , esulasse specularmente la valenza prospetticamente acquisitiva del possesso dell’indebito occupante.
Del resto, come la prescrizione estintiva non corre a danno del titolare del diritto che non sia nelle condizioni giuridiche di farlo valere, così l’usucapione (quale forma di prescrizione acquisitiva) non è concepibile allorché il proprietario non abbia alcuna facoltà giuridica di rientrare in possesso del bene.
Tale conclusione, peraltro, si impone anche in chiave testuale, in virtù del combinato disposto degli articoli 1165 e 2935 c.c.
Orbene, tali coordinate esegetiche non possono non valere anche allorché il possesso sia stato esercitato da terzi cui il bene sia stato, in qualsiasi forma, ceduto dall’Amministrazione originariamente occupante: ciò sia per ragioni sistematiche, per vero identiche rispetto a quelle esposte supra , sia per ragioni testuali, posto che ogni forma di usucapione – dunque anche quella abbreviata ex art. 1159 c.c. – è soggetta alle disposizioni sulla prescrizione (cfr. il richiamato art. 1165 c.c.).
In altra prospettiva esegetica, ammettere l’intervenuta usucapione dei soci assegnatari ex art. 1159 c.c. significa, di fatto, impedire ogni difesa al proprietario, peraltro privato del possesso del bene in un momento di gran lunga antecedente all’assunto acquisto a titolo originario dei soci assegnatari, reso possibile proprio da tale iniziale ed indebito spoglio: è proprio l’interesse del proprietario, dunque, che deve essere tutelato in prima istanza.
E’, quindi, indifferente che la fattispecie per cui è causa abbia una struttura per così dire triadica (proprietario spogliato – Autorità spogliante – terzo cessionario usucapente) e non semplicemente bifasica (proprietario spogliato – Autorità spogliante usucapente), alla luce del carattere fondamentale (in ottica convenzionale) del diritto di proprietà e del carattere parimenti fondamentale (in ottica costituzionale) del diritto di difesa in giudizio.
9.2.2. Oltretutto, nella specie neppure si può ritenere che si siano verificati i requisiti richiesti dall’art. 1159 c.c.: la speciale figura di usucapione ivi disciplinata richiede, inter alia , il titolo astrattamente idoneo, ossia un titolo negoziale in tutto e per tutto idoneo a disporre il trasferimento della proprietà, eccetto che per la legittimazione del dante causa.
Invero, nella convenzione stipulata in data 10 agosto 1985 fra il Comune ed il soggetto attuatore (la società cooperativa a r.l. “Il Pianello”) per la concessione del diritto di superficie sull’area in parola è stabilito, all’art. 1, che “ il Comune, quale proprietario dopo la definitiva espropriazione …. cede alla cooperativa Il Pianello il diritto di superficie sul terreno ”.
La cessione della proprietà era, dunque, operata sotto l’implicita condizione della futura espropriazione del cespite, ossia del legittimo compimento del procedimento amministrativo mediante l’emanazione del decreto di esproprio.
Ai sensi dell’art. 1357 c.c. il diritto condizionato può sì essere ceduto, ma “ gli effetti dell’atto di disposizione sono subordinati alla stessa condizione ”: nella specie, pertanto, i soci assegnatari sono subentrati nella titolarità di un diritto di superficie che il loro dante causa aveva acquistato sub condicione (poco importa, ai fini di causa, individuare se sospensiva o risolutiva), la cui mancata realizzazione, pertanto, incide direttamente anche sulla loro sfera giuridica.
9.3. Il sig. B è, in sostanza, tuttora proprietario del cespite “ libero da diritti di superficie ”.
E’ vero che, nelle conclusioni del ricorso, il sig. B ha chiesto il risarcimento per equivalente;è altresì vero, tuttavia, che tale domanda è stata svolta sull’assunto della “ illegittimità della detenzione dei terreni ” de quibus .
Del resto, poiché la condotta materiale di apprensione da parte dell’Amministrazione, pur ove protratta nel tempo ed accompagnata dall’irreversibile trasformazione del bene, non ha strutturalmente ( recte , ontologicamente) idoneità ad incidere sul regime proprietario del cespite, ne consegue che il sig. B è sempre stato ed è tuttora proprietario.
La domanda di tutela, dunque, deve essere reinterpretata in base alla articolazione di tutele delineata dall’attuale ordinamento e, quindi, accolta sub specie di ordine di restituzione materiale.
Non consta, peraltro, che, neppure dopo l’intervento della citata sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 2 del 2016, il sig. B abbia mai fatto esplicito riferimento alla figura, di origine pretoria, della cosiddetta “rinunzia abdicativa”.
Anzi, nella memoria depositata in data 8 aprile 2019 il sig. B declina apertamente una domanda restitutoria (cfr. pagine 14 e 15), sollecitando in proposito una rimessione in termini di cui, invero, non vi è necessità, trattandosi non di una mutatio libelli , ma di un adeguamento della forma di tutela dell’identico diritto violato al progressivo mutamento del quadro ordinamentale come interpretato dalle Corti.
10. In conclusione, l’appello incidentale va respinto, mentre l’appello principale va accolto e, per l’effetto, le parti resistenti debbono essere condannate a restituire al sig. B, previa rimessione in pristino a loro cura e spese, il terreno sito in località Vergaia.
Resta salva la facoltà del Comune di attivare il potere di acquisizione ex art. 42- bis d.lgs. n. 327 del 2001.
10.1. Il Collegio, per completezza, precisa che, a seguito della reiezione dell’appello incidentale, il Comune ha l’obbligo di restituire ai signori Pierina, Pietro ed Arcangela B, previa rimessione in pristino a sua cura e spese, anche il terreno sito in località Piane, salva anche in questo caso la facoltà del Comune di attivare il potere di acquisizione ex art. 42- bis d.lgs. n. 327 del 2001.
10.2. In linea con i recenti approdi di questo Consiglio in subiecta materia (cfr., in particolare, la richiamata sentenza dell’Adunanza Plenaria 9 febbraio 2016, n. 2), il Comune resistente deve dunque stabilire, entro il termine di giorni 150 (centocinquanta) dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla notificazione ad opera di parte se anteriore (salva la possibilità di proroga, in presenza di documentate ragioni), se “ intraprendere la via dell’acquisizione ex art. 42-bis ovvero abbandonarla ” e procedere, in alternativa, alla restituzione dei fondi previa rimessione in pristino, ovvero alla conclusione con i signori B di un accordo transattivo che contempli l’acquisizione ex nunc dei terreni de quibus al patrimonio comunale nelle forme del diritto privato (cfr. la richiamata sentenza dell’Adunanza Plenaria 9 febbraio 2016, n. 2, §§ 6.5 e 5.3).
Ove l’Amministrazione comunale resti inerte o, comunque, non dia piena, concreta e satisfattiva esecuzione a quanto sopra disposto nel termine di cui sopra, i ricorrenti potranno radicare giudizio di ottemperanza avanti questo Consiglio, che, con cognizione estesa al merito, si sostituirà al Comune nella delibazione delle modalità più opportune per adempiere all’inderogabile dovere pubblicistico de quo .
11. La complessità in fatto e diritto della controversia suggerisce la compensazione delle spese del presente grado di giudizio, ferma la statuizione in punto di spese disposta in prime cure.