Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-02-16, n. 202201159

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-02-16, n. 202201159
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202201159
Data del deposito : 16 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/02/2022

N. 01159/2022REG.PROV.COLL.

N. 04678/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4678 del 2016, proposto dai signori -OMISSIS-, in qualità di eredi dell’originario appellante signor -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato F A, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

contro

il Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la -OMISSIS-, Sezione II, n. -OMISSIS- del 3 febbraio 2016, resa inter partes;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2022 il consigliere G S e udito per l’appellante l’avvocato F A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è rappresentato dal Decreto del 16 dicembre 2013, con cui è stata respinta l’istanza del signor -OMISSIS-, Colonnello dell’Esercito Italiano, tendente ad ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia “ Linfoma non Hodgkin leucemizzato a basso grado di malignità ”, sul presupposto che la stessa non sia riconducibile a fatti di servizio, oltre che alla concessione dell’equo indennizzo.

2. Avverso tale atto il signor -OMISSIS- aveva proposto il ricorso n. -OMISSIS- innanzi al T.a.r. per la -OMISSIS-, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: i) mancata applicazione della legge 3 giugno 1981, n. 308;
ii) sussistenza del nesso di causalità per aver operato in un poligono internazionale con conseguente esposizione a nano particelle promananti dall’esplosione di bombe all’uranio impoverito;
iii) violazione dell’art. 2087 del codice civile che prevede l’obbligo di parte datoriale di adottare ogni misura idonea a tutelare la salute dei propri dipendenti.

3. Costituitosi il Ministero della difesa in resistenza, il Tribunale adìto (Sezione II) con la sentenza segnata in epigrafe:

- respingeva il ricorso, avendo reputato infondate tutte le censure articolate;

- compensava le spese di lite.

4. In particolare, il T.a.r. riteneva che si applicassero alla fattispecie controversa le norme di cui al d.P.R. n. 461/2001 e che il giudizio negativo del Comitato di Verifica, sondabile nei limiti di cui soffre il sindacato del giudice amministrativo, risultasse immune da travisamenti o incongruenze.

5. Avverso tale pronuncia il signor -OMISSIS- ha interposto appello, notificato il 25 maggio 2016 e depositato il 10 giugno 2016, lamentando in sintesi, attraverso un unico complesso motivo di gravame (pagine 3-10) l’erroneità della sentenza, non avendo il T.a.r. rilevato che la patologia “ Linfoma non Hodgkìn leucemizzato a basso grado di malignità ”, sarebbe stata contratta proprio a causa dell’esposizione ad agenti chimici e fisici potenzialmente nocivi durante il servizio prestato dal 15 ottobre 1970 al 29 ottobre 1974 e dal 30 aprile 1982 al 4 gennaio 1987, presso il Centro Addestramento Unità Corazzate (CAU.C.)/1° Reggimento Fanteria Corazzata di -OMISSIS-.

6. L’appellante ha concluso chiedendo la riforma o l’annullamento dell’impugnata sentenza.

7. In data 2 dicembre 2016 il Ministero della difesa si è costituito in giudizio.

8. In data 24 settembre 2019 i signori -OMISSIS-, quali eredi del signor -OMISSIS-, nelle more deceduto, si sono costituiti in giudizio chiedendo l’accoglimento del gravame.

9. In data 10 dicembre 2021, dopo la produzione agli atti del giudizio di cospicua documentazione, gli appellanti hanno depositato memoria conclusionale insistendo per l’accoglimento del gravame.

10. La causa, chiamata per la discussione alla udienza pubblica dell’11 gennaio 2022, è stata trattenuta in decisione.

11. L’appello è infondato.

11.1 Va premesso che la presente controversia attiene ad una richiesta non di vitalizio per le vittime del dovere bensì di equo indennizzo, fattispecie che merita di essere preliminarmente inquadrata. Infatti, a fronte della sottoposizione del militare a sostanze potenzialmente dannose, possono configurarsi diverse iniziative, tra le quali non solo la domanda di equo indennizzo, ma anche quella intesa al conseguimento della “ speciale elargizione ” prevista per le vittime del dovere nonché la domanda di risarcimento del danno, tutte sottoposte ad una specifica ed autonoma disciplina.

11.2 Invero, come sottolineato di recente da questo Consiglio per quanto riguarda il rapporto tra richiesta indennitaria per le cd. vittime del dovere e la domanda risarcitoria, “ il militare interessato a percepire la speciale elargizione di cui al richiamato art. 1079 D.P.R. n. 90 del 2010 non è tenuto a dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico fra esposizione all’uranio impoverito (o ad altri metalli pesanti) e neoplasia. Siffatto accertamento è necessario ove l’interessato svolga una domanda risarcitoria, ossia assuma la commissione, da parte dell’Amministrazione, di un illecito civile consistente nella colpevole esposizione del dipendente ad una comprovata fonte di rischio in assenza di adeguate forme di protezione, con conseguente contrazione di infermità: in tale ipotesi, invero, grava sull’assunto danneggiato dimostrare, inter alia, l’effettiva ricorrenza del nesso eziologico (ossia la valenza patogenetica di siffatta esposizione), sia pure in base al criterio del più probabile che non. Laddove, invece, l'istanza tenda alla percezione della speciale elargizione, si verte in un ben diverso ambito indennitario. I presupposti del risarcimento del danno e della speciale elargizione sono del tutto diversi: nel primo caso l’integrazione di tutti gli elementi propri di un’ipotesi di responsabilità civile, tra cui pure la prova del nesso eziologico e dell’elemento soggettivo in capo al danneggiante;
nel secondo caso la mera dimostrazione di aver affrontato - senza che ciò integri “colpa” dell’Amministrazione – “particolari condizioni ambientali od operative”, connotate da un carattere “straordinario” rispetto alle forme di ordinaria prestazione del servizio, che siano la verosimile causa di un'infermità. Inoltre, il risarcimento del danno compete a chiunque e dipende nel quantum dall'effettivo danno riportato, mentre la speciale elargizione spetta solo ai soggetti individuati dalla legge ed è quantificata a monte in misura predeterminata. Il fatto che, allo stato delle conoscenze scientifiche, non sia acclarata l’effettiva valenza patogenetica dell'esposizione all'uranio impoverito non osta, dunque, al diritto alla percezione dell'indennità, che comunque spetta allorché l’istante abbia contratto un’infermità verosimilmente a causa di “particolari condizioni ambientali ed operative”, di cui “l’esposizione e l'utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico” costituiscono solo un possibile aspetto. La disposizione, in sostanza, non si incentra esclusivamente (né, a ben vedere, primariamente) sul profilo dell'esposizione ad uranio impoverito o ad altre nano particelle di metalli pesanti, ma intende concedere ad una platea ben delimitata di soggetti un beneficio monetario predeterminato in ragione della sottoposizione a gravose “condizioni ambientali ed operative" e della conseguente contrazione di infermità. Più in particolare, l'indennità spetta, scilicet in presenza della contrazione di una patologia: a) al personale militare e civile italiano impiegato in “missioni di qualunque natura”, sia in P. sia all’estero;
b) al personale militare e civile italiano impiegato presso "i poligoni di tiro ed i siti in cui vengono stoccati munizionamenti”;
c) al personale militare e civile italiano impiegato “nei teatri operativi all'estero” (evidentemente anche al di fuori di una specifica “missione” condotta dalla Forza Armata o dall'Amministrazione di appartenenza) ed al personale militare e civile italiano impiegato nelle aree di cui alle lettere a) e b): la disposizione, di non agevole inquadramento sistematico in tale ultimo passaggio, mira ragionevolmente ad estendere il beneficio a quanti, militari o civili, abbiano prestato attività presso i “poligoni di tiro ed i siti in cui vengono stoccati munizionamenti”, ovvero nelle aree ove vengono svolte “missioni di qualunque natura”, a prescindere dall’effettuazione ivi di più ampie e coordinate attività istituzionali da parte della Forza Armata o dell'Amministrazione di appartenenza (cfr., in proposito, Cons. Stato, Sez. II, parere 12 giugno 2014, n. 1944);
d) ai “cittadini italiani” (qui la perimetrazione è effettuata, in distonia rispetto ai precedenti alinea, non in base alla connotazione giuridica del rapporto di impiego - rectius, genericamente di servizio - con lo Stato o, comunque, con Enti pubblici, bensì in base al possesso della cittadinanza) “operanti nei settori della cooperazione ovvero impiegati da organizzazioni non governative nell’ambito di programmi aventi luogo nei teatri operativi all’estero e nelle aree di cui alle lettere a) e b)”;
e) ai “cittadini italiani residenti” (il riferimento è verosimilmente alla residenza anagrafica, richiedendosi con ogni ragionevolezza l'effettività della stessa) “nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale presso le quali è conservato munizionamento pesante o esplosivo e alle aree di cui alla lettera b)”. In caso di decesso dell’interessato, del beneficio fruiscono “il coniuge, il convivente e i figli superstiti dei soggetti di cui alle lettere a), b), c), d) ed e), i genitori ovvero i fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti”. Per “particolari condizioni ambientali od operative”, l’art. 1078 del d.p.r. in commento intende le “condizioni comunque implicanti l'esistenza o il sopravvenire di circostanze straordinarie o fatti di servizio che, anche per effetto di successivi riscontri, hanno esposto il personale militare e civile a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”. Dal punto di vista oggettivo, dunque, la disposizione richiede - per quanto di interesse nella presente fattispecie - un quid pluris di disagio sofferto dal militare nel corso dell’espletamento del servizio: tale disagio consegue al carattere “straordinario” (concetto meno rigoroso di quello di “eccezionale”) della prestazione del servizio, da cui sia conseguita la sottoposizione dell'istante “a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”. Orbene, l’appartenenza alle Forze Armate, oltre a comportare di per sé condizioni di vita strutturalmente più gravose rispetto all’impiego civile (a mero titolo di esempio, sottoposizione a rigido vincolo gerarchico, continuo addestramento fisico, pronta reperibilità, frequenti trasferimenti, et similia), impone al militare di esporsi al pericolo: la "straordinarietà" richiesta dall’art. 1079 D.P.R. n. 90 del 2010 va, pertanto, parametrata su questa base per così dire “ordinaria” più elevata
” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 maggio 2019, n. 3418).

Diverse sembianze ancora assume ancora la domanda interessata dal provvedimento impugnato in prime cure oggetto del presente giudizio d’appello, essendo intesa al conseguimento dell’indennità prevista dalla disciplina sull’equo indennizzo e che per sua natura richiede la dimostrazione del nesso di causalità con i compiti di servizio. Vale al riguardo il costante orientamento di questo Consiglio, essendosi più volte evidenziato che il giudizio medico legale afferente alle domande di equo indennizzo si fonda su nozioni scientifiche e su dati di esperienza di carattere tecnico-discrezionale che, in quanto tali, “ sono sottratti al sindacato di legittimità del Giudice Amministrativo salvi i casi in cui si ravvisi un’irragionevolezza manifesta o un palese travisamento dei fatti, ovvero quando non sia stata presa in considerazione la sussistenza di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medica finale ” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 2013, n. 885). Se è vero che il Comitato di verifica, nell’esercizio della discrezionalità tecnica che gli compete, non opera alcuna comparazione tra interesse pubblico primario e secondario – attività, questa, che sarebbe senz’altro insindacabile in sede giudiziale – il sindacato del giudice amministrativo in tale ambito è, sì, di tipo intrinseco, ma limitato ad ipotesi di mancata valutazione di circostanze di fatto ovvero ad irragionevolezza manifesta o palese travisamento dei fatti. Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, il giudice amministrativo può censurare la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, in quanto il suo apprezzamento, inevitabilmente opinabile, finirebbe per affiancarsi a quello altrettanto opinabile dell’Amministrazione, sostituendolo ed invadendo l’ambito delle attribuzioni riservate alla medesima.

Alla stregua del costante orientamento giurisprudenziale in subiecta materia , va ribadito che le valutazioni del CPPO - in qualità di organo tecnico per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità o lesione che ha poi assunto la denominazione di Comitato di verifica con il succitato d.P.R. 29 ottobre 2001‚ n. 461 - sono insindacabili se adeguatamente motivate e, soprattutto, se coerenti con le circostanze di fatto emerse nel corso del procedimento. Tra l’altro, anche l’esame della documentazione eventualmente prodotta dall’interessato rientra nell’alveo dell’esercizio di un potere di discrezionalità tecnica attribuito alla pubblica Amministrazione, con la conseguenza che il giudice potrà esercitare il proprio sindacato solo in caso di macroscopiche illegittimità, “ ferma restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell’Amministrazione procedente ” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 23 aprile 2019, n. 2593). Le competenze del Comitato di verifica non possono in alcun modo essere surrogate, soprattutto alla luce del disposto dell’art. 11 del d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, che fa menzione dei soli pareri di tale organo collegiale per l’accertamento della riconducibilità delle cause di infermità o lesione ad attività lavorativa, non prendendo in considerazione eventuali valutazioni svolte da altri organi, quali la CMO, essendo il solo Comitato di verifica preso in considerazione dall’articolato del su menzionato decreto.

11.3 Venendo al merito del gravame in esame, si rileva che l’appellante insiste nel reputare sussistente il nesso di causalità tra la patologia accusata ed i compiti di servizio ai quali è stato sottoposto, in quanto il signor -OMISSIS-, come testualmente affermato in appello, “ in due distinti periodi, in particolare dal 15 ottobre 1970 al 29 ottobre 1974 e dal 30 aprile 1982 ai 4 gennaio 1987[…] prestò servizio presso il Centro Addestramento Unità Corazzate (C.A.U.C.)/1° Reggimento Fanteria Corazzata di -OMISSIS-. In entrambi i periodi egli fu designato ed impiegato dal Comando di Corpo quale Ufficiale dì collegamento italiano, in media tre volte all'anno ”. Aggiunge che “ Il ricorrente, per tale impiego di Ufficiale di Collegamento, veniva “attendato” con apparati radio a fianco dell’Ufficiale di Collegamento USA che dirigeva le attività a fuoco della D.E., sull’osservatorio a mare “-OMISSIS-” (Poligono “C”) distante fra i 500 e i 2500 metri dalla zona di arrivo dei colpi e dei bersagli dell’80% delle attività a fuoco predette ”. Secondo l’originario ricorrente insomma l’Amministrazione non si sarebbe adoperata, a differenza, del personale militare statunitense, a fornire le maschere di protezione ed egli avrebbe accusato i primi sintomi della malattia “ all’inizio del mese di novembre 2007 ”.

11.4 E’ innanzitutto il caso di rimarcare che il medesimo signor -OMISSIS- ha proposto appello anche avverso la sentenza del T.a.r. per la -OMISSIS- (Sezione I) n. -OMISSIS-/2013, che è stato respinto dalla Sezione con la sentenza n. -OMISSIS- del 3 dicembre 2021. In tale sede il provvedimento impugnato è costituito dal decreto n. 216, pos.2/13967, in data 3 settembre 2012, con cui il Direttore della I Divisione della Direzione Generale della Previdenza Militare del Ministero della difesa, conformandosi al parere contrario del Comitato di valutazione delle cause di servizio (CVCS), ha respinto l’istanza diretta ad ottenere la speciale elargizione e il danno da ritardo nella relativa corresponsione nella misura del 3% annuo. La coincidenza, almeno parziale, delle questioni sollevate nei rispettivi giudizi, vertendo parimenti sulla effettiva ricorrenza del nesso causale tra il servizio espletato e la patologia diagnosticata, rende opportuno riportare taluni stralci della citata pronuncia che devono intendersi confermati in questa sede. In particolare in detta pronuncia è stato rilevato quanto segue: “ Si pone dunque la questione circa la possibilità che, nella fattispecie, fosse formulabile quel giudizio di verosimiglianza che la patologia in questione, diagnosticata nel 2001, potesse essere stata causata dalle condizioni operative e ambientali in cui l’interessato aveva prestato servizio, nei periodi dal 15 ottobre 1970 al 29 ottobre 1974 e dal 30 aprile 1982 al 4 gennaio 1987, per circa 7-10 giorni, tre volte all’anno e che l’esclusione di un tale giudizio da parte del CVCS fosse affetta da illogicità, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria. Premesso che il CVCS aveva già escluso di poter formulare il più stringente giudizio di dipendenza della patologia dell’interessato da causa di servizio con un parere in base al quale l’Amministrazione aveva respinto la conforme istanza con provvedimento rimasto inoppugnato, va rilevato che, sulla richiesta di speciale elargizione, il CVCS si è espresso dapprima con il parere negativo in data 29 febbraio 2012, poi, a seguito di richiesta dell’interessato, tale parere è stato oggetto di riesame in data 12 giugno 2012, con il quale il competente organo ha considerato che nemmeno quanto nuovamente dedotto dal militare fornisse “la prova piena, che incombe sul richiedente, di essere esclusivamente causativi ovvero prevalenti rispetto ai comuni fattori morbigeni e cioè causa o concausa efficiente e determinante della patologia in esame”. In proposito si deve notare che, ai fini della speciale elargizione, come detto, la giurisprudenza di questo Consiglio esclude che ricada sull’istante un onere di fornire la prova della sussistenza di un nesso eziologico tra le condizioni di espletamento del servizio e la patologia sviluppata. Tuttavia tale parere, oltre a fare riferimento alla mancanza di una prova piena da parte dell’istante, ha anche basato la propria valutazione su di un criterio di prevalenza, così escludendo la possibilità di formulare un giudizio di verosimiglianza della riconducibilità della patologia sviluppata dal militare alle condizioni ambientali e operative del servizio. Gli elementi con i quali gli appellanti supportano le censure avverso la sentenza impugnata, evidenziando la verosimiglianza di una tale riconducibilità, sono costituiti dalla relazione medica di un esperto redatta in data 13 gennaio 2019, dalla sopra citata Relazione sull’attività svolta, approvata in data 7 febbraio 2018, dalla Commissione parlamentare di inchiesta istituita con delibera della Camera dei deputati in data 30 giugno 2015 e dall’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di -OMISSIS-, in data 13 agosto 2021. La perizia medica deve essere considerata inammissibile ai sensi dell’art. 104, co. 2, c.p.a., in quanto presentata solo in grado d’appello. In ogni caso - in disparte l’indirizzo di questo Consiglio in materia di cause di servizio per cui “gli esiti della valutazione tecnica operata dal CVCS non possono essere contestati alla luce di difforme conclusioni raggiunte da sanitari compulsati autonomamente dalla parte, atteso che la legge ha inteso riservare i relativi accertamenti esclusivamente ai competenti organi dell'Amministrazione” (Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2017, n. 4619) - può incidentalmente notarsi che, dalla lettura dell’atto di appello e della stessa perizia non sembra che possano trarsi elementi univoci, sì da poter mettere in discussione l’operato dall’Amministrazione: in quanto, da un lato, gli appellanti ritengono incomprensibile “come possa escludersi il nesso di casualità tra l’impiego dell’uranio e la patologia denunciata dal ricorrente”, mentre la perizia - che pur conclude nel senso dell’alta probabilità la patologia in questione dipendesse da causa di servizio e fosse “causata dall’inquinamento ambientale prodotto per anni durante le esercitazioni militari, sotto forma di nanoparticelle metalliche, nel Poligono di -OMISSIS-” - evidenzia che “l’ ipotesi che l’uranio impoverito possa avere effetti oncogenici diretti o indiretti sui soggetti esposti, sia come fonte di radiazione che attraverso una tossicità chimica, va rigettata”;
inoltre, la perizia riferisce dell’inquinamento prodotto per anni da nanoparticelle metalliche senza peraltro rapportare una tale progressione dell’inquinamento alla circostanza che i periodi di servizio del militare nella zona in questione fossero iniziati nel 1970 e si fossero conclusi nel 1987. Si ritiene che non possano trarsi elementi a sostegno delle censure degli appellanti dagli ulteriori documenti depositati nel presente grado di giudizio in quanto essi, per provenienza e finalità, espongono circostanze non specificamente contestualizzabili rispetto alle condizioni ambientali e operative dell’attività svolta dal militare nel periodo tra il 1970 e il 1987. Pertanto, deve escludersi la fondatezza delle censure rivolte dagli appellanti alle statuizioni con cui il Tar ha escluso la sussistenza di vizi logici, di travisamento dei fatti, di carenza istruttoria e di difetto di motivazione nelle valutazioni espresse dal CVCS e nel conforme provvedimento dell’Amministrazione
”.

11.5 Le considerazioni testè riportate sono pienamente trasponibili nel presente giudizio avendo il Collegio verificato, escludendola, la verosimiglianza della relazione causale tra la patologia riscontrata e l’esposizione a sostanze patogenetiche in esecuzione dei compiti di servizio e pertanto, a fortiori , è da escludere ogni possibile configurazione del nesso causale che, come detto, l’equo indennizzo postula. Peraltro osserva il Collegio, alla luce delle circostanze fattuali riferite dall’appellante, che il militare, quale ufficiale di collegamento, era impegnato “ sull’osservatorio a mare “-OMISSIS-” (Poligono “C”) distante fra i 500 e i 2500 metri dalla zona di arrivo dei colpi e dei bersagli dell’80% delle attività a fuoco predette a visionare dette operazioni a distanza e soltanto per tre volte all’anno ”. Aggiunge l’appellante che la partecipazione a tali operazioni avveniva dal 15 ottobre 1970 al 29 ottobre 1974 e dal 30 aprile 1982 al 4 gennaio 1987 “ per circa 5-7 giorni consecutivi per ogni turno di utilizzazione NATO del Poligono ”. Non si configura quindi, stando a quanto riportato in ricorso, una costante partecipazione attiva ad operazioni di addestramento in poligono di tiro quanto soltanto di supervisione a distanza del loro svolgimento ed inoltre per periodi limitati di tempo;
circostanze queste che rendono ancor più improbabile l’effettiva esposizione dell’ufficiale a sostanze patogenetiche causalmente riconducibili all’accertata infermità.

Nemmeno, per altro verso, può configurarsi la violazione dell’art. 2089 c.c. per la mancata adozione delle misure necessarie a salvaguardare l’incolumità e la salute del militare, essendo tale circostanza esclusa dalla Sezione con la richiamata pronuncia, in quanto il Collegio ha in quella sede rilevato che “ all’esclusione della fondatezza delle censure rivolte a ricondurre la patologia del militare all’attività svolta presso il Centro di addestramento di -OMISSIS-, consegue l’infondatezza delle censure basate sull’asserita violazione degli obblighi incombenti sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. ”.

12. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

13. Le spese del presente grado di giudizio, stante l’assoluta peculiarità della vicenda di causa sotto il profilo fattuale, possono essere compensate.

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