Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-08-28, n. 202407291

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-08-28, n. 202407291
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202407291
Data del deposito : 28 agosto 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/08/2024

N. 07291/2024REG.PROV.COLL.

N. 02278/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2278 del 2022, proposto da BRT s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti E F, A M, L S, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’economia e delle finanze, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Lazio (Sezione terza) n. 12519 del 2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
del Ministero dell’economia e delle finanze, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Roma;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore il cons. Giuseppe La Greca;

Uditi nell’udienza pubblica del 27 giugno 2024, per le parti, gli avvocati A M e Beatrice Gaia Fiduccia;

Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- BRT s.p.a., dichiaratasi corriere espresso nazionale con attività di autotrasporto merci per conto terzi, spedizione, deposito e logistica sotto il marchio « BRT Corriere Espresso », in primo grado impugnava, con richiesta di annullamento, la delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 435/19/CONS del 4 novembre 2019 concernente « Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2020 dai soggetti che operano nel settore dei servizi postali», pubblicata sul sito dell’Autorità il 24 febbraio 2020. Impugnava congiuntamente gli atti presupposti e l’approvazione del «Bilancio di previsione per l’esercizio 2020 dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ».

2.- Premesso il quadro normativo di riferimento deduceva i vizi come di seguito sintetizzabili:

a) quanto al primo motivo:

- l’attività da BRT s.p.a. non avrebbe potuto essere legittimamente assimilata a quella soggetta all’attività regolativa di AGCOM e non sarebbe stata configurabile come offerta al pubblico di servizi postali;
i contratti stipulati da BRT s.p.a. con la propria clientela avrebbero costituito sempre il risultato di una libera trattativa di mercato;

b) quanto al secondo motivo:

- le norme europee stabilirebbero che l’attività delle Autorità indipendenti in materia postale debba essere finanziata da ciascuno Stato membro e solo in via sussidiaria, per la parte non coperta dal finanziamento statale, dall’eventuale contributo degli operatori del settore;

- la delibera n. 435/19/CONS si sarebbe rivelata illegittima in quanto avrebbe posto per intero a carico degli operatori del settore le presunte spese di funzionamento dell’AGCOM quale autorità di regolamentazione del settore postale quantificate nell’importo di 9.418.000 euro, e la delibera n. 480/2019/CONS sarebbe stata a sua volta illegittima in quanto approvativa di un bilancio che non avrebbe contemplato alcun tipo di finanziamento da parte dello Stato e confermato nell’importo di 9.418.000 euro l’ammontare del contributo degli operatori del settore postale;

c) quanto al terzo motivo:

- la delibera avrebbe quantificato il contributo dovuto senza motivazione e documentazione giustificativa;
AGCOM non avrebbe svolto attività regolatorie con riferimento allo specifico settore in cui operava la ricorrente;

- una congrua motivazione sarebbe stata necessaria stante il raddoppio del contributo rispetto agli anni precedenti;

- nel bilancio sarebbe stato dato conto di presunte spese specifiche del settore di riferimento di gran lunga inferiori rispetto a quelle indicate;

d) quanto al quarto motivo:

- l’Autorità avrebbe illegittimamente esentato dal pagamento del contributo una fascia di operatori del settore (vale a dire quelli il cui imponibile era pari o inferiore a 100.000,00 euro e le imprese che avevano iniziato la loro attività nell’anno 2019) con la conseguenza che tutti gli altri operatori sarebbero stati assoggettati ad un contributo maggiore di quello dovuto;

e) quanto al quinto motivo:

- agli operatori del settore non avrebbe potuto essere chiesta una somma maggiore delle spese effettivamente sostenute dall’AGCOM, anno per anno, per l’espletamento dei propri compiti;
AGCOM avrebbe dovuto prevedere una verifica al termine dell’anno, e ricorrendone le condizioni avrebbe dovuto prevedere la restituzione degli importi eventualmente versati in più dagli operatori;

f) quanto al sesto motivo:

- l’illegittimità della delibera n. 435/19/CONS avrebbe determinato l’illegittimità derivata della delibera n. 48/20/CONS e di tutti gli ulteriori atti impugnati ivi compreso il D.P.C.M. del 5 dicembre 2019;

g) quanto al settimo motivo:

- sarebbe stato violato l’art. 1, comma 65, l. n. 266 del 2005, nella parte in cui prevede l’acquisizione del parere del Ministro dell’economia e delle finanze, giacché in nessuna parte degli atti impugnati sarebbe stato dato atto dell’avvenuta richiesta e dell’avvenuta acquisizione del predetto parere ai fini dell’approvazione della delibera dell’autorità che ha – unilateralmente – disciplinato il versamento del contributo.

3.1.- Con un primo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente chiedeva pure l’annullamento della delibera AGCOM n. 531/20/CONS recante « diffida alla Società BRT S.P.A. al pagamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2020 » deducendo, avverso la stessa, vizi derivati dalla delibera ‘a monte’ oltre che la carenza di presupposti, quantomeno in termini di opportunità, per la relativa emanazione.

3.2.- Con il secondo ricorso per motivi aggiunti impugnava il parere del Ministero dell’economia e delle finanze n. 21561 del 2 dicembre 2019;
il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 dicembre 2019, la Relazione tecnico finanziaria dell’AGCOM;
nonché il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 settembre 2019. Le doglianze di parte ricorrente erano così articolate:

- la funzione attribuita al Presidente del Consiglio dei ministri dall’art. 1, comma 65 l. n. 266 del 2005 sarebbe stata esercitata dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri in forza di delega ma, nel decreto di delega per l’annata 2020, sarebbe mancato qualsivoglia riferimento ai « compiti relativi alle autorità amministrative indipendenti »;
né nel decreto, né nel parere ad esso presupposto sarebbe stato dato conto dell’esito di un’adeguata istruttoria e delle valutazioni espresse dal Presidente del Consiglio dei Ministri, o, a tutto concedere, dal Sottosegretario;

- le amministrazioni deputate ad « arginare » la discrezionalità dell’Autorità, per poter effettivamente esercitare tale funzione riconosciuta dalla Corte costituzionale, non avrebbero potuto limitarsi a pure e semplici « prese d’atto » delle decisioni dell’Autorità indipendente stessa, ma avrebbero dovuto svolgere un’attenta ed un’approfondita istruttoria, in mancanza della quale non avrebbe potuto dirsi, in tesi, effettivamente verificata la correttezza e congruità delle voci di spesa indicate dall’Autorità medesima: ciò che nel caso di specie avrebbe consequenzialmente dato luogo ad un difetto di motivazione;

- quanto alla stima delle spese previste, nel parere della Ragioneria Generale sarebbe stato dato unicamente conto di una serie di cifre, senza alcuna specificazione corredo probatorio adeguato;

- i proventi di una delle fondamentali attività esercitate da AGCOM grazie al contributo degli operatori del settore postale avrebbero dovuto confluire direttamente o indirettamente nel bilancio della stessa AGCOM ed alleviare così gli oneri posti a carico di detti operatori.

4.- Le intimate Amministrazioni si opponevano all’accoglimento del ricorso.

5.- Con sentenza n. 12519 del 2021, il T.a.r. per il Lazio, sez. III- ter , rigettava tutte le domande della ricorrente e dichiarava inammissibile il primo ricorso per motivi aggiunti per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

6.- Avverso la predetta sentenza ha interposto appello BRT s.p.a. la quale ne ha chiesto la riforma sulla base di doglianze così articolate:

a) sulla giurisdizione :

- sarebbe inconferente al caso di specie la giurisprudenza sul riparto di giurisdizione richiamata dal T.a.r.: la potestas iudicandi sulla controversia – attribuita dal T.a.r. al giudice tributario – andrebbe attratta alla giurisdizione esclusiva che in tal materia la legge attribuisce al giudice amministrativo;

b) nel merito :

1) Error in iudicando e carenza di motivazione sul primo motivo dell’impugnazione di primo grado, sulla non riconducibilità dell’attività svolta da BRT s.p.a. all’attività di « offerta al pubblico di servizi » e sulla consequenziale insussistenza in capo ad essa di alcun obbligo contributivo: violazione art. 6 d.lgs. n. 261 del 1999;
violazione artt. 23, 41 e 97 Cost.;
violazione art. 1, comma 65, l. n. 266 del 2005;
eccesso di potere sotto diversi profili. Sostiene l’appellante che:

- la Corte di giustizia UE, i cui approdi sono stati richiamati dal T.a.r., si sarebbe limitata a chiarire che il diritto UE è compatibile – in astratto – con una normativa nazionale volta a ricomprendere nell’ambito del servizio postale anche i servizi di corriere espresso e ad imporre ai corrieri espresso di dotarsi di autorizzazione generale;
ciò, tuttavia, non significherebbe che, in concreto, tutti i corrieri espresso esercitino attività postale, bensì solo quelli che rientrano nella sfera di applicazione dell’art. 6 d.lgs. 261 del 1999;

- il legislatore italiano avrebbe ritenuto di avvalersi della facoltà prevista dal legislatore comunitario ed ha così introdotto il regime autorizzatorio, che in Italia troverebbe, dunque, applicazione, stante il disposto del citato art. 6, esclusivamente con riferimento all’attività di « offerta al pubblico di servizi » postali;

- il T.a.r. avrebbe totalmente omesso di considerare quanto segnalato da BRT s.p.a. nel corso del giudizio di primo grado, ossia che la norma di chiusura all’art. 22 del medesimo decreto contiene un espresso rinvio al codice civile, sicché a fronte dell’utilizzo di una nozione espressamente definita da tale codice sembrerebbe irragionevole attribuirvi un significato – atecnico – diverso;

- i contratti prodotti da BRT s.p.a. in primo grado sarebbero il risultato di una libera trattativa di mercato (sia per quel che concerne le caratteristiche dei servizi, sia per quel che concerne i corrispettivi), svolta nell’ambito della piena autonomia contrattuale delle parti e sarebbe del tutto avulsa, sia in astratto che in concreto, da qualsivoglia esigenza regolatoria di AGCOM;

- il T.a.r. pur riconoscendo che i contratti in cui si esplica l’attività di BRT, esulano dal concetto di offerta al pubblico, anziché trarre la logica conseguenza della non assoggettabilità tout court di BRT all’art. 6 (e dunque al potere regolatorio di AGCOM e connesso obbligo di contribuzione a suo favore), ha concluso per la riconducibilità di BRT s.p.a. all’ambito applicativo dell’articolo 6 cit., invocando una nozione onnicomprensiva di utente;

2) Error in iudicando sul secondo motivo dell’impugnazione di primo grado, recante violazione art. 65 d.l. n. 50 del 2017, dell’art.

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