Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-11-17, n. 201505250
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N. 05250/2015REG.PROV.COLL.
N. 05031/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5031 del 2012, proposto da:
Apples Sales International, in persona del legale rappresentante
pro-tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati A C, R V e F G, con domicilio eletto presso l’avvocato V in Roma, Via Caccini 1;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, in persona del legale rappresentante
pro-tempore
, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Associazione Altroconsumo, in persona del legale rappresentante
pro-tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati Guido Scorza e Carmelo Giurdanella, con domicilio eletto presso l’avvocato Giurdanella in Roma, Via dei Barbieri 6;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 4456/2012, resa tra le parti, concernente irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria per pratiche commerciali scorrette;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - e dell’Associazione Altroconsumo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 settembre 2015 il consigliere di Stato G C S e uditi per le parti l’avvocato V, l’avvocato Cicala, l’avvocato Scorza e l’avvocato dello Stato Basilica;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La Società Apple Sales International (di seguito, anche ASI) impugna la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio 16 maggio 2012 n. 4456, con cui è stato accolto soltanto in parte il ricorso proposto dalla stessa società per l'annullamento del provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ( d’ora in avanti anche AGCM) 21 dicembre 2011 n. 23155.
Con tale provvedimento AGCM ha accertato che ASI, unitamente alle società Apple Italia srl ed Apple Retail Italia srl , ha posto in essere, nell’esercizio della vendita al dettaglio di propri beni di consumo nella veste di “ professionista”, due distinte pratiche commerciali scorrette ai sensi degli artt. 20, 21,22 e 23, comma 1, lettera l, 24 e 25 lettera d) del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante il “Codice del Consumo”.
In sintesi tali pratiche sono consistite nel non informare adeguatamente i consumatori circa i loro diritti di assistenza gratuita biennale loro spettanti per legge e nel non riconoscere loro i detti diritti limitandosi invece a riconoscere la garanzia convenzionale offerta gratuitamente dal produttore per il solo primo anno ( a fronte della durata biennale della garanzia legale);inoltre, le informazioni fornite in merito alla natura, al contenuto e alla durata di tale garanzia convenzionale e dei servizi di assistenza aggiuntivi ivi previsti, offerti ai consumatori in occasione dell’acquisto di un bene di consumo, non chiarivano adeguatamente il diritto del consumatore alla garanzia biennale di conformità da parte del venditore, così da indurli ad attivare un nuovo rapporto contrattuale, a titolo oneroso, il cui contenuto risultava in parte sovrapporsi ai diritti già spettanti in forza della garanzia legale, che non prevede addebito di costi o limitazioni.
In relazione alle pratiche scorrette suindicate AGCM, con il prefato provvedimento, ne ha inibito alla società la continuazione, ha irrogato alla stessa la sanzione amministrativa pecuniaria nella misura pari a € 240.000,00 per la prima pratica ed € 300.000,00 per la seconda pratica ed ha imposto alla stessa, ai sensi dell'articolo 27, comma 10, del Codice del Consumo, il necessario adeguamento della confezione di vendita del prodotto mediante l'inclusione, da apporre sulla confezione dei prodotti, a corredo della garanzia convenzionale AppleCare Protection Plan (APP), della seguente indicazione “ nei primi 24 mesi dalla data di acquisto del prodotto il consumatore ha comunque il diritto alla garanzia del venditore che prevede tra l'altro la riparazione gratuita o la sostituzione del prodotto non conforme al contratto (art. 130 del Codice del Consumo)” e mediante l’espressione delle indicazioni numeriche circa la durata del periodo di assistenza acquistato con riferimento alla scadenza della garanzia legale di conformità.
L'Autorità della Concorrenza e del Mercato ha inoltre ordinato ad ASI di comunicare all'AGCM le iniziative assunte per porre fine alla diffusione o continuazione delle pratiche commerciali contestate.
2.- Avverso tale provvedimento ASI ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio deducendo una pluralità di motivi di censura che, con la sentenza qui impugnata, sono stati rigettati tutti ad eccezione di uno solo, ritenuto meritevole di accoglimento, relativo alla riferita clausola con cui l'Autorità aveva prescritto al professionista di inserire nelle confezioni APP , in aggiunta alla dicitura sui contenuti della garanzia legale nei 24 mesi dall’acquisto, una comparazione attraverso indicazioni numeriche tra la durata del periodo di assistenza acquistato con il pacchetto APP e quello proprio della garanzia legale.
3.- Questi, in sintesi, i motivi di censura dedotti con il ricorso in appello qui in esame.
Con il primo motivo d'appello, ASI contesta la parte della sentenza di primo grado concernente l'esatta individuazione del contenuto degli obblighi normativi gravanti sul venditore, in ordine alla prestazione della garanzia legale di conformità, ritenendo che essa delinei un diverso assetto della garanzia per i difetti emersi prima e, rispettivamente, dopo il decorso di sei mesi dalla consegna.
Con il secondo motivo censura la sentenza del giudice di primo grado nella parte in cui ha ritenuto l'infondatezza “delle censure che coinvolgono questioni di carattere generale e procedimentale”, nonché quelle concernenti la violazione del principio del legittimo affidamento e del diritto al giusto procedimento di derivazione CEDU.
Con il terzo motivo, l'appellante lamenta l'erroneità della pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondate le censure dedotte avverso il rigetto della proposta di impegni.
Lamenta in ultimo l'appellante l'erronea e l'insufficiente motivazione della sentenza in merito al carattere ritenuto sproporzionato e illegittimo degli ordini impartiti con la delibera impugnata in primo grado.
Conclude pertanto per l'accoglimento, con l'appello, del ricorso di primo grado e per l'annullamento integrale, in riforma dell’impugnata sentenza, dell'atto in quella sede impugnato.
Si sono costituiti in giudizio sia l'Autorità Garante della Concorrenze e del Mercato, sia l'Associazione ALTROCONSUMO per resistere all'appello e chiederne la reiezione, con la conseguente conferma della sentenza di primo grado.
Con istanza cautelare incidentale, ASI ha chiesto la sospensione della esecutività della sentenza di primo grado. Con ordinanza di questa Sezione 31 luglio 2012, n. 3010 la predetta istanza cautelare è stata accolta, limitatamente alla sospensione della statuizione con cui l'atto impugnato in primo grado ha stabilito che alle confezioni di vendita APP sia apposta la dicitura che “ nei primi 24 mesi dalla data di acquisto del prodotto il consumatore ha comunque diritto alla garanzia del venditore che prevede tra l'altro la riparazione gratuita o la sostituzione del prodotto non conforme al contratto (art. 130 del Codice del Consumo) .
Le parti hanno depositato memorie illustrative in vista della discussione della causa.
All’udienza pubblica del 22 settembre 2015 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
4.- Prima di passare all’esame del merito, data la complessità della vicenda, giova premettere alcune considerazioni a chiarimento dei fatti che hanno dato origine alla controversia.
5.- Nel corso del 2011 l'Associazione ALTROCONSUMO, quale ente esponenziale e rappresentativo degli interessi dei consumatori italiani, segnalava ad AGCM alcuni comportamenti scorretti tenuti da tre società appartenenti al gruppo Apple ed operanti sul mercato italiano in materia di garanzia e assistenza prestate ai consumatori con riferimento ai prodotti acquistati dallo store online gestito dalla società Apple Sales International con il supporto di Apple Italia S.r.l., nonché all'interno della catena di negozi denominati “Apple Store”, riconducibili alla società Apple Retail Italia srl .
In particolare, l'Autorità, in data 28 aprile 2011, comunicava l'avvio del procedimento volto a verificare la correttezza delle informazioni fornite ai consumatori nonché l'applicazione della garanzia legale di conformità e delle garanzie commerciali per i beni di consumo per i prodotti e i servizi commercializzati sia attraverso i siti internet www.apple.com e store.apple.com che presso i punti vendita della società Apple. A formare oggetto di accertamento era in particolare il comportamento di Apple in ordine alla completezza delle informazioni fornite ai consumatori riguardo ai contenuti della garanzia legale relativa ai prodotti venduti in rapporto alle informazioni relative alla garanzia convenzionale, che la società offriva in vendita ai consumatori e che veniva in parte a sovrapporsi in modo ambiguo a quella legale.
La garanzia convenzionale offerta dalle società Apple ai consumatori in occasione dell’acquisto da parte di costoro di un prodotto a marchio Apple, per come compendiato nel c.d. pacchetto APP, aveva, in sintesi, questo contenuto essenziale:
servizio di supporto tecnico telefonico offerto su tutti i nuovi prodotti Apple per un periodo massimo di 2 o 3 anni (in base al prodotto scelto) dalla data di acquisto;
copertura di un servizio assistenza hardware (riparazioni, sostituzioni, ecc.) nei Paesi in cui vi fosse un fornitore autorizzato Apple o un Apple Store. Tale garanzia non riguardava soltanto i vizi esistenti al momento della consegna del prodotto, ma era operativa per tutti i vizi che si fossero manifestati durante la copertura assicurativa, con nessun onere di prova a carico del consumatore. Inoltre, poteva essere attivata non solo nei confronti del venditore ma anche dei suoi danti causa ed era previsto il c.d. express swap per dispositivi mobili (iphone, ipad e ipod), che prevedeva l'invio da parte di Apple Sales International di un dispositivo sostitutivo prima che il consumatore riconsegnasse il dispositivo da sostituire;
una copertura software che prevedeva un servizio one-stop di supporto da parte di tecnici esperti Apple per problematiche sul sistema operativo e sulle applicazione Apple con interventi anche da remoto.
Il pacchetto APP, così composto, veniva offerto gratuitamente da Apple per un anno, mentre lo stesso servizio era a pagamento per chi volesse beneficare della estensione della garanzia per un altro anno o per due anni ulteriori, a seconda del prodotto prescelto.
Nel dettaglio, l'istruttoria AGCM ha riguardato due distinte condotte, contestate alla società appellante nella ritenuta qualità di “professionista” ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dal Codice del consumo :
il comportamento tenuto dai professionisti Apple presso i loro punti vendita, anche online , al momento della richiesta di assistenza dei consumatori , con riguardo alle informazioni fornite sul contenuto e sulle modalità di esercizio del diritto alla garanzia legale biennale in caso di difetto di conformità dei beni di consumo oggetto di vendita. In particolare, l’Autorità ha contestato alla società appellante che la stessa non avrebbe informato in modo adeguato i consumatori circa i diritti derivanti dalla assistenza gratuita biennale spettante loro per legge, enfatizzando i soli dati afferenti la garanzia convenzionale del produttore;
le informazioni fornite in merito alla natura, al contenuto e alla durata dei servizi aggiuntivi di assistenza offerti ai consumatori attraverso un'estensione a pagamento della garanzia convenzionale APPLE non avrebbero ben esplicitato i contenuti della garanzia legale di conformità da parte del venditore di durata biennale, in modo che gli stessi consumatori erano indotti per carenza informativa ad attivare la garanzia convenzionale ( Apple Care Protection Plan (APP) il cui contenuto, nonostante ciò non fosse evidenziato dalla società venditrice, si sarebbe sovrapposto in parte con i diritti già spettanti in forza della garanzia legale.
In data 28 aprile 2011 l'autorità disponeva l'accertamento ispettivo presso le sedi di Apple Italia e Apple Retail Italia;l' odierna società appellante e Apple Retail Italia presentavano in data 28 luglio e 23 settembre 2011proposte di impegni, con cui assumevano l’obbligo di desistere dalle pratiche contestate e di uniformarsi alle indicazioni conformative dell’AGCM.
In considerazione del fatto che la pratica commerciale veniva diffusa anche a mezzo internet, l'Autorità richiedeva il prescritto parere all' Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM).
Tale ultima Autorità, con parere datato 4 novembre 2011, riteneva che la pratica commerciale in esame fosse scorretta ai sensi degli artt. 21, 22, 23, comma 1, lettera l), 24 e 25, comma 1, lettera d) del Codice del consumo. In particolare, sottolineava come il consumatore dovesse essere posto nella condizione di avere chiara e immediata contezza in merito alle caratteristiche del servizio pubblicizzato, assumendo inoltre che la condotta attuata in ordine al rifiuto di riconoscere e prestare la garanzia legale di conformità, rinviando a quella convenzionale, potesse costituire una pratica commerciale aggressiva.
All' esito dell' istruttoria, con il provvedimento n. 23155 in questa sede impugnato, adottato nell' adunanza del 21 dicembre 2011, AGCM definiva nei sensi anzidetti il procedimento nei confronti delle nominate società appartenenti al gruppo Apple ritenendole responsabili delle distinte pratiche commerciali, qualificate scorrette e aggressive.
Detto provvedimento veniva impugnato davanti al TAR del Lazio che, con la sentenza oggetto di esame, disponeva l'accoglimento del ricorso limitatamente all'ordine di modifica delle confezioni APP ( nei sensi anzidetti), mentre lo rigettava per il resto.
6.- Con il primo articolato motivo d' appello la società ASI si duole della illegittimità della impugnata sentenza nella parte concernente l' esatta individuazione del contenuto degli obblighi gravanti sul venditore in ordine alla prestazione della garanzia legale di conformità. Assume la società 'appellante che il giudice di primo grado abbia fatto propria l’interpretazione errata ed illegittima data da AGCM alla normativa applicabile alla fattispecie di causa e che, in particolare avrebbe, errato il giudice di primo grado nel valutare la legittimità della dicitura da apporre sulle confezioni APP per come imposta dall’Autorità ad APPLE ( secondo cui “ sul venditore grava l'obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita, nonché la responsabilità per qualsiasi difetto di conformità che si manifesti fino a due anni dalla consegna dello stesso bene ”).
Su tale erroneo presupposto giuridico, a parere dell’appellante, il TAR del Lazio avrebbe dedotto l'illegittimità della pratica commerciale contestata posto che, contrariamente a quanto rilevato dall’Autorità, ASI veicolava nei propri punti vendita ( anche on line) del tutto correttamente il messaggio secondo cui la legge prevede per i primi sei mesi dall'acquisto una presunzione relativa a favore del consumatore circa la preesistenza dei difetti alla data della consegna, mentre dopo sei mesi dalla consegna tale presunzione non opera, di tal che è il consumatore a dover fornire la prova circa la risalenza del difetto ad epoca antecedente la consegna.
Avverso il giudizio di aggressività della pratica parte appellante solleva censure volte ad affermare l'erroneità della interpretazione della previsione normativa sulla garanzia legale fatta propria dall'Autorità , contestando che il comportamento alla stessa ascritto possa integrare un ostacolo all'esercizio da parte del consumatore dei rimedi legali previsti dall'art. 132, comma 2, del Codice del Consumo, ovvero una modalità scorretta di celare gli effettivi contenuti della garanzia legale in modo da svilirne i suoi contenuti.
Ai fini di una più corretta disamina della fattispecie, occorre preliminarmente procedere alla ricognizione della disciplina dettata dal Codice del Consumo in merito alla garanzia legale di conformità dei prodotti di consumo riconosciuta ai consumatori, poiché la corretta individuazione del contenuto di tale obbligo è preliminare ai fini della verifica della correttezza della pratica commerciale contestata all’odierna società appellante.
Nel disciplinare i diritti del consumatore nella vendita di beni di consumo l'art. 130 del d.lgs.. n. 206 del 2005 prevede che " Il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene " e che " in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione (...), ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto (...) ”.
L'art. 132 stabilisce, inoltre, che " il venditore è responsabile, a norma dell'articolo 130, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene ", con onere per il consumatore, a pena di decadenza dal diritto, di denunciare il difetto di conformità entro due mesi dalla data di scoperta del difetto, precisando, altresì ( comma 3) che "s alvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità ".
Attraverso il ricorso ai principi generali in materia di onere della prova ( onus probandi incumbit ei qui dicit, non ei qui negat ) parte appellante assume che spetterebbe al consumatore l'onere di provare che il difetto del bene sia imputabile alla mancanza di conformità dello stesso al momento della consegna , posto che l'inversione dell'onere della prova in favore del consumatore opera solo per i primi sei mesi dall'acquisto. Su tale premessa la società appellante deduce , quindi, la correttezza e l'aderenza al dato normativo delle precisazioni, rinvenute nella documentazione acquisita dall'Autorità, nonché delle informazioni fornite ai consumatori dalla stessa società, che appunto fanno riferimento alla presunzione -operante per i primi sei mesi dalla consegna- di risalenza del difetto di conformità ad epoca precedente l’acquisto, spettando al consumatore, dopo tale periodo, provare che il difetto esisteva fin dal momento in cui è avvenuta la consegna del bene.
A fondamento della propria tesi, la società appellante richiama l'art. 2697 cod. civ., che testualmente dispone che : “ chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda ”. Assume, infatti, che la interpretazione di Apple secondo cui, dopo i primi sei mesi, è possibile richiedere al consumatore di provare l'esistenza di un difetto di conformità, altro non sia che la piena applicazione del principio di vicinanza dell'onere della prova.
Ritiene il Collegio che la tesi dell’appellante non possa ritenersi meritevole di accoglimento, anzitutto per la ragione che il tema centrale del giudizio non è tanto quello di verificare come sia distribuito tra le parti l’onere della prova nei contratti di vendita al consumo in caso di sopravvenienza di un difetto che integri un vizio di conformità del prodotto ( che nel tempo si rivela non avere le qualità o le caratteristiche promesse al momento del contratto e nello stesso puntualmente descritte). Il tema è piuttosto quello di verificare se APPLE, nella fattispecie oggetto di contestazione, abbia diligentemente ottemperato agli obblighi legali di informazione in favore del consumatore prima della stipula dei contratti di vendita o, al contrario, celando i contenuti specifici della garanzia legale tipica, abbia veicolato un messaggio informativo in parte fuorviante, capace di condizionare la libera scelta del consumatore di stipulare con Apple la proposta garanzia convenzionale.
Il Collegio ritiene che il contenuto complessivo delle informazioni trasmesse al consumatore dalla società appellante in funzione della stipula dei contratti di vendita al consumo dei propri prodotti sia effettivamente qualificabile come decettivo e fuorviante, negli esatti termini individuati da AGCM.
Prima di giungere a tali motivate conclusioni riguardo alla effettiva violazione dell’onere informativo, giova tuttavia partire dalla iniziale e connessa questione della distribuzione tra le parti dell’onere della prova in punto di dimostrazione della sussistenza del difetto di conformità del bene ( che ha impegnato molta parte dell’attività difensiva) , cercando di individuarne la sua esatta portata.
Anzitutto, non appare convincente sul punto il riferimento di parte appellante ai contenuti dell’ art. 2697 cod.civ. , dato che tale disposizione normativa introduce un principio informatore del sistema delle garanzie giurisdizionali (cfr. Corte di Cassazione, sez. unite, n. 654 del 2009) destinato ad operare sul piano processuale e non sostanziale, di tal che quel principio non può essere sic et simpliciter invocato per dar contenuto o fornire utile interpretazione circa il corretto comportamento delle parti nella fase (pre)contrattuale;soprattutto in relazione alla materia che qui viene in gioco, contraddistinta da evidente favor legislativo per un soggetto ( il consumatore, appunto) ritenuto meritevole di maggior protezione giuridica ( proprio in quanto “ non professionista”, e cioè soggetto che conclude il contratto di acquisto di un bene di consumo in condizioni di asimmetria informativa rispetto alla controparte ).
Pertanto, se è pur vero che, in ambito processuale , spetterebbe al consumatore, decorsi sei mesi dall’acquisto, fornire la prova , come si desume dall’art. 132, comma 3, d.lgs. cit., della risalenza del difetto ad epoca anteriore alla consegna del bene ( non potendo più operare la presunzione vigente nei primi sei mesi dall’acquisto), cionondimeno l’argomento della diversa distribuzione ratione temporis dell’onere della prova in relazione al difetto di conformità non potrebbe valere (come pretenderebbe parte appellante) a conformare i contenuti specifici degli obblighi informativi gravanti sul professionista prima della stipula del contratto nonché delle stesse prestazioni di garanzia dovute, secondo il canone interpretativo della buona fede, una volta che sia stato denunciato dal consumatore un difetto di conformità del bene.
Infatti, ammettere che il venditore, decorsi sei mesi dalla vendita, possa rifiutare di prendere in consegna il bene al fine di verificare l'eventuale sussistenza del vizio di conformità, si tradurrebbe nello svuotamento sostanziale dei diritti del consumatore connessi alla garanzia legale di durata biennale, facendo ricadere fin da subito sul consumatore gravosi oneri, anche economici, connessi all'accertamento della causa del malfunzionamento del prodotto al fine di poter fruire della garanzia.
Una tale interpretazione sarebbe contrastante con la disciplina della garanzia legale che, come si è ricordato, vige per due anni dalla vendita e che deve operare nel rispetto del principio di gratuità per il consumatore, il quale è onerato della sola denuncia del vizio entro sessanta giorni dalla scoperta.
Alla luce di tale rilievo, non appare condivisibile il diverso percorso argomentativo di parte appellante che, facendo leva sull'elemento relativo alla durata solo semestrale della presunzione di preesistenza del difetto di conformità del bene, si pone in insanabile contrasto con la ratio e le finalità di tutela ( effettiva e gratuita ) accordata al consumatore dalla speciale disciplina della garanzia nella vendita di beni di consumo.
Come giustamente rilevato dal giudice di primo grado, non appare convincente la tesi difensiva dell’appellante che, prendendo le mosse dai riferiti contenuti riduttivi e non condivisibili della garanzia legale, fa ricadere sul consumatore ogni onere sostanziale successivo alla scadenza del periodo di sei mesi dalla vendita del prodotto, con il fine di rendere plausibile il messaggio informativo veicolato da APPLE riguardo ai ben diversi contenuti offerti dal pacchetto relativo alla garanzia convenzionale ( Applecare Protection Plan ).
Si è già anticipato che un tale approccio contrasta con la ratio della tutela apprestata dal Codice del Consumo a favore del consumatore, in capo al quale è previsto il solo onere di presentare la denuncia di difetto di conformità entro due mesi dalla relativa scoperta, così potendo fruire di uno strumento di tutela agile e completamente gratuito. D’altra parte è evidente che il venditore, a differenza del consumatore, può avvalersi più facilmente di mezzi organizzativi e delle competenze tecniche che consentono di effettuare la necessaria diagnosi del problema al fine di appurare l'esistenza del vizio.
Del resto, l'art. 132 del Codice del Consumo deve essere letto in combinato disposto con la direttiva europea n.1999/44/CE sulle garanzie dei beni di consumo, di cui il Codice del consumo costituisce la legge di trasposizione in Italia.
La prefata direttiva CE indica il nucleo essenziale dei diritti del consumatore e , rimarcando il principio di gratuità, stabilisce che “ Il venditore eÌ€ responsabile, a norma dell'articolo 3, quando il difetto di conformitaÌ€ si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene. Se, a norma della legislazione nazionale, i diritti previsti all'articolo 3, paragrafo 2, sono soggetti a prescrizione, questa non puoÌ€ intervenire prima di due anni dalla data della consegna.