Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-01-25, n. 201800502

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-01-25, n. 201800502
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800502
Data del deposito : 25 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/01/2018

N. 00502/2018REG.PROV.COLL.

N. 01695/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1695 del 2013, proposto da:
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Eaton Srl non costituito in giudizio;

nei confronti di

Regione Toscana, Provincia di Massa Carrara, Comune di Massa, Agenzia Regionale Protezione Ambiente Toscana - Arpat non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE II n. 01984/2012, resa tra le parti, concernente bonifica sito di interesse nazionale di massa carrara


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2018 il Cons. D P e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Federica Varrone.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’appello in esame il Ministero odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 1984 del 2012 con cui il Tar Toscana accoglieva l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla società, odierna appellata, proprietaria dei terreni posti nell’ambito del sito di interesse nazionale di Massa Carrara, al fine di ottenere l’annullamento degli atti che hanno reiterato gli obblighi di bonifica in capo al proprietario incolpevole.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello:

- violazione degli artt.2909 c.c. e 21 septies comma 1 l. 241\1990, in assenza del formarsi del giudicato sulla precedente sentenza 1438\2011 dello stesso Tar;

- violazione degli artt. 174 comma 2 tue, dir 2004\35 e 242 d.lgs. 252\2016 per errata applicazione del principio chi inquina paga, per la natura oggettiva della responsabilità del proprietario.

Le parti appellate non si costituivano in giudizio.

Alla pubblica udienza del 18\1\2018 la causa passava in decisione.

DIRITTO

L’appello appare prima facie insuscettibile di accoglimento nel merito.

Pur dinanzi all’erroneo riferimento alla violazione del giudicato, resta corretta, nel merito, sia in linea di diritto l’applicazione da parte della sentenza appellata dei principi che governano la materia della responsabilità per gli oneri di bonifica da inquinamento, sia in linea di fatto la verifica dell’assenza di una nuova ed adeguata istruttoria all’esito della precedente statuizione, dotata comunque di esecutività.

Invero, in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza appellata si è ulteriormente consolidato l’orientamento che esclude l’automaticità ed oggettività della responsabilità in capo al c.d. proprietario incolpevole.

In proposito, costituisce jus receptum l’orientamento a mente del quale, quando un fenomeno di inquinamento non è ascrivibile alla sfera di azione del proprietario medesimo, va escluso il coinvolgimento coattivo del proprietario dell'area inquinata, nelle attività di rimozione, prevenzione e messa in sicurezza di emergenza: al più tale soggetto potrà essere chiamato, nel caso, a rispondere sul piano patrimoniale e a tale titolo potrà essere tenuto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l'esecuzione di tali interventi, secondo quanto desumibile dal contenuto dell'art. 253 del codice dell'ambiente (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 7 novembre 2016, n. 4647 e 16 luglio 2015, n. 3544).

La questione centrale da dirimere attiene al se il proprietario di un'area inquinata, non responsabile dell'inquinamento, sia tenuto agli oneri di bonifica per come imposti dalla amministrazione pubblica ovvero abbia una mera facoltà di eseguirli pena, altrimenti, l'esecuzione d'ufficio degli stessi da parte della amministrazione procedente e con responsabilità, in tal caso, solo patrimoniale del proprietario (nei limiti del valore venale del bene all'esito degli interventi di riqualificazione ambientale).

È pacifico in atti che la odierna società appellante sia soltanto proprietaria del complesso immobiliare oggetto del piano di caratterizzazione ma non abbia, neppure in minima misura, concorso a causarne l'inquinamento, dovuto a pregresse attività industriali.

È noto che il d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, recante il Codice dell'ambiente, abbia confermato la scelta (già presente nella pregressa disciplina della materia contenuta nel citato art. 17 del d.lgs n. 22 del 1997) afferente l'allocazione del titolo di responsabilità e delle conseguenze sul piano degli oneri di riparazione del danno proprio nel senso anzidetto, cioè della responsabilità solo patrimoniale del proprietario non responsabile, salvi gli oneri relativi agli interventi di urgenza e salva la facoltà di eseguire spontaneamente gli interventi di bonifica ambientale.

In particolare, può dirsi in estrema sintesi, che dalle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 152/2006 (in particolare, nel Titolo V della Parte IV.) possono ricavarsi le seguenti regole:

1) il proprietario, ai sensi dell'art. 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. 1), ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia";

2) gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l'inquinamento (art. 244, comma 2);

3) se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari sono adottati dalla p.a. competente (art. 244, comma 4);

4) le spese sostenute per effettuare tali interventi potranno essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (che giustifichi, tra l'altro, l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero quella di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), agendo piuttosto in rivalsa verso il proprietario, che risponderà nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, comma 4);

5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).

La scelta del legislatore nazionale, desumibile dall'applicazione delle richiamate regole, è stata adottata in applicazione, nel nostro ordinamento, del principio comunitario "chi inquina paga" ormai confluito in una specifica disposizione (art. 191) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nel quale rientra come uno degli obiettivi principali sui quali si basa l'azione europea in materia ambientale ed in attuazione della direttiva 2004/35/CE.

Tale sistema normativo, che come anticipato ripete lo stesso schema dispositivo già contenuto nell'art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, è stato tuttavia sottoposto a critica da una parte della dottrina e della giurisprudenza amministrativa, che vi ha ravvisato dei possibili profili di incompatibilità con i principi comunitari di precauzione, di prevenzione e di correzione prioritaria, alla fonte, dei danni causati all'ambiente. In particolare ci si è chiesti se la normativa comunitaria ed i principi dalla stessa desumibili siano incompatibili con un sistema incentrato su un significativo innalzamento della soglia di tutela ambientale quante volte l'incertezza nella individuazione del nesso di causalità tra condotta e danno da inquinamento ambientale ed il ritardo nell'accertamento delle responsabilità (anche a fronte di evidenze scientifiche malcerte) potrebbe determinare rischi irreversibili alla salute o all'ambiente. In tali casi, ci si è chiesti se il proprietario dell'area inquinata, il quale utilizza il sito per l'esercizio della sua attività d'impresa, non possa essere chiamato a compiere gli interventi di ripristino ambientale a titolo di responsabilità oggettiva, per la relazione speciale con la cosa immobile strumentale all'esercizio della sua attività, ed anche in ragione degli oneri di custodia e di particolare diligenza esigibili nei confronti del titolare di beni suscettibili di arrecare danno ad interessi particolarmente sensibili.

In particolare, di tali considerazioni critiche rispetto all'impianto normativo recato dal Co. dell'ambiente si è fatta carico l'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato che, con ordinanza 25 settembre 2013 n. 21, ha rimesso alla Corte di Giustizia UE la seguente questione interpretativa:

se i princìpi dell'Unione europea in materia ambientale sanciti dall'art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dalla direttiva 2004/35/U.e. del 21 aprile 2004 (articoli 1 ed 8 n. 3;
13º e 24º considerando) - in particolare, il principio per cui "chi inquina, paga", il principio di precauzione, il principio dell'azione preventiva, il principio, della correzione prioritaria, alla fonte, dei danni causati all'ambiente - ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244, 245 e 253 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che, in caso di accertata contaminazione di un sito e d'impossibilità d'individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di ottenere da quest'ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all'autorità amministrativa d'imporre l'esecuzione delle misure di sicurezza d'emergenza e bonifica al proprietario non responsabile dell'inquinamento, prevedendo, a carico di quest'ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l'esecuzione degli interventi di bonifica.

L'interpretazione prospettata dall'Adunanza plenaria si faceva carico, in definitiva, di superare alcune criticità insorte dall'esame di una pluralità di casi, in cui il responsabile dell'inquinamento risultava nella maggior parte dei casi irreperibile per avere, con operazioni negoziali di sospetta portata elusiva, alienato la cosa inquinata, mentre il nuovo proprietario trovava proprio nelle richiamate disposizioni inerenti alla limitazione della sua responsabilità (essendo ammessa solo una responsabilità di tipo patrimoniale correlata al valore commerciale del cespite) un commodus discessus per liberarsi dei ben più gravosi oneri economici connessi alla integrale bonifica del sito.

Con sentenza del 4 marzo 2015 (resa nella causa C-534/13), la Corte di Lussemburgo ha confermato il proprio orientamento (già espresso nella sentenza 9 marzo 2010, C- 378/08), non diverso da quello preponderante emerso nell'ordinamento italiano e richiamato dalla stessa ordinanza di rinvio dell'Adunanza plenaria, secondo cui "la direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale (…) la quale, nell'ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest'ultimo le misure di riparazione, non consente all'autorità competente di imporre l'esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l'esecuzione di tali interventi".

Del resto, la stessa sentenza della Corte di Lussemburgo ricorda come il diritto dell'Unione non è di ostacolo ad una normativa nazionale che non consenta di imporre misure riparatorie al proprietario del sito non responsabile dell'inquinamento, di tal che la pronuncia non riguarda soltanto le disposizioni particolari del Codice dell'ambiente applicabili in quel giudizio (che vengono utilizzate in quanto poste a base della controversia davanti al giudice a quo) ma si riferisce evidentemente a tutte le disposizioni nazionali, antecedenti o susseguenti a quelle scrutinate, che siano ispirate al medesimo criterio di riparto della responsabilità e degli oneri consequenziali tra il proprietario del sito inquinato ed il responsabile dell'inquinamento.

Ciò detto, vale osservare che, nel caso di specie, non potendo determinarsi in capo alla società appellante la responsabilità dell'inquinamento del sito (risalente, come detto, ad un periodo ben antecedente ed imputabile eziologicamente all'attività inquinante di altri soggetti giuridici), la stessa società non è tenuta ad eseguire la caratterizzazione dell'area, secondo le prescrizioni impostele dall'amministrazione all'esito della citata conferenza decisoria.

La Società appellata, in qualità di proprietaria dell'area, sarà se del caso responsabile sul piano patrimoniale ed a tal titolo sarà tenuta, ove occorra, al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità competente nel limite del valore di mercato del sito determinato dopo l'esecuzione di tali interventi, secondo quanto desumibile dalla disciplina vigente come sopra interpretata.

Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va respinto.

In assenza della costituzione delle parti appellate nulla va disposto per le spese di lite.

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