Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-01-16, n. 201900399

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-01-16, n. 201900399
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201900399
Data del deposito : 16 gennaio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/01/2019

N. 00399/2019REG.PROV.COLL.

N. 05700/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5700 del 2008, proposto da
A C, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A C G, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Grosso in Roma, piazza Giunone Regina, 1;

contro

Comune di Ghemme, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M G, R M I, con domicilio eletto presso lo studio Roberto M. Izzo in Roma, viale Angelico 103;
Sportello Unico per L'Edilizia c/o Comune di Ghemme non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) n. 00695/2008, resa tra le parti, concernente permesso di costruire una recinzione


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2019 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti gli avvocati Carlevaro su delega dichiarata di A C G e Massimo Letizia su delega di R M I;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La signora C ha ottenuto dal comune di Ghemme il permesso di costruire n. 27 del 24.12.2004 per l’edificazione di un immobile residenziale con relativa recinzione, ubicato alla confluenza della via privata Tamiotti nella via Romagnano.

A costruzione ultimata il comune, con ordinanza n. 7 del 9.6.2006, ha annullato il permesso nella parte relativa alla recinzione e ne ha ordinato la demolizione.

A sostegno dell’atto di autotutela il comune ha osservato che la recinzione non rispettava la larghezza di m. 12 prevista in prg per la sede stradale di via Romagnano e che la recinzione stessa non si allineava al filo delle recinzioni preesistenti, come invece imposto dalle NTA.

La proprietaria ha impugnato l’ordinanza in questione avanti al TAR Piemonte, chiedendone l’annullamento previa sospensione dell’efficacia.

Con ord.za n. 488 del 2006 ( confermata in appello da IV Sez. n. 597 del 2007) l’adito Tribunale ha respinto la richiesta cautelare perché non supportata da adeguato fumus.

Nel merito il Tribunale, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto il ricorso compensando peraltro le spese di lite tra le parti.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi in esame dalla soccombente la quale ne ha chiesto l’integrale riforma, con accoglimento del ricorso introduttivo.

Si è costituito in resistenza il comune di Ghemme.

Le parti hanno depositato memorie, insistendo nelle già rappresentate conclusioni.

Il comune di Ghemme ha peraltro eccepito l’inammissibilità di documenti prodotti per la prima volta in appello dalla signora C.

La predetta ha depositato memoria di replica.

All’udienza del 10 gennaio 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

L’appello non è fondato e va pertanto respinto, con integrale conferma della sentenza gravata.

In via preliminare va disattesa l’eccezione con la quale il comune di Ghemme prospetta l’inammissibilità del documento ( tavola di prg) prodotto in questa sede dall’appellante.

Come è noto, l’art. 345 c.p.c nella sua versione originaria ( art. 36 L. n. 581 del 1950 e art. 52 L. n. 353 del 1990) consentiva la produzione in appello di documenti nuovi ( c.d. prove precostituite).

In analogia, la prevalente giurisprudenza di questo Consiglio applicava tale regola generale anche al processo amministrativo di impugnazione ( cfr. ad es. VI Sez. n. 1482 del 1994).

Successivamente l’art. 46 comma 18 della L. n. 69 del 2009 ha modificato il secondo comma dell’art. 345 estendendo il divieto dei nova anche alle prove precostituite, salva la causa non imputabile o il carattere decisivo del documento.

A tale regola aderisce il codice del processo amministrativo con le prescrizioni di cui all’art. 104 comma 2.

Ciò premesso, risultando l’appello in esame notificato nel luglio del 2008, esso non incorreva nel divieto solo successivamente introdotto a livello normativo, con la conseguenza che il documento prodotto dall’appellante è ammissibile.

Passando al merito, con il primo motivo l’appellante deduce che ha errato il TAR nel ritenere comprovata, sulla base dei documenti di piano, la previsione di un allargamento a m. 12 della sede stradale di via Romagnano, in atto larga m. 8.

Il mezzo non può essere favorevolmente scrutinato in quanto ( come già osservato da questo Consiglio in sede cautelare) la normativa di piano, ove rettamente interpretata, prevede espressamente l’ampliamento della sede stradale.

In tal senso è sufficiente osservare che, per quanto riguarda la viabilità, le NTA comunali rimandano alla planimetria di piano, la quale inequivocamente alla tavola 3.2 – come evidenziato dal TAR anche con riferimento alle misurazioni dei tecnici comunali - comprova a livello progettuale la previsione di ampliamento proprio nel tratto di viabilità interessato dalla contestata recinzione.

Oppone l’appellante – producendo copia a colori della tavola in questione – che invece il tratto di strada in controversia non è ivi colorato in giallo, come prescritto dalla legenda per la viabilità di progetto.

Replica il comune che la difformità risulta dovuta ad un errore materiale di impostazione compiuto dai tecnici nel corso della stampa.

A giudizio di questo Collegio il rilievo dell’appellante non può essere ritenuto significativo, in quanto nella tavola la via Romagnano è interamente raffigurata col colore nero e non col colore verde che avrebbe dovuto rappresentare ( come da legenda) la viabilità esistente.

Di conseguenza, l’indicazione grafica relativa al progettato allargamento non è inficiata dalla inadeguata colorazione, in quanto il colore utilizzato non è nemmeno quello proprio della viabilità esistente.

Conclusivamente il primo mezzo va perciò respinto.

Con il secondo motivo l’appellante sostiene da un lato che le norme di piano non imponevano l’allineamento della recinzione;
dall’altro che in ogni caso non sussistevano altre recinzioni cui la signora C dovesse allinearsi.

Il mezzo è infondato in ogni prospettiva.

L’art. 10 c. 7 delle NTA, dopo aver imposto in generale la realizzazione delle recinzioni a filo stradale, prosegue affermando che “ nelle aree consolidate e di completamento è consentita la realizzazione lungo i fili precedenti”.

Secondo l’appellante ciò sta a significare che in dette zone il singolo proprietario può liberamente scegliere se allinearsi ai fili preesistenti o edificare sul ciglio stradale.

L’interpretazione della norma proposta dall’appellante è palesemente incongrua, nella misura in cui rimette tale facoltà di scelta proprio ( e solo) ai proprietari che edificano nelle zone già compromesse dall’edificazione, all’interno delle quali è invece maggiore l’esigenza di omogeneità costruttiva e di riordino edilizio.

Ne consegue che la norma va interpretata ragionevolmente in senso opposto, e cioè nel senso che essa nelle zone consolidate o di completamento consente l’edificazione di nuove recinzioni solo a filo delle preesistenti.

In fatto, dai rilievi effettuati dai tecnici comunali in contraddittorio col professionista delegato dalla signora C risulta precisamente che la nuova recinzione non rispetta il filo di nessuna delle recinzioni preesistenti lungo la via Romagnano, lato destro direzione nord.

A fronte di tale apparato documentale l’appellante non può dunque limitarsi a sostenere solo in appello, e con assoluta genericità, che le misurazioni sarebbero state battute sul lato opposto della via.

Il secondo mezzo va quindi complessivamente respinto.

Col terzo motivo l’appellante lamenta la mancata enunciazione, da parte del comune, dei motivi di pubblico interesse che giustificavano l’intervento in autotutela.

Il mezzo non è fondato.

Come è noto, la Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, componendo un contrasto giurisprudenziale, ha di recente chiarito che nella vigenza dell'art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 — introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 — l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi: a) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole' per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro;
b) che l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio del sui penitenti);
c) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte. ( cfr. Ap. n. 8 del 2017).

Applicando tali coordinate al caso in esame deve evidenziarsi da un lato che l’annullamento d’ufficio del titolo è intervenuto a distanza ravvicinata rispetto al suo precedente rilascio;
dall’altro che l’ordinanza in autotutela risultava essenzialmente finalizzata alla tutela di un vincolo di inedificabilità, risultando quindi l’affidamento maturato dai privati del tutto recessivo.

Con il quarto motivo l’appellante lamenta il mancato invio da parte del comune della comunicazione di avvio del procedimento.

Il mezzo è del tutto privo di fondamento.

In primo luogo, come ben evidenziato dal TAR, ai sensi dell'art. 7, l. 7 agosto 1990, n. 241 è da escludersi la necessità della comunicazione d'avvio del procedimento sanzionatorio quando l'emanazione del provvedimento, recante l'ingiunzione di demolizione, è stata preceduta dalla comunicazione dell'ordinanza di sospensione dei lavori. ( ad es. IV Sez. n. 4533 del 2017).

Ciò in quanto l’ordinanza di sospensione rappresenta, nella sostanza, un atto equipollente alla comunicazione d’avvio.

D’altra parte, come si è visto sopra, la natura del vizio riscontrato e l’incidenza negativa del manufatto in vista della realizzazione dell’opera pubblica depongono nel senso che la decisione finale non avrebbe in alcun modo potuto essere diversa, come il comune fondatamente deduce ai sensi dell’art. 21 octies L. n. 241 del 1990.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto respinto, con integrale conferma della sentenza gravata.

Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.


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