Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-03-27, n. 201201793

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-03-27, n. 201201793
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201201793
Data del deposito : 27 marzo 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02616/2008 REG.RIC.

N. 01793/2012REG.PROV.COLL.

N. 02616/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2616 del 2008, proposto dal signor M B, nella qualità di procuratore generale della signora M S F, rappresentato e difeso dall'avvocato M S, presso lo stesso elettivamente domiciliato in Roma, viale Parioli, 180;

contro

Comune di Venezia,, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati G G, G V, M.M. Morino, A I, N O, N P e M B, elettivamente domiciliato presso l’avvocato N P in Roma, via Barnaba Tortolini, 34;

nei confronti di

Ministero per i beni e le attività culturali in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE II n. 3625/2007, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE OPERE ABUSIVE E RIPRISTINO STATO LUOGHI-VINCOLO STORICO-ARTISTICO


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2012 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Sanino e Paoletti e l’avvocato dello Stato Marone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La signora M S F, rappresentata dal procuratore generale signor M B, chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tar del Veneto ha respinto il ricorso n. 881 del 1993, presentato avverso la reiezione della istanza presentata per ottenere il condono di opere edilizie eseguite senza titolo al fine di ricavare due unità abitative dall’unica preesiste al secondo piano nobile del palazzo Widman Foscari – Rezzonico, sito nel Comune di Venezia e vincolato ai sensi della legge n. 1089 del 1939 e della conseguente ordinanza di demolizione e rimessa in pristino.

La sentenza impugnata ha ricordato che il Comune ha negato il condono sulla base del parere negativo espresso dalla competente soprintendenza il 5 maggio 1987, impugnato davanti al Tar con ricorso dichiarato perento con decreto n. 3035 del 2000;
che il medesimo diniego, notificato all’interessata il 29 febbraio 1992, non è stato tempestivamente impugnato;
che, di conseguenza, le censure rivolte con il ricorso all’esame (notificato il 4 marzo 1993) avverso il parere sfavorevole della Soprintendenza e il diniego di condono non possono essere esaminate nel merito, essendo irricevibili e inammissibili. Quanto alle doglianze che si appuntano in via autonoma avverso il provvedimento sanzionatorio del Comune, il Tar ne ha rilevato l’infondatezza, in ragione della natura di atto dovuto a fronte del parere sfavorevole espresso dalla Autorità preposta alla tutela del vincolo e della competenza del Sindaco all’esercizio del relativo potere, pur nella vigenza della legge reg. n. 61 del 1985.

Inoltre, ad avviso del primo giudice, la mancata applicazione della sanzione pecuniaria in alternativa alla demolizione non determina l’illegittimità dedotta dalla ricorrente, anche atteso che l’eliminazione gli interventi abusivamente realizzati non comporta pregiudizio per la parte conforme dell’edificio.

La sentenza merita conferma.

Va innanzitutto evidenziato che l’appello in esame è circoscritto, per espressa dichiarazione della stessa ricorrente, al capo della sentenza relativo al corretto uso, da parte del Comune di Venezia, delle misure sanzionatorie di cui all’art. 93 della legge reg. Veneto n. 61 del 1985.

La stessa appellante, peraltro, intende poi riportare nell’ambito del giudizio l’esame circa la legittimità del diniego di condono, contestandone la definizione di atto dovuto a fronte del parere negativo espresso dalla Soprintendenza: ma tale esame, come correttamente ha rilevato il Tar, essendo rivolto contro un provvedimento ormai consolidato per mancata tempestiva impugnazione, non è ammissibile.

III) L’appello è infondato anche nella parte rivolta a censurare la mancata valorizzazione, da parte del Tar, dell’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della misura ripristinatoria.

La sanzione pecuniaria applicata in alternativa all'ordinanza di demolizione delle opere abusive costituisce, nel sistema normativo generale e in quello delineato anche dalla legge regionale del Veneto 27 giugno 1985, n. 61, invocata dall’appellante, una misura alternativa e afflittiva, e non ha natura ripristinatoria, poiché non tende alla eliminazione della situazione antigiuridica e al ripristino dello "status quo ante", bensì alla riparazione (in via alternativa al ripristino) nei confronti dell'amministrazione e, più in generale della collettività, dell'abuso perpetrato mediante il pagamento di una somma di denaro commisurata al valore di quanto abusivamente costruito (Consiglio Stato , sez. V, 1 febbraio 1995 , n. 151).

Ne deriva che, quale strumento atto a riportare lo stato di fatto al paradigma legittimamente delineato per lo sviluppo edilizio del territorio, l’ordinanza di ripristino costituisce misura di elezione a fronte del riscontrato abuso edilizio (ed anzi, nel sistema delineato dall’art. 93, quarto comma, della predetta legge regionale, l’unica per gli immobili vincolati), che non necessita di particolare motivazione diverse dall’accertamento dell’abuso stesso, laddove alla sanzione pecuniaria l’Amministrazione può ricorrere, previa adeguata e specifica motivazione, solo in via sussidiaria, quando il ripristino non possa avvenire senza pregiudizio della parte conforme.

L’Amministrazione comunale, nel caso di specie, ha legittimamente ingiunto il ripristino dello stato originario dell’immobile, senza che le si possa addebitare la mancata istruttoria circa l’impatto della rimozione delle opere abusive, né la mancata comparazione degli interessi coinvolti: come ha rilevato il Tar, infatti, l’ordinanza oggetto del giudizio costituisce atto dovuto, a fronte della non condonabilità dell’abuso edilizio.

Inoltre, ed è considerazione conclusiva, i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico che si intendono tutelare, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendo ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare (per tutte, Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2011 , n. 79).

IV) Deve essere respinta anche la censura tesa a contestare la competenza del Sindaco ad esercitare il potere sanzionatorio, che la ricorrente riferisce alla Soprintendenza, quale Autorità preposta alla tutela del vincolo.

La censura – da valutare tenendo conto della normativa rilevante ratione temporis (sull’ambito delle competenze sindacali) - non ha pregio, poiché, nel sistema delineato dall’art. 93 della legge regionale più volte richiamata, la competenza che il quarto comma riconosce alla Soprintendenza nella repressione di abusi realizzati su immobili vincolati concorre con quella del Sindaco, prevista in via generale dai commi precedenti, conformemente alla normativa statale allora vigente (in particolare, dalla legge n. 47 del 1985).

V) In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

Le spese del secondo grado del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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