Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-08-10, n. 201804899
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Pubblicato il 10/08/2018
N. 04899/2018REG.PROV.COLL.
N. 07710/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7710 del 2012, proposto dall’Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato D M, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cesare Beccaria, n. 29;
contro
La signora D M, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Puglia, Sede di Bari, Sez. II, n. 1074/2012, resa tra le parti, concernente la riliquidazione della indennità di buonuscita.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2018 il Cons. F M e udito l’avvocato Marinuzzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza n. 1074 del 30 maggio 2012, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) accoglieva il ricorso n. 91 del 2010, proposto dalla signora Maiorano Dorotea e, per l’effetto, condannava l’I.N.P.D.A.P. al pagamento “ di quanto dovuto in esito al progetto di riliquidazione del trattamento di buonuscita contenuto nella nota del 7.9.2009, mod.PL2, prot.47786, oltre accessori ”.
La sentenza del TAR esponeva in fatto quanto segue.
“ Espone in fatto l’odierna ricorrente di essere stata, fino al 30-10-1995 (data del pensionamento), dipendente del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e di aver ricevuto il progetto di ricalcolo della indennità di buonuscita emessa in suo favore con nota del 7-9-2009 del Ministero di appartenenza.
In risposta a tale nota l’Istituto previdenziale comunicava il proprio rifiuto a procedere a riliquidazione, in ragione dell’intervenuto decorso del termine prescrizionale, essendo il ricalcolo intervenuto dopo 5 anni dalla data di cessazione dal servizio.
Ricorre dinanzi a questo TAR per ottenere la condanna, nei confronti dell’istituto previdenziale al pagamento di quanto dovuto, secondo il prospetto ricevuto (mod. PL2), previo accertamento del non intervenuto termine prescrizionale ”.
Avverso la sentenza di accoglimento del ricorso, ha proposto appello l’I.N.P.S., quale successore ex lege dell’I.N.P.D.A.P., deducendone l’erroneità e chiedendone l’integrale riforma, con conseguente reiezione del ricorso di primo grado.
Con unico ed articolato motivo di appello, l’Amministrazione ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 20 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032.
La causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione all’udienza del 26 giugno 2018.
DIRITTO
Con unico ed articolato motivo, l’I.N.P.S. lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1 e 20 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 ed evidenzia che il medesimo articolo 1 dispone che i dipendenti statali conseguono il diritto all’indennità di buonuscita “ all’atto della cessazione dal servizio ” e che l’articolo 20 prevede che il diritto “ si prescrive nel termine di cinque anni decorrente dalla data in cui è sorto il diritto ”.
L’Amministrazione censura la gravata sentenza nella parte in cui ha stabilito che i canoni di logica e ragionevolezza impongono di ritenere che solo all’indomani della liquidazione della prestazione sia possibile per il creditore valutare le conseguenze della propria inerzia e richiama in proposito l’orientamento del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione, per il quale il termine di prescrizione del diritto decorre dalla data di cessazione del servizio.
La gravata sentenza così motiva sul punto.
“…il ricorso è fondato, non potendosi ritenere decorso il termine prescrizionale.
L’istituto della prescrizione risponde alla ratio di determinare l’estinzione dell’azionabilità giudiziaria del diritto a seguito di non uso.
Esso si collega alla considerazione che il creditore perde la prerogativa di agire in giudizio a tutela del proprio diritto a causa della pregressa inerzia nel suo esercizio che legittima il disinteresse dell’ordinamento alle vicende del bene della vita, in quanto per congruo termine non se ne è interessato neppure il titolare.
Le conseguenza che l’ordinamento ricollega all’inerzia non possono che presupporre un consapevole apporto decisionale del creditore nella scelta di astenersi dall’esercitare il diritto per un congruo periodo di tempo.
Diversamente opinando, infatti, si giungerebbe a conclusioni incompatibili con canoni di logica e ragionevolezza che impongono di ritenere che solo quando conosca esattamente la consistenza del proprio diritto il creditore può scientemente determinarsi in ordine alla sua sorte.
Il termine prescrizionale, pertanto, può decorrere solo dal momento della liquidazione del credito (o della sua agevole liquidità), perché solo da tale momento egli può consapevolmente valutare le conseguenze della propria inerzia…..
Così chiarito il principio di diritto applicabile, deve rilevarsi che, nel caso di specie, solo con l’adozione della nota di riliquidazione mod. PL2, il credito in esame è stato dotato dei caratteri di liquidità richiesti per fare iniziare a decorrere il termine di prescrizione il cui dies ad quem , pertanto, non può considerarsi maturato prima di tale data…. ”
Ritiene la Sezione che l’appello sia fondato e vada accolto.
Non risulta condivisibile la determinazione di accoglimento del giudice di primo grado, per le ragioni che di seguito si espongono.
L’articolo 1 del D.P.R. 29-12-1973, n. 1032 (recante il testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato) dispone, al comma 1, che “ I dipendenti statali, all’atto della cessazione dal servizio, conseguono il diritto all’indennità di buonuscita o all’assegno vitalizio secondo le norme del presente testo unico ”.
Il successivo articolo 20, rubricato “ Cause di perdita del diritto ”, prevede, al comma 2, che “ il diritto del dipendente e dei suoi aventi causa all’indennità di buonuscita si prescrive nel termine di cinque anni, decorrente dalla data in cui è sorto il diritto ”.
Va premesso che la giurisprudenza ha seguito diversi orientamenti sulla data di decorrenza del termine di prescrizione del diritto disciplinato dall’articolo 20 citato: per un orientamento, tale data coincide con quella di emanazione dell’ultimo ordinativo di pagamento del credito principale (cfr. Cons. Stato, VI, 18 agosto 2010, n. 5870;VI, n. 1526 del 2012;VI, 14 novembre 2014, n. 5598), mentre per un altro orientamento rileva la data di cessazione del servizio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 24 aprile 2017, n. 1887;sez. VI, 25 maggio 2005, n. 2653).
Nella specie, pur se si seguisse il primo orientamento sopra richiamato, comunque la censura dell’appellante risulta fondata.
L’ordinativo di pagamento del credito principale è l’atto con il quale, successivamente alla cessazione del servizio, è stata liquidata la buonuscita.
Esso, poi, può essere individuato in un successivo atto di inquadramento, recante l’attribuzione di un diverso trattamento economico, solo quando la fonte normativa (D.P.R. o norma di legge o provvedimento amministrativo) dalla quale deriva un diverso ammontare dell’indennità di buonuscita sia intervenuta successivamente alla cessazione del servizio ed alla originaria liquidazione dell’indennità di buonuscita.
In tal caso, infatti, il diritto alle somme dovute sorge successivamente ed è, quindi, ragionevole ritenere che il termine prescrizionale decorra dalla entrata in vigore della norma modificativa del trattamento economico previsto dai suddetti atti successivi.
Quando, invece, il diritto sia sorto precedentemente alla cessazione dal servizio ed alla liquidazione dell’indennità di buonuscita, il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale quinquennale deve essere individuato nell’originario provvedimento di liquidazione della buonuscita, il quale non abbia tenuto conto dei relativi miglioramenti economici.
Ciò posto, deve ritenersi che nel caso in esame la prescrizione quinquennale sia maturata.
L’appellata, ricorrente in primo grado, è cessata dal servizio in data 30 ottobre 1995 e successivamente le è stata liquidata l’indennità di buonuscita, rinvenendosi nel fascicolo di causa anche una ulteriore riliquidazione con ordinativo di pagamento del 7 maggio 2001.
Orbene, la riliquidazione oggetto del presente giudizio, per come si evince dal modello PL2, redatto dal Ministero della Giustizia, del 7 settembre 2009 consegue all’attribuzione del trattamento economico ai sensi della legge 216/92 (“ per la riliquidazione dell’indennità di buonuscita emesso in favore del nominato in oggetto a seguito dell’attribuzione del trattamento economico ai sensi della legge 216/1992 si trasmette il D.M. di inquadramento ”).
I cennati miglioramenti economici, comportanti un diverso ammontare della indennità di buonuscita, sorgono, quindi, da atti normativi precedenti alla cessazione dal servizio dell’appellato e, segnatamente, dalla richiamata legge n. 216/1992 e dal successivo d.lgs. 12 maggio 1995 n. 200 (“ Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992 n. 216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo del Corpo di Polizia Penitenziaria ”).
L’articolo 11 del decreto legislativo prevede che “ Le disposizioni di cui al presente decreto hanno effetto giuridico ed economico dal 1° settembre 1995 relativamente al personale in servizio alla predetta data ” ed il successivo articolo 13 (“ Trattamento economico ”) dispone che “ Con la medesima decorrenza di cui all’art. 11, al personale dei ruoli della polizia penitenziaria è attribuito il trattamento economico complessivo risultante dalla tabella C allegata al presente decreto nonché gli scatti stipendiali ivi previsti ”.
Precedentemente alla cessazione del servizio, era dunque sorto il diritto a miglioramenti economici che avrebbero avuto incidenza sull’indennità di buonuscita.
Dunque, il dies a quo di decorrenza della prescrizione quinquennale va individuato nel primo ordinativo di pagamento della indennità di buonuscita successivo alla cessazione del servizio.
Giacchè non calcolata in tale ordinativo di pagamento, la riliquidazione dell’indennità di buonuscita riveniente dalla predetta normativa si sarebbe potuta chiedere nel quinquennio decorrente dalla suddetta data.
Orbene, non rilevandosi nel fascicolo di causa atti interruttivi della prescrizione, deve ritenersi maturata la prescrizione quinquennale, risultando intervenuta la richiesta, tramite il modello PL2 solo nel 2009, a distanza di oltre dieci anni dalla cessazione del servizio.
Va, inoltre, evidenziato che il provvedimento di inquadramento da parte del Ministero della Giustizia è stato emesso il 23 gennaio 2004, ben oltre il termine quinquennale decorrente dalla data di cessazione dal servizio e dal primo provvedimento di liquidazione dell’indennità di buonuscita ad essa conseguente, onde anche sotto tale profilo deve ritenersi maturato il termine di prescrizione quinquennale.
Va aggiunto, inoltre, che un ulteriore termine quinquennale risulta essere decorso dalla data del predetto inquadramento (23 gennaio 2004) alla data in cui lo stesso risulta essere stato trasmesso all’INPDAP (7 settembre 2009).
3. Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, deve, dunque, ritenersi prescritto il diritto alla riliquidazione dell’indennità di buonuscita.
Pertanto, l’appello deve essere accolto e la sentenza di primo grado va riformata, con conseguente rigetto del ricorso di primo grado n. 91 del 2010
La peculiarità della controversia e ragioni di equità giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.