Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-12-17, n. 202008108

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-12-17, n. 202008108
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202008108
Data del deposito : 17 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/12/2020

N. 08108/2020REG.PROV.COLL.

N. 04270/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL P ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 4270 del 2020, proposto da
Comune di Scanno, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato P R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

F A, S A G, S M, S P, S E, D C P, rappresentati e difesi dagli avvocati V F e C C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

M G, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo (Sezione Prima) n. 00135/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di F A, S A G, S M, S P, S E e D C P;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 19 novembre 2020 il Cons. Alberto Urso e uditi per le parti gli avvocati Referza, Fiasconaro e Costantini in collegamento da remoto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con deliberazione n. 34 del 6 dicembre 2019 il Consiglio comunale di Scanno (AQ) deliberava lo stato di dissesto ai sensi dell’art. 244 d.lgs. n. 267 del 2000.

2. La delibera veniva impugnata insieme agli atti connessi e conseguenti - inclusa la delibera consiliare n. 41 del 30 dicembre 2019 di attivazione delle entrate proprie a seguito della dichiarazione di dissesto - dinanzi al Tribunale amministrativo per l’Abruzzo da F A, S A G e S M nella qualità di consiglieri dissenzienti, da S E e D C P quali cittadini residenti nel Comune, nonché da S P nella veste di consigliere della precedente consiliatura comunale.

3. Il Comune di Scanno si costituiva in giudizio per resistere al ricorso.

4. Il Tribunale amministrativo adìto, adottando sentenza in forma semplificata in sede cautelare ex art. 60 Cod. proc. amm. - ritenuta la causa matura per la decisione, e non ostativa a tal fine la nota del 17 aprile 2020 a firma del sindaco e dell’organo liquidatore in cui si dava conto che non sarebbe stata data attuazione alle delibere impugnate “ fino alla pubblicazione della sentenza che [avrebbe deciso] il ricorso ” - accoglieva quest’ultimo.

5. Ha proposto appello avverso la sentenza il Comune di Scanno formulando i seguenti motivi di doglianza:

I) difetto di giurisdizione;
violazione dell’art. 103, 2° comma, Cost. e dell’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 174 del 2016;

II) violazione dei principi in materia di legittimazione e interesse a ricorrere, in relazione alle previsioni degli artt. 243- bis , comma 5 e 243- quater , comma 7, d.lgs. n. 267 del 2000, nonché dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 149 del 2011;

III) error in procedendo ;
omessa o incompleta valutazione dei contenuti della deliberazione impugnata;
violazione o falsa applicazione degli artt. 242, 243, 243- bis , 243- quater e 246 d.lgs. n. 267 del 2000.

6. Si sono costituiti in giudizio i ricorrenti di primo grado per resistere all’appello, del quale hanno chiesto la reiezione, riproponendo altresì ex art. 101, comma 2, Cod. proc. amm. i motivi di doglianza rimasti assorbiti (per i quali v. infra , sub § 5.1.2 e 7 ss.)

7. Con ordinanza n. 3768 del 26 giugno 2020 la Sezione ha accolto la domanda cautelare del Comune ai sensi dell’art. 55, comma 10, Cod. proc. amm. ai fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito.

8. Sulla discussione delle parti all’udienza del 19 novembre 2020, tenuta con modalità da remoto ai sensi dell’art. 25 d.-l. n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Va preliminarmente esaminata l’eccezione d’improcedibilità del ricorso di primo grado per sopraggiunto difetto d’interesse sollevata dal Comune di Scanno.

1.1. Rappresenta l’appellante che, con delibera della Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo della Corte dei conti n. 131/2020/PRSP del 6 luglio 2020 è stato dato avvio al procedimento di dissesto guidato di cui all’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 149 del 2011 nei confronti del Comune.

Detta delibera, impugnata dagli stessi odierni appellati - unitamente alla precedente delibera n. 79/2020/PRSP ex art. 148- bis d.lgs. n. 267 del 2000 - dinanzi alle Sezioni Riunite in composizione speciale della Corte dei conti, è stata da queste confermata giusta sentenza n. 32/2020/EL del 12 novembre 2020 di reiezione del ricorso.

Già all’esito della lettura e pubblicazione del dispositivo di detta sentenza, con nota del 22 ottobre 2020 il Prefetto dell’Aquila intimava al Comune di Scanno di dar corso alla dichiarazione di dissesto ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 149 del 2011.

Per questo, a fronte di tale nuova dichiarazione di dissesto finanziario compulsata dal Prefetto, costituente atto dovuto e vincolato, nessun interesse avrebbero più i ricorrenti a dolersi dell’originario provvedimento dichiarativo del dissesto oggetto del presente giudizio.

1.2. L’eccezione è infondata.

1.2.1. È sufficiente rilevare al riguardo che la nuova dichiarazione di dissesto correlata alla procedura invocata dal Comune non risulta allo stato ancora adottata, quanto meno al momento - rilevante ai fini della presente decisione - in cui la causa è stata ritenuta dal Collegio.

D’altra parte, gli stessi atti posti a fondamento di siffatta nuova (eventuale) dichiarazione non sono al momento definitivi, considerato che la sentenza delle Sezioni Riunite è esposta agli ordinari rimedi impugnatori di cui agli artt. 362 Cod. proc. civ., 111, comma 8, Cost. e 207 Cod. giust. cont. che la difesa degli appellati ha espressamente richiamato in corso di discussione, e la conseguente nota prefettizia è anch’essa impugnabile - e, sulla base di quanto riferito dalle parti in udienza, già impugnata davanti al Tribunale amministrativo per l’Abruzzo - e dunque non consolidata.

Il che impedisce di ravvisare al momento - al di là peraltro degli esiti e della stessa proposizione di tutte le impugnazioni avverso gli atti richiamati dal Comune - una nuova e diversa situazione amministrativa che determini il definitivo superamento di quella precedente censurata dai ricorrenti.

Sotto altro concorrente profilo, va rilevato che gli atti sinora adottati nell’ambito della procedura di dissesto guidato non incidono di per sé sulla precedente dichiarazione di dissesto qui impugnata, atteso che rispetto ad essa non presentano la qualità del contrarius actus o del provvedimento di secondo grado a effetti eliminativi, né esprimono alcuna manifestazione di volontà abdicativa dell’ente, o producono effetti altrimenti caducatori della delibera.

Per questo, il solo evolversi della vicenda amministrativa in un distinto decorso procedimentale allo stato non esitato nella rimozione del provvedimento impugnato non vale a rendere i ricorrenti privi dell’interesse all’impugnativa avverso l’originaria dichiarazione di dissesto.

Simmetricamente, la mera sopravvenienza (allo stato eventuale) di un nuovo stato di dissesto dell’ente non farebbe venir meno l’interesse dei ricorrenti alla caducazione degli effetti intermedi promananti dalla prima delibera.

Di qui l’infondatezza dell’eccezione.

2. Le eccezioni preliminari formulate dagli appellati possono essere esaminate unitamente al merito, afferendo a profili strettamente connessi a questo (v. infra , sub § 5 ss.).

3. Col primo motivo di gravame il Comune deduce il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice contabile, sul presupposto che la controversia riguarderebbe la “ materia della contabilità pubblica ” devoluta alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti ai sensi degli artt. 1, comma 1 e 11, comma 6, lett. e) , Cod. giust. cont.

3.1. Il motivo non è fondato.

Premesso che in primo grado il Comune non aveva eccepito alcun difetto di giurisdizione, e anche nel presente grado d’appello - pur formulata la doglianza - ha “ affid [ato] interamente la soluzione della questione di giurisdizione […] alle valutazioni di [questo] Consesso ” (in tal senso, cfr. memoria del 17 ottobre 2020), la censura non è condivisibile. La presente controversia è infatti devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo.

3.1.1. La giurisdizione amministrativa ha chiaro fondamento costituzionale rinvenibile negli artt. 100, 1° comma, 103, 1° comma, 24, 1° comma e 113 Cost.

Nel disegno concepito dalla Costituzione il giudice amministrativo costituisce il giudice preposto alla tutela dei singoli di fronte all’esercizio del potere amministrativo;
il che conduce - in un riparto ordinato secondo situazioni giuridiche soggettive in grado d’esprimere l’atteggiarsi della posizione del singolo, anche di fronte al potere pubblico - all’attribuzione al giudice amministrativo del ruolo di giudice naturale dell’interesse legittimo (cfr. Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204).

Consegue da ciò la devoluzione al giudice amministrativo (anzitutto) d’una giurisdizione generale di legittimità intesa al sindacato sulla conformità a legge dell’esercizio del potere pubblico nei rapporti con i singoli, e cioè sulle controversie « concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere » (art. 7, comma 1, Cod. proc. amm. e successivi comma 3 e 4).

Nell’ambito di tale giurisdizione, la prima e più naturale forma di tutela - il “ proprium ” della giustizia amministrativa - è costituita dal potere d’annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo (art. 103, 3° comma, Cost.;
artt. 29 e 34, comma 1, lett. a) , Cod. proc. amm., nonché art. 21- octies l. n. 241 del 1990 per il relativo fondamento sostanziale).

Il modello naturale così delineato nella Costituzione può incontrare talune specifiche deroghe, per effetto delle quali i poteri annullatori del giudice amministrativo sono limitati (cfr. Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49;
25 giugno 2019, n. 160 in relazione all’art. 2, comma 2, d.-l. n. 220 del 2003) o assegnati ad altro giudice (cfr., ad es., l’art. 22 l. n. 689 del 1981 e gli artt. 6 ss. d.lgs. n. 150 del 2011 in materia di sanzioni amministrative pecuniarie);
ma ciò richiede un’espressa e puntuale previsione di legge che affidi ad altro plesso giurisdizionale la cognizione in via esclusiva delle controversie relative a una data categoria provvedimentale, e segnatamente all’esercizio d’uno specifico potere amministrativo (anche) nel suo portato di lesività nei confronti del singolo.

Al contempo la giurisdizione amministrativa si caratterizza per il ricadere su un preciso tratto o segmento dell’azione amministrativa, che è quello finale incarnato dal provvedimento (cfr., al riguardo, il previgente art. 34 r.d. n. 1054 del 1924, ormai superato, che richiedeva persino il carattere della definitività dell’atto per poter accedere alla giustizia amministrativa).

Detto provvedimento viene osservato dal giudice amministrativo nel prisma dei vizi di legittimità dell’atto di cui agli artt. 21- octies , comma 1, l. n. 241 del 1990 e 29 Cod. proc. amm., attraverso un sindacato che non investe il merito del provvedimento, salve le specifiche ipotesi di cui all’art. 134 Cod. proc. amm.

3.2. Muovendo da tali considerazioni e facendone applicazione al caso in esame risulta confermata la giurisdizione amministrativa sulla controversia.

3.2.1. Oggetto della domanda, su cui si misura in termini generali - alla luce della causa petendi desumibile dal petitum sostanziale - il radicarsi della giurisdizione ai sensi degli artt. 5 e 386 Cod. proc. civ. è qui costituito dall’annullamento della delibera dichiarativa del dissesto adottata dal Consiglio comunale di Scanno il 6 dicembre 2019. Trattasi dell’impugnazione d’un provvedimento di natura autoritativa, adottato dal Comune spontaneamente e in via autonoma, in assenza d’impulso o anche solo d’indicazioni espresse in un atto della competente Sezione di controllo della Corte dei conti che fosse miratamente funzionale a detta dichiarazione di dissesto.

Ciò vale a porre di per sé nel perimetro della giurisdizione amministrativa la controversia, che ha a oggetto proprio la legittimità dell’esercizio d’un potere autoritativo in rapporto alle situazioni giuridiche dei singoli, in difetto d’una riserva giurisdizionale esclusiva in favore di altro plesso.

In senso inverso, l’appellante invoca ai fini del radicamento della giurisdizione contabile gli artt. 1, comma 1 e 11, comma 6, lett. e) , Cod. giust. cont.

Quest’ultima disposizione affida tuttavia alle Sezioni Riunite in composizione speciale della Corte dei conti i giudizi in materia di « contabilità pubblica » (come pure previsto in termini generali dall’art. 1, comma 1, Cod. giust. cont.) nel caso « di impugnazioni conseguenti alle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo ». Il che si ricollega all’espressa devoluzione alle medesime Sezioni Riunite delle impugnazioni delle delibere di controllo della Corte dei conti (cfr., in particolare, l’art. 243- quater , comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000 in relazione ai piani di riequilibrio finanziario pluriennale e l’art. 1, comma 12, d.-l. n. 174 del 2012 sui rendiconti dei gruppi consiliari regionali) a fronte della più recente evoluzione normativa che ha esteso tali funzioni di controllo e reso più pregnanti - sino a mutarli in imperativi e cogenti, anziché meramente collaborativi - i corrispondenti effetti, così da rendere necessario apprestare un sistema di tutele giurisdizionali in favore dei soggetti incisi da tali controlli.

Tutt’altra natura riveste evidentemente la delibera di dissesto spontaneamente adottata dall’organo deliberativo comunale: essa si colloca in un iter procedimentale cui la Corte dei conti è estranea, e costituisce l’esito provvedimentale di poteri amministrativi propri dell’ente, nonché discende dall’autonoma valutazione - pur vincolata nei requisiti materiali - da questo espressa, e dalla conseguente determinazione assunta. Il che vale a porre l’impugnazione di tale provvedimento da parte dei (singoli) soggetti legittimati (su cui v. infra , sub § 4.1.2) senz’altro al di fuori del perimetro di cui alla lett. e) relativa alle « impugnazioni conseguenti alle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo ».

L’oggetto della presente controversia esorbita peraltro anche dalle altre ipotesi in cui la « giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica » affidata dalle Sezioni Riunite in composizione speciale della Corte si radica ai sensi dell’art. 11, comma 6, Cod. giust. cont.: al di là di fattispecie ben lontane, quali quelle previste dalle lett. b) e c) , è significativo notare come sono chiaramente definiti dalla disposizione i casi in cui siffatta giurisdizione interessa la finanza pubblica territoriale, e cioè i giudizi in materia di « piani di riequilibrio degli enti territoriali e ammissione al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali » (lett. a) , ma cfr. al riguardo già il ricordato art. 243- quater , comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000) e quelli aventi a oggetto i « rendiconti dei gruppi consiliari dei consigli regionali » (lett. d) ;
anche qui, cfr. già l’art. 1, comma 12, d.-l. n. 174 del 2012).

Nessun riferimento si rinviene, in tale contesto, alle impugnazioni dei provvedimenti comunali di (spontanea) dichiarazione del dissesto da parte dell’ente locale. Si manifesta così un’espressa voluntas legis di segno negativo: se ha inteso affidare al giudice contabile i giudizi in materia di « piani di riequilibrio degli enti territoriali » (su cui cfr. anche le espresse previsioni processuali di cui all’art. 124, comma 1, lett. a) , Cod. giust. cont.) e di « rendiconti dei gruppi consiliari dei consigli regionali » (su cui cfr. analogamente, per le regole processuali ad hoc , l’art. 124, comma 1, lett. b) , Cod. giust. cont.), lo stesso Codice della giustizia contabile non altrettanto ha ritenuto per le impugnazioni, da parte dei singoli portatori d’interessi, del provvedimento dichiarativo del dissesto adottato autonomamente dall’ente locale.

Di ciò offre del resto (ulteriore) conferma lo stesso art. 11, comma 6, Cod. giust. cont., il quale prevede alla lett. f) che le Sezioni Riunite, al di fuori delle ipotesi espressamente indicate dalle lett. a) - e) , si pronunciano « nell’esercizio della propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica » nelle « materie ulteriori, ad esse attribuite dalla legge »: se e nella misura in cui vi sia una specifica « attribu [zione] dalla legge » una siffatta giurisdizione può essere dunque ravvisata.

Di qui il rigetto della doglianza proposta dal Comune, stante l’assenza d’un referente normativo che possa valere a fondare la giurisdizione contabile sulla controversia.

3.2.2. Il che peraltro ben si comprende e giustifica alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione maturata - già prima dell’ingresso in vigore del Codice della giustizia contabile - in ordine al perimetro e alle ragioni della giurisdizione contabile sulle fattispecie di crisi finanziaria degli enti locali.

Tale giurisprudenza ha chiaramente affermato che appartiene alla giurisdizione esclusiva delle Sezioni Riunite della Corte dei conti la controversia avente a oggetto l’impugnazione della deliberazione con cui la competente Sezione regionale di controllo della Corte dei conti abbia accertato che ricorrono le condizioni previste per la dichiarazione dello stato di dissesto finanziario dandone notizia al prefetto per i provvedimenti conseguenti, e senza eventualmente dar corso all’alternativa procedura di riequilibrio finanziario (Cass., SS.UU., 13 marzo 2014, n. 5805).

Alla base della decisione si pone il richiamo al manifestato “ intento del legislatore di collegare strettamente, in questa materia, la funzione di controllo della Corte dei conti a quella giurisdizionale ad essa attribuita dal citato art. 103 Cost., [2°] comma [Cost.]”.

Sempre prima dell’entrata in vigore del Codice della giustizia contabile la stessa giurisprudenza ha affermato peraltro “ la giurisdizione del giudice amministrativo quanto all’impugnazione del [successivo] provvedimento prefettizio [di cui all’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 149 del 2011] , che sotto nessun profilo potrebbe essere fatto rientrare nella sfera giurisdizionale della Corte dei conti ” (Cass., SS.UU., n. 5805 del 2014, cit.;
22 luglio 2014, n. 16631;
cfr. anche Cga, 21 dicembre 2015, n. 702;
cfr., diversamente, Corte conti, SS.RR., 12 giugno 2013, n. 2/2013/EL e 26 marzo 2014, n. 6/2014/EL).

In tale contesto, la radice della giurisdizione contabile è chiaramente ricondotta alla rilevata osmosi in tale ambito fra la funzione di controllo e quella giurisdizionale della Corte dei conti, così da giustificare - nell’alveo dell’art. 103, 2° comma, Cost. - una giurisdizione esclusiva delle Sezioni Riunite “ riferita ad oggetti ben definiti ” (Cass., SS.UU., n. 16631 del 2014, cit.);
oggetti non a caso oggi precisamente individuati nelle lett. a) e d) (oltreché, espressamente, nella lett. e) ) dell’art. 11, comma 6, Cod. giust. cont., in relazione a fattispecie investite dall’attività di controllo della Corte (cfr., rispettivamente, l’art. 243- bis , comma 2 ss., d.lgs. n. 267 del 2000 e l’art. 1, comma 10 ss., d.-l. n. 174 del 2012).

Nessuna pertinenza rispetto - non solo alle previsioni testuali di cui all’art. 11, comma 6, Cod. giust. cont., ma anche - alle ragioni che giustificano tale criterio di devoluzione delle controversie si rinviene in relazione alla dichiarazione di dissesto autonomamente pronunciata dall’ente locale.

Il fenomeno di “stretto collegamento” con la funzione di controllo della Corte dei conti non trova infatti qui emersione, poiché viene in rilievo un mero provvedimento amministrativo spontaneamente adottato dall’ente, all’esito d’un procedimento suo proprio, caratterizzato per il fondarsi su presupposti di legge vincolati e produrre effetti diretti sulla stessa condizione e situazione gestoria dell’ente, nella prospettiva dell’autotutela rispetto alla precedente gestione amministrativo-contabile (Cons. Stato, V, 16 gennaio 2012, n. 143).

Per questo, nella misura in cui pregiudizievole per le situazioni giuridiche soggettive dei singoli, un siffatto provvedimento non potrà che essere impugnato per profili di legittimità, ai fini dell’annullamento (non già per un sindacato di merito) dinanzi al giudice amministrativo, così come peraltro sempre pacificamente avvenuto (cfr. Cons. Stato, V, 12 maggio 2015, n. 2345;
Id., n. 142 del 2012, cit.;
17 maggio 2006, n. 2837, oltre alle numerose pronunce in primo grado, alcune delle quali richiamate dallo stesso Comune).

3.2.3. Il che trova peraltro chiaro e coerente fondamento nelle richiamate previsioni costituzionali in materia di tutela giurisdizionale, atteso che viene avanzata in tali casi domanda di giustizia da parte di alcuni singoli avverso un provvedimento amministrativo di natura autoritativa ritenuto pregiudizievole per le loro situazioni giuridiche soggettive individuali (cfr. Cons. Stato, n. 2837 del 2006, citata).

S’è per questo in presenza d’una controversia intersoggettiva fra l’esercizio d’un potere pubblico e i destinatari ultimi degli effetti di tale potere che rientra nella giurisdizione amministrativa (cfr., al riguardo, Cons. Stato, V, 23 gennaio 2018, n. 417, in relazione alla situazione d’interesse legittimo vantata dal singolo creditore alla legittimità della procedura d’accertamento del passivo nell’ambito del dissesto, in funzione della soddisfazione del proprio diritto soggettivo di credito).

D’altra parte, lo stesso vizio della « violazione di legge » ex art. 21- octies , comma 1, l. n. 241 del 1990 e art. 29 Cod. proc. amm. può consistere nell’inosservanza di norme a rilevanza (anche) giuscontabile allorché invocate quale parametro di legittimità di provvedimenti lesivi di situazioni giuridiche individuali.

Né può condurre a diverse conclusioni il richiamo, da parte del Comune, all’art. 103, 2° comma, Cost., e alla “ giurisdizione esclusiva ” della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, cui sarebbe riconducibile ex se l’accertamento dei presupposti per la dichiarazione del dissesto.

Come già rilevato, manca una previsione normativa che ricolleghi siffatta giurisdizione alla fattispecie qui in esame e al corrispondente potere amministrativo il cui legittimo esercizio è contestato dai ricorrenti. D’altra parte, laddove ha dato conto delle opinioni circa un “ disegno normativo sistematico che, in tema di contabilità pubblica, riconosce la giurisdizione piena ed esclusiva della Corte dei conti ” alla luce delle più recenti disposizioni (in specie, a partire dal d.-l. n. 174 del 2012) dalle quali deriverebbe non già “ una mera interpositio legislatoris , bensì un vero e proprio rinvio diretto della norma ordinaria all’art. 103, secondo comma, della Costituzione ”, la Corte di cassazione a Sezioni Unite s’è poi riferita e ha confermato la giurisdizione contabile pur sempre nel quadro dello stretto collegamento fra le funzioni di controllo e quelle giurisdizionali della Corte dei conti, e dunque in relazione all’impugnazione delle delibere adottate dalle Sezioni regionali di controllo nei diversi ambiti di loro competenza, ivi inclusa la parificazione dei rendiconti regionali (cfr. Cass., SS.UU., 8 novembre 2016, n. 22645;
cfr. anche Cass., n. 16631 del 2014, citata, che valorizza la non riconducibilità della fattispecie concreta esaminata alla specifica “ previsione di giurisdizione esclusiva ” presa a riferimento;
Cass., SS.UU., 18 maggio 2017, n. 12496, in cui si afferma sì la giurisdizione “ piena ed esclusiva ” della Corte dei conti riconoscendole un sindacato “ estes [o] a tutti i vizi dell’atto ”, ma nel quadro pur sempre d’una espressa attribuzione di legge, in specie ex art. 1, comma 169, l. n. 228 del 2012).

Risulta perciò ancora una volta decentrata, rispetto a tali fattispecie, la controversia intentata da singoli privati avverso il provvedimento di (autonoma) dichiarazione di dissesto pronunciata dal Comune, rispetto alla quale non si ravvisa né un’espressa previsione di giurisdizione contabile, né un diretto coinvolgimento della funzione di controllo della Corte dei conti.

Di qui l’infondatezza della doglianza del Comune e la conferma della giurisdizione amministrativa sulla controversia.

4. Col secondo motivo l’appellante si duole dell’omesso accoglimento dell’eccezione con cui aveva dedotto in primo grado la carenza d’interesse dei ricorrenti all’impugnazione della delibera dichiarativa del dissesto stante l’adozione di precedente delibera di accesso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale rimasta inoppugnata e non seguita dalla presentazione del relativo piano entro il termine di legge.

4.1. Il motivo non è suscettibile di favorevole apprezzamento, e il che esime dallo scrutinare le eccezioni preliminari sollevate al riguardo dagli appellati.

4.1.1. Va premesso che, sotto un primo profilo, il Comune invoca l’adozione della precedente delibera di accesso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ( i.e. , delibera n. 27 del 30 agosto 2019) giacché, non avendo lo stesso Comune presentato il necessario piano di riequilibrio entro il termine perentorio di novanta giorni prescritto dall’art. 243- bis , comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000, la conseguente procedura necessitata di dissesto guidato prevista per tali casi dall’art. 243- quater , comma 7, d.lgs. n. 267 del 2000 avrebbe reso l’azione dei ricorrenti di per sé priva d’interesse, dal momento che detto dissesto sarebbe stato comunque egualmente dichiarato in via coercitiva ex art. 6, comma 2, d.lgs. n. 149 del 2011.

In senso opposto, prescindendo dalla questione di costituzionalità sull’art. 243- quater , comma 7, d.lgs. n. 267 del 2000 sollevata dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti richiamata dagli appellati (Corte conti, SS.RR., 6 dicembre 2019, n. 16/2019/EL), che non ha diretta pertinenza rispetto alla fattispecie qui in esame, è sufficiente rilevare che la procedura prevista dalla suddetta disposizione non incide di per sé sulla (distinta) deliberazione dichiarativa del dissesto adottata dal Comune: l’eventuale (ancorché necessitata, e poi in effetti avvenuta nel caso di specie) attivazione dell’ iter previsto dall’art. 243- quater , comma 7, d.lgs. n. 267 del 2000 conduce infatti all’adozione d’un diverso provvedimento di dissesto, conseguente a tutt’altro decorso procedimentale, con una tempistica essa stessa differente.

In tale contesto, il fatto che l’omessa tempestiva presentazione del piano conduca all’automatica attivazione della procedura per la dichiarazione guidata del dissesto ex art. 6, comma 2, d.lgs. n. 149 del 2011 non vale a precludere di per sé la possibilità d’impugnare il (distinto e autonomo, anche sul piano temporale) provvedimento che detto dissesto abbia già e aliunde dichiarato.

D’altra parte, all’esito dell’adozione della delibera consiliare dichiarativa del dissesto è ben dato ravvisare un interesse personale, diretto e attuale alla sua impugnazione, per la lesione che ne deriva nella sfera giuridica dei ricorrenti (Cons. Stato, n. 2837 del 2006, citata), sicché l’impugnazione non può ritenersi inammissibile sol perché in mancanza del provvedimento gravato sarebbe stata egualmente avviata la procedura di dissesto guidato (sui successivi sviluppi, inidonei anch’essi a rendere improcedibile il ricorso, v. retro , sub § 1 ss.).

4.1.2. Allo stesso modo, non vale a obliterare siffatto interesse ad agire la mera precedente adozione della deliberazione del Comune di far ricorso alla procedura di cd. “pre-dissesto”, e la sua mancata impugnazione da parte dei ricorrenti.

Sotto un primo profilo, non rileva infatti che nel deliberare l’accesso a detta procedura il Comune accerti già la sussistenza della situazione sostanziale di dissesto finanziario: altro è infatti la condizione finanziaria effettiva in cui l’ente versa e il suo riconoscimento, altro il provvedimento che dichiari formalmente il dissesto, dal quale (soltanto) discendono gli effetti di cui all’art. 244 ss. d.lgs. n. 267 del 2000 che i ricorrenti vogliono qui impedire;
tanto ciò è vero che anche laddove previsto quale conseguenza automatica e necessitata il dissesto va comunque dichiarato dall’ente, seppure in via coercitiva ex art. 6, comma 2, d.lgs. n. 149 del 2011.

D’altra parte, neppure rileva la circostanza che la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale preveda anch’essa un aumento delle aliquote fiscali o delle tariffe in danno dei cittadini, atteso che si tratta comunque di due procedure ben distinte, con effetti e prospettive (almeno in parte) differenti: in particolare, mentre l’aumento delle aliquote o tariffe sino ai massimi consentiti è facoltativo nella procedura di riequilibrio (art. 249- bis , comma 8, d.lgs. n. 267 del 2000), esso diviene obbligatorio in caso di dissesto (art. 251, comma 1, d.lgs. n. 267 del 2000).

Né ancora sussiste fra la dichiarazione di pre-dissesto e quella di dissesto un rapporto di presupposizione o inferenza consequenziale tale da rendere inammissibile l’impugnativa avverso la seconda qualora sia mancata quella nei confronti della prima: pur avendo una matrice comune e alcuni possibili collegamenti, i rispettivi procedimenti sono infatti ben diversi ed esitano in altrettanti provvedimenti produttivi di distinti e autonomi effetti.

Nella specie, venuta meno la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale già attivata dal Comune, i ricorrenti subivano una (autonoma) lesione dalla dichiarazione di dissesto in sé, che avevano perciò interesse a impugnare quali cittadini residenti - atteso che “ la dichiarazione di dissesto costituisce la premessa per ulteriori provvedimenti sfavorevoli, contro i quali ess [i] non avrebbero poi modo di difendersi ” (Cons. Stato, n. 2837 del 2006, cit.) - ovvero, in ragione delle prerogative accessive al munus rimastene compresse, nella veste di consiglieri comunali;
peraltro su quest’ultimo profilo l’appellante non ha espresso doglianze specifiche, salvo richiamare il capo della sentenza che afferma la legittimazione di detti consiglieri, ed enunciare l’inattualità delle (distinte) fattispecie ex art. 248, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000.

5. Con il terzo motivo il Comune censura la sentenza nella parte in cui, accogliendo il ricorso, ravvisa un elemento impeditivo alla dichiarazione dello stato di dissesto nell’insussistenza di indici di deficitarietà strutturale ex art. 242 d.lgs. n. 267 del 2000 nel rendiconto del precedente esercizio contabile chiuso al 31 dicembre 2018.

Andrebbe parimenti riformato il capo della sentenza che ritiene illegittima la dichiarazione di dissesto in quanto, pur trattandosi di atto di natura vincolata, ha costituito nella specie l’esito d’una valutazione discrezionale da parte del Comune, con riguardo in particolare all’inopportunità del ricorso alla diversa procedura di riequilibrio finanziario pluriennale.

5.1. Il motivo è fondato.

5.1.1. La dichiarazione di dissesto costituisce atto vincolato di adozione necessaria al ricorrere dei relativi presupposti, stabiliti dall’art. 244 d.lgs. n. 267 del 2000 e correlati a elementi d’incapacità funzionale dell’ente - il quale « non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili » - o di sua insolvenza finanziaria, « esist [endo] nei confronti dell’ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all’articolo 193, nonché con le modalità di cui all’articolo 194 per le fattispecie ivi previste » (cfr. Cons. Stato, n. 143 del 2012;
n. 2345 del 2015, entrambe sopra citate).

A fronte di tali presupposti nessun rilievo presenta l’accertamento della situazione di deficitarietà strutturale dell’ente ex art. 242 d.lgs. n. 267 del 2000, la quale si basa su altri indici e s’è in ogni caso collocata nella specie in un momento temporale ( i.e. , al 31 dicembre 2018) del tutto diverso da quello in cui il dissesto è stato dichiarato dal Comune ( i.e. , 6 dicembre 2019).

In specie, la delibera consiliare indica chiaramente la condizione di dissesto ex art. 244 d.lgs. n. 267 del 2000 in cui l’ente si trova e i relativi presupposti (cfr. delibera n. 34 del 2019, sub doc. 1 ricorrenti, spec. pag. 9, 26 e 29-31), al pari della relazione dell’organo di revisione e del parere del 19 novembre 2019 reso dal consulente incaricato dal Comune (cfr. amplius infra , al successivo §).

Rispetto a ciò nessun rilievo può assumere la circostanza che al 31 dicembre dell’anno precedente non emergessero (distinti) indici di deficitarietà a carico dell’ente ai sensi dell’art. 242 d.lgs. n. 267 del 2000, poiché altri sono i presupposti e il momento qui significativo per la dichiarazione del dissesto.

A tal riguardo è peraltro la stessa delibera impugnata a dar conto che l’accertamento di alcuni debiti a carico del Comune è avvenuto successivamente all’approvazione del rendiconto al 31 dicembre 2018, e dunque dopo la rilevazione dell’insussistenza di indici di deficitarietà, della quale peraltro la delibera pure dà evidenza, richiamando il parere del consulente incaricato, e nondimeno giungendo a ravvisare i presupposti del dissesto.

Essendosi scostata da tali principi e avendo affermato l’illegittima dichiarazione di dissesto sol perché mancavano indici di deficit strutturale al 31 dicembre 2018 la sentenza è incorsa nel vizio denunciato dall’appellante, il cui motivo di doglianza va perciò accolto.

5.1.2. Fondato è anche il secondo profilo di censura, con cui il Comune critica la sentenza nella parte in cui afferma l’illegittimità della delibera a fronte delle valutazioni discrezionali espresse sul mancato ricorso al pre-dissesto, obliterando così il carattere vincolato della dichiarazione di dissesto.

Va anzitutto respinta, al riguardo, l’eccezione d’inammissibilità della doglianza sollevata dagli appellati in ragione dell’assenza d’una critica all’affermazione della sentenza circa la (non consentita) valutazione discrezionale espressa dal Comune nella deliberazione di dichiarazione del dissesto: il richiamo all’effettiva sussistenza dei presupposti (vincolati) di legge per siffatta dichiarazione e alla loro considerazione nell’ambito della delibera dichiarativa ben vale infatti quale doglianza avverso la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Nel merito va rilevato che, in effetti, il riferimento contenuto nella relazione del consulente incaricato - riportato testualmente dalla delibera - alle ragioni d’inopportunità del ricorso alla procedura di pre-dissesto ( i.e. il piano di riequilibrio finanziario pluriennale ex art. 243bis ss. trova significativi limiti applicativi conseguenti all’eccessivo ricorso da parte degli enti locali che non danno più tempi certi alle relative procedure, impedendo di poter gestire le transazioni con i creditori dell’ente che richiedono certezza dei tempi di monetizzazione del credito ”) non vale a inficiare l’accertamento dei presupposti propri del dissesto, dichiarato nella specie sulla base del riscontro (vincolato) di essi.

Per questo, il solo passo motivazionale censurato dalla sentenza non consente di fondare un giudizio d’illegittimità della dichiarazione di dissesto.

In tale contesto, non va peraltro trascurato che, vincolata nella verifica dei requisiti materiali, la dichiarazione di dissesto è pur sempre frutto d’una scelta in parte discrezionale nell’alternativa rispetto alla procedura di riequilibrio pluriennale, stante la comunanza del presupposto finanziario con questa ( i.e. , la situazione finanziaria dissestata quale “ causa ” di entrambe le procedure), salva la diversa prospettiva dei due rimedi, su cui perciò l’ente può operare una scelta, anche alla luce della situazione concreta in cui venga a trovarsi (cfr., al riguardo, la stessa Corte conti, SS.RR., 12 novembre 2020, n. 32/2020/EL).

Di qui la fondatezza della doglianza, cui si associa il rigetto del primo (simmetrico) motivo riproposto ex art. 101, comma 2, Cod. proc. amm. dagli appellati, con il quale si deduce l’illegittimità della scelta di dichiarare il dissesto in quanto assunta dal Comune in termini discrezionali: come già evidenziato, nessuna discrezionalità è dato riscontrare nella specie in ordine all’accertamento dei presupposti del dissesto, essendo la delibera consiliare chiaramente fondata sull’affermazione della loro sussistenza.

A tal fine, la delibera pone espressamente in risalto, in particolare, la “ drammatica situazione di default finanziario che non consente di assicurare una normale attività amministrativa ” e che conduce perciò alla “ necessità di ricorrere alla dichiarazione di dissesto finanziario ” (cfr. delibera n. 34 del 2019, pag. 9;
nello stesso senso, cfr. pag. 12, ove si richiama “ l’insormontabile difficoltà finanziaria in cui versa il Comune di Scanno attraverso le procedure ordinarie per la gestione del disavanzo ”;
pag. 15: “ pertanto, una simile situazione, comporta che l’Ente non è in grado, allo stato, di garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ai cittadini, né comunque di far fronte proficuamente ai suddetti crediti certi, liquidi ed esigibili vantati da terzi ”);
e conclude che “ sussistono tutti i requisiti stabiliti dalla legge per la dichiarazione dello stato di dissesto finanziario del Comune di Scanno, in quanto, per tutte le ragioni precedentemente esposte, l’Ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell’Ente crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all’articolo 193 del TUEL, nonché con le modalità di cui all’articolo 194 per le fattispecie ivi previste e non sussistono alternative percorribili alla dichiarazione dello stato di dissesto economico-finanziario del Comune di Scanno, la quale appare come l’unica soluzione praticabile alla luce della suesposta situazione finanziaria dell’Ente ” (cfr. pag. 29;
lo stesso alle successive pagg. 30-31).

Né rilevano, in senso inverso, le espressioni utilizzate dai componenti del Consiglio comunale nel corso del dibattito consiliare, stante la chiarezza della motivazione e del deliberato provvedimentale, peraltro non contraddetto dalla discussione collegiale, nella quale - al di là del carattere atecnico o colloquiale di alcuni passaggi - emergeva comunque chiaramente l’ineludibile necessità del dissesto manifestata da alcuni componenti del Consiglio (cfr., ad es., pag. 4, ove il consigliere F.L. indica la deliberazione del dissesto quale “ scelta obbligata per il Comune ”;
dello stesso tenore gli interventi, ad es., dei consiglieri A.S., pag. 5, e M., pag. 6).

Per tali motivi, i riferimenti alla non opportunità di far ricorso alla procedura di pre-dissesto non valgono a inficiare la legittimità della delibera impugnata, nella quale il Consiglio comunale chiaramente indica - quale ragione dell’adottata dichiarazione di dissesto - l’integrazione dei presupposti di cui all’art. 244 d.lgs. n. 267 del 2000.

6. In conclusione, l’appello del Comune si appalesa fondato, avendo la sentenza accolto il ricorso di primo grado in ragione di censure inidonee a dimostrare l’illegittimità del provvedimento impugnato.

6.1. L’accoglimento del gravame sulla base delle doglianze suindicate esime peraltro dallo scrutinio dell’ulteriore censura inerente alla necessità di dichiarare lo stato di dissesto in conseguenza del superamento del termine di cui all’art. 243- quater , comma 7, d.lgs. n. 267 del 2000, nonché delle speculari eccezioni formulate dagli appellati.

Allo stesso modo, prive di rilievo si rivelano le eccezioni di parte appellata in ordine alla novità di alcuni documenti prodotti e argomenti formulati dal Comune, atteso che l’accoglimento delle suesposte doglianze - di per sé sufficiente alla riforma della sentenza, le cui rationes decidendi risultano demolite - è esente da tale censura, non fondandosi sui documenti cui essa si riferisce, né su « nuove domande ed eccezioni », bensì sulla critica mirata degli argomenti posti alla base della decisione di primo grado.

Infine, le deduzioni che il Comune formula in ordine alla sussistenza dei presupposti del dissesto, con particolare riguardo all’accumulo della massa debitoria, possono essere esaminate, per quanto di rilievo, congiuntamente con i motivi reiterati dagli appellati ex art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.

7. Quanto a siffatti motivi riproposti, oltre alla doglianza suesposta e già respinta ( retro , sub § 5.1.2), gli appellati rinnovano la censura fondata sull’assenza nella specie dei pareri ex artt. 49 e 147- bis , d.lgs. n. 267 del 2000 a necessario corredo della delibera impugnata.

7.1. Il motivo è infondato, essendo assorbente rilevare che, secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, “ i pareri, previsti per l’adozione delle deliberazioni comunali (prima ex art. 53, l. 8 giugno 1990, n. 142, e poi ex art. 49, d.lg. 18 agosto 2000 n. 267) non costituiscono requisiti di legittimità delle deliberazioni cui si riferiscono, in quanto sono preordinati all’individuazione sul piano formale, nei funzionari che li formulano, della responsabilità eventualmente in solido con i componenti degli organi politici in via amministrativa e contabile, così che la loro eventuale mancanza costituisce una mera irregolarità che non incide sulla legittimità e la validità delle deliberazioni stesse ” (Cons. Stato, IV, 22 marzo 2018, n. 1838;
V, 18 dicembre 2015, n. 5745;
8 aprile 2014, n. 1663;
IV, 26 gennaio 2012, n. 351;
V, 21 agosto 2009, n. 5012).

Il che, ben estensibile ai pareri ex art. 147- bis d.lgs. n. 267 del 2000, vale di per sé al rigetto della doglianza, a prescindere dalle questioni inerenti alla circostanza che nel caso di specie l’impugnata delibera dà espressamente atto che sono stati acquisiti i pareri favorevoli di regolarità tecnica e contabile resi dal responsabile del servizio finanziario, indicato fra i sottoscrittori della delibera stessa.

Allo stesso modo, non è dato evincere alcun difetto istruttorio in relazione ai detti pareri, essendo stata la delibera fondata sull’istruttoria svolta sulla base della relazione dell’organo di revisione, del parere del consulente del Comune, nonché sulle conseguenti osservazioni e valutazioni espresse dal Consiglio.

8. I ricorrenti deducono poi che la relazione ex art. 246, comma 1, d.lgs. n. 267 del 2000 dell’organo di revisione contabile non sarebbe sufficientemente dettagliata, recando una lacuna temporale e non fornendo adeguata spiegazione sulle cause del dissesto, cause che neppure la deliberazione impugnata prenderebbe in appropriata considerazione.

8.1. La doglianza non è fondata.

8.1.1. Emerge dalla documentazione in atti che la prescritta relazione di cui all’art. 246, comma 1, d.lgs. n. 267 del 2000 è stata effettivamente resa dall’organo di revisione dell’ente il 29 novembre 2019, e che questa - ancorché sintetica - indica chiaramente e con precisione quelle che ritiene essere le cause del dissesto (cfr. pag. 4 ss. della relazione, che richiama l’improprio utilizzo dell’anticipazione di liquidità concessa dalla Cassa depositi e prestiti, la correlata trasformazione del fondo rotativo di liquidità in vero e proprio indebitamento nei confronti della stessa Cassa, gli incassi inferiori al previsto derivati dall’aumento della Tasi, l’utilizzo improprio dei fondi regionali, etc.).

Non assume rilievo, in tale contesto, che non vi sia nella relazione una specifica disamina di alcuni periodi temporali, atteso che l’organo revisore è chiamato a indicare gli elementi che esso stesso ritiene rilevanti quali cause del dissesto.

La delibera dichiarativa del dissesto valuta anch’essa, del resto, le cause di questo mediante espresso richiamo alla relazione del revisore e al parere del consulente incaricato, ed inoltre dà conto nel testo di alcuni elementi ritenuti all’uopo rilevanti, fra cui la gestione della suddetta anticipazione di liquidità concessa da Cassa depositi e prestiti.

9. Con distinto motivo riproposto gli appellati lamentano l’illegittimo e non motivato abbandono della preferibile procedura di riequilibrio finanziario pluriennale già attivata, ben idonea a consentire il ripianamento della situazione debitoria del Comune.

9.1. Il motivo non è condivisibile.

9.1.1. Come già posto in risalto, la dichiarazione di dissesto richiede la mera integrazione dei relativi presupposti, che nella specie è stata effettivamente accertata e rappresentata dal Comune.

D’altra parte, esposte le ragioni del dissesto, la delibera concludeva espressamente per la non praticabilità del diverso percorso di cui all’art. 243- bis ss. d.lgs. n. 267 del 2000 (cfr. delibera, spec. pag. 29);
così come richiamava - riportandole espressamente nel testo - le valutazioni espresse al riguardo dal consulente, nei termini suindicati, in ordine all’inopportunità per il Comune di dar corso alla procedura di pre-dissesto.

Di qui l’assenza della dedotta carenza motivazionale del provvedimento impugnato, in un contesto nel quale - come già posto in evidenza - l’ente ha margini di apprezzamento discrezionale, nel caso di specie non superati, nella scelta dello strumento da seguire a fronte del carattere pur sempre vincolato della verifica dei relativi presupposti (comuni, sul piano finanziario, per le due figure).

A ciò si aggiunga che il termine perentorio di cui all’art. 243- bis , comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000 per la predisposizione del piano di riequilibrio e la prosecuzione della relativa procedura era ormai scaduto al tempo della dichiarazione del dissesto: il che - al di là degli altri effetti sostanziali derivanti da tale circostanza - esimeva di per sé il Comune dal motivare sulla non perseguibilità della procedura di pre-dissesto, costituendo ciò una conseguenza automatica della situazione in atto una volta spirato il detto termine di legge.

10. Va parimenti respinto il successivo motivo riproposto dagli appellati, con cui si deduce l’irragionevolezza d’una valutazione che ravvisa la sussistenza dei presupposti del dissesto a distanza di dodici mesi da un rendiconto che aveva accertato invece l’assenza di indici di deficitarietà, nonché alla luce di una delibera intermedia che aveva ritenuto ben accessibile la procedura di riequilibrio finanziario.

10.1. Si è già posto in risalto, al riguardo, che i presupposti della dichiarazione di dissesto vanno valutati in sé, e rispetto a ciò si appalesa irrilevante sia la mancata rilevazione - peraltro quasi un anno prima - di indici di deficit strutturale (v. retro , sub § 5.1.1), sia il precedente ricorso alla procedura di pre-dissesto, fra l’altro ormai venuta meno ex lege a norma degli art. 243- bis , comma 5 e 243- quater , comma 7, d.lgs. n. 267 del 2000, e basata comunque essa stessa sulla situazione finanziaria dissestata dell’ente.

A ciò sia aggiunga che la stessa delibera impugnata dà conto della massa dei debiti fuori bilancio da riconoscere accertata successivamente alla chiusura del rendiconto relativo al 2018, ciò che ben vale a confortare la decisione assunta pur a fronte delle precedenti risultanze contabili nelle quali si riscontrava l’assenza di indici di deficitarietà.

11. Con distinta ragione di doglianza gli appellati deducono l’insussistenza dei presupposti del dissesto, così come desumibile dal fatto che nel 2015 la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti aveva interrotto una precedente procedura di dissesto guidato a carico del Comune.

Sotto altro profilo, il mancato riconoscimento ex art. 194 d.lgs. n. 267 del 2000 dei debiti fuori bilancio invocati dal Comune impedirebbe di tenerne conto ai fini della dichiarazione di dissesto.

11.1. La doglianza è infondata.

11.1.1. Sotto il primo profilo, è sufficiente osservare che i presupposti del dissesto non possono che essere valutati al tempo della sua dichiarazione, mentre non rileva in senso inverso il riferimento a risalenti valutazioni relative a tutt’altri periodi.

11.1.2. Quanto ai debiti fuori bilancio, da un lato il loro riconoscimento formale ex art. 194 d.lgs. n. 267 del 2000 non costituisce un presupposto della dichiarazione di dissesto, che esige esclusivamente, sul piano finanziario, l’incapacità di far fronte alla soddisfazione di crediti certi, liquidi ed esigibili;
dall’altro - in ogni caso - l’eventuale inversione procedurale non rileva rispetto alla dichiarazione di dissesto se la sussistenza dei debiti non risulta confutata, prevalendo al riguardo il dato sostanziale dell’esistenza della massa debitoria su quello meramente formale del suo (già intervenuto) riconoscimento ex art. 194 d.lgs. n. 267 del 2000 (Cons. Stato, n. 2345 del 2015, cit.).

Ciò che rileva, infatti, è la situazione sostanziale di dissesto finanziario in cui il Comune si trovi, a prescindere dal formale riconoscimento delle passività (comunque) esistenti (cfr. anche, in relazione alla procedura di pre-dissesto, Cons. Stato, IV, 26 agosto 2015, n. 4008).

Il che è del resto coerente con il trattamento in termini generali di siffatti debiti, i quali vanno in ogni caso considerati nella massa passiva ex art. 254, comma 3, lett. a) , d.lgs. n. 267 del 2000, a prescindere dalla previa adozione della delibera consiliare di loro riconoscimento (cfr. anche Corte dei conti, Sezione Autonomie, 20 luglio 2020, n. 12/SEZAUT/2020/QMIG;
Id., 8 febbraio 2017, n. 3/SEZAUT/2017/QMIG;
in ordine al perimetro della massa debitoria rimessa a gestione straordinaria, cfr. anche Cons. Stato, Ad. plen., 5 agosto 2020, n. 15).

Nel caso di specie, i debiti fuori bilancio rilevati dal Comune per l’importo di € 623.694,37 risultano da dettagliato elenco allegato alla delibera e sono richiamati espressamente anche nella relazione dell’organo revisore: rispetto a tali voci i ricorrenti non hanno offerto adeguati elementi di confutazione, tali da dimostrare l’erroneità e illegittimità della loro considerazione, né possono al riguardo prendersi in esame le osservazioni prodotte ex novo solo in appello ( sub documento nuovo n. 36) in violazione del divieto di cui all’art. 104 Cod. proc. amm., avendo del resto il Comune espressamente eccepito la tardività dei rilievi formulati sui singoli debiti.

A ciò si aggiunga che le voci debitorie vanno in ogni caso tenute presenti e valorizzate dall’ente, anche in termini di passività potenziali, sicché - pure secondo tale prospettiva - la loro considerazione non può essere ritenuta illegittima nell’ambito di un apprezzamento tecnico (con alcuni profili di corrispondente discrezionalità: cfr. Corte dei conti, SS.RR., n. 32/2020/EL, citata) rimesso all’amministrazione.

11.1.3. Per le medesime assorbenti ragioni va respinta anche la distinta doglianza con cui gli appellati invocano la dichiarazione del responsabile dell’area tecnica del Comune ove si dà evidenza della mancata istruttoria di alcuna pratica di debito fuori bilancio, stante la non indispensabilità di detto formale risconoscimento nella rilevazione della situazione debitoria dell’ente espressiva del dissesto.

12. Desumono ancora i ricorrenti l’assenza della condizione di dissesto finanziario, e l’illegittimità della sua dichiarazione, dalla circostanza che il Comune avrebbe continuato a sostenere varie spese per appalti, affidamenti di incarichi e consulenze esterne, erogazioni periodiche di contributi non conciliabili con un’effettiva situazione dissestata.

12.1. Il motivo è infondato.

12.1.1. È sufficiente osservare al riguardo che la situazione finanziaria dell’ente prescinde dal comportamento concreto che questo continui a tenere, trattandosi di piani affatto distinti, il primo soltanto dei quali assume rilievo ai fini della delibera dichiarativa del dissesto.

13. Con ulteriore doglianza riproposta gli appellati tornano a invocare, sotto altro profilo, la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale già avviata dal Comune, la quale avrebbe costituito valida e sostenibile alternativa al dichiarato dissesto, da ritenersi perciò illegittimo;
il che emergerebbe in specie dalla stessa tabella previsionale delle entrate e spese correnti elaborata dal Comune, dalla quale si evince che l’ente avrebbe potuto ben ripianare la propria esposizione debitoria attraverso la procedura di riequilibrio pluriennale.

13.1. Anche questa doglianza è infondata.

13.1.1. Occorre rilevare al riguardo che il prospetto richiamato dagli appellati ( sub all. D alla delibera impugnata) indica una residua esposizione debitoria del Comune al 2028 di oltre € 797.000,00;
in relazione a tale ipotesi di rientro l’organo di revisione dell’ente formulava un giudizio negativo, concludendo che la “ situazione […] non [avrebbe potuto] essere sanata con il ricorso al piano di riequilibrio finanziario pluriennale, vista la mole dell’indebitamento e considerato anche il prospetto (all. D) alla proposta di delibera del Consiglio comunale per il dissesto ”.

Lo stesso affermava espressamente la delibera dichiarativa del dissesto, rilevando che “ dal medesimo prospetto emerge chiaramente che, pur elevando nella misura massima prevista dalla legislazione vigente, i tributi e le aliquote locali, comunque il Comune non riuscirebbe a garantire la copertura delle forti sofferenze e criticità finanziarie ”, e concludendo che “ attualmente non sussistono i presupposti richiesti dall’art. 243 bis, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000 affinché il Comune di Scanno possa ricorrere alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ”.

A fronte di tali valutazioni le censure mosse dai ricorrenti confluiscono in una mera diversa prospettazione e valutazione, inidonea a superare sic et simpliciter il giudizio negativo del revisore e la valutazione espressa dall’amministrazione, considerati del resto i ricordati spazi di apprezzamento discrezionale a questa riconosciuti nella scelta della procedura da seguire, qui non irragionevolmente esercitati (cfr. peraltro, al riguardo, anche Corte conti, SS.RR., n. 32/2020/EL, cit., spec. par.

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