Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-04-21, n. 201002264

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-04-21, n. 201002264
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201002264
Data del deposito : 21 aprile 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07825/2003 REG.RIC.

N. 02264/2010 REG.DEC.

N. 07825/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 7825 del 2003, proposto dal signor C L, rappresentato e difeso dagli avvocati A A, A C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A C in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

contro

Il Comune di Sissa, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. L M, F S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L M in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

nei confronti di

Il signor P L, non costituitosi nel secondo grado del giudizio;

per l’annullamento

della sentenza n.175 del 1999 depositata in data 21 marzo 2003, con la quale il TAR Emilia-Romagna, sezione di Parma, ha respinto il ricorso proposto dal sig. Cattani per l’annullamento della variante parziale al PRG del Comune di Sissa, approvato con delibera consiliare n.12 del 1999, pubblicata sul BUR 24.2.1999;


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2010 il Cons. S D F e uditi per le parti gli avvocati Clarizia e Manzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, l’attuale appellante agiva per l’annullamento della variante parziale al PRG di cui alla deliberazione consiliare n.12 del 1999, deducendo l’eccesso di potere per immotivato contrasto con il parere della Azienda sanitaria locale e per esercizio non imparziale e sperequato della funzione urbanistica, in suo danno.

Il ricorrente, gestore di un complesso artigianale di stoccaggio di cereali, lamentava che, in sede di predisposizione della variante al PRG, ai sensi dell’art. 15, comma 4, lettera c), della legge regionale n..47 del 1978, con destinazione a zona artigianale di completamento di parte dell’area a nord del lotto di proprietà del ricorrente e a zona residenziale di completamento del contiguo lotto del controinteressato Pasini, l’ASL aveva dissentito, perché le due destinazioni non erano compatibili con i limiti di pressione sonora differenziati fra di loro, con un eccesso di 5 dB (A) rispetto alla normativa vigente.

Nonostante tale parere negativo dell’ASL, il Comune aveva approvato definitivamente tale variante, creando fra le zone destinate a insediamento residenziale e artigianale una striscia di terreno classificato come zona agricola a verde privato senza (si lamenta) un adeguato filtro acustico, sacrificando in tale modo parte del terreno del ricorrente medesimo, che in tale modo, in futuro, potrebbe subire lamentele dai vicini.

Il Tribunale adito respingeva il ricorso, ritenendo infondate le doglianze prospettate in quella sede e, in particolare, ampiamente motivata la classificazione e la introduzione nello strumento di una fascia a verde, che costituisce una valida barriera “antirumore” fra la zona artigianale e quella residenziale.

Il primo giudice osservava inoltre che il medesimo ricorrente aveva ottenuto notevoli vantaggi in termini di aumento della volumetria edificabile (da 1400 a 2240 mc) e che esistevano ed esistono case di civili abitazioni di sua proprietà contigue al suo stabilimento.

Con l’atto di appello vengono dedotte le censure di violazione e falsa applicazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.

L’appellante si duole che la variante in questione, contrariamente al parere della ASL, abbia tagliato pesantemente il lotto edificabile di sua proprietà, interponendo tra i due insediamenti (quello artigianale e quello residenziale dichiarati incompatibili dall’USL) una striscia di terreno classificato come zona agricola a verde privato, che non può costituire un valido filtro tra i due insediamenti, che di fatto restano contigui.

Sarebbe quindi errata la affermazione del primo giudice, secondo cui la fascia a verde costituisce una sufficiente e valida barriera antirumore fra la zona artigianale e quella residenziale.

Si reitera la censura di difetto di adeguata istruttoria e motivazione rispetto al parere della ASL, unico parere intervenuto nella fattispecie, anche se non vincolante.

Si deduce altresì che lo stoccaggio di cereali è del tutto incompatibile, per quello che comporta in termini di polveri e attività all’aperto, con contigui insediamenti residenziali.

L’appello lamenta la illegittimità della destinazione a zona agricola di verde privato, poiché tale striscia è soltanto una zona a verde agricolo e non una zona a verde privato.

Si lamenta la sperequazione della scelta effettuata, in quanto la striscia di verde agricolo a verde privato grava per due terzi sull’area Cattani e per un terzo sull’area Pasini, in modo sperequato, oltre alla illogicità e immotivatezza della scelta di premiare come residenziale di completamento l’area del controinteressato Pasini.

Si è costituito il Comune appellato, chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.

Alla udienza pubblica del 9 aprile 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.L’appello è infondato e come tale da rigettare.

Con il primo motivo l’appellante lamenta che in sede di approvazione il Comune avrebbe eluso e aggirato il parere della AUSL o comunque che non avrebbe motivato il discostamento da detto parere negativo, trattandosi di parere obbligatorio sia pur non vincolante.

Il motivo non è fondato.

Il Comune ha operato rispetto al rilievo negativo della Azienda sanitaria Locale, condivisibilmente, nel senso che si è adeguato al rilievo negativo della AUSL, tanto che proprio allo scopo di impedire che le due zone (artigianale e residenziale) fossero contigue, le ha separate con una fascia verde in modo tale da costituire una barriera a mitigazione ambientale, anche rispetto alle esigenze di tutela dall’inquinamento acustico.

2.Con il secondo motivo di appello si deduce che lo stoccaggio di cereali è del tutto incompatibile, per quello che comporta in termini di polveri e attività all’aperto, con contigui insediamenti residenziali.

Si deduce altresì la illegittimità della destinazione a zona agricola di verde privato, poiché tale striscia è soltanto una zona a verde agricolo.

In sostanza, al di là della formale prospettazione, l’appello mette in dubbio la logicità delle scelte di piano dell’amministrazione, affermando che la interposizione della fascia di rispetto sarebbe inefficace e inutilmente pregiudizievole.

Inoltre, da un lato il lotto a destinazione artigianale sarebbe frantumato;
dall’altro lato, l’area dichiarata residenziale non avrebbe tale vocazione, trattandosi di appezzamento a verde agricolo.

3.Con il terzo e il quarto motivo in sostanza l’appellante lamenta sperequazione nelle scelte e disparità di trattamento tra la sua situazione e quella riguardante il contro interessato: con il terzo motivo di appello si lamenta la sperequazione della scelta effettuata, in quanto la striscia di verde agricolo a verde privato grava per due terzi sull’area Cattani e per un terzo sull’area Pasini, in modo sperequato;
con il quarto motivo di appello si deduce la illogicità e immotivatezza della scelta di premiare come residenziale di completamento l’area del controinteressato Pasini.

I motivi – il cui esame va effettuato congiuntamente per la loro stretta connessione - sono tutti infondati, sicché risulta irrilevante l’ eccezione di inammissibilità per carenza di interesse, sollevata dal Comune appellato in quanto dalla destinazione artigianale ampliata l’appellante ha tratto cospicuo vantaggio.

Per la giurisprudenza costante di questo Consiglio, le scelte di pianificazione della autorità urbanstica sono insindacabili nel merito, salva la deducibilità dei profili di eccesso di potere per illogicità, mancanza di adeguata motivazione, irrazionalità,

In sede di previsioni di zona di piano regolatore, la valutazione dell’idoneità delle aree a soddisfare, con riferimento alle possibili destinazioni, specifici interessi urbanistici, rientra nei limiti dell’esercizio del potere discrezionale, rispetto al quale, a meno che non siano riscontrabili errori di fatto o abnormi illogicità, non è configurabile neppure il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento basata sulla comparazione con la destinazione impressa agli immobili adiacenti.

Peraltro, anche le osservazioni proposte dai cittadini nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi e, pertanto, il loro rigetto o il loro accoglimento non richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento pianificatorio.

Le scelte urbanistiche circa la disciplina del territorio possono formare oggetto di sindacato giurisdizionale nei soli casi di arbitrarietà, irrazionalità o irragionevolezza ovvero di palese travisamento dei fatti che costituiscono i limiti della discrezionalità amministrativa (ex plurimis, Consiglio Stato , sez. IV, 18 giugno 2009 , n. 4024).

Come, al riguardo, rilevato e chiarito dalla giurisprudenza (cfr., fra le altre, Consiglio di Stato, dec. IV nn. 1126/98;
454/85;
105/86;
4018/04;
811/09), fatta eccezione per i limiti che provengono dalla legge, la discrezionalità del pianificatore è molto ampia.

Nella programmazione degli assetti del territorio, l'amministrazione gode di un ampio potere discrezionale, senza necessità di motivazione specifica sulle scelte adottate in ordine alla destinazione delle singole aree, con la conseguenza che tali scelte possono essere censurate soltanto in presenza di vizi logico-giuridici nel quadro delle linee portanti della pianificazione.

Ciò comporta che, in sede di previsioni di zona di piano regolatore, la valutazione dell'idoneità delle aree a soddisfare, con riferimento alle possibili destinazioni, specifici interessi urbanistici, rientra nei limiti dell'esercizio del potere latamente discrezionale, rispetto al quale, a meno che non siano riscontrabili errori di fatto o abnormi illogicità, non è configurabile neppure il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento, basata sulla comparazione con la destinazione impressa agli immobili adiacenti.

L'eccezione alla regola generale è costituita da alcune situazioni specifiche in cui il principio di affidamento impone che il piano regolatore dia conto, e renda sindacabile davanti al giudice amministrativo, anche il modo in cui è stata effettuata la ponderazione degli interessi pubblici sottostante alle scelte del piano.

La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha individuato un limite al generale potere di non motivare le scelte urbanistiche e tale limiti consiste nel caso in cui la modifica progettata vada ad incidere su singole posizioni differenziate in quanto connotate da una fondata aspettativa (ad esempio, nel caso in cui sia stata stipulata una convenzione di lottizzazione;
sia stato annullato, con sentenza passata in giudicato, del diniego di concessione edilizia;
sia stato reiterato un vincolo espropriativo scaduto).

Se in tali casi l'amministrazione ha l'onere di motivare le proprie scelte, non per questo comunque essa viene privata del potere di procedere comunque a sacrificare tale interessi.

Nella specie, non sono ravvisabili i dedotti profili di eccesso di potere, sia sotto il profilo dell’adeguatezza del procedimento che della congruità della motivazione degli atti istruttori, su cui si è basata la variante.

L’appellante – quale gestore di un complesso artigianale di stoccaggio di cereali - vorrebbe evitare l’insediamento altrui, prospettando il suo interesse facendo chiaramente riferimento al fatto che non già l’insediamento altrui lo danneggerà, ma che in futuro potrebbe subire il fastidio derivante dalle lamentele che altri dovesse rivolgere nei suoi confronti per il fastidio da egli arrecato (eventualmente alle strutture residenziali) per l’attività insalubre o inquinante dal punto di vista acustico che egli svolge, in conflitto con l’attività dal vicino svolta a seguito della – e in coerenza con la – nuova destinazione.

Peraltro, dalla documentazione acquisita risulta che, sotto il profilo dell’adeguamento alle esigenze ambientali rilevate dal parere dell’ASL, come sopra specificato, l’amministrazione comunale ha in concreto valutato le circostanze ed ha provveduto in modo non illogico, arbitrario o irragionevole, effettuando la scelta della barriera antirumore, che ben può essere ritenuta idonea a contemperare i vari interessi e a mitigare le problematiche ambientali.

3.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza.

La condanna alle spese e degli onorari del secondo grado del giudizio segue il principio della soccombenza. Di essa è fatta liquidazione in dispositivo.

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