Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-06-15, n. 202305891
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Testo completo
Pubblicato il 15/06/2023
N. 05891/2023REG.PROV.COLL.
N. 08218/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8218 del 2022, proposto da
-OMISSIS- rappresentati e difesi dagli avvocati F V e V G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di-OMISSIS- in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato G A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (sezione seconda) n. -OMISSIS-resa tra le parti, concernente l’annullamento in autotutela del permesso di costruire in sanatoria n. 19 del 19 maggio 2020;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2023 il Cons. Carmelina Addesso, udito per gli appellanti l’Avv. F V e vista l’istanza di passaggio in decisione senza discussione del comune appellato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Gli appellanti meglio indicati in epigrafe chiedono la riforma della sentenza del TAR Campania- Napoli, sezione seconda, n. -OMISSIS- che ha respinto il ricorso avverso il provvedimento del Comune di -OMISSIS- prot. n. 2234 del 25/1/2017 di annullamento in autotutela del permesso di costruire in sanatoria n. 19 del 19/5/2010 relativo ad un manufatto di proprietà dei ricorrenti sito alla via -OMISSIS-.
1.1 L’annullamento in autotutela del titolo edilizio veniva disposto dal Comune per un duplice ordine di ragioni: i ) l’art. 32, comma 25, del decreto legge n. 269/2003 (convertito nella legge n. 326/2003) esclude la sanatoria per le nuove costruzioni a destinazione non residenziale, alle quali è riconducibile il manufatto in questione, “ adibito a deposito di attrezzi e materiali per l’edilizia ”; ii ) “ i grafici a corredo del P.D.C. n. 19/2010 rappresentano il rilievo dello stato dei luoghi al febbraio 2010, stato dei luoghi differente da quello alla data dichiarata dell’abuso: ottobre 2002, nonché dallo stato dei luoghi rilevabile dalla foto aerea del territorio comunale datata 12/5/2003, nella disponibilità dell’Ufficio. Né la DIA prot. N. 30502/2009 ha legittimato le ulteriori opere realizzate dopo l’ottobre 2002 (data dichiarata d’abuso) atteso che la stessa DIA risulta non conformatasi urbanisticamente in quanto con la nota n. 6599/2010 sono stati interrotti i termini e reso inefficace la stessa. Del resto, l’unica rappresentazione che può essere allegata al permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 32 L. 326/03 (c.d. terzo condono) è quella dello stato dei luoghi alla data dell’abuso ”.
1.2 Il TAR adito dagli interessati ha respinto il ricorso, osservando che: i ) la sanatoria del 2010 aveva ad oggetto un locale deposito edificato ex novo , ossia una vera e propria nuova costruzione avente carattere non residenziale, per la quale è pacificamente esclusa l’applicabilità della normativa condonistica del 2003; ii ) non è ravvisabile, sotto l’evidenziato aspetto, alcuna violazione dell’art. 21- nonies della legge n. 241/1990 poiché la gravata disposizione dirigenziale reca in parte motiva (vedi pagina 3, secondo e terzo periodo del “ Rilevato che ”) una sintetica ma esauriente illustrazione dell’interesse pubblico specifico, diverso dall’interesse al mero ripristino della legalità violata e individuato nell’esigenza di tutelare il corretto sviluppo urbano attraverso la salvaguardia delle aree a destinazione agricola, tra cui ricade la zona di intervento, nonché di consentire alla cittadinanza la fruizione degli indispensabili standard urbanistici, quanto meno nella dotazione minima degli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a i parcheggi per ogni abitante; iii ) l’amministrazione ha rispettato il termine di 18 mesi per l’esercizio dell’autotutela, avendo provveduto all’annullamento del titolo edilizio del 2010 dopo circa 15 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015. In ogni caso, il termine deve considerarsi ragionevole in ragione degli interessi coinvolti e in considerazione del termine decennale assegnato in generale all’amministrazione regionale, ex art. 39 del d.P.R. n. 380/2001, per disporre l’annullamento dei titoli edilizi comunali contrastanti con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione; iv ) nemmeno è rinvenibile la paventata violazione del principio di affidamento, unitamente ai sottesi principi di concentrazione e di economicità dell’azione amministrativa, poiché la visione d’insieme sulla tipologia di manufatto, posta alla base del primigenio annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 6/2011, era ben diversa, se non antitetica, rispetto a quella che ha condotto alla successiva rimozione del permesso di costruire n. 19/2010, occasionata dall’intervento della sentenza n. -OMISSIS-, per cui nel luglio 2015 non poteva ragionevolmente esigersi, da parte dell’amministrazione, la pretesa concentrazione in un unico procedimento di tutte le criticità inerenti all’immobile in questione.
2. Con l’appello in epigrafe, corredato da richiesta di misura cautelare, i ricorrenti- ricostruita sinteticamente la vicenda per cui è causa e richiamata la sentenza del TAR Campania n. -OMISSIS- che ha accolto il ricorso avverso il provvedimento del 15 settembre 2015 con cui il Comune appellato ha annullato in autotutela il Permesso di costruire n.6/2011 relativo al mutamento di destinazione d’uso dell’immobile da deposito a locale comune-chiede la riforma della sentenza di primo grado sulla scorta di quattro motivi di appello con cui deduce:
I) Erroneità del rigetto del primo motivo del ricorso di primo grado (pagg. 7-8), rubricato: “18. violazione e falsa applicazione dell’art. 25 comma 32 del d.l. 269/2003 – violazione dell’art. 21 nonies della legge 241/1990 – Eccesso di potere per travisamento del contenuto del permesso di costruire n. 19;
II) Omesso esame per assorbimento, e quindi riproposizione in appello, del secondo motivo del ricorso di primo grado (pagg. 8 – 12), rubricato: “19. Violazione e falsa applicazione dell’art. 25 comma 32 del d.l. 269/2003 – violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del d.p.r. n. 380/2001 – violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies della legge 241/1990 – Non rispondenza al vero dei presupposti di fatto su cui si basa il provvedimento - Difetto d’istruttoria – Eccesso di potere”;
III) Erroneità del rigetto del terzo motivo del ricorso di primo grado (pagg. 13-14), rubricato: “20. Violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 – violazione dell’obbligo di motivazione ”;
IV) Erroneità del rigetto del quarto motivo del ricorso di primo grado (pagg. 13-14), rubricato: “21. Violazione del principio di affidamento - Violazione del principio di concentrazione - violazione del principio di economicità dell’azione amministrativa ”
3. Si è costituito il comune di -OMISSIS- che ha riproposto le eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso di primo grado, non esaminate dal TAR, chiedendo, nel merito, la reiezione del gravame in quanto infondato.
4. Con ordinanza n.-OMISSIS-la Sezione ha respinto l’istanza cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.
5. Con memoria del 29 aprile 2023 l’appellante, dopo aver richiamato i fatti di causa e controdedotto alle difese del Comune, ha precisato che la sentenza del TAR -OMISSIS- relativa all’annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 6/2011 è stata confermata da questo Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- Anche alla luce di siffatta sopravvenienza, ha insistito per l’accoglimento dell’appello e la riforma della sentenza impugnata.
6. Il Comune di -OMISSIS- ha depositato memoria di replica, insistendo per la reiezione del gravame.
7. All’udienza del 30 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
8. L’appello è infondato, circostanza che, sulla base della c.d. “ragione più liquida”, esime il Collegio dall’esame delle eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado non esaminate dal TAR e riproposte dal Comune di -OMISSIS- con memoria di costituzione.
9. Con il primo motivo gli appellanti lamentano che erroneamente il giudice di primo grado non ha considerato che gli interventi abusivi avevano ad oggetto l’ampliamento e la trasformazione di una struttura già esistente e previamente autorizzata da tettoia a deposito, e che, pertanto, gli stessi erano sanabili a prescindere dalla destinazione non residenziale ai sensi dell’art. 32 comma 25 d.l. 30 settembre 2003 n. 269.
9.1 Il motivo è infondato.
9.2 Dall’esame della documentazione versata in atti emerge che l’oggetto del condono non è il mero ampliamento di una tettoia preesistente, ossia di un manufatto aperto su tre lati, bensì la realizzazione- a partire dalla tettoia- di un locale chiuso su quattro lati e adibito ad uso deposito.
9.3 Sotto tale profilo rilevano:
i ) l’istanza di sanatoria del 9 dicembre 2004 a firma del signor L A, la quale nella descrizione delle opere fa riferimento a “ una tettoia in ferro bullonata adibita a deposito attrezzi ” e nelle caratteristiche dell’intervento indica che si tratta di un manufatto “ non residenziale ” a destinazione “ deposito ” (doc. n. 1 deposito di primo grado ricorrente del 5 maggio 2017);
ii ) il permesso di costruire in sanatoria n. 19/2010 che menziona un “ locale deposito ” (doc. n. 2 deposito primo grado ricorrente);
iii ) la relazione tecnica descrittiva allegata al permesso di costruire in sanatoria, ove si precisa che l’intervento abusivo consiste in un locale deposito “ delimitato su tutti i quattro lati con muratura in blocchi portanti di lapil-cemento, rifinita con intonaco ” (doc. n. 2a deposito di primo grado ricorrente del 5 maggio 2017);
iv ) la più volte richiamata sentenza del TAR Campania n. -OMISSIS-, confermata con sentenza della sesta sezione del Consiglio di Stato n. 185/2023 e quindi passata in giudicato, da cui risulta che, contrariamente a quanto sostenuto in quella sede dal Comune e in conformità a quanto, invece, affermato dal signor L, il manufatto assentito con provvedimento n. 19/2010 non era una tettoia, bensì un deposito chiuso su tutti e quattro i lati.
9.4 La documentazione sopra richiamata conferma che l’illecito edilizio non consiste in un mero ampliamento della preesistente tettoia, ma nella realizzazione di una nuova costruzione, costituita da un locale chiuso ad uso deposito e, come tale, non suscettibile di condono ai sensi dell’art. 32 comma 25 d.l. 269/2003 in quanto di destinazione non residenziale.
9.5 La tesi degli appellanti, secondo cui anche la trasformazione di un manufatto preesistente in un altro avente diverse caratteristiche strutturali è suscettibile di rientrare nel concetto di ampliamento contemplato dal citato comma 25 dell’art. 32, si fonda su un’interpretazione estensiva della disposizione incompatibile con la sua natura eccezionale e di stretta interpretazione.
9.6 Come ribadito a più riprese da questo Consiglio di Stato, il condono edilizio previsto ai sensi dall’art. 32 d.l. n. 269/2003 convertito in legge n. 326/2003 si applica unicamente in presenza di nuove costruzioni che abbiano destinazione residenziale, non essendo ammissibile, tra l’altro, in presenza di una normativa eccezionale, postulare una sua interpretazione analogica (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 12 dicembre 2012, n. 6381; Id ., sez. II 26 aprile 2021, n. 3342). La condonabilità delle opere con destinazione non residenziale deve, per contro, intendersi limitata dalla citata normativa alle sole ipotesi di opere realizzate “ in ampliamento ” entro i limiti di cubatura ivi prescritti, proprio in quanto per tale ipotesi non v’è alcun discrimine con riferimento alla destinazione residenziale o non, a differenza di quanto avviene per le “ nuove costruzioni ” (Cons. Stato, sezione VI, 7 aprile 2023 n. 3588)
9.7 La nozione di “ ampliamento ” non può, quindi, essere dilatata oltre i propri confini semantici al fine di includervi anche la diversa nozione di “ trasformazione ”, estendendo l’eccezionale condono contemplato dal d.l. 269/2003 alle nuove costruzioni ad uso non residenziale che, invece, il legislatore ha inteso espressamente escludere.
9.8 Per le ragioni sopra esposte è immune dalle dedotte censure il capo della sentenza di primo grado che ha escluso la sanabilità dell’illecito edilizio poiché afferente ad un locale deposito edificato ex novo a seguito della trasformazione della tettoia autorizzata nel biennio 2002/2003.
9.9 Il primo motivo di appello deve, quindi, essere respinto in quanto infondato.
10. Con il secondo motivo gli appellanti impugnano il capo della sentenza di primo grado che ha dichiarato assorbito il secondo motivo di ricorso afferente all’insussistenza della falsa rappresentazione dello stato dei luoghi. Ad avviso degli appellanti, il giudice di primo grado avrebbe potuto legittimamente dichiarare l’assorbimento del secondo motivo solo a seguito dell’accoglimento di una delle censure, queste sì assorbenti, dedotte nel terzo e quarto motivo di primo grado, di violazione dell’art. 21- nonies L. 241/1990 per omessa motivazione sull’interesse pubblico all’annullamento (diverso dal ripristino della legalità), per mancato annullamento “entro un termine ragionevole”, per omessa considerazione degli interessi e dell’affidamento maturato dagli odierni appellanti. Per tale ragione, ripropongono, ai sensi dell’art. 101 comma 2 c.p.a, il secondo motivo di ricorso di primo grado afferente all’insussistenza dell’asserita falsa rappresentazione dello stato dei luoghi (pag.