Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-09-20, n. 201906259

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-09-20, n. 201906259
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201906259
Data del deposito : 20 settembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/09/2019

N. 06259/2019REG.PROV.COLL.

N. 08431/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sull’appello n. 8431 del 2014, proposto dal signor Raffaele D'Alterio, rappresentato e difeso dall'avvocato G M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato E D in Roma, via Polibio, n. 45;

contro

Il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma parziale

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 6114/2014;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2019 il pres. Luigi Maruotti e udito l’avvocato Andrea Massa, su delega dell’avvocato G M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso di primo grado n. 9089 del 2013 (proposto al TAR per il Lazio, Sede di Roma), la parte appellante ha chiesto che sia ordinato al Ministero della giustizia di dare esecuzione alla sentenza della Corte di Cassazione, n. 1199 del 17 gennaio 2013, emanata in applicazione della legge n. 89 del 2001.

2. Il TAR, con la sentenza n. 6114 del 2014, ha accolto il ricorso, ha disposto le misure attuative del giudicato ed ha condannato il Ministero alle spese del giudizio, liquidate in euro 250, con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario.

3. Con il gravame in esame, l’appellante ha impugnato la sentenza del TAR, proponendo un unico articolato motivo, con cui è stata dedotta la violazione dell’art. 26 del c.p.a. e dell’art. 91 del c.p.c., nonché del decreto ministeriale n. 55 del 2014.

Egli ha rilevato che vi è stata la integrale soccombenza dell’Amministrazione e che il TAR ha liquidato un importo estremamente esiguo, inferiore anche a quello desumibile dalla applicazione dei criteri previsti dal punto 21 della tabella allegata al decreto ministeriale, ed hanno chiesto la liquidazione di un importo maggiore, pari ad almeno euro 1.887,50.

L’Amministrazione soccombente non ha impugnato a sua volta la sentenza.

4. Ritiene il Collegio che l’appello risulta in parte fondato.

4.1. Per la pacifica giurisprudenza, il TAR ha ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese e, se del caso, al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla (Cons. Stato, Ad. Plen., 24 maggio 2007, n. 8), con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (per tutte, Consiglio Stato, Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4936;
Sez. III, 9 novembre 2016, 4655;
Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012;
Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 891;
Sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4471;
Sez. IV, 27 settembre 1993, n. 798).

Il giudice ben può tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, tra cui possono avere rilievo la natura del credito insoddisfatto (ad esempio, la sua natura alimentare), la durata dell’inadempimento, la ricerca di soluzioni extragiudiziarie per evitare la pendenza del contenzioso, la mancata esecuzione di precedenti sentenze già rese in sede di esecuzione, le questioni di carattere organizzativo quando si tratti di giudizi sostanzialmente di carattere seriale, l’esistenza di un diffuso contenzioso in materia, l’assenza delle risorse nell’attuale congiuntura economica e la difficoltà di disporre tempestivamente delle risorse necessarie per disporre i pagamenti.

Il TAR può dunque anche tener conto del fatto che sia stata chiesta l’ottemperanza ad un giudicato basato sulla violazione della legge n. 89 del 2001, che notoriamente ha comportato l’insorgenza di un notevole contenzioso basato su ricorsi che per la loro semplicità possono essere presentati sulla base di schemi precostituiti, anche in assenza di particolari considerazioni di carattere giuridico.

Il TAR – nel caso di accoglimento di un tale ricorso d’ottemperanza - può dunque compensare le spese del giudizio, con una valutazione insindacabile in sede d’appello, che di per sé non incide sul diritto alla effettività della tutela giurisdizionale (poiché le regole sulla statuizione sulle spese coesistono con le altre regole, miranti alla effettività della tutela) e neppure incide sulla dignità e sul decoro della professione forense: la decisione sulle spese non comporta di per sé una valutazione sull’operato del difensore o sulla qualità dei suoi scritti e attiene esclusivamente agli aspetti processuali sopra indicati.

Al riguardo, la sentenza di accoglimento del ricorso comporta comunque l’obbligo del soccombente di rimborsare alla parte vincitrice quanto effettivamente versato a titolo di contributo unificato, pur se tale obbligo non è esplicitato nella sentenza.

4.2. Tuttavia, qualora il TAR abbia disposto la condanna al pagamento delle spese, si deve tenere conto del decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55 (‘Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247’).

Ai fini della liquidazione del compenso si tiene anche conto «delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate» (art. 4, comma 1).

4.3. Tenuto conto di tale normativa, ritiene il Collegio che vada riformata la statuizione del TAR.

Nel caso di specie la liquidazione in primo grado delle spese di lite risulta manifestamente sproporzionata rispetto al valore medio delle tariffe professionali previste dal decreto ministeriale.

Pertanto, in considerazione dell’attività professionale svolta – di non particolare complessità - e di tutti i criteri sopra esposti, il capo di sentenza impugnato va riformato e, conseguentemente, l’Amministrazione deve essere condannata alle spese del primo grado del giudizio nella misura complessiva di 500 euro.

5. Per le ragioni che precedono, l’appello va in parte accolto, sicché, in parziale riforma della sentenza appellata, il Ministero va condannato al pagamento di complessivi euro 500 (incluso l’importo già liquidato dal TAR) per spese del primo grado, oltre agli accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.

6. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado.

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