Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-04-30, n. 202002780
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Pubblicato il 30/04/2020
N. 02780/2020REG.PROV.COLL.
N. 04146/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4146 del 2010, proposto dalla Società Ikea Italia Retail S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati A T e G F, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, via A. Bertoloni, n. 14,
contro
l’Anas - Ente Nazionale per le Strade, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, non costituitasi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, Sezione III, n. 2575 del 17 marzo 2009, resa inter partes , concernente il diniego all’installazione di un’insegna di esercizio sul prospetto ovest dell’esercizio in vista Anagnina.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’articolo 84, comma 5, del decreto legge 17 marzo 2020, n.18;
Relatore nell’udienza pubblica svoltasi con modalità telematica ai sensi del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, del giorno 28 aprile 2020, il consigliere Giovanni Sabbato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 19701 del 2000, proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, la Società Ikea Italia S.p.a. (di seguito la società) aveva chiesto l’annullamento della determinazione dirigenziale del 2 agosto 2000, con la quale l’ANAS - Ente Nazionale denegava la richiesta di autorizzazione all’installazione di un’insegna di esercizio da esporre sul prospetto ovest in vista Anagnina e, contestualmente, la diffidava alla rimozione delle insegne abusivamente installate lungo la S.S. n. 511, via Anagnina e S.S. n. 215 via Tuscolana.
2. A sostegno dell’impugnativa aveva sollevato le censure della mancata indicazione dell’Autorità alla quale ricorrere, il difetto di motivazione e l’erronea interpretazione dell’art. 23 del Codice della Strada.
3. Costituitasi la difesa erariale resistendo, il Tribunale ha così deciso il gravame al suo esame:
- ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione per la parte in cui si impugna la diffida alla suddetta rimozione;
- ha respinto il ricorso per la parte in cui si avversa il diniego di autorizzazione all’installazione di più insegne di esercizio;
- ha compensato le spese di lite.
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
- la mancata indicazione dell’Autorità alla quale poter ricorrere e dei termini per l’impugnativa costituisce uno dei profili “ attinenti alla mera irregolarità formale dell’atto, semmai valorizzabile ai fini della rimessione in termini, e non invece alla sua validità ”;
- l’atto è adeguatamente motivato “ anche per relationem alle determinazioni ANAS precedentemente intervenute ed in esso richiamate, con riferimento ai limiti di autorizzabilità delle insegne di esercizio ”;
- infondato è anche il motivo afferente all’esegesi dell’art. 23 del Codice della strada, in quanto “ concernendo, la richiesta di installazione avanzata dalla ricorrente il 13.6.2000, proprio “insegne di esercizio”, correttamente l'Amministrazione, a fronte oltretutto di un’abusiva installazione ormai effettuata, ha rappresentato i limiti (solo genericamente contestati peraltro dall’istante) di autorizzabilità delle insegne stesse, le quali non devono concretare infatti messaggio pubblicitario ”;
- si ha “ messaggio pubblicitario ” “ in caso di pluralità di insegne per una singola attività ”.
5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello, notificato il 3 maggio 2010 e depositato il 12 maggio 2010, lamentando, attraverso tre motivi di gravame (pagine 4-12) ai quali ha fatto seguito la reiterazione dei motivi di primo grado, quanto di seguito sintetizzato:
I) avrebbe errato il Tribunale nel ritenere il provvedimento impugnato adeguatamente motivato, tanto più che ne avrebbe integrato il contenuto facendo riferimento ad atti e provvedimenti estranei al procedimento senza considerare che l’insegna consiste nella mera indicazione del marchio Ikea e della scritta “ ARREDAMENTI ” e non è visibile dal Grande Raccordo Anulare ma solo dalla via Anagnina;
II) il Tribunale non avrebbe considerato che l’art. 23 del Codice della strada non ricollega la definizione di insegna di esercizio o di mezzi pubblicitari al numero di installazioni;
III) il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che l’istanza oggetto di diniego era stata avanzata in data 13 giugno 2000 quando invece è stata presentata il 2 giugno 2000;
IV) si reiterano pertanto i motivi di primo grado.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l’annullamento dell’impugnato diniego.
7. L’Anas non si è costituita in giudizio sebbene ritualmente intimata.
8. In vista della trattazione nel merito del ricorso parte appellante ha svolto difese scritte valorizzando, al fine d’insistere per l’accoglimento del gravame, i documenti depositati con le note dell’11 marzo 2020 relativi al parallelo giudizio instaurato innanzi al Giudice di Pace di Roma, che ha escluso che l’insegna abusivamente installata “ in vista della SS. Anagnina ”, recante la scritta “ Ikea Arredamenti ” fosse qualificabile come impianto pubblicitario.
9. La causa, chiamata per la discussione all’udienza pubblica svoltasi con modalità telematica del 28 aprile 2020, è stata ivi trattenuta in decisione.
9.1 Il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato e sia pertanto meritevole di accoglimento.
9.2 Come esposto in narrativa, il motivo centrale, su cui ruota l’intero gravame, si fonda sulla pretesa assentibilità della domanda avanzata nei confronti dell’Anas, in quanto si tratterebbe dell’installazione di una semplice insegna d’esercizio e non di un cartello contenente un messaggio pubblicitario. A tal uopo l’appellante valorizza la stessa formulazione della norma (art. 23, comma 7, del Codice della Strada) ritenuta dall’Anas ostativa, in quanto essa prevede, da un lato, che “ è vietata qualsiasi forma di pubblicità lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi ” e, dall’altro, che sono “ consentite le insegne di esercizio, con esclusione dei cartelli e delle insegne pubblicitarie e altri mezzi pubblicitari, purché autorizzate dall’ente proprietario della strada ”.
Dagli atti di causa si evince che la società chiedeva l’autorizzazione all’installazione di una ulteriore insegna d’esercizio, rispetto a quella già esistente, affinché fosse visibile dalla via Anagnina, ma l’Amministrazione esprimeva diniego ritenendo che l’insegna fosse da intendersi avente carattere pubblicitario e non di esercizio essendo di questa l’insediamento commerciale già munito. Risulta pertanto recessiva e comunque ininfluente il pure riproposto vizio di difetto motivazionale in quanto, al di là della adeguatezza esplicativa delle ragioni a base dell’impugnato diniego secondo la sua formulazione lessicale, assume rilievo dirimente, alla luce delle articolazioni difensive dell’appellante, lo stabilire se l’insegna che la società intende apporre sul prospetto ovest dell’esercizio è qualificabile come messaggio pubblicitario solo per il fatto che trattasi di un’insegna che si aggiunge ad altra già esistente.
9.3 Premesso che comunque non ricorre la carenza motivazionale denunciata, essendo la ragione ostativa ai fini dell’accoglimento della domanda esattamente rappresentata in seno al provvedimento impugnato, non resta che verificare se sussistano le condizioni per configurare una insegna pubblicitaria come opinato dall’Amministrazione.
Vale osservare sul punto che trattasi di insegna recante la semplice scritta “ ikea arredamenti ”, posta a ridosso del magazzino, la quale presenta pertanto un neutro ed asettico riferimento all’attività commerciale svolta dalla società senza essere accompagnato da un qualsivoglia messaggio che possa invogliare la domanda del prodotto offerto. Come evidenziato dall’appellante, la disciplina in materia di imposta sulla pubblicità traccia la linea di confine tra messaggio pubblicitario e mera insegna di esercizio secondo alcuni parametri di riferimento che attengono non solo alla presenza o meno della stessa nei pressi dell’esercizio commerciale ma anche all’eventuale presenza di un messaggio rivolto ai potenziali consumatori in grado di esaltare il prodotto e quindi di invogliare la domanda. Trattasi, peraltro, non solo di un’insegna priva di messaggi pubblicitari ma anche destinata ad essere allocata proprio a ridosso del magazzino su via Anagnina che coincide con l’indirizzo della sede dell’azienda.
9.4 Il motivo sul punto sollevato dall’appellante è quindi meritevole di condivisione, in quanto, in assenza di un preciso dato normativo, non è dato inferire il carattere pubblicitario dell’insegna dal sol fatto che essa si aggiunga ad altre già presenti presso l’esercizio commerciale. Peraltro la giurisprudenza tributaria accede ad una configurazione restrittiva del concetto di insegna pubblicitaria, osservando che “ In materia di imposta sulla pubblicità, l’esenzione di cui all'art. 17, comma 1 bis, D.Lgs. n. 507 del 1993, non consente di introdurre distinzioni in relazione al concorso dello scopo pubblicitario con la funzione propria dell’insegna stessa, purché questa, oltre ad essere installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie e ad avere la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività, si mantenga nel predetto limite dimensionale. L’insegna di esercizio, pertanto, mantiene la sua caratteristica, con il conseguente diritto all’esenzione, anche qualora contiene, oltre alla denominazione dell’azienda, anche un messaggio pubblicitario ” (cfr. Comm. trib. reg. Perugia, sez. IV, 3 marzo 2014, n. 152). Non solo, quindi, il messaggio pubblicitario può concorrere, senza alterarla, con la funzione propria dell’insegna, ma occorre aggiungere, e questo risulta decisivo, che la soggezione all’imposta pubblicitaria deriva unicamente dalla superficie complessiva delle insegne e non dalla pluralità delle stesse. La Suprema Corte ha tracciato i confini tra i due concetti, osservando che “ In tema di imposta comunale sulla pubblicità, il comma 1-bis dell’art. 17 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, aggiunto dall’art. 10 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, che esenta dall’imposta le insegne di attività commerciali e di produzione di beni o servizi nei limiti di un superficie complessiva fino a cinque metri quadrati, non consente di introdurre distinzioni in relazione al concorso dello scopo pubblicitario con la funzione propria dell’insegna stessa, purchè la stessa, oltre ad essere installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie, e ad avere la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell'attività, si mantenga nel predetto limite dimensionale, in tal senso deponendo anche l'art. 2 del d.m. 4 aprile 2003, che, ai sensi dell'art. 10, coma 3, della legge n. 448 cit., ha dettato le modalità operative per la determinazione dei trasferimenti compensativi ai comuni a copertura delle minori entrate relative all'imposta sulla pubblicità derivanti dalla esenzione stabilita dall’art. 17, comma 1-bis, cit.. ” (cfr. C. Cass., ordinanza, sez. VI, 4 marzo 2013, n. 5337). Contrariamente a quanto opinato dall’Amministrazione non è quindi suscettibile di applicazione il comma 7 dell’art. 23 del Codice della Strada proprio in considerazione della rilevata insussistenza della natura pubblicitaria dell’insegna, non ritraibile dalla mera presenza di più insegne presso il medesimo esercizio. Viene cioè in evidenza, secondo il dettame dell’art. 2568 del codice civile, quella che viene comunemente definita come insegna di esercizio ovverosia un semplice mezzo contenente un messaggio che contraddistingue il locale, sia sede principale che secondaria, nel quale si esercita un’attività commerciale o un’attività diretta alla produzione di beni o servizi.
10. In conclusione, l’appello è meritevole di accoglimento e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, va accolto il ricorso di primo grado ed annullato il provvedimento di diniego impugnato.
11. Le spese del doppio grado di giudizio, stante la particolarità della vicenda, possono essere compensate.