Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-01-11, n. 202300344

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-01-11, n. 202300344
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202300344
Data del deposito : 11 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/01/2023

N. 00344/2023REG.PROV.COLL.

N. 02161/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2161 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza Paganica n. 13;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati M C, V P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
-OMISSIS-, Comune di Bojano, Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici e Paesaggistici del Molise, Regione Molise, non costituiti in giudizio;
Ministero dei Beni e delle Attivita' Culturali e del Turismo, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima) n. -OMISSIS-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-, del Ministero dei Beni e delle Attivita' Culturali e del Turismo e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Molise;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 11 novembre 2022 il Cons. Sergio Zeuli e udito l’avvocato Coromano Michele;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La sentenza impugnata ha accolto il ricorso con cui la parte appellata aveva chiesto l’annullamento del permesso di costruire n. -OMISSIS- avente ad oggetto il completamento della sistemazione dell’area in proprietà dell’appellante, sita in località -OMISSIS- del Comune di Bojano, censita al catasto al -OMISSIS-, ritenendo che la realizzazione di quel progetto fosse in contrasto con l’ordine di integrale ripristino dello stato dei luoghi, contenuto nella sentenza del

TAR

Molise n.-OMISSIS-.

Avverso la decisione gravata sono dedotti i seguenti motivi di appello: I. Sull’errore della sentenza appellata di non dichiarare l’inammissibilità del ricorso per tardività della notifica - II. Sull’errore della sentenza appellata di ritenere sussistente la legittimazione attiva dei ricorrenti - III. Sull’errore del giudice di primo grado di non qualificare il ricorso in termini di ottemperanza e di non dichiararne la conseguente inammissibilità per tardività del deposito - IV. Sull’errore della sentenza appellata di non considerare che gli interventi de quibus sono interventi nuovi ed autonomi pacificamente rispettosi della vigente disciplina urbanistica - V. Sull’errore della sentenza appellata di ritenere inapplicabile il principio del ne bis in idem.

Si è costituita in giudizio la parte appellata, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.

Col primo motivo l’appellante si duole che la sentenza appellata non abbia accolto l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado proposto dagli appellati.

Dopo aver rilevato che la sentenza penale n. -OMISSIS- – che peraltro lo ha assolto per insussistenza del fatto dal reato di costruzione abusiva – aveva temporalmente situato la realizzazione dei lavori tra il 30 ottobre ed il 6 novembre del 2013, parte appellante ribadisce che da quest’ultima data iniziava a decorrere il termine per l’impugnazione, e che il ricorso sarebbe stato notificato solo il 5 febbraio del 2014.

Il motivo non è accoglibile perché la decorrenza di un termine decadenziale deve essere precisamente individuata quanto al suo inizio. Ciò non esclude di per se stesso che detto momento non possa identificarsi in un fatto, e dunque, anche in un concetto, solo in parte giuridico, quale quello dell’ultimazione dei lavori, ma esige che a quest’ultimo siano attribuibili contorni precisi e manifestazioni inequivoche.

Nel fatto proposto dal motivo di appello in analisi entrambi questi caratteri sono assenti.

In ragione della tipologia di intervento – non si trattava della realizzazione di un manufatto, rispetto al quale il concetto di ultimazione è agevolmente individuabile e comunque normativamente definito ma di lavori per la risistemazione dell’area - era infatti difficilmente configurabile un ben definito momento, verificatosi il quale, iniziavano a decorrere i termini per l’impugnazione. La stessa sentenza penale sopra-ricordata, nell’assolvere il -OMISSIS- sul presupposto che il terrazzamento che intendeva realizzare non richiedesse titolo edilizio, conferma la difficoltà di attribuire, nel caso di specie, un univoco significato alla nozione di completamento dei lavori.

Tanto meno si trattava di un intervento che, nel mentre era in corso, palesava chiare conformazioni morfologiche e costruttive tali da potere essere evinte da un quivis de populo . A tal proposito, come fondatamente osservato dalla parte appellata, erano previste tra l’altro piantumazioni di alberi che avrebbero potuto indurre in errore un occhio non esperto su quale fosse la reale entità dell’intervento.

Dunque, ad una più corretta interpretazione a garanzia dell’esercizio del diritto di difesa, si deve ritenere che il termine per impugnare sia iniziato a decorrere, quando, con la comunicazione del 9 dicembre del 2013 da parte del Comune di Boiano, gli attuali appellati ebbero ufficialmente notizia del provvedimento. D’altro canto non emerge che ne abbiano, aliunde , avuto la necessaria piena e precisa consapevolezza prima di quella data.

Il ricorso di primo grado fu perciò tempestivo.

Anche il secondo motivo – con cui si fa valere l’originaria carenza di interesse a ricorrere in capo agli odierni appellati, anche questa eccezione disattesa dal giudice di prime cure – è parimenti infondato. Costoro infatti sono tutti proprietari di fondi vicini, che si trovano ad una distanza dal sito dell’intervento mai superiore a tre metri lineari;
d’altro canto, il progetto prevedeva originariamente uno sbancamento ed un terrazzamento, ed ha comportato una significativa variazione dello stato dei luoghi, tutti elementi rappresentanti un possibile danno riflesso sulla loro proprietà, e sulla potenziale fruizione delle utilità ad essa connesse. Il che consente di caratterizzarli, senza mediazione, quali aventi diritto uti singuli ad una tutela specifica e differenziata. In tali sensi, il concreto vulnus preteso dall’atto di appello è connaturato alla prospettazione da loro proposta, e non ha bisogno di essere specificamente individuato perché emerge dagli stessi presupposti di fatto e persino dalle censure da loro poste a fondamento del ricorso introduttivo del presente giudizio. Potenziale vulnus che peraltro emerge in maniera plastica dal parere emesso dalla Commissione tecnico- urbanistica del 4 settembre del 2013, per il quale vedasi infra.

Anche il secondo motivo va pertanto disatteso.

Col terzo motivo l’appellante contesta al giudice di prime cure di avere omesso di qualificare il ricorso degli odierni appellati, anche solo in parte, quale ricorso di ottemperanza. In sostanza, si sottolinea con tale mezzo che il principale motivo di censura sollevato da controparte era il contrasto del provvedimento permissivo adottato con la sentenza n.-OMISSIS- e che ciò sarebbe stato confermato dalla sentenza impugnata che, in questa contraddittorietà, avrebbe individuato le ragioni per annullare il provvedimento. Se condivisa, per l’appellante, l’obiezione dovrebbe indurre a ritenere tardivo il ricorso degli appellati, per l’omesso deposito del ricorso notificato nel termine dimezzato di cui all’art. 87 comma 3 c.p.a., applicabile ai riti camerali.

L’obiezione è infondata. Non può non osservarsi che essa è intrinsecamente contraddittoria, dal momento che ammette che, al più, solo in parte, in ragione del suo variegato oggetto, il ricorso di primo grado avrebbe potuto/dovuto essere riqualificato quale ricorso ex art.112 del c.p.a.;
è anche estrinsecamente contraddittoria perché confligge col quarto motivo di appello che invece sottolinea il carattere di novità degli interventi in esame, per sottolinearne l’alterità rispetto all’oggetto della sentenza -OMISSIS- e dunque l’impossibilità del contrasto con quest’ultima

Il motivo non è comunque accoglibile perché a ritenere ammissibile questa sorta di scomposizione del ricorso in più elementi, con conseguente loro assoggettamento a diversi regimi processuali, si creerebbe una preoccupante incertezza sui presupposti di adizione del giudice, potenzialmente foriera di illegittimità, anche costituzionali. Dunque la prospettazione andrebbe disattesa per evitare ostacoli ad un agevole accesso alla tutela giurisdizionale avverso gli atti della Pubblica Amministrazione.

In ogni caso l’eccezione è comunque smentita in fatto, perché, come pacificamente ammesso nello stesso atto di appello, dopo la sentenza n.-OMISSIS-, il -OMISSIS- presentò un progetto “nuovo” per il completamento della sistemazione della zona oggetto di sbancamento, il che rivela che l’iniziativa era innovativa, e non finalizzata, neppure implicitamente, ad attuare quella precedente decisione giurisdizionale. Che si trattasse di un’attività del tutto nuova, lo dimostrano anche le prescrizioni impartite dal Parere della Commissione tecnico-urbanistica del 4 settembre del 2013 che si espresse favorevolmente a condizione che il ripristino avvenisse “con l’apporto di terreno vegetale in maniera tale da riconfigurare le quote del terreno secondo lo stato preesistente e che la piantumazione di essenze arboree avvenga nel rispetto delle norme di codice civile sui confini di proprietà” , senza dunque espressamente richiamare la precedente sentenza di annullamento.

Il quarto motivo di appello – già incidentalmente ricordato- contesta che gli interventi censurati, proprio in quanto autonomi, e diversi da quello che fu l’oggetto della sentenza del TAR n.-OMISSIS-, sarebbero di per sé legittimi, essendo stati preceduti da un regolare procedimento amministrativo, nel quale vennero acquisiti i prescritti pareri, tutti favorevoli.

L’obiezione omette di considerare che i pareri espressi sul progetto, come anticipato, non tennero conto dell’ordine di ripristino contenuto nella prima sentenza del TAR, ordine che invece ha rappresentato il parametro di legittimità di detto progetto per la verificazione disposta dal Tribunale.

Che quell’obbligo sia stato violato lo dimostrano inequivocamente i dati emersi da quest’ultima, la quale ha acclarato che i luoghi oggetto dell’intervento non sono stati riportati allo status quo ante, perché il versante ha subìto una riconformazione del tutto incompatibile con l’integrale rimessione in pristino ordinata.

Inoltre, l’atto istruttorio ha verificato che lo scavo di sbancamento è stato effettuato senza rispettare la distanza prevista dalla legge, rispetto al ciglio della strada comunale e che non risulta ripristinata la quota altimetrica originaria, che peraltro era attestata nella documentazione tecnica che la stessa parte aveva allegato alla richiesta del permesso di costruire.

Su quest’ultimo punto, parte appellante obietta che l’indicazione di tale quota in quell’occasione era solo virtuale. In realtà – a parte che non si comprenderebbe l’utilità tecnica di un’indicazione siffatta, che dunque pare una giustificazione postuma e poco credibile (e che oltretutto potrebbe integrare una falsa dichiarazione sullo stato dei luoghi) – va osservato che la stessa non offre elementi idonei a comprovare un’altezza diversa di detta quota, dunque la replica in esame deve, a maggior ragione, ritenersi inconferente.

Le ulteriori contestazioni degli esiti della verifica d’ufficio - che parte appellante articola, anche valendosi di una consulenza di parte - sono poi generiche ed altrettanto prive di riscontri, quindi, considerando anche che esprimono critiche a valutazioni tecnico—discrezionali che sfuggono all’oggetto del presente giudizio, vanno parimenti disattese.

In definitiva si deve ritenere processualmente accertato che lo stato dei luoghi, conseguente ai nuovi lavori realizzati rivela la violazione dell’obbligo dell’integrale ripristino dello status quo ante disposto dalla sentenza -OMISSIS-, incombente sul proprietario, attuale appellante.

Anche questo motivo va pertanto disatteso.

Col quinto motivo, infine, si intende far valere la violazione del principio del “ne bis in idem” , parimenti non ritenuta sussistente dal giudice di prime cure. La stessa sarebbe configurabile, secondo l’appellante, nella sua esposizione al rischio di una doppia sanzione, l’una indebitamente irrogata, consistente nella misura ripristinatoria inflittagli dal TAR con la più volte ricordata sentenza del -OMISSIS-, e l’altra rappresentata dal processo penale al quale è stato sottoposto dinanzi al tribunale penale di Campobasso. A maggior ragione perché quest’ultimo si è concluso con una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, la n.-OMISSIS-.

Neppure questa eccezione è fondata, perché, contrariamente a quanto sostenuto dal motivo di appello, per l’unanime giurisprudenza della Cassazione, alla quale si rinvia e dalla quale non vi è motivo di discostarsi, l’ordine di ripristino non riveste natura penale, ma ha natura di misura reale e, per l’appunto, ripristinatoria (ex multis Cassazione penale sez. III, 21 gennaio 2020, n.18463 “L'ordine di demolizione del manufatto abusivo imposto dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 costituisce una sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria, venendo considerato il solo oggetto del provvedimento, prescindendo del tutto dall'individuazione di responsabilità soggettive. Non potendo qualificarsi come pena in senso convenzionale, perché privo di finalità punitiva, non è soggetto alla prescrizione stabilita dagli artt. 173 c.p.(per le sanzioni penali) e 28 l. n. 689 del 1981 (per le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva) e deve, altresì, escludersi che comporti la violazione del principio del “ne bis in idem” convenzionale.”

Questi motivi inducono al rigetto dell’appello. Il rigetto dell’appello principale esonera dal valutare i motivi di ricorso originari, ritenuti assorbiti dal giudice di prime cure, e riproposti dalla parte appellata nel presente giudizio d’appello. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

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