Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-05-09, n. 202404167
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Testo completo
Pubblicato il 09/05/2024
N. 04167/2024REG.PROV.COLL.
N. 02485/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2485 del 2024, proposto dal sig. -OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avvocato F M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
la Presidenza della Repubblica Italiana e il Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024, il Cons. G P e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Nel giudizio di primo grado definito con la sentenza qui impugnata, l’odierno appellante ha contestato la legittimità del D.P.R. prot. -OMISSIS- emesso in data 1 luglio 2022, recante l’annullamento in autotutela del decreto, in data 5 ottobre 2016, di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f ), della legge 5 febbraio 1992, n. 91.
2. A fondamento del provvedimento di annullamento d’ufficio l’Amministrazione ha rappresentato che il decreto di concessione della cittadinanza, in precedenza adottato in favore del ricorrente, risultava inficiato da alcune anomalie istruttorie conseguenti alla condotta fraudolenta di un funzionario infedele del Ministero dell’Interno (condotta divenuta poi oggetto del procedimento penale n. -OMISSIS- R.G.N.R. PM e n.-OMISSIS- R.G. Ufficio G.I.P - G.U.P., instaurato presso il Tribunale di Roma) sospettato di avere agevolato - pur in presenza di gravi elementi ostativi - la favorevole o accelerata definizione di circa 500 pratiche di concessione della cittadinanza, ivi compresa tra queste quella relativa all’odierno ricorrente.
Il succitato procedimento penale si è concluso, nei confronti del funzionario - già condannato in via definitiva per l’illecita attribuzione di circa 100 cittadinanze nell’ambito del procedimento stralcio n. -OMISSIS- - con l’emanazione di una ulteriore sentenza di condanna emessa in data 11 maggio 2022 dal G.U.P. presso il Tribunale di Roma.
3. Nel giudizio di primo grado, il ricorrente ha contestato sotto svariati profili l’atto impugnato del 1° luglio 2022, lamentando il fatto che l’Amministrazione avesse mancato:
i) di indicare e documentare quali sarebbero, in concreto, i “ gravi motivi ostativi ” alla concessione della cittadinanza italiana, in termini di requisiti reddituali, di durata della residenza sul territorio nazionale, di assenza di precedenti penali ostativi;
ii) di operare un’adeguata ed effettiva comparazione degli interessi in gioco, che tenesse conto realmente, al di là della inconsistente formula di rito, degli interessi privati lesi dal provvedimento impugnato;
iii) di considerare la totale estraneità del ricorrente agli eventuali difetti istruttori in ipotesi rilevabili nel procedimento ma comunque addebitabili in via esclusiva ai pubblici Uffici competenti;
iv) di salvaguardare l’affidamento certo, chiaro ed assolutamente legittimo maturato dalla parte privata nella stabilità del titolo di cittadinanza acquisito nel 2016.
4. Con sentenza n. 14165 del 2023 il Tar Lazio ha respinto il ricorso, osservando in punto di fatto e di diritto che:
-- il caso esaminato “ rientra in un filone di ricorsi concernenti circa 500 stranieri, nella maggior parte accomunati dalla provenienza dalla medesima area geografica e dal fatto che, dopo aver conseguito la cittadinanza, si sono trasferiti all’estero (quasi tutti nel Regno Unito) ”;
-- è fuori discussione “ il fatto che il funzionario infedele abbia evocato a sé le pratiche di cittadinanza, attribuendo ai richiedenti lo status, nonostante non fossero in possesso dei requisiti, o comunque, anche ove posseduti, anticipando i tempi di concessione dello stesso, con ingiustificata priorità rispetto ad altri richiedenti che si sono trovati per conseguenza “scavalcati”;in entrambi i casi perpetrando un favoritismo in contrasto con i valori di uguaglianza che costituiscono principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico ”;
-- che il richiamo agli esiti della duplice vicenda penale richiamata in premessa integra i requisiti di un idoneo corredo motivazionale del provvedimento impugnato, “ non risulta (ndo) d’altra parte dirimente, al fine dello scrutinio della legittimità dell’annullamento d’ufficio del precedente decreto di concessione della cittadinanza e del conseguente diniego di quest’ultima, l’asserita lesione del principio del legittimo affidamento discendente dalla dedotta estraneità del ricorrente al procedimento penale sotteso al provvedimento impugnato, tenuto conto della gravità del fatto, relativo a quello che è stato definito una sorta di “mercato” delle pratiche della cittadinanza, in relazione al quale è possibile presupporre l’esistenza di un accordo criminoso e il conseguente coinvolgimento di un gran numero di soggetti a vario titolo interessati”;in tale prospettiva, d’altra parte, non può “attribuirsi rilievo “all’elemento psicologico del richiedente, che non può superare il dato oggettivo del coinvolgimento dell’istanza nel meccanismo del mercimonio delle cittadinanze ”;
-- che “ nel caso di specie non risulta comunque ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione, che sia venuta a conoscenza in ritardo dell’erroneità dei presupposti sui quali è fondato il provvedimento, il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva (cfr. Cons. St., Sez. V, n. 3940/2018), tenuto altresì conto delle tempistiche del succitato procedimento penale conclusosi con sentenza di condanna.
Data la particolare complessità della vicenda, anche in riferimento al numero di pratiche interessate ed alla necessità di informare gli attori coinvolti nel delicato procedimento di concessione della cittadinanza, che peraltro prevede il suggello del Presidente della Repubblica, non appare dunque irragionevole che l’impugnato provvedimento è stato emanato in data 1 luglio 2022, ovvero a distanza di 6 anni dal provvedimento originario di concessione della cittadinanza, essendo comunque intervenuto a meno di due mesi dalla sentenza di primo grado dell’11 maggio 2022 che, riconoscendo la sussistenza delle ipotesi di reato formulate in sede di indagini, ha dato conferma della necessità dell’intervento demolitorio.
Come precisato nel rapporto difensivo della PA, le modalità di trattazione della domanda dell’odierno ricorrente evidenziano infatti come la pratica in questione sia stata scelta e istruita al di fuori dei compiti assegnati alla dipendente sottoposta al giudizio penale, essendo il relativo procedimento attribuito, in base al numero identificativo, alla competenza esclusiva di un’area diversa rispetto a quella cui l’istruttrice era assegnata, il che fa escludere logicamente la sussistenza di un eventuale legittimo affidamento del ricorrente alla conservazione dello status civitatis italiano.
Siffatte conclusioni sono state del resto confermate dalla sentenza della Corte d’Appello Penale di Roma n. -OMISSIS-, di cui al precedente procedimento n. -OMISSIS-, la quale ha ribadito la “sicura illegittimità delle procedure seguite dalla funzionaria attraverso la manipolazione del sistema informatico, della violazione delle regole sulla competenza e l’ordine di trattazione delle pratiche dalla stessa commessa, e della frequente attribuzione della cittadinanza, in cambio di un maggior compenso, a soggetti sforniti dei relativi requisiti … Ne consegue che, in presenza di una concessione, radicalmente illegittima, del massimo status giuridico nazionale, solamente un contrarius actus può costituire valido rimedio (TAR Lazio, sez. V-bis, n. 3170/2022;sez. I-ter, n. 9069/2021), essendo il riscontrato difetto di istruttoria riconducibile ad un fatto costituente reato, in grado di mettere in pericolo al massimo grado quegli stessi interessi pubblici, presidiati dal complesso di controlli e verifiche rigorose che si impongono nell’esercizio del potere concessorio de quo ”;
-- che “ quanto all’interesse del ricorrente, da valutarsi nel necessario contemperamento in sede di autotutela, non può che rilevarsi l’imprescindibile e preminente esigenza di trasparenza e credibilità dell’azione amministrativa, nonché di salvaguardia dei principi di imparzialità e buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione - non a caso indicati come “vero cardine della vita amministrativa e quindi condizione dello svolgimento ordinato della vita sociale” (Corte Cost., sentenza n. 123 del 1968) - che hanno reso ineludibile l’intervento demolitorio sui procedimenti viziati ”.
5. Il ricorrente impugna la sentenza di prime cure reiterando le censure che assume non essere state adeguatamente esaminate dal primo giudice, in particolar modo per quanto concerne le deduzioni relative alla violazione dell’affidamento e del principio di proporzionalità, alla mancata enunciazione delle ragioni ostative alla concessione della cittadinanza, all’abnorme ritardo temporale (sei anni dal rilascio del titolo di cittadinanza) con il quale è intervenuta l’autotutela, alle implicazioni pratiche che l’atto di annullamento determina sulla sua posizione specifica (non avendo egli mai più provveduto al rinnovo del suo passaporto bengalese, il che lo rende privo di status civitatis ed impossibilitato sia a richiedere documenti titoli o documenti di viaggio transfrontalieri, sia a rientrare in Italia, sede di legami familiari e di interessi di natura economica).
6. A seguito della costituzione formale delle due Amministrazioni intimate, indicate in epigrafe, la causa è passata in decisione ai sensi dell’art. 60 c.p.a. all’udienza del 23 aprile 2024.
7. L’appello è infondato, per le ragioni già illustrate dalla Sezione in una pronuncia (la n. 5508 del 2023, che a sua volta richiama le sentenze nn. 4687 e 11485 del 2022) resa su fattispecie del tutto speculare a quella qui in esame, in quanto riguardante un individuo di origine bengalese, titolare, come nel caso de quo , di cittadinanza italiana dal 2016 e residente in Inghilterra, che si dichiarava estraneo alla vicenda penale sottesa ai rilevati difetti istruttori del procedimento di rilascio della cittadinanza.
Anche nella fattispecie oggetto dell’odierno appello, così come nella vicenda esaminata nel 2023, dagli atti istruttori si evince che la pratica è stata scelta e gestita al di fuori dei compiti assegnati alla dipendente sottoposta al giudizio penale, in quanto il relativo procedimento è stato attribuito, in base al numero identificativo, alla competenza esclusiva di un’area diversa rispetto a quella cui l’istruttrice era assegnata.
L’elemento distintivo che connota la fattispecie qui di interesse - differenziandola in parte qua da quella esaminata nel 2023 - attiene al fatto che il quadro probatorio a supporto del vizio istruttorio si è nel frattempo irrobustito, essendo intervenuta anche la seconda sentenza di condanna (emessa nel 2022), in aggiunta alla prima pronunciata nell’ambito del procedimento stralcio n. -OMISSIS-.
7.1. Sulla base di questa decisiva premessa in fatto, nel senso della reiezione dell’appello a fortiori rilevano i passaggi argomentativi svolti nel precedente del 2023 (qui richiamati anche ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d ), c.p.a.), intesi ad evidenziare:
-- la sussistenza di elementi istruttori sufficienti per poter affermare che il rilascio del decreto di concessione della cittadinanza italiana all’interessato sia stato effettivamente determinato dall’ingerenza della dipendente infedele nel sistema informatico Sicitt del Ministero dell’Interno;
-- l’idoneità di tale elemento a concretizzare la fattispecie invalidante che legittima l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, pur a fronte dell’asserita estraneità dell’interessato alla vicenda penale che ha coinvolto la dipendente infedele, estraneità argomentata sul fatto che egli non è risultato destinatario né di pronunce di condanna, né di specifiche attività di indagine: invero, “ tali rilievi non sono idonei a scalfire il legame, rilevante ai fini della presente decisione, tra la genesi del provvedimento di concessione della cittadinanza all’appellante e la suddetta fattispecie criminosa e, in definitiva, a smentire l’incidenza dei reati accertati sull’adeguatezza del provvedimento in rapporto all’interesse pubblico che esso è fisiologicamente destinato a realizzare, in armonia e non in contrapposizione con quello del richiedente ”;
-- la considerazione che “ l’eventuale sussistenza dei pareri favorevoli e, in generale, dei requisiti previsti dalla normativa in materia di cittadinanza – che non potrebbe essere verificata recta via dal giudice amministrativo – non pare sufficiente ad emendare il provvedimento di concessione della cittadinanza da un vizio a monte e - come correttamente rilevato dal giudice di primo grado - intrinsecamente insanabile, alla luce dell’origine criminosa dell’atto stesso, peraltro giudizialmente accertata in modo definitivo ”, atteso che “ tra l’interesse del richiedente alla conservazione di uno status illecitamente - e non solo illegittimamente - conseguito e quello dell’ordinamento alla caducazione dello stesso, deve ritenersi prevalente, ragionevolmente, il secondo ”.
Dunque, “ anche l’eventuale sussistenza dei presupposti per l’ottenimento del provvedimento favorevole non sarebbe, in ogni caso, idonea ad elidere, ove accertata, la componente illecita dello stesso, connessa alle modalità fraudolente con le quali è stato conseguito ” mentre “ l’innegabile coinvolgimento dell’appellante nella vicenda criminosa – quantomeno nella forma, minima ed incontestabile, del suo consapevole apporto all’aggiramento delle procedure ordinarie e della tempistica che le scandisce – non consente di configurare, in capo al medesimo, alcuna posizione di affidamento meritevole di bilanciamento con l’interesse pubblico alla gestione delle pratiche di cittadinanza secondo i citati canoni di imparzialità e trasparenza ”;
-- l’ulteriore considerazione che il decreto di concessione della cittadinanza non è riconducibile ai provvedimenti di “ autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici ” di cui all’art. 21 nonies L. n. 241/1990 - per i quali è previsto un rigido sbarramento temporale – e che, comunque, alla luce dello svolgimento della vicenda concreta, l’emanazione del provvedimento di secondo grado impugnato in prime cure è avvenuta entro un termine ragionevole, in quanto adottato a distanza di pochi mesi dalla sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 11 maggio 2022, che ha accertato, in primo grado, la complessa vicenda criminosa riguardante anche la pratica di cittadinanza dell’appellante e che, in definitiva, ha reso palese il grave deficit istruttorio idoneo a invalidare l’atto di concessione dello status civitatis .
7.2. Quanto ai problematici risvolti di carattere pratico che il ricorrente associa agli effetti del provvedimento impugnato, occorre anche in questa sede ribadire che gli stessi rappresentano ricadute secondarie ed indirette dell’atto impugnato la cui “ rappresentazione (…) denota (…) il piegamento del titolo di cittadinanza ad un interesse di carattere strumentale, quale è quello connesso alla conservazione della residenza in altro Stato, che ne affievolisce ulteriormente la portata a fronte di quello perseguito dall’amministrazione ”, dovendosi in tal senso rilevare “ come l’acquisto della cittadinanza italiana non possa fondarsi sul mero interesse alla residenza nel territorio nazionale ” e che, comunque, ad abundantiam , “ qualora l’appellante dovesse fare rientro in Italia, non è escluso che egli possa richiedere un titolo di soggiorno nel rispetto dei necessari presupposti di legge ”.
7.3. Dunque, nel contesto descritto, la soluzione meglio idonea a realizzare il giusto contemperamento degli interessi contrapposti è quella consistente nell’ “azzeramento” della vicenda procedimentale così radicalmente inficiata dalla menzionata condotta criminosa, e nel trasferimento della tutela dell’interesse sostanziale del richiedente la concessione della cittadinanza al nuovo procedimento concessorio che dovesse essere instaurato a seguito dell’eventuale rinnovazione, da parte del medesimo, della relativa istanza.
8. Il richiamato percorso argomentativo risolve unitariamente il complesso delle censure mosse avverso il provvedimento impugnato in primo grado e rivela l’inconsistenza dell’assunto - posto a base dell’atto di appello - di una inadeguata motivazione della sentenza impugnata, la quale, al contrario, espone considerazioni esaustive e del tutto in linea con quelle illustrate nei precedenti di questa Sezione.
9. Per le ragioni esposte che sinteticamente - in aderenza all’art. 60 del codice del processo amministrativo - toccano tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., l’appello deve essere integralmente respinto.
9. Sussistono giuste ragioni, in considerazione della delicatezza degli interessi coinvolti, per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.