Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-06-11, n. 202104514

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-06-11, n. 202104514
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104514
Data del deposito : 11 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/06/2021

N. 04514/2021REG.PROV.COLL.

N. 06610/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6610 del 2020, proposto da Federfarma Rimini - Associazione Sindacale Titolari di Farmacia della Provincia di Rimini, Farmacia Abbondanza, Farmacia al Ponte, Farmacia al Porto, Farmacia Amadei, Farmacia Antica al Lido, Farmacia Arrigoni, Farmacia Balducci, Farmacia Ballotta, Farmacia Balneare, Farmacia Banci, Farmacia Barocci, Farmacia Basigli, Farmacia Beato Amato, Farmacia Bellariva, Farmacia Camporesi, Farmacia Cantelli, Farmacia Celle, Società Farmacie Viserbesi, Farmacia Centrale, Farmacia Centrale 147, Farmacia Cioni, Farmacia Corpolò, Farmacia del Pino, Farmacia dell'Alba, Farmacia dell'Amarissimo, Farmacia dell'Arcangelo, Farmacia dell'Ospedale, Farmacia della Speranza, Farmacia Deluigi, Farmacia Donati Merlini, Farmacia Duprè, Farmacia San Savino, Farmacia Foschi, Farmacia Ricci, Farmacia Gotti, Farmacia Guerra, Farmacia Igea, Farmacia Lavanna Rosati, Farmacia Lido, Farmacia Massani, Farmacia Mattozzi, Farmacia Miramare, Farmacia Misano, Farmacia Murattini, Farmacia Nuova, Farmacia Olivi, Farmacia Pagnini, Farmacia Pianini Mazzucchetti, Farmacia Pieralisi, Farmacia Poggio Berni, Farmacia Raganato, Farmacia Rasponi, Farmacia Rivazzurra, Farmacia San Gaudenzo, Farmacia San Michele, Farmacia Sant'Antonio, Farmacia Sant'Antonio di Rossi, Farmacia Tomei, Farmacia Tonini, Farmacia Torriana, Farmacia Trebbio, Farmacia Valentini, Farmacia Vallesi, Farmacia Venturini, Farmacia Versari, Farmacia Villaggio Nuovo, Farmacia del Kursal, Farmacia Viserbella, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore , tutti rappresentati e difesi dall'avvocato A Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Rosaria Russo Valentini, R B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Maria Rosaria Russo Valentini in Roma, piazza Grazioli 5;
Azienda U.S.L. della Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M F e Guido Maria Pottino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Guido Maria Pottino in Roma, piazza Augusto Imperatore n. 22;
Federfarma - Federazione Nazionale Unitaria dei Titolari di Farmacia Italiani, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Luciani e P C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Massimo Luciani in Roma, l.go Tevere Raffaello Sanzio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Seconda) n. 00902/2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Emilia Romagna, dell’Azienda U.S.L. della Romagna e di Federfarma - Federazione Nazionale Unitaria dei Titolari di Farmacia Italiani;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 aprile 2021 il Cons. G T e uditi per le parti gli avvocati A Z, R B, P C e M F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza n. 902/2019 il T.A.R. Emilia-Romagna ha rigettato il ricorso proposto da Federfarma Rimini ed altri per l’accertamento dell’inadempimento dell’accordo sottoscritto il 1° febbraio 2007 fra la Regione Emilia Romagna e le Associazioni di categoria dei farmacisti territoriali sull'attività di distribuzione di cui all'art. 8 1. n. 405/2001, recepito con DGR Emilia Romagna n.166/2007 e successive proroghe del 29/06/2009 (DGR Emilia Romagna n.2305/2008);
del 31/07//2009 (DGR Emilia Romagna n. 1071/2009 e DGR Emilia Romagna n. 1365/2009);
del 23/07/2010 (DGR Emilia Romagna n. 1143/2010);
del 14/07/2011 (DGR Emilia Romagna n.918 /2012) e del 04/03/2013 (DGR Emilia Romagna 476/2013), nonché la condanna al risarcimento del danno.

Con ricorso in appello notificato il 21 luglio 2020, e depositato il successivo 13 agosto, gli appellanti indicati in epigrafe hanno impugnato la predetta sentenza.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, la Regione Emilia Romagna e l’Azienda U.S.L. della Romagna.

La Regione Emilia-Romagna ha altresì gravato con appello incidentale la sentenza non definitiva n. 1011/2016, resa nel giudizio di primo grado, nella parte in cui avrebbe affermato la natura vincolante degli accordi.

Si è altresì costituita in giudizio, chiedendo l’accoglimento dell’appello principale ed il rigetto dell’appello incidentale, Federfarma – Federazione Nazionale Unitaria dei Titolari di Farmacia Italiani.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza del 22 aprile 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020 n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell'art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, attraverso collegamento in videoconferenza secondo le modalità indicate dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

2. La sentenza di primo grado ha rigettato la domanda di accertamento, proposta da Federfama Rimini e da alcune Farmacie, della violazione e mancata attuazione, da parte dell’Azienda Sanitaria Locale di Rimini, dell’Accordo sottoscritto in data 1° febbraio 2007 (recepito con Delibera di Giunta regionale 12 febbraio 2007 n. 166) e successive proroghe, con riferimento alla distribuzione diretta (DD) e per conto (DPC) dei farmaci, e la connessa domanda risarcitoria.

I ricorrenti lamentavano la violazione del predetto accordo regionale:

a) per superamento dei limiti numerici previsti per la modalità di distribuzione diretta del farmaco;

b) perché non si sarebbe raggiunto il numero minimo di pezzi da distribuirsi con il sistema della dispensazione per conto;

c) perché, con riguardo al territorio della Provincia di Rimini, l’AUSL della Romagna non avrebbe curato la riscossione del ticket e della quota a carico del cittadino.

La sentenza del T.A.R., che è stata resa nel giudizio di riassunzione conseguente a precedente declaratoria di inammissibilità per difetto di giurisdizione del Tribunale di Rimini, ha ritenuto infondato il ricorso di primo grado.

Con precedente sentenza non definitiva n. 1011/2016, oggetto di appello incidentale, il T.A.R. aveva disposto degli incombenti istruttori, dopo avere però affermato che “ L’accordo, stando alle sue parti testualmente citate, deve ritenersi senz’altro vincolante per quanto attiene al contenimento dei volumi della distribuzione diretta dei farmaci extra PHT da parte delle singole ASL nei limiti di pezzi e di valore complessivi accertati al 31 dicembre 2008. La specificità del risultato contenitivo previsto e il tenore della clausola convenzionale impediscono di considerare la stessa come meramente programmatica, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione Emilia Romagna ”.

La richiamata sentenza aveva comunque successivamente precisato che “Non è di chiarissima interpretazione però la parte della clausola in cui da un lato il contenimento è riferito alle singole ASL, dall’altro si parla di «limiti di pezzi e di valore complessivi», con ciò ingenerando il dubbio che il limite vada riferito alle ASL complessivamente considerate e non a ogni singola ASL. La medesima ambivalenza si riscontra nel passaggio successivo, in cui da un lato i dati di riferimento sembrano essere quelli delle singole ASL «che in base ai dati del 2008 evidenziano uno scollamento particolarmente significativo nella distribuzione extra PHT» (….). Non è perciò possibile attribuire all’espressione «forme omogenee di distribuzione che si avvicinino all’attuale media regionale entro il 31/12/2010» il senso che alla stessa attribuiscono i ricorrenti (che ne fanno un criterio preciso di accertamento dell’entità del credito che ritengono di vantare nei confronti dell’ASL resistente). Quanto all’interpretazione della clausola di contenimento, il Collegio ritiene che la parte programmatica e quella vincolante vadano tenute distinte, sicché, tenendo conto dell’esplicito riferimento del contenimento alle singole ASL, le pretese dei ricorrenti devono essere riferite ai dati che riguardano la sola AUSL di Rimini”.

3. I motivi di appello deducono il contrasto della sentenza gravata con la richiamata sentenza parziale (peraltro oggetto di appello incidentale), in punto di interpretazione del contenuto degli accordi, nonché la violazione dell’art. 11 della legge 241/1990.

Il secondo motivo, logicamente dipendente dagli altri, lamenta il danno da mancata percezione del ticket, nonché danni collaterali (concernenti l’accesso dei pazienti presso le farmacie: “a causa dello sviamento degli utenti verso erogazione gratuita, la farmacia territoriale perde non solo la cessione del farmaco ma anche la normale cessione di prodotti extra SSN che l’utente, trovandosi già nella farmacia, normalmente acquisterebbe in quell’esercizio”).

4. L’accordo di cui si controverte è stato stipulato (e la sua efficacia è stata poi prorogata) in attuazione della disposizione di cui all’art. 8, comma 1, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito dalla legge 16 novembre 2001, n. 405.

Ritiene pertanto il collegio che il percorso metodologico per scrutinare la fondatezza o meno delle pretese degli appellanti implichi una triplice indagine:

1) sulla natura giuridica e la funzione degli accordi ex art. 8 d.l. 347/2001 (anche nella prospettiva dell’individuazione dei rimedi per la loro violazione);

2) sul contenuto specifico dei singoli accordi che si assumo violati;

3) sulla effettiva sussistenza delle violazioni dedotte.

5. L’art. 8, comma 1, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, stabilisce che “ Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, anche con provvedimenti amministrativi, hanno facoltà di:

a) stipulare accordi con le associazioni sindacali delle farmacie convenzionate, pubbliche e private, per consentire agli assistiti di rifornirsi delle categorie di medicinali che richiedono un controllo ricorrente del paziente anche presso le farmacie predette con le medesime modalità previste per la distribuzione attraverso le strutture aziendali del Servizio sanitario nazionale, da definirsi in sede di convenzione regionale;

b) assicurare l'erogazione diretta da parte delle aziende sanitarie dei medicinali necessari al trattamento dei pazienti in assistenza domiciliare, residenziale e semiresidenziale;

c) disporre, al fine di garantire la continuità assistenziale, che la struttura pubblica fornisca direttamente i farmaci, limitatamente al primo ciclo terapeutico completo, sulla base di direttive regionali, per il periodo immediatamente successivo alla dimissione dal ricovero ospedaliero o alla visita specialistica ambulatoriale ”.

In merito alla natura e alla funzione di tali accordi, si è osservato in giurisprudenza che “ La norma, in realtà, vuole solo consentire il controllo della spesa sanitaria per determinare una sorta di stabilizzazione dei volumi da commerciare ” (Corte di Cassazione, sentenza n. 12559/2012).

In senso analogo anche questa Sezione, nella sentenza n. 3479/2010, ha avuto modo di affermare che “ le regioni, anche con provvedimenti amministrativi, possono stipulare accordi con le associazioni sindacali delle farmacie convenzionate, pubbliche e private, per consentire agli assistiti di rifornirsi delle categorie di medicinali che richiedono un controllo ricorrente del paziente anche presso le farmacie predette con le medesime modalità previste per la distribuzione attraverso le strutture aziendali del Servizio sanitario nazionale, da definirsi in sede di convenzione regionale. Peraltro l'accordo oggetto di approvazione con la delibera in esame si inserisce nel quadro della ricorrente necessità di limitare la spesa pubblica in materia sanitaria ”.

La finalità di controllo della spesa pubblica farmaceutica è rimarcata altresì dalla sentenza del T.A.R. della Valle d’Aosta, n. 90/2008 : “ la ratio del citato art. 8, oltre che quella dell'art. 4, è in linea con esigenze di contenimento della spesa pubblica, come dimostrano i lavori preparatori relativi alla sua stesura: la formulazione della lettera "a" della norma scaturisce infatti da un emendamento, presentato al Senato, motivato dal relatore adducendo lo scopo di "apportare qualche aggiustamento in merito alla distribuzione diretta dei farmaci per consentire che essa avvenga capillarmente, utilizzando il sistema delle farmacie, senza perdere il beneficio dell'acquisto con lo sconto del 50%" (TAR Puglia, Bari, I, 21/5/2003, n. 1979). (….) L'aver affidato ad un provvedimento amministrativo regionale la facoltà di ampliare le categorie di medicinali per i quali è ammessa la distribuzione diretta non è sintomatico di irragionevolezza, ma testimonia della discrezionalità affidata dal legislatore nazionale alle regioni di approntare sistemi utili a contenere la spesa farmaceutica, nell'interesse pubblico e nel rispetto del mutato quadro delle competenze normative fissato dal titolo V della Costituzione;
l'estensione dello sconto obbligatorio sui farmaci costituisce prestazione patrimoniale imposta di natura tributaria, per cui non è prospettabile una incidenza sul diritto di iniziativa economica privata, che si riferisce ad ambiti diversi da quello impositivo (TAR Toscana, II, 21/4/2005, n. 1773;
idem, 20/4/2002, n. 916;
TAR Piemonte, II, 20/4/2002, n. 916)
”.

6. La norma sarebbe dunque ispirata al principio della prevalenza della distribuzione diretta: “previo accordo” perché, in via derogatoria rispetto alla regola generale, si attribuiscono alle farmacie funzioni proprie delle strutture sanitarie pubbliche (distribuzione capillare di farmaci che necessitano di un controllo).

Questo è lo specifico profilo causale, normativamente individuato, dello strumento convenzionale di cui si assume la violazione.

L’accordo in questione, in considerazione del suo contenuto e della sua funzione, non ha pertanto natura di negozio giuridico di diritto privato, perché regola quelli che la dottrina definisce beni sottratti alla comune circolazione giuridica.

Esso va piuttosto qualificato – coerentemente, peraltro, alla prospettazione posta a fondamento del terzo motivo di appello - all’interno della categoria disciplinata dall’art. 11 della legge n. 241/1990, come accordo di natura endoprocedimentale ed integrativa, avente contenuto destinato a riversarsi nel provvedimento finale (tutti gli accordi allegati sono stati poi seguiti dalle relative DGR).

Si tratta pertanto di accordi che sono espressione di potere amministrativo, secondo la tesi “pubblicistica” prevalente in dottrina (recentemente condivisa in giurisprudenza dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 27768/2020), e già formulata dall’Adunanza Generale di questo Consiglio di Stato nel parere 19 febbraio 1987, n. 7, reso sullo schema della c.d. legge generale sul procedimento amministrativo.

In dottrina si è, in particolare, affermato che nella categoria disciplinata dal citato art. 11 “l’obbligazione discendente dall’accordo consiste nella specificazione di un dovere scaturente dalla legge”.

6.1. In tale prospettiva riveste una importanza decisiva il profilo causale: inteso non già, come in materia negoziale, nella sua dimensione volontaristica (ancorché oggettivata dalla funzione dello scambio), bensì quale corrispondenza con l’interesse pubblico che giustifica l’attribuzione del potere all’amministrazione (potere che, una volta riconosciuta la natura pubblicistica dell’istituto, viene sì esercitato con un atto avente struttura non unilaterale, ma che non perde per ciò la sua natura e la sua connotazione disciplinare).

Si è così affermato in dottrina che in materia di accordi la causa svolge un “precipuo ruolo negativo – in virtù del richiamo legislativo all’elemento teleologico (interesse pubblico) contenuto nell’art. 11 – consistente nella delimitazione dell’ambito di negoziabilità prescritto dalla norma attributiva del potere amministrativo, laddove essa non ne predetermini esaustivamente tutti gli elementi”;
con la conseguenza che l’accordo consentirebbe di “consumare quei margini di scelta che la norma lascia indeterminati all’amministrazione, la quale può concordare con il destinatario del provvedimento le modalità con cui attuare in concreto la composizione tra valori delineata in astratto dalla norma”.

L’esercizio consensuale del potere si pone dunque in rapporto di mezzo a fine rispetto alla disciplina del potere medesimo (e dell’assetto d’interessi da essa implicato).

L’individuazione della causa dell’accordo muove dunque dall’esegesi della norma attributiva del potere, e in particolare dall’equilibrio fra gli interessi antagonisti che la stessa disegna.

Il connotato funzionale dell’accordo, che mira – in forma partecipata - al perseguimento di un interesse pubblico, si traduce – per opinione pacifica in dottrina - nel peculiare regime giuridico dell’atto, nel senso che la vincolatività dell’accordo (ma, prima ancora, la sua validità) è subordinata alla sua compatibilità con l’interesse pubblico, come normativamente cristallizzato.

7. Conseguenza della ridetta qualificazione è anzitutto l’esclusione di una responsabilità per inadempimento, sul modello (e secondo la disciplina) negoziale.

L’intera prospettazione delle parti appellanti suppone la qualificazione come inadempimento contrattuale della condotta dell’amministrazione, e su questa base individua le conseguenze rimediali.

In realtà, in punto di individuazione delle conseguenze della inesatta o incompleta attuazione del provvedimento che ha recepito l’accordo, la dottrina comunemente ritiene che esso sia soggetto all’ordinario regime pubblicistico, salvo per la parte riproduttiva dell’accordo, che si assume non revocabile ma sottoponibile a recesso (salvo indennizzo: che già di per sé implica la qualificazione come lecita dell’attività dell’amministrazione non conforme – per esigenze di tutela dell’interesse pubblico - all’accordo, pur se arrechi pregiudizio economico al privato).

8. Alla luce delle superiori premesse ricostruttive, i motivi di appello sono infondati.

Osserva anzitutto il Collegio che il vincolo nascente dalla richiamata sentenza non definitiva, peraltro oggetto di appello incidentale, non ha il significato che ad esso pretende di attribuire la parte appellante in via principale.

La sentenza non definitiva resa nel giudizio di primo grado non ha pronunciato su alcuna delle domande proposte in quel giudizio, ma ha unicamente disposto incombenti istruttori.

Gli unici due capi che hanno un contenuto decisorio risolvono questioni in rito: così quello che accoglie l’eccezione regionale di ampliamento del petitum con memoria rispetto all’oggetto della domanda come prospettata in ricorso;
così pure quello che rigetta l’eccezione di natura processuale della AUSL di Rimini, relativa alla legittimazione attiva dei ricorrenti in primo grado.

Il riferimento alla natura vincolante degli accordi, peraltro non privo di elementi dubitativi (con chiari riferimenti all’ “ambivalenza” delle previsioni pattizie e alla natura “programmatica” almeno di una parte di esse), è un obiter dictum contenuto nella parte che ricostruisce il fatto: che non risulta funzionale alla successiva pronuncia istruttoria (se non come mera premessa fattuale della rilevanza degli incombenti disposti, e comunque con salvezza di ogni valutazione in merito all’esito della decisione sul ricorso: l’ordine istruttorio è stato infatti pronunciato “delimitata la domanda di cui al primo motivo di ricorso, e riservata al definitivo ogni ulteriore determinazione in rito, in merito e sulle spese”).

La sentenza non definitiva, a parte la pronuncia sulle eccezioni richiamate, ha dunque disposto un’attività istruttoria relativa al (funzionale alla decisione sul) solo primo motivo di ricorso, concernente il dedotto superamento dei limiti numerici previsti per la modalità di distribuzione diretta del farmaco.

Proprio sulla base del successivo espletamento di tale istruttoria, il T.A.R., nella sentenza definitiva impugnata nel presente giudizio, ha escluso la sussistenza del fatto legittimante la pretesa.

La delimitazione dell’oggetto dell’istruttoria in funzione di uno dei motivi di ricorso, impregiudicata ogni successiva valutazione nel merito del motivo medesimo, non aveva dunque il significato vincolante che ad esso pretendono di attribuire gli appellanti.

Non vi è pertanto alcun contrasto, sul piano decisorio, fra le due sentenze: sia perché quella definitiva ha deciso coerentemente agli esiti dell’istruttoria in proposito disposta da quella non definitiva;
sia perché quest’ultima ha affermato la piena vincolatività di accordi e proroghe in un passaggio motivazionale non già funzionale ad una pronuncia parziale, ma meramente ricostruttivo della fattispecie, avente lo scopo, come detto, di delimitare l’oggetto dell’istruttoria.

9. In ogni caso, come accennato, quand’anche la sentenza non definitiva resa nel giudizio di primo grado avesse un’efficacia qualificatoria che sul punto avrebbe dovuto vincolare la decisione finale, il fatto che la stessa sia stata gravata con appello incidentale rimuove tale preteso ostacolo (e come tale priva di fondatezza le relative censure dell’appello principale), dal momento che tale gravame deduce, fondatamente, la non vincolatività della parte degli accordi che eccedono l’oggetto disciplinato dall’art. 8 del decreto-legge n. 347/2001.

Va infatti osservato, con riferimento all’oggetto specifico dell’accordo dedotto nel presente giudizio, che esso, nella sua versione originaria (1° febbraio 2007), presenta un contenuto significativamente ridotto rispetto a quello poi integrato nelle successive proroghe.

Nella versione originaria si stabiliva la cooperazione delle farmacie private nella distribuzione dei farmaci in questione, dietro previsione di una remunerazione.

Tale contenuto appare perfettamente conforme allo schema causale indicato dal citato art. 8 del decreto-legge n. 347/2001.

Nelle successive proroghe, e in particolare in quella in data 31 luglio 2009, si inseriscono invece ulteriori contenuti, concernenti la suddivisione delle quote di distribuzione fra il canale pubblico e il canale privato, che appaiono ulteriori rispetto all’oggetto (e alla funzione) degli accordi come previsto – in relazione all’assetto d’interessi fissato - dalla disposizione legittimante la stipula degli stessi.

9.1. Va anzitutto osservato che lo stesso ricorso in appello ammette a pag. 17 la difficoltà di attribuire un significato chiaro ed univoco ad un accordo risultante da una stratificazione di aggiunte, peraltro non sempre coerenti già sul piano lessicale (prima ancora che su quello logico-funzionale).

In presenza di un simile quadro l’interpretazione che ne ricavano gli appellanti (“E’ comunque chiaro: allo scopo dichiarato di giungere a una DDextraPHT omogenea nell’intera regione, RER impegna le ASL che hanno distribuito in forte eccesso “scollamento significativo” secondo i dati 2008, a “ridurre i volumi” al fine di portarsi vicino “all’attuale media regionale” entro il 2010”), oltre ad essere meramente soggettiva, propone essa stessa la ricostruzione dell’impegno dell’amministrazione in chiave meramente tendenziale.

9.2. In ogni caso, ad una valutazione strettamente giuridica, nell’ottica di un’interpretazione conservativa delle proroghe, che ne assicuri la compatibilità con la causa tipica come indicata dalla legge, deve ritenersi che l’amministrazione regionale abbia con tali indicazioni inteso assumere, in aggiunta agli originari contenuti, degli obiettivi programmatori tendenziali, anche all’esito di una prima fase di operatività del sistema misto, così consentendo ad entrambe le parti (quella pubblica e quelle private) di pianificare le relative attività.

Il tutto, evidentemente, al di fuori di un nesso di sinallagmaticità di natura negoziale (sul quale si fondano invece le pretese delle parti appellanti).

9.3. L’oggetto degli accordi ex art. 8 cit., per come normativamente perimetrato, concerne infatti: a) il fatto di “consentire agli assistiti di rifornirsi delle categorie di medicinali che richiedono un controllo ricorrente del paziente anche presso le farmacie” convenzionate;
b) la definizione di modalità di distribuzione corrispondenti a quelle “previste per la distribuzione attraverso le strutture aziendali del Servizio sanitario nazionale” (evidentemente allo scopo di evitare che il diverso canale di distribuzione possa comportare un decremento assistenziale).

Rispetto a tali oggetti le parti assumono obblighi reciprocamente vincolanti.

Ogni altra pattuizione accessoria, specie se relativa a profili (di organizzazione del servizio pubblico) non negoziabili, o quanto meno affidati alla cura di poteri il cui esercizio – in ragione della natura degli interessi implicati e delle plurime esigenze relative agli stessi - risulta incompatibile con la logica dell’adempimento di prestazioni corrispettive, se non radicalmente inconciliabile con tale oggetto appare comunque insuscettibile di produrre analoghi vincoli, a meno di snaturare la causa tipica degli accordi in esame per come previsti e disciplinati dalla legge.

D’altra parte, è lo stesso ricorso in appello (a pag. 15) a sottolineare che la finalità dell’integrazione del 2009 sarebbe correlata all’esigenza di omogeneità territoriale della distribuzione, cui è evidentemente estraneo (almeno direttamente) un interesse patrimoniale dei farmacisti, trattandosi piuttosto della cura dell’interesse pubblico ad una efficace ed efficiente distribuzione dei farmaci: che va evidentemente perseguito in concreto sulla base di parametri – relativi alla situazione terapeutica dei pazienti - insuscettibili di essere conformati da un condizionamento a monte (di tipo aritmetico) riveniente da un autovincolo consensuale.

10. Le superiori conclusioni discendono, com’è evidente, dalla qualificazione degli accordi in esame nell’ambito della categoria disciplinata dal citato art. 11 della c.d. legge generale sul procedimento amministrativo, e dal regime di tale figura.

Detto in precedenza del ruolo, quanto meno “in negativo”, dell’elemento causale dell’accordo ai fini della sua ammissibilità e rilevanza, la dottrina ha indagato lo specifico profilo della possibile atipicità degli accordi amministrativi, specie a seguito della modifica del citato art. 11 apportata dalla legge n. 15 del 2005, che ha soppresso l’inciso “nei casi previsti dalla legge”: così determinando, secondo alcuni, la “rimozione della interpositio legislatoris ai fini della conclusione degli accordi”.

In realtà limiti di sistema, e in particolare il ruolo giocato nella vicenda dal principio di legalità, impediscono di configurare la stipula di accordi fra privato e amministrazione al di fuori (o al di là) della composizione fra interesse pubblico e interessi privati come fissata dalla norma attributiva del potere (di cui essi costituiscono esercizio).

Ne consegue che l’autorizzazione legislativa che l’art. 8 in esame fornisce, in questa materia, per la conclusione di accordi fra l’amministrazione e i soggetti privati ha un contenuto e una funzione specifici e ben delimitati: non integrabile da pattuizioni atipiche, se non in una relazione di accessorietà tale da non snaturarne la causa tipica.

Le aggiunte inserite in sede di proroga esulano, ove ritenute vincolanti in un’ottica di sinallagmaticità, da tali ambiti consentiti dalla norma.

10.1. La ridetta interpretazione del contenuto degli accordi, per la parte relativa ai volumi dei due canali di distribuzione e al contenimento di uno di essi, in termini di impegno programmatico non riducibile ad una controprestazione negoziale, discende poi non soltanto dalle superiori argomentazioni giuridiche, ma ancor prima da considerazioni di tipo logico.

L’organizzazione dell’assistenza sanitaria, inclusa la distribuzione controllata del farmaco nei confronti di particolari categorie di pazienti, suppone una valutazione diagnostica ed un trattamento terapeutico: essa, in altre parole, e come già accennato, è un bene non disponibile (nei termini posti a fondamento della pretesa degli appellanti), in quanto dipende da variabili non programmabili, con cogenza, in termini assoluti, perché correlate ad esigenze del paziente.

Ciò implica che un impegno del genere non potesse essere dedotto nell’accordo, se non nei termini sopra riferiti.

Tale rilievo spiega un duplice effetto: in termini di interpretazione dell’accordo e, come si vedrà al punto successivo, in relazione alla ricognizione della sua attuazione;
che, per quanto sin qui esposto, è operazione che deve avere riguardo a flussi organizzatori, e non può dunque implicare una verifica analitica, in chiave di inadempimento negoziale di un obbligo dell’amministrazione che ha, nell’assetto d’interessi fissato dalla legge, una conformazione diversa ed incompatibile rispetto a quella che gli appellanti assumono dedotta in accordo (l’accordo potendo, come detto, soltanto integrare ma non modificare od alterare tale assetto).

11. Ferme restando le superiori ed assorbenti considerazioni, osserva il Collegio che la pretesa degli appellanti principali appare comunque infondata per l’altrettanto radicale motivo del mancato accertamento della violazione della clausola di contenimento, e delle sue conseguenze asseritamente pregiudizievoli.

Gli appellanti, al di là di contrarie asserzioni, non superano infatti sul piano probatorio quanto accertato in sede di verificazione nel giudizio di primo grado, e come tale posto a fondamento della sentenza impugnata: la quale ha correttamente rilevato come “ dalla verificazione disposta in corso di causa si evince che pur non essendoci stata una riduzione del numero dei pezzi dei farmaci distribuiti in via diretta, il valore complessivo degli stessi distribuiti dall’ASL di Rimini nel periodo oggetto del presente giudizio, si è ridotto in maniera rilevante a partire dal 2010 ed arrivando nel 2013 ad una diminuzione di circa il 18% rispetto ai valori fissati come obiettivo, con conseguente dimostrazione che la c.d. clausola di contenimento (e cioè l’impegno vincolante assunto con l’accordo ad attivare azioni volte alla riduzione) è stata rispettata: dall’integrazione di verificazione depositata in data 23.5.2019 si evince, infatti, che si è passati da un valore (tenendo peraltro conto del flusso AFO più favorevole a parte ricorrente e dalla stessa utilizzato nei propri scritti difensivi) dei pezzi ceduti in distribuzione diretta extra PHT, di € 4.546.776 nel 2009 ad un valore di € 3.382.896 nel 2013, con una costante e progressiva diminuzione dal 2009 al 2013 ed arrivando nel 2013 addirittura al di sotto di circa il 18%, pari ad € 733.447, della soglia al 31.12.2008 di € 4.116.343, fissata come obiettivo dalle parti. Invero, tra i due parametri in considerazione (numero di pezzi e valore complessivo dei farmaci distribuiti in via diretta), ad avviso del Collegio, assume maggior rilevanza quest’ultimo dato nel caso in discussione, stante l’oggetto del giudizio basato sull’asserita riduzione dei propri introiti da parte delle Farmacie ricorrenti, rispetto al quale incide all’evidenza più il valore dei farmaci sottratti al libero mercato che il numero dei pezzi distribuiti (ad un calo del valore economico dei farmaci distribuiti direttamente dall’ASL consegue potenzialmente un aumento del valore economico dei farmaci distribuiti attraverso il canale della DPC, con conseguente aumento rispetto a questi ultimi anche della quota di guadagno di spettanza delle singole farmacia) .”

Né, come correttamente dedotto dall’Azienda appellata, viene fornita una dimostrazione del preteso danno subìto da ciascuna parte in relazione allo specifico titolo che si assume vantato.

In contrario non può peraltro essere invocata la pretesa ad una valutazione equitativa del danno, atteso che l’art. 1226 c.c. si riferisce al solo quantum debeatur , aprendo alla valutazione equitativa “se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare”;
non certo all’ an debeatur , ovverosia alla prova della sussistenza del danno, che resta ovviamente a carico del ricorrente, ma che nel presente giudizio non è stata offerta (se non in termini alquanto generici).

12. L’infondatezza dei motivi inerenti la valutazione del contenuto degli accordi, e il preteso inadempimento degli accordi medesimi, comporta l’infondatezza anche del secondo motivo, da essi logicamente dipendente (in disparte il profilo della mancanza di argomenti di censura tali da superare tale capo della sentenza di primo grado).

Il primo giudice aveva infatti ritenuto di non ravvisare “ alcun interesse concreto e specifico in capo ai ricorrenti rispetto a tale censura, anche in considerazione della domanda principale dagli stessi svolta (risarcimento danni subiti dalle ricorrenti) e della mancata articolazione di specifiche difese circa la specifica incidenza di tale profilo sulle pretese risarcitorie fatte valere in questo giudizio ”.

In argomento peraltro l’Azienda appellata in memoria ha chiarito che “ la stessa Regione Emilia Romagna, con nota formale PG/2017/432921 del 30 gennaio 2017, già depositata, ha spiegato e confermato l’esenzione dal pagamento del ticket in regime di Distribuzione Diretta ”.

13. Il ricorso in appello è pertanto infondato, e come tale deve essere rigettato.

Sussistono le condizioni di legge, avuto riguardo alla peculiarità e alla novità di alcune delle questioni trattate, per disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

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