Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-11-27, n. 201806699

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-11-27, n. 201806699
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201806699
Data del deposito : 27 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/11/2018

N. 06699/2018REG.PROV.COLL.

N. 02054/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2054 del 2018, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati A F e G F e con questi elettivamente domiciliato agli indirizzi Pec fiorani.antonella@ordineavvocatipc.it e avvgiammassimoforlini@enfpec.it e in Roma, via Laura Mantegazza, n. 24, presso lo studio del dott. M G,

contro

il Ministero dell'interno e la Questura di Piacenza, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tar Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, n. -OMISSIS-, concernente il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno opposto dalla Questura di Piacenza con decreto n. -OMISSIS-.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno e della Questura di Piacenza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2018 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso depositato dinanzi al Tar Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, il signor -OMISSIS-, cittadino marocchino, ha impugnato il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno adottato dal Questore di Piacenza il 25 ottobre 2017, opposto sul rilievo che lo straniero era stato condannato per reato ostativo alla permanenza sul territorio nazionale ex art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998.

L’adito Tar Parma, con sentenza n. -OMISSIS- ha respinto il ricorso “in ragione della condanna riportata dal ricorrente per reato ostativo”.

2. Con appello notificato il 9 marzo 2018 e depositato il successivo 14 marzo, il signor Rafia ha impugnato la sentenza del Tar Parma n. -OMISSIS-, erronea perché dà rilevanza al solo precedente penale contestato (condanna alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed €. 400,00 di multa il 29 maggio 2017 del Tribunale di Piacenza per i reati di cui all’art. 628, comma 1, 61 n.5 c.p., rapina aggravata e per delitto di cui agli artt. 582-585 rif. 576 – 62 n. 2 c.p. lesioni aggravate, commessi in Piacenza il 25 maggio 2013), in mancanza della prova effettiva di una sua sostenibile pericolosità sociale, soprattutto se rapportata alla documentata condizione personale, sociale e familiare. Vive, infatti, con la famiglia a -OMISSIS-(PC).

Dal 2013 -OMISSIS-non ha avuto più alcun problema con la giustizia. Dal 25 giugno 2014 è titolare di un’impresa individuale e svolge attività di commercio su aree pubbliche in forma itinerante di piante e fiori, grazie alla quale collabora fattivamente al bilancio familiare, vista anche la precaria condizione di salute del padre.

3. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’interno e la Questura di Piacenza, senza espletare attività difensiva.

4. Con ordinanza n. -OMISSIS-è stata accolta l’istanza di sospensione cautelare della sentenza appellata.

5. Alla pubblica udienza del 4 ottobre 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato.

È costante l'orientamento della Sezione (6 agosto 2018, n. 4838;
id. 4 luglio 2011, n. 3996) secondo cui le ipotesi dell'art. 4, comma 3, t.u. 25 luglio 1998, n. 286 precludono tassativamente il rilascio, come il rinnovo, del permesso di soggiorno in favore del cittadino extracomunitario, mentre il solo elemento di cui si può eventualmente tenere conto è il provvedimento che annulli la causa ostativa stessa, quale una sentenza di appello o di cassazione, ovvero di revisione e che faccia venire meno la condanna.

L'automatismo delle cause ostative viene però meno e dà luogo, al suo posto, ad una valutazione discrezionale quando ricorrono gli speciali presupposti indicati dalla nuova formulazione dell'art. 5, comma 5, del citato testo unico, come modificato dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 e ulteriormente modificato dalla sentenza della Corte costituzionale 18 luglio 2013, n. 202. Tale norma, all’ultimo alinea, prevede infatti che “nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero, che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'art. 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.

Le norme recate dagli artt. 4 e 5, d.lgs. n. 286 del 1998 mirano, infatti, a ad assicurare la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica: nell’esercizio di tale potere, però, l’Amministrazione è tenuta a valutare la condizione familiare dello straniero in quanto l’interesse collettivo alla tutela della sicurezza pubblica deve essere bilanciato con l’interesse alla vita familiare dell’immigrato e dei suoi congiunti, trattandosi di diritti fondamentali, aventi copertura convenzionale (art. 8 CEDU).

La norma dell’art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286 cit. ha, quindi, imposto all’Amministrazione – in caso di ricongiungimento familiare o di familiari ricongiunti - di valutare la natura e l’effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche la durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.

La norma prevedeva in origine la valutabilità dei vincoli familiari solo in caso di ricongiungimento familiare o di familiare ricongiunto, ma dopo la sentenza della Corte cost. n. 202 del 2013 è ormai pacifico che la norma si estenda a tutti i casi in cui sussistano legami familiari all’interno dello Stato, a prescindere se sia stato esercitato il diritto al ricongiungimento familiare. In detta sentenza il giudice delle leggi ha richiamato la decisione della Corte EDU Cherif c/Italia, ritenendo che “la CEDU non garantisce allo straniero il diritto di entrare o risiedere in un determinato Paese, di tal che gli Stati mantengono il potere di espellere gli stranieri condannati per reati puniti con pena detentiva. Tuttavia, quando nel Paese dove lo straniero intende soggiornare vivono i membri stretti della sua famiglia, occorre bilanciare in modo proporzionato il diritto alla vita familiare del ricorrente e dei suoi congiunti con il bene giuridico della pubblica sicurezza e con l'esigenza di prevenire minacce all'ordine pubblico, ex art. 8, paragrafo 1, della CEDU.

La ragionevolezza e la proporzione del bilanciamento richiesto dall'art. 8 della CEDU implicano, secondo la Corte europea (ex plurimis, pronuncia 7 aprile 2009, Cherif e altri c. Italia), la possibilità di valutare una serie di elementi desumibili dall'attenta osservazione in concreto di ciascun caso quali, ad esempio, la natura e la gravità del reato commesso dal ricorrente, la durata del soggiorno dell'interessato, il lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato e la condotta del ricorrente durante tale periodo, la nazionalità delle diverse persone interessate, la situazione familiare del ricorrente e, segnatamente, all'occorrenza, la durata del suo matrimonio ed altri fattori che testimonino l'effettività di una vita familiare in seno alla coppia, la circostanza che il coniuge fosse a conoscenza del reato all'epoca della creazione della relazione familiare, il fatto che dal matrimonio siano nati figli e la loro età, le difficoltà che il coniuge o i figli rischiano di trovarsi ad affrontare in caso di espulsione, l'interesse e il benessere dei figli, la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il paese ospite”.

Per effetto della sentenza della Corte cost. n. 202 del 2013, la norma ora si estende anche allo straniero “che abbia legami familiari nel territorio dello Stato” e, dunque, anche ai casi in cui, pur non essendovi stato ricongiungimento familiare, ne sarebbero ricorsi i relativi presupposti (Cons. St., sez. III, 24 giugno 2016, n. 2820;
id. 1 agosto 2017, n. 3869).

2. Nel caso all’esame del Collegio il signor -OMISSIS- è stato condannato ad anni uno e mesi sei di reclusione ed €. 400,00 di multa con sentenza del Tribunale di Piacenza del 29 maggio 2017 per i reati di rapina aggravata e lesioni aggravate, commessi in Piacenza il 25 maggio 2013. Dal 2014 non risulta abbia commesso altri reati.

Dal 25 giugno 2014 è titolare di un’impresa individuale e svolge attività di commercio su aree pubbliche in forma itinerante di piante e fiori, con la quale collabora fattivamente al bilancio familiare, vista anche la precaria condizione di salute del padre. Vive infatti a -OMISSIS-(PC) ed assiste il padre gravemente malato.

Di tale situazione familiare il Questore non ha tenuto alcun conto, essendosi, infatti, limitato a considerare la condanna come ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno. Ciò in palese violazione dei principi introdotti dal giudice delle leggi con la citata sentenza n. 202 del 2013.

L’appello deve quindi essere accolto, con obbligo per la Questura di riesaminare l’istanza presentata dal cittadino straniero, provvedendo a valutare in concreto la sua pericolosità sociale tenendo conto, da un lato, del tipo di reato commesso, dell’eventuale reiterazione di condotte illegali e di qualunque altro elemento sintomatico di pericolosità sociale e, dall’altro, della sua condizione familiare e lavorativa in base agli elementi di fatto forniti dall’interessato ed operando, quindi, il necessario bilanciamento tra gli opposti interessi, fornendo un’adeguata motivazione sulla scelta operata.

3. In conclusione, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento del diniego impugnato.

Le spese del doppio grado di giudizio possono invece compensarsi tra le parti, ricorrendo giusti motivi.

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