Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-06-11, n. 202104539

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-06-11, n. 202104539
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104539
Data del deposito : 11 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/06/2021

N. 04539/2021REG.PROV.COLL.

N. 05659/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 5659/2014, proposto dalla Fontanelle s.r.l., corrente in Garda (VR), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti L F L e G P S A, con domicilio eletto in Roma, via della Marina n. 1,

contro

la Soprintendenza per i beni archeologici e paesaggistici ed il patrimonio storico artistico ed etno-antropologico per le province di Lecce, Brindisi e Taranto ed il Ministero della cultura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

per la riforma

della sentenza del TAR Puglia-Lecce, sez. I, n. 860/2014, resa tra le parti e concernente il parere contrario alla compatibilità paesaggistica del progetto in sanatoria di una piscina per bambini, a suo tempo proposto dalla Società appellante;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 27 maggio 2021 il Cons. Silvestro Maria Russo;

Dato atto che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. – La Fontanelle s.r.l., corrente in Garda (VR), dichiara d’esser proprietaria in Ostuni (BR), loc. Lido di Fontanelle-Villanova, del complesso residenziale-alberghiero Residence Barbara , censito al CE fg. 17, part. 756, sub. 2), in area soggetta a vincolo ex l. 1497/1939.

Detta Società rende noto d’aver a suo tempo colà realizzato, ma sine titulo , una piscina per bambini di m 4,60 x 6,60 con profondità variabile da m 0,60 a m 0,75, nonché una piattaforma in cemento piastrellata con due docce aperte delle dimensioni di m 1,80 x 2,00.

Avendo detta Società chiesto l’accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 per tali opere, il Comune di Ostuni trasmise alla competente Soprintendenza BAP per le province di Lecce, Brindisi e Taranto il relativo fascicolo ai fini del giudizio di compatibilità ex art. 167, co. 4, del D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42.

La Soprintendenza stessa si pronunciò, con nota prot. n. 2905 del 23 luglio 2008, affermando di annullare la nota comunale di trasmissione, «… ai sensi dell'art. 146 e 159 del D.Lgs. n. 42..., autorizzazione paesaggistica alla Soc. Fontanelle s.r.l., relativa al progetto in sanatoria di una piscina per bambini e di una piattaforma …». Stante l’evidente equivoco, l’avvocato della Società Fontanelle s.r.l. chiarì la vicenda e chiese il ritiro della nota citata, cui la Soprintendenza rispose con la nota prot. n. 7682 del 22 ottobre 2008. Quest’ultima annullò sì la precedente statuizione, ma esprimendo pure il proprio parere contrario sulla compatibilità paesaggistica di dette opere, «… in quanto (esse)… risultano non compatibili con quelle consentite dall'art. 167, comma 4, del dlgs. n. 42 del… 2004 e creano pregiudizio ai valori paesistici dell'area interessata …».

2. – Contro tal statuizione insorse detta Società innanzi al TAR Lecce, col ricorso NRG 17/2009, deducendo in diritto: 1) – l’inadeguatezza della motivazione del parere contrario impugnato;
2) – la violazione dell'art. 146, co. 4, del D.lgs. 42/2009 e l’erroneità dell’esclusione delle opere realizzate dalla ricorrente dal novero di quelle sanabili ai sensi del successivo art. 167, co. 4, lett. a);
3) – la violazione dell'art. 146, co. 5, del D.lgs. 42/2009, per aver la Soprintendenza espresso il parere definitivo oltre il termine perentorio di 90 gg. stabilito da tal norma;
4) – la violazione dell’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990 n. 241, per l’omesso preavviso di rigetto.

L’adito TAR, con sentenza n. 860 del 27 marzo 2014, respinse l’impugnazione attorea, giacché: A) quanto al difetto di motivazione, avendo la stessa ricorrente chiesto l’applicazione dell’art. 167, co. 4, lett. a), del D.lgs. 42/2004, la «… soprintendenza, nell'affermare che le opere realizzate risultano non compatibili con quelle consentite dall'art. 146 comma 4°, altro non poteva voler dire che la piscina e la piattaforma non rientrano tra le opere che "non creano superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”… e, proprio per tale ragione (oltre che per il pregiudizio creato ai valori paesistici dell'area interessata…), non possono essere sanate …»;
B) quanto alla non sanabilità di dette opere ai sensi del medesimo art. 167, co. 4, lett. a), esse «… hanno sicuramente ampliato in modo rilevante le superfici e i volumi preesistenti, avendo un risvolto non trascurabile sul piano paesaggistico …»;
C) sul mancato rispetto del termine ex art. 146, co. 5, la Soprintendenza aveva tempestivamente già statuito sull’affare, sia pur equivocando sulla nota comunale, non certo sul merito;
D) quanto al mancato preavviso di rigetto, per quanto sia «… ammissibile l'impugnazione di un atto endoprocedimentale direttamente lesivo… (… parere vincolante della soprintendenza, contrario…), deve… escludersi che l'amministrazione competente al rilascio del parere sia tenuta a far precedere al parere contrario il preavviso…, atteso che quest'ultimo incombente è imposto dalla legge solo prima dell'emanazione del provvedimento conclusivo dell'intero procedimento… (… nel caso di specie, prima del rigetto dell'istanza da parte del Comune) …».

3. – Appellò detta Società, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della sentenza per non aver colto: I) l’evidente difetto di motivazione, essendosi la P.A. limitata ad esprimere un riferimento mero, mercé un'espressione vaga e stereotipata, ad un generico pregiudizio ambientale, inidoneo a costituire adeguata motivazione, all’uopo non bastando il richiamo, nell’istanza attorea di sanatoria, all’art. 146, co. 4, specie per la modestia dell’opera in un contesto già ampiamente urbanizzato, in ogni caso fermo l’obbligo del Comune, dopo la novella del 2011, di trasmettere alla Soprintendenza un progetto di provvedimento;
II) l’erroneo e non verificato assunto del TAR secondo cui l’opera avrebbe ampliato in modo significativo le superfici ed i volumi preesistenti, cosa, questa, smentita dalla richiesta comunale di parere ove l’opera fu esattamente descritta e che, per sua natura, era meramente pertinenziale;
III) ai fini del calcolo del termine per provvedere, la natura speciale del regime ex art. 167, co. 4, sulla “sanatoria” delle opere minori, donde l’impossibilità, stante il chiaro tenore, di ritenere tempestivo il primo parere della Soprintendenza, poi da essa ritirato in autotutela e sostituito da quello ora impugnato;
IV) – la natura vincolante di quest’ultimo, tale da non potere esser definito come meramente endoprocedimentale e da imporre il preavviso ex art. 10-bis della l. 241/1990, anche prima che la novella del 2011 lo stabilisse espressamente.

Resistono in giudizio le Amministrazioni intimate, concludendo per l’infondatezza dell’appello.

4. – L’appello non ha pregio e va disatteso.

Com’è noto, l’art. 146, co. 4, del D.lgs. 42/2004 precisava che «… l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. Fuori dai casi di cui all'articolo 167, commi 4 e 5, l'autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi …». Dal canto suo, il successivo art. 167, co. 4, stabilì che «… l'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati …».

Ebbene, l’appellante, già in primo grado, e con maggior dovizia di particolari in questa sede, tenta di far constare, da un lato, la pochezza della motivazione del rigetto e, dall’altro, la modestia “pertinenziale” dell’opera: entrambe le proposizioni sono errate.

La prima perché, ben lo colse il TAR, la «… soprintendenza, nell'affermare che le opere realizzate risultano non compatibili con quelle consentite dall'art. 146 comma 4°, altro non poteva voler dire che la piscina e la piattaforma non rientrano tra le opere che "non creano superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”… e, proprio per tale ragione…, non possono essere sanate …», già in sé, ossia al di là dell’ulteriore compromissione dei beni soggetti a tutela dal vincolo paesaggistico.

La seconda perché l’opera sarà stata anche piccola, ma non fu mera pertinenza nel senso civilistico del termine, costituendo piuttosto (anche questo fu chiarito dal TAR) «… non… piccoli “vani tecnici” o… strutture analoghe, facenti direttamente parte dell’abitazione legittimamente edificata, ma di una piscina autonoma e solo adiacente alla casa, dell’area di circa 30 mq e di profondità non indifferente…, con annessa piattaforma… di quasi 4 mq con due docce aperte, … opere che hanno sicuramente ampliato in modo rilevante le superfici e i volumi preesistenti, avendo un risvolto non trascurabile sul piano paesaggistico …». Come si vede, la piscina e le docce, lungi dall’esser mere pertinenze, costituirono un’ulteriore offerta del servizio turistico-alberghiero del complesso residenziale Residence Barbara , consustanziale, quindi, all’attività d’impresa e non all'edificio principale. La pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile per contro quando sia di dimensioni modeste e non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente, cioè ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è sfornito di un autonomo valore di mercato (cfr. Cons. St., II, 28 gennaio 2021 n. 847), mentre nel caso in esame si tratta di altra e nuova piscina, alternativa a quella esistente e munita di tal valore in quanto idonea a diversificare l’offerta alla clientela. Ancora di recente la Sezione ha precisato (cfr. Cons. St., VI, 4 gennaio 2021 n. 40) che il divieto d’incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce ad ogni nuova edificazione che comporti la creazione di volume, senza distinguere tra volume tecnico o un altro tipo di volume, sia esso interrato o meno.

La Sezione ha avuto modo di ribadire pure, per descrivere l’impatto d’una nuova superficie o d’un nuovo volume (cfr. Cons. St., VI, 3 giugno 2019 n. 3732;
id., 15 giugno 2020 n. 3805;
id., 19 ottobre 2020 n. 6300), il fermo avviso per cui l'accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell'art. 167, co. 4, lett. a), del D.lgs. 42/2004, sia consentito sì, ma solo in relazione a quei lavori che non abbiano determinato « creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati ». In presenza di incrementi di superficie o cubatura, pur di modesta entità, la norma impedisce tassativamente il rilascio della sanatoria paesaggistica, per cui la reiezione della relativa istanza assume carattere vincolato. Anzi, appunto per questo, come nel caso in esame e specie a fronte di una richiesta promanante dallo stesso soggetto che ha realizzato l’opera abusiva, è da escludere, in base alla ratio dell’art. 21-octies della l. 241/1990, che l'omesso preavviso di rigetto di cui al precedente art. 10-bis possa viziare il provvedimento di diniego, dal che il rigetto pure del quarto mezzo di gravame.

In ciò consiste proprio l’aumento “significativo” delle superfici costruite rispetto al contesto già edificato, nella misura in cui ha consentito al privato d’offrire una più articolata fruizione del complesso alberghiero, ma in un’area in sé fragile perché già ampiamente compromessa appunto da quest’ultimo. Sfugge al Collegio, diversamente da quanto opina l’appellante, che cos’altro il parere negativo, seppur laconico, avrebbe dovuto dire, a fronte non d’un edificio nuovo, ma di un’aggiunta ad uno stratificato complesso edilizio, che plausibilmente aumenterebbe il carico sull’area sì tutelata ma sempre più ristretta per i continui interventi edilizi. In ogni caso, la motivazione è sufficiente quando evidenzi l'impatto dell'opera sulla bellezza naturale e sull'esigenza di tutelarla: l'obiettivo della P.A. è infatti, nell'esercizio della funzione di tutela del paesaggio, quello di difendere, mercé un giudizio di comparazione, il contesto vincolato ove si collochi l'opera, tenendo presenti le reali condizioni dell'area d'intervento, senza, però, deflettere dalla difesa del territorio vincolato sol perché già in parte compromesso, quasi che siffatta compromissione costituisca un incentivo ad aggravare lo stato dell’area.

Da ciò discende il rigetto dei primi due motivi d’appello.

5. – Il terzo motivo non trova conferma in giurisprudenza, ma sul punto va corretta la motivazione resa dal TAR, in relazione al disguido in cui incorse la Soprintendenza a fronte della richiesta del Comune di Ostuni.

Come accennato nelle premesse in fatto, il Comune chiese alla Soprintendenza di rendere il parere di compatibilità paesaggistica sulla nuova piscina attorea e relativi annessi e tal richiesta pervenne l’11 giugno 2008. Con nota n. 2905/2008, la Soprintendenza intese annullare la nota comunale di trasmissione della richiesta, credendo che questa fosse già l’autorizzazione paesaggistica;
siffatto equivoco fu risolto dalla stessa Soprintendenza con la nota n. 7682/2008, emanata, però, oltre il termine di legge. Il TAR affermò sul punto che in sostanza la Soprintendenza avesse già, fin dal primo suo atto, inteso rendere parere negativo, poiché esso fu l’«… espressione tempestiva (perché antecedente il decorso dei 90 giorni) della contrarietà della sovrintendenza all’accoglimento della richiesta di sanatoria, opinione solo ribadita nel parere del 22.09.2008, emendato dagli errori materiali contenuti nel precedente atto …», ma non è così. Dalla lettura congiunta delle due note, agli atti del primo grado, s’evince che esse non furono affatto congruenti, onde il secondo (e corretto) parere fu tardivo.

Se questo è vero, il mancato rispetto del termine di 90 gg. ex art. 167, co. 5, del D.lgs. 42/2004 non estingue la funzione statale sulla compatibilità paesaggistica “a sanatoria” di interventi sine titulo .

A tal risultato il Collegio perviene non tanto per l’uso improprio del vocabolo « perentorio », che rimanda alla qualificazione dei termini processuali e non ha gran senso nel descrivere il contenuto ed i poteri della funzione amministrativa;
né per la mancanza d’una sanzione espressa, nella norma citata, che dovrebbe definire l’esito del procedimento, quantunque la decadenza potrebbe esser pure implicita nella morfologia della funzione. In realtà, l’inutile decorso di tal termine è regolato non da detto vocabolo, bensì dal divieto, quello sì recato da una norma di sistema, di configurare forme, dirette o indirette, di silenzio-assenso nei giudizi di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 17-bis e dell’art. 20, co. 4, della l. 241/1990 in materia paesaggistica ed ambientale: cfr. Cons. St., III, 26 aprile 2016 n. 1613;
id., VI, 13 maggio 2016 n. 1935;
id., VI, 22 luglio 2020 n. 4765). In realtà, tal divieto al più consente all'interessato la possibilità di proporre ricorso a questo Giudice per contestare l'illegittimità dell'inerzia, la perentorietà di detto termine riguardando non la sussistenza del potere, ma l'obbligo di concludere la fase del procedimento. Se tale obbligo resta inadempiuto, il silenzio dell’Autorità preposta al vincolo può esser fatto constare da questo Giudice con tutti i rimedi sottesi agli artt. 31 e 117 c.p.a., ma non anche quello ex art. 31, co. 3, (visto che gli atti resi dall'Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico sono espressione di discrezionalità tecnica specialistica: cfr. Cons. St., II, 15 settembre 2020 n. 5451).

6. – In definitiva, l’appello va respinto, confermando la sentenza impugnata con motivazione parzialmente diversa. Giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del giudizio.

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