Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-07, n. 202302386

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-07, n. 202302386
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302386
Data del deposito : 7 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/03/2023

N. 02386/2023REG.PROV.COLL.

N. 06123/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6123 del 2022 proposto dall’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Ferrara, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale di Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

contro

il signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dagli avvocati R M e S C con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato R M in Roma, via Ugo de Carolis e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

per la riforma

della sentenza del Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, sez. I, -OMISSIS- con cui è stato parzialmente accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento dell’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Ferrara n. -OMISSIS-, notificato in data 4 agosto 2021, con cui è stata disposta la revoca delle misure di accoglienza e la contestuale ingiunzione al versamento della somma di 15.108,40 euro quale rimborso dei costi sostenuti per le misure di cui ha indebitamente usufruito.


Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista l’atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti di causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2023 il Consigliere G F e uditi altresì i difensori delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO

1. Con provvedimento n. -OMISSIS-, notificato in data 4 agosto 2021, l’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Ferrara ha revocato, ai sensi dell’art. 23, lett. d) d.lgs. n. 142 del 2015, le misure di accoglienza al cittadino del Ghana -OMISSIS-.

Il provvedimento ha tratto fondamento dalla circostanza che, per l’anno solare 2020, risultava superata, con un importo di euro 10.557,00, la soglia del reddito minimo, coincidente con l’importo dell’assegno sociale pari ad euro 5.983,64 euro.

La Prefettura, nel medesimo provvedimento, ha ingiunto al signor -OMISSIS- il versamento della somma di 15.108,40 quale rimborso dei costi sostenuti per le misure di cui aveva indebitamente usufruito a partire dal momento del superamento della soglia dell’assegno sociale e fino all’adozione del provvedimento di revoca.

2. Il signor -OMISSIS- ha impugnato detto provvedimento con ricorso proposto innanzi al Tar Emilia Romagna con cui ha dedotto l’illegittimità del provvedimento per: violazione e falsa applicazione degli artt. 20, par. 3, 5 e 6 e 17 par. 3 della direttiva 2013/33/UE e dell’art. 26, comma 6, d.lgs. n. 142 del 2015 per come interpretato alla luce dell’art. 17, comma 4, direttiva 2013/33/UE per assenza dei presupposti per la revoca della misura di accoglienza;
violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 241 del 1990 e dell’art. 23, comma 6, d.lgs. n. 142 del 2015 interpretato alla luce dell’art. 17, comma 4, direttiva 2013/33/UE per incongruità e irragionevolezza del rimborso richiesto.

3. Il Tar Bologna, sez. I, con sentenza n. -OMISSIS- ha accolto parzialmente il ricorso con riferimento alla sola statuizione relativa all’ingiunzione di versare la somma di euro 15.108,40 quale rimborso dei costi sostenuti per le misure usufruite.

Il giudice di prime cure, in particolare, ha ritenuto legittimo il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza per l’effettivo superamento, nel corso del 2020, del livello reddituale previsto dalla normativa mentre ha ritenuto illegittima l’ingiunzione di pagamento in quanto incongrua e sproporzionata considerato che lo straniero non aveva occultato le sue entrate economiche ma aveva costantemente tenuto informata l’Amministrazione per il tramite della Cooperativa.

4. La citata sentenza n. -OMISSIS- è stata impugnata dall’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Ferrara con appello notificato e depositato in data 25 luglio 2022 con cui si deduce la violazione dell’art. 23, comma 1, lett. d) e comma 6, d.lgs. n. 142 del 2015.

L’amministrazione appellante afferma che il provvedimento di ingiunzione di cui all’art. 23, il quale non è dotato di portata sanzionatoria, trova il suo fondamento nell’oggettiva e ingiustificata percezione da parte dello straniero dei servizi di conoscenza qualora la stessa non sia stata resa nota dell’amministrazione. L’ingiunzione di pagamento, infatti, si fonda su due condizioni oggettive e strettamente dipendenti tra loro che, nel caso di specie, risultano pienamente integrate: che lo straniero abbia la disponibilità dei mezzi economici sufficienti e che tale circostanza sia stata accertata dall’Amministrazione o che comunque lo straniero non ne abbia portato a conoscenza dell’Amministrazione. Per il Ministero, inoltre, la mera comunicazione alla Cooperativa non costituisce atto idoneo a portare a conoscenza dell’Amministrazione l’informazione del possesso di adeguate risorse economiche.

5. Il signor -OMISSIS- si è costituito in giudizio deducendo l’infondatezza dell’appello e riproponendo, con riferimento alla sola ingiunzione di pagamento, le censure già dedotte in primo grado sulla sproporzionalità e incongruenza della sanzione. Parte resistente sottolinea che la normativa non imponga alcun onere informativo direttamente nei confronti della Prefettura e che, in ogni caso, egli si è tempestivamente attivato per comunicare il proprio percorso lavorativo al centro di accoglienza.

6. Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, oggetto della controversia è la revoca delle misure di accoglienza per il superamento dei requisiti reddituali contemplati dall’art. 14, d.lgs. n. 142 del 2015 e la consequenziale richiesta di rimborso delle spese affrontate dalla Amministrazione nella erogazione dei servizi di accoglienza in favore di stranieri, inseriti nel sistema di accoglienza ma dotati di redditi economici sufficienti per garantire il proprio sostentamento e una qualità di vita adeguata, il Collegio ritiene indispensabile effettuare una ricognizione della normativa europea e nazionale.

Al fine del decidere appare necessaria una breve disamina della normativa che disciplina la fattispecie.

La materia dell’accoglienza degli stranieri richiedenti protezione internazionale è disciplinata, nel nostro ordinamento, dal d.lgs. n. 142 del 18 agosto 2015 il quale costituisce trasposizione delle direttive 2013/33/UE, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, e 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.

Le condizioni di accoglienza stabilite dalla norma europea (art. 2 della direttiva 33 del 2013) prevedono “alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi economici o buoni (…) nonché un sussidio per le spese giornaliere”. L’art. 17 della medesima direttiva richiede che tali condizioni siano assicurate dal momento in cui è manifestata la volontà personale di richiedere la protezione e che assicurino “un’adeguata qualità di vita che garantisca il sostentamento del richiedente e ne tuteli la salute fisica e mentale”.

La direttiva 2013/33/UE prevede, poi, all’art. 20, in conseguenza del venir meno dei presupposti fondanti l’attribuzione delle misure di accoglienza, la possibilità di progressiva e graduale limitazione delle stesse fino a giungere, quale extrema ratio, alla loro revoca, consentita “in caso eccezionali debitamente motivati”.

I casi di riduzione o revoca individuati dalla direttiva sono riconducibili alle seguenti ipotesi contemplate dall’art. 20: allontanamento volontario (par. 1 lett. a);
mancanza di interesse nella procedura (par. 1 lett. b e par. 2);
presentazione di una domanda reiterata (par. 1 lett. c);
nel caso di occultamento di risorse finanziarie e conseguente indebito godimento delle condizioni di accoglienza (par. 3) ed, infine, per gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché per comportamenti gravemente violenti (par. 4).

Le garanzie procedurali per la riduzione e la revoca dell’accoglienza sono previste, invece, dall’art. 20, par. 5, della menzionata direttiva il quale prevede espressamente che le decisioni devono essere “adottate in modo individuale, imparziale ed obiettivo e sono motivate” e “sono basate sulla particolare situazione della persona interessata, specialmente per quanto riguarda le persone contemplate all’art. 21 (soggetti vulnerabili), tenendo conto del principio di proporzionalità”;
inoltre gli Stati devono assicurare “in qualsiasi circostanza l’accesso all’assistenza sanitaria (…) e garantiscono un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti”.

La collocazione di quest’ultima disposizione a sostanziale chiusura dell’art. 20 evidenzia che il principio di gradualità della sanzione e di rispetto della dignità della persona si riferiscono a tutte le violazioni indicate. Tale affermazione è stata recentemente confermata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sez. X, 1° agosto 2022, C-422/21 e ancora prima CGUE, Grande Sezione, 12 novembre 2019, C-233/18) che, con riferimento alla sanzione della revoca, ha statuito che essa “deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana”.

L’ordinamento italiano, come detto, ha dato attuazione alla direttiva europea con il d.lgs. n. 142 del 2015 non prevedendo, tuttavia, alcuna ipotesi di graduazione della sanzione né di adeguamento alla gravità del fatto contestato alla luce del fondamentale principio di proporzionalità ragion per cui recentemente è stata adita la Corte di Giustizia (sez. X, 1° agosto 2022, C-422/21) con riferimento al caso specifico del compimento di atti gravemente violenti al di fuori di un centro di accoglienza.

Con specifico riferimento al caso di revoca della misura di accoglienza per superamento dei requisiti reddituali, questione che rileva per la risoluzione del caso sottoposto all’esame del Collegio, occorre precisare che nell’ordinamento europeo vengono in rilievo due species di revoca delle misure di accoglienza: la prima, che potremmo definire ordinaria, per venir meno dei presupposti di legge previsti per l’accesso al sistema di accoglienza, disciplinata all’art. 17 della direttiva 33 del 2013;
la seconda, di carattere sanzionatorio, come si evince dalla rubrica dell’art. 20, per l’occultamento delle risorse finanziarie.

In particolare, con riferimento alla revoca per venir meno dei requisiti di legge, l’art. 17 della direttiva dispone ai paragrafi 3 e 4 che:

“3. Gli Stati membri possono subordinare la concessione di tutte le condizioni materiali d’accoglienza e dell’assistenza sanitaria, o di parte delle stesse, alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare il loro sostentamento.

4. Gli Stati membri possono obbligare i richiedenti a sostenere o a contribuire a sostenere i costi delle condizioni materiali di accoglienza e dell’assistenza sanitaria previsti nella presente direttiva, ai sensi del paragrafo 3, qualora i richiedenti dispongano di sufficienti risorse, ad esempio qualora siano stati occupati per un ragionevole lasso di tempo. Qualora emerga che un richiedente disponeva di mezzi sufficienti ad assicurarsi le condizioni materiali di accoglienza e l’assistenza sanitaria all’epoca in cui tali esigenze essenziali sono state soddisfatte, gli Stati membri possono chiedere al richiedente un rimborso”.

La revoca sanzionatoria di cui al par. 3 dell’art. 20, invece, come già anticipato può essere disposta “qualora un richiedente abbia occultato risorse finanziarie, beneficiando in tal modo indebitamente delle condizioni materiali di accoglienza”.

In entrambi casi le condizioni per ottenere il rimborso sono meglio specificate all’art. 26 della medesima direttiva nell’ambito del capo relativo ai “mezzi di ricorso” a tutela dello straniero.

La norma, espressione del principio di proporzionalità che permea la materia delle misure di accoglienza e, in particolar modo, quella della riduzione e/revoca delle misure e delle relative conseguenze personali e patrimoniali, dispone al par. 5 che “Gli Stati membri possono esigere un rimborso integrale o parziale delle spese sostenute, allorché vi sia stato un considerevole miglioramento delle condizioni finanziarie del richiedente o se la decisione di accordare tali prestazioni è stata adottata in base a informazioni false fornite dal richiedente.”

Il rimborso, che proprio in virtù del fondamentale principio di proporzionalità, può essere parziale o integrale, deve essere parametrato ad un considerevole miglioramento delle condizioni finanziarie del richiedente e tale circostanza è coerente con la previsione della revoca per perdita dei requisiti di legge di cui all’art. 17 ovvero può essere parametrato al comportamento scorretto del richiedente che fornisce informazioni false così ottenendo indebitamente le misure di accoglienza e così occultando la sua reale condizione finanziaria e ciò coerentemente con la revoca sanzionatoria di cui all’art. 20.

Orbene a livello nazionale l’art. 23, d.lgs. n. 142 del 2015 disciplina la revoca delle misure di accoglienza prevedendo, per quanto di interesse nella controversia oggetto di appello, alla lettera d) quale causa di revoca l’accertamento “della disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici sufficienti”.

Tale disposizione deve essere letta in combinato con l’art. 14 del medesimo decreto legislativo che al comma 1 prevede che il richiedente la protezione internazionale che “risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per il sostentamento proprio e dei propri familiari, ha accesso, con i familiari, alle misure di accoglienza del presente decreto”, tra cui quella di essere ospitato presso una struttura di accoglienza e al comma 3, precisa che “al fine di accedere alle misure di accoglienza di cui al presente decreto, il richiedente, al momento della presentazione della domanda, dichiara di essere privo di mezzi sufficienti di sussistenza” con la puntualizzazione che “la valutazione dell’insufficienza dei mezzi di sussistenza di cui al comma 1 è effettuata dalla Prefettura con riferimento all’importo annuo dell’assegno sociale”.

Dal tenore letterale delle predette norme si evince che per giustificare la revoca i “mezzi sufficienti” pari o superiori “all’importo annuo dell’assegno sociale” (il quale costituisce il parametro legislativamente stabilito per valutare l’adeguatezza delle risorse al proprio sostentamento), devono essere di carattere stabile e/o duraturo e, comunque, devono riferirsi ad un arco temporale minimo di 1 anno ed alle attuali condizioni dello straniero richiedente la protezione internazionale. Ciò è indubbiamente in linea con quanto stabilito anche a livello comunitario dall’art. 17, par. 4, ove si fa riferimento all’occupazione per un “ragionevole lasso di tempo”.

Il testo dell’art. 23, foriero di diverse interpretazioni per la sua opacità specie se in relazione alla normativa europea, sembra far intendere che esso includa tra i casi di revoca della misura di accoglienza, senza peraltro prevedere una graduazione delle risposte sanzionatorie, entrambe le forme di revoca analizzate. Invero, il successivo comma 6 stabilisce che “nell’ipotesi di revoca, disposta ai sensi del comma 1, lett. d), il richiedente è tenuto a rimborsare i costi sostenuti per le misure di cui ha indebitamente usufruito”.

Il legislatore italiano, in altre parole, sembra disciplinare espressamente la sola revoca per perdita dei requisiti di legge (alla stregua di quanto previsto dall’art. 17) salvo poi affermare, al comma 6, che è possibile ottenere il rimborso dei costi sostenuti per “le misure di cui ha indebitamente usufruito”, mostrando così di contemplare anche il caso di revoca sanzionatoria di cui all’art. 20, par.

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