Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-03-16, n. 202201865

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-03-16, n. 202201865
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202201865
Data del deposito : 16 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/03/2022

N. 01865/2022REG.PROV.COLL.

N. 07608/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7608 del 2021, proposto dai sigg.ri
P C, G M, C N, M C, G R, P A G, Vittorio D’Arrigo, G R, A G, S C e G C C, tutti rappresentati e difesi dall’avv. A G e con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia

contro

Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv.ti B C D T e Annalisa D’Urbano e con domicilio eletto presso lo studio degli stessi, in Roma, via di Porta Pinciana, n. 6
Ministero dell’Istruzione e Ministero della Giustizia, in persona dei Ministri pro tempore , ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli Uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

nei confronti

Consiglio Nazionale dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. Guerino Ferri e con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia
Ordine dei Periti Industriali e Periti Industriali Laureati della Provincia di Messina e Ordine dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati della Provincia di Reggio Calabria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dagli avv.ti Giuseppe D’Amico ed Angelo Mastrandrea e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Jacopo Polinari, in Roma, via Vittoria Colonna, n. 40
Ordine dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati della Provincia di Cosenza, non costituito in giudizio
Ordine dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati della Provincia di Vibo Valentia, non costituito in giudizio
Ordine dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati della Provincia di Catanzaro, non costituito in giudizio
sigg.ri Domenico Carnevale, Francesco Caroprese, Giovanni De Santo, Andrea Maugeri, Antonio Morrone, Lorenzo Sirimarco, Valerio Sposato, Rodolfo Tucci e Giuseppe Riccetti, non costituiti in giudizio
sigg.ri Damiano Covello, Giuseppe Grimaldi, Pietro Impellizzeri, Carlo Intersimone e Antonio Ferraro, non costituiti in giudizio

per l’annullamento e/o la riforma,

previa adozione di idonee misure cautelari,

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Reggio Calabria, Sez. I, n. 220/2021 del 29 marzo 2021, resa tra le parti, con cui è stato accolto il ricorso R.G. n. 148/2020 proposto dal Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati avverso l’elenco dei candidati che hanno conseguito l’abilitazione all’esercizio della libera professione di Perito Industriale, emanato nell’ambito dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di Perito Industriale e Perito Industriale Laureato, sessione 2019, dalla Commissione n. 2 – Collegio Provincia di Reggio Calabria – Messina – Crotone – Cosenza – Catanzaro, insediata presso l’Istituto Tecnico Industriale Statale “ Pannella-Vallauri ” di Reggio Calabria, nonché di ogni ulteriore provvedimento, nota o verbale della Commissione e/o del Collegio Provinciale o Territoriale dei Periti contenente l’ammissione al suddetto esame, o a talune fasi dello stesso, di soggetti in possesso del diploma conseguito con il vecchio ordinamento presso l’Istituto Tecnico per Geometri.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata, presentata in via incidentale dagli appellanti;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati, del Ministero dell’Istruzione e del Ministero della Giustizia, dell’Ordine dei Periti Industriali e Periti Industriali Laureati della Provincia di Messina e di quello della Provincia di Reggio Calabria, nonché del Consiglio Nazionale dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati;

Visti l’atto di rinuncia al mandato del difensore degli appellanti e l’atto di costituzione degli stessi a mezzo di nuovo difensore;

Vista l’ordinanza della Sezione Sesta n. 5225/2021 del 24 settembre 2021, con cui l’istanza cautelare è stata accolta ai soli fini della sollecita definizione della controversia;

Visti le memorie, i documenti e le repliche delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2022 il Cons. P D B e udita per il Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati l’avv. Annalisa D’Urbano;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO

Gli odierni appellanti, sigg.ri P C, G M, C N, M C, G R, P A G, Vittorio D’Arrigo, G R, A G, S C e G C C, espongono di essere tutti Geometri in possesso del diploma ottenuto nella vigenza del cd. vecchio ordinamento, cioè prima delle modifiche apportate dal d.P.R. n. 88/2010 (regolamento recante il riordino degli Istituti Tecnici).

Il d.P.R. n. 88/2010 ha fatto confluire dall’anno scolastico 2010/2011 gli Istituti Tecnici previsti dal previgente ordinamento nei nuovi Istituti di Formazione Superiore, raggruppati nei due macrosettori Economico e Tecnologico e, nell’ambito del settore Tecnologico, ha previsto, tra l’altro, l’indirizzo C.A.T. (Costruzioni Ambiente e Territorio), nel quale sono confluiti i precedenti Istituti Tecnici per Geometri e per Periti Industriali.

Gli appellanti presentavano domanda di partecipazione agli esami di Stato per l’abilitazione alla professione di Perito Industriale indetti con ordinanza del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (ora dell’Istruzione) n. 373 del 24 aprile 2019, essendo in possesso – a loro avviso – sia del titolo di studio prescritto, sia degli ulteriori requisiti di tirocinio e di esperienza professionale e venivano ammessi a sostenere l’esame nel Collegio della Provincia di Reggio Calabria – Messina – Crotone – Cosenza – Catanzaro.

I candidati prendevano parte alle prove scritte superandole, quindi alla prova orale, anch’essa superata e, pertanto, conseguivano l’abilitazione all’esercizio della libera professione di Perito Industriale e Perito Industriale Laureato, iscrivendosi (con l’eccezione dei sigg.ri Ciraolo, Romano e Giarrusso) presso l’Ordine dei Periti Industriali.

Senonché il Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati (d’ora in poi anche solo: Consiglio Naz. Geometri o Consiglio) impugnava innanzi al T.A.R. Calabria l’elenco dei candidati abilitati a esercitare la professione di Perito Industriale pubblicato all’esito dell’esame di Stato, nella parte in cui comprendeva soggetti (come gli appellanti) in possesso del diploma di Geometra del “vecchio ordinamento”, unitamente agli atti presupposti e connessi.

Sosteneva, in estrema sintesi, l’Ente ricorrente che i candidati in possesso del diploma di Geometra del “vecchio ordinamento” non avrebbero potuto essere ammessi all’esame, siccome in possesso di un titolo che non li avrebbe legittimati a parteciparvi, in quanto non equipollente al nuovo diploma “C.A.T.” istituito dal d.P.R. n. 88/2010.

Con sentenza n. 220/2021 del 29 marzo 2021 l’adito Tribunale, dopo avere disatteso le eccezioni di rito e di merito sollevate dai resistenti, ha accolto il ricorso, annullando gli atti gravati limitatamente ai candidati abilitati in possesso del diploma di Geometra conseguito secondo le regole del “vecchio ordinamento”.

Avverso la sentenza ora citata sono insorti gli appellanti, impugnandola con il ricorso in epigrafe e chiedendone la riforma, previa sospensione dell’efficacia.

Nell’appello sono stati dedotti i seguenti motivi:

I) difetto di giurisdizione del G.A. in favore del G.O., in quanto la controversia rientrerebbe nella cognizione del giudice ordinario;

II) difetto di competenza, per non avere il T.A.R. adito rilevato la propria incompetenza territoriale in favore del T.A.R. del Lazio – sede di Roma;

III) erroneità della sentenza appellata, per non avere la stessa rilevato la carenza di legittimazione e di interesse a ricorrere in capo al Consiglio;

IV) erroneità della sentenza appellata per non avere questa accolto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, sollevata dai resistenti in considerazione dell’omessa impugnazione degli atti ministeriali di nomina delle Commissioni esaminatrici e di assegnazione del numero di candidati a ciascuna di esse;

V) erroneità della sentenza appellata per non avere questa accolto l’eccezione di improcedibilità del ricorso di primo grado derivante a) dall’applicazione alla fattispecie in esame della regola sull’effetto irreversibile del superamento delle prove d’esame da parte dei candidati, prevista dall’art. 4, comma 2- bis , della l. n. 168/2005, b) dall’omessa impugnazione dell’atto di iscrizione dei candidati all’Albo dei Periti Industriali;

VI) erroneità della sentenza gravata poiché, nel merito, il ricorso di primo grado sarebbe infondato in virtù della disciplina dettata dall’art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 88/2010 e dall’ordinanza ministeriale n. 373/2019, nonché della disciplina di cui all’art. 55, comma 2, lett. d) , del d.P.R. n. 328/2001 (con riferimento ai titoli di laurea triennale per accedere agli esami di Stato).

Si sono costituiti nel giudizio d’appello il Ministero dell’Istruzione e quello della Giustizia, versando in atti una relazione del Ministero dell’Istruzione e documentazione sui fatti di causa e resistendo al gravame proposto.

Si sono altresì costituiti in giudizio il Consiglio Nazionale dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati (d’ora in avanti: Consiglio Naz. dei Periti), l’Ordine dei Periti Industriali e Periti Industriali Laureati della Provincia di Messina (d’ora in avanti: Ordine dei Periti di Messina) e l’Ordine dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati della Provincia di Reggio Calabria (d’ora in avanti: Ordine dei Periti di Reggio Calabria), in adesione rispetto alla posizione degli appellanti e facendo, perciò, rilevare la fondatezza del gravame.

Si è costituito in giudizio il Consiglio Naz. Geometri, depositando memorie e repliche e concludendo per la reiezione del gravame.

L’istanza cautelare è stata accolta con ordinanza n. 5225/2021 del 24 settembre 2021, ai soli fini di una sollecita definizione nel merito.

In vista dell’udienza di merito, gli appellanti hanno formulato istanza di invio della causa in decisione sulla base degli scritti difensivi.

All’udienza pubblica del 25 gennaio 2022 è comparso il difensore del Consiglio Naz. Geometri;
di seguito il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Viene in decisione l’appello contro la sentenza del T.A.R. Calabria che, in accoglimento del ricorso presentato dal Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati, ha annullato l’elenco dei soggetti che hanno conseguito l’abilitazione a Perito Industriale nella sessione di esami del 2019, emanato dalla Commissione n. 2 insediata presso l’I.T.I.S. “ Pannella-Vallauri ” di Reggio Calabria, nella parte in cui contiene candidati in possesso del diploma di Geometra anteriore alla riforma del 2010 (cd. vecchio ordinamento).

Gli appellanti ripropongono come motivi di gravame – da I) a V) – le eccezioni pregiudiziali di rito già sollevate da alcuni di essi in primo grado e disattese dal T.A.R., aventi ad oggetto: il difetto di giurisdizione;
l’incompetenza territoriale del T.A.R. adito;
la carenza di legittimazione e di interesse del Consiglio;
l’inammissibilità per omessa impugnazione degli atti presupposti del Ministero recanti la ratifica dell’ammissione dei candidati all’esame operata dai Collegi competenti;
l’improcedibilità per l’effetto irreversibile conseguente al superamento delle prove d’esame da parte dei candidati e per l’omessa impugnazione dell’iscrizione dei candidati all’Albo dei Periti Industriali.

Con ulteriore motivo – il VI) – contestano, inoltre, nel merito il ricorso di primo grado e la sentenza che lo ha accolto.

Nell’ultima memoria gli appellanti richiamano una recente sentenza del C.G.A.R.S. – Sez. Giurisd. (n. 1021 del 26 novembre 2021), resa su fattispecie similare, che, nel riformare la sentenza di primo grado pronunciata dal T.A.R. Sicilia – Catania (di tenore analogo a quella qui appellata), avrebbe condiviso le censure dedotte dagli appellanti, sia in punto di difetto di legittimazione e di interesse (per quanto qui rileva: del Consiglio), sia, soprattutto, nel merito. Richiamano, inoltre, una pronuncia recente del T.A.R. Puglia – Bari che si è espressa nel senso da essi auspicato.

Iniziando, quindi, dal primo motivo dell’appello, con esso si deduce l’errore in cui sarebbe incorso il T.A.R. nel ritenere la controversia devoluta alla giurisdizione amministrativa, invece che a quella ordinaria.

Gli appellanti sostengono che il gravame sarebbe preordinato alla loro cancellazione dall’Albo dei Periti Industriali in ragione della carenza del titolo necessario all’accesso alla professione, cosicché in sede di ammissione all’esame di abilitazione professionale la valutazione della P.A. si limiterebbe alla verifica non discrezionale della corrispondenza del requisito posseduto dal partecipante a quello indicato dalla legge per l’accesso alla professione. Oggetto della controversia sarebbe in via esclusiva la validità del diploma di Geometra “vecchio ordinamento” ai fini dell’esercizio della professione di Perito Industriale e cioè se i soggetti in possesso di tale titolo abbiano diritto o meno a svolgere una professione di tal tipo, acquisendo la relativa abilitazione: la verifica di conformità di detto requisito a quanto prescritto dalla legge non comporterebbe spendita di valutazioni discrezionali e pertanto la controversia sarebbe devoluta alla giurisdizione ordinaria.

Il motivo non è meritevole di condivisione.

Invero, la controversia non investe la pretesa (avente consistenza di diritto soggettivo) all’iscrizione nell’Albo professionale, ma, a monte, la sussistenza dei requisiti per l’ammissione alla sessione di esami di Stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di Perito Industriale e di Perito Industriale laureato (per l’anno 2019).

Sul punto il Collegio condivide le osservazioni della stessa giurisprudenza invocata dagli appellanti (C.G.A.R.S. – Sez. Giurisd., n. 1021 del 2021) che, nel respingere l’analoga eccezione di difetto di giurisdizione, ha osservato come la libertà di scegliere il lavoro ex art. 4 Cost. non sia incondizionata, ma, per l’esercizio di talune professioni, venga subordinata da altro precetto di rango costituzionale (l’art. 33, quinto comma, Cost.) al conseguimento dell’abilitazione e cioè a una condizione posta a tutela di interessi della collettività, di tal ché: a) il soddisfacimento dell’interesse pubblico si realizza con la determinazione, da parte della Legge, dei requisiti di ammissione e del contenuto dell’esame; b) la tutela fornita dall’ordinamento alla pretesa dell’aspirante a esercitare la professione è di tipo mediato e riflesso.

Da tali enunciati si evince la devoluzione alla giurisdizione del G.A. delle controversie concernenti l’accesso e lo svolgimento dell’esame di abilitazione, comprese quelle inerenti la verifica del possesso dei requisiti di ammissione, non valendo in contrario il carattere vincolato di detta verifica e l’assenza di discrezionalità in capo alla P.A. nell’effettuarla: invero, in linea generale il fatto che l’attività della P.A. sia vincolata non denota, per ciò solo, la mancanza in capo all’Amministrazione di una posizione di supremazia e la conseguente natura paritetica degli atti emessi nel rapporto con l’amministrato (cfr. C.d.S., Sez. III, 9 dicembre, n. 7820;
id., 2 dicembre 2020, n. 7646).

La circostanza che il potere amministrativo sia vincolato – cioè che il suo esercizio sia predeterminato dalla legge nell’ an e nel quomodo – non trasforma il potere stesso in una categoria civilistica, quando l’Amministrazione eserciti una funzione di verifica, controllo, accertamento tecnico dei presupposti previsti dalla legge, quale soggetto incaricato della cura di interessi pubblici generali, esulanti dalla propria sfera patrimoniale (C.G.A.R.S. – Sez. Giurisd., 13 settembre 2021, n. 802): il potere vincolato, dunque, resta comunque espressione di “supremazia” o di “funzione”, con il corollario che dalla sua natura vincolata derivano conseguenze non sul piano della giurisdizione, ma su quello delle tecniche di tutela (si pensi al potere del giudice in sede di giudizio sul silenzio di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.p.a., sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio).

Del resto, che l’attività della P.A., per il solo fatto di essere vincolata, non cessi di essere un’attività autoritativa e di tradursi in atti aventi natura non già paritetica, bensì provvedimentale, sottoposti alla giurisdizione del G.A., emerge con chiarezza da molteplici istituti del diritto amministrativo. Tra essi, mette conto qui elencare, oltre al già citato potere conferito al G.A. dall’art. 31, comma 3, c.p.a. in sede di giudizio sul silenzio (giudizio esperibile solo in caso di attività autoritativa della P.A.), la nota regola di non annullabilità dei provvedimenti affetti da vizi formali o procedimentali, prevista dall’art. 21- octies , comma 2, primo periodo della l. n. 241/1990 nell’ipotesi in cui “ per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ”.

Dunque, la natura vincolata dell’attività demandata alla P.A. non implica l’automatica qualificazione della posizione soggettiva del privato in termini di diritto soggettivo, con il conseguente corollario processuale in punto di giurisdizione: infatti, se l’attività della P.A., priva di margini di discrezionalità valutativa o tecnica, sia volta alla tutela in via primaria e diretta del pubblico interesse, la situazione vantata dal privato non può che essere protetta in via mediata, così assumendo consistenza di interesse legittimo (C.d.S., A.P., 24 maggio 2007, n. 8).

E questo è proprio quanto si verifica nel caso di specie, in cui il controllo dei requisiti di ammissione all’esame di abilitazione demandato alla P.A. è volto, come già indicato, a tutela degli interessi della collettività: e del resto, come si vedrà meglio infra , gli interessi azionati dall’Ente ricorrente in primo grado, per la tutela dei quali viene richiesta la verifica dei requisiti di ammissione (e la conseguente esclusione dei candidati in possesso del diploma per Geometri del “vecchio ordinamento”), hanno un indubbio tenore pubblicistico.

In definitiva, poiché l’individuazione del giudice munito di giurisdizione deve essere ancorata alla situazione giuridica azionata in giudizio (criterio della causa petendi ), ne segue la devoluzione alla giurisdizione del G.A. della presente controversia: in essa, infatti, viene in rilievo l’esercizio di un potere autoritativo funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico, a fronte del quale il privato vanta una posizione che ha la consistenza di interesse legittimo.

Venendo al secondo motivo, con lo stesso la sentenza di prime cure viene censurata per non avere accolto l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale adito (in favore della competenza del T.A.R. Lazio, sede di Roma).

Sostengono al riguardo gli appellanti che la procedura abilitativa in questione sarebbe “accentrata”, producendo il provvedimento di abilitazione all’esercizio della professione effetti diretti su tutto il territorio nazionale e non solo nell’ambito territoriale di riferimento della Commissione esaminatrice (che peraltro avrebbe competenza su diversi Collegi ultraregionali).

Il rischio di contrasto di giudicati, per il contenzioso diffuso su tutto il territorio nazionale, avrebbe dovuto indurre il T.A.R. Calabria a declinare la propria competenza in favore di quella del T.A.R. Lazio – Roma, anche perché nel caso di specie troverebbe applicazione il criterio prevalente, ex art. 13, comma 1, c.p.a., della competenza territoriale in ragione degli effetti diretti che produce l’atto impugnato in primo grado.

Ulteriormente, la competenza del T.A.R. Lazio – Roma discenderebbe dai seguenti elementi:

- oggetto del giudizio sarebbe la corretta interpretazione dell’art. 2 dell’ordinanza ministeriale n. 373 del 24 aprile 2019, che attiene al possesso di un requisito di ammissione (e di iscrizione) valido per tutto il territorio nazionale;

- inoltre, il potere di verifica dei suindicati requisiti e di eventuale annullamento dell’ammissione (e delle conseguenti prove concorsuali) spetterebbe non solo alle Commissioni d’esame, che comunque sono articolazioni ministeriali, ma anche al Ministero dell’Istruzione.

Il motivo è destituito di fondamento.

Con decisione n. 13 del 13 luglio 2021 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sulla questione del rapporto tra i criteri di competenza territoriale previsti dall’art. 13, comma 1, c.p.a. (criterio della sede dell’Autorità emanante e criterio dell’efficacia dell’atto emanato), affermando in particolare quanto segue:

Il rapporto tra i due criteri di competenza territoriale previsti dall’art. 13, comma 1, c.p.a. segue, dunque, una logica di complementarietà e di reciproca integrazione: il criterio principale è quello della sede dell’autorità che ha adottato l’atto impugnato, ma nel caso in cui la potestà pubblicistica spieghi i propri effetti diretti esclusivamente nell’ambito territoriale di un Tribunale periferico, il criterio della sede cede il passo a quello dell’efficacia spaziale.

La conclusione si evince dalla parola “comunque” inserita nel secondo periodo della norma richiamata, atta ad indicare che si deve avere riguardo, per individuare il Tribunale amministrativo regionale competente per territorio, in primo luogo all’efficacia dell'atto: se questa è limitata ad una determinata Regione, sarà competente il Tribunale competente per tale Regione.

Naturalmente, se il criterio della sede e quello dell’efficacia spaziale dell’atto impugnato finiscano per coincidere, la controversia si radica nella competenza territoriale dello stesso TAR.

(…..)

Pertanto, il criterio principale di riparto della competenza per territorio, fondato sulla sede dell’autorità che ha emesso l’atto impugnato, è suscettibile di essere sostituito da quello inerente agli effetti diretti dell’atto qualora detta efficacia si esplichi esclusivamente nel luogo compreso in una diversa circoscrizione di Tribunale amministrativo regionale (cfr. Consiglio di Stato, Ad. plen., 24 settembre 2012, n. 33;
Consiglio di Stato, Ad. plen., 19 novembre 2012, n. 34;
Consiglio di Stato, sez. III, 24 marzo 2014, n. 1383).

La competenza territoriale è, dunque, determinata in via principale in base alla sede dell’ente che ha emesso l’atto;
tale criterio viene integrato (
rectius sostituito) da quello ulteriore e speciale correlato all’efficacia del provvedimento amministrativo impugnato e dunque agli effetti diretti dello stesso.

In sostanza, il criterio della sede dell’Autorità che ha assunto l’atto impugnato è sostituito da quello dell’efficacia spaziale qualora questa si produca in un solo ambito territoriale.

5. Ne segue, in primo luogo, che, qualora un atto di un’autorità statale centrale, che ha sede in Roma, esplichi i propri effetti solo nell’ambito di una circoscrizione territoriale ben delimitata e diversa dalla circoscrizione territoriale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, il criterio dell’efficacia opererà, con la devoluzione della controversia al Tribunale “periferico”.

In secondo luogo, e non diversamente dalla prima ipotesi, anche un provvedimento emanato da un’Autorità periferica avente sede nella circoscrizione di un TAR, se esplica i propri effetti in un solo ambito territoriale, radica la competenza in questo ambito territoriale, secondo il sopra citato criterio dell’efficacia spaziale del provvedimento impugnato.

È evidente che se l’ambito di efficacia spaziale del provvedimento è circoscritto alla Regione in cui ha sede l’Autorità periferica, sarà indifferente individuare la competenza del Tribunale Regionale secondo il criterio della sede dell’Autorità periferica medesima o quello dell’efficacia spaziale.

Viceversa, quando l’efficacia spaziale di un provvedimento è circoscritta ad una Regione diversa da quella in cui ha sede l’Autorità emanante, sarà il Tribunale nel cui ambito territoriale si esplicano gli effetti dell’atto ad essere investito della relativa competenza e non il Tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’Autorità emanante.

Soltanto per gli atti emanati da un’Autorità periferica aventi efficacia non limitata ad un preciso ambito territoriale (e, dunque, aventi efficacia ultraregionale, intesa come non limitabile alla circoscrizione di una singola Regione) riprenderà vigore il criterio della sede dell’Autorità emanante per individuare il Tribunale competente, al pari degli atti statali non limitabili territorialmente quoad effectum , così come esplicita l’art. 13, comma 3, c.p.a. ”.

Orbene, andando ad applicare l’insegnamento della Plenaria al caso di specie, si ricava che in esso il giudice territorialmente competente era il T.A.R. Calabria, il quale del tutto correttamente ha respinto l’eccezione di incompetenza formulata dai resistenti.

Invero, il Consiglio impugna gli elenchi, stilati dalla Commissione n. 2 insediatasi presso l’I.T.I.S. “ Pannella-Vallauri ” di Reggio Calabria, dei candidati ammessi alla prova orale e dei candidati che, nella sessione di esami 2019, hanno conseguito l’abilitazione alla professione di Perito Industriale;
non forma oggetto di impugnazione, invece, l’ordinanza ministeriale n. 373/2019. Per affermazione degli stessi appellanti, gli atti impugnati spiegano effetti diretti su tutto il territorio nazionale (e quindi non limitati ad una sola Regione, diversa da quella in cui ha sede l’Autorità emanante). Ne segue che alla fattispecie si applica il criterio della sede dell’Autorità emanante, ex art. 13, comma 1, c.p.a., e che, pertanto, il giudice competente per territorio a conoscere in primo grado della causa è il T.A.R. Calabria.

Non essendo stata impugnata l’ordinanza ministeriale n. 373/2019, non è possibile invocare l’art. 13, comma 4- bis , c.p.a. per radicare la competenza territoriale del T.A.R. Lazio – Roma;
neppure vale, a tal fine, l’argomento per cui il potere di verifica dei requisiti e di eventuale annullamento delle prove spetta al Ministero dell’Istruzione, oltre che alle Commissioni d’esame: detto argomento è, anzi, del tutto fuorviante, giacché non vengono in rilievo atti o provvedimenti attraverso cui il Ministero abbia esercitato il menzionato potere.

Con il terzo motivo gli appellanti censurano la sentenza di primo grado per avere riconosciuto la legittimazione ad agire e l’interesse a ricorrere in capo all’Ente ricorrente.

Per quanto riguarda il Consiglio Nazionale dei Geometri il primo giudice, con la sentenza appellata, dopo aver ripercorso la giurisprudenza in tema di legittimazione a ricorrere degli Enti esponenziali, osserva che esso rappresenta a livello nazionale la categoria dei Geometri (regolamentata con il r.d. n. 274/1929), perseguendo lo scopo istituzionale di preservare gli interessi della categoria “ che si sostanziano, tra l’altro, nella tutela dell’integrità e della specificità della libera professione del Geometra, anche attraverso la protezione del valore del relativo titolo di studio ai fini dell’accesso all’esame di abilitazione ”. Ciò comporta che nel caso di specie debba riconoscersi la legittimazione del Consiglio Nazionale a far valere in giudizio tale interesse “ anche nei confronti di quei geometri che, avendo ottenuto l’abilitazione all’esercizio della professione di perito industriale, si pongono in una veste particolare, potenzialmente confliggente con gli interessi, istituzionalmente rappresentati dal Consiglio Nazionale, della generalità della categoria dei professionisti ad esso iscritti ”.

Gli appellanti contestano l’ iter argomentativo della sentenza appellata, sottolineando che l’interesse riconosciuto in capo all’Ente ricorrente in primo grado andrebbe riclassificato in ragione della riforma del ciclo di studi tecnici introdotta a far data dal 2010, che avrebbe superato l’originaria distinzione tra le professioni di Geometra e di Perito Industriale, almeno con riguardo all’unificazione del ciclo di studi sotteso all’accesso alle due professioni.

A seguito di tale riforma, dunque, non vi sarebbe più alcun interesse istituzionale differenziato che distingua la collettività dei professionisti iscritti all’uno o all’altro Ordine, in quanto a far data da essa l’iscrizione all’Ordine dei Geometri o a quello dei Periti non deriverebbe da una specificità del titolo conseguito per l’accesso. Dal superamento della distinzione tra le professioni si ricaverebbe, inoltre, che gli atti impugnati non sarebbero lesivi della collettività dei professionisti iscritti ad un Ordine, rispetto all’altro.

Già in primo grado sarebbero state eccepite l’estraneità del Consiglio al rapporto controverso, il quale riguarderebbe solo la Commissione d’esame e i candidati all’abilitazione, e la carenza dell’attualità e dell’effettività della lesione derivante dagli atti impugnati, posto che l’unico interesse emerso sarebbe quello di costringere i liberi professionisti a pagare l’iscrizione e i contributi – onerosi – alla Cassa di previdenza dei Geometri.

In aggiunta, non si riuscirebbe a capire quale sia l’interesse istituzionalizzato che differenzia l’Ordine dei Geometri da quello dei Periti Industriali, poiché:

- ad entrambi potrebbero accedere soggetti in possesso del medesimo titolo di studio, unificato per effetto della riforma del 2010;

- sarebbe illegittima la limitazione all’iscrizione ad un Albo professionale non fondata sulla specificità del titolo di studio necessario per l’accesso (nel caso di specie insussistente), o che si pone in contrasto con i principi di diritto comunitario e interno in materia di libera concorrenza nel mercato dei servizi professionali (v. infra );

- non esisterebbe un divieto assoluto di iscrizione a due Ordini professionali diversi in mancanza di specifiche limitazioni espressamente imposte per legge;

- sarebbe l’esame di abilitazione a determinare l’idoneità professionale specifica per l’una o l’altra professione.

La doglianza non può essere condivisa.

Va premesso al riguardo che nel processo amministrativo la legittimazione ad agire spetta di regola al soggetto titolare della situazione giuridica sostanziale (interesse legittimo e, nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva, diritto soggettivo). Gli Enti esponenziali sono legittimati ad agire per la tutela di posizioni soggettive proprie o di interessi unitari della collettività da loro istituzionalmente espressa.

Con riferimento agli Ordini professionali, si è affermato che essi hanno la legittimazione a difendere in sede giurisdizionale gli interessi della categoria di soggetti di cui abbiano la rappresentanza istituzionale, non solo quando si tratti della violazione di norme poste a tutela della professione stessa, ma anche ove si tratti comunque di conseguire determinati vantaggi, sia pure di carattere strumentale, giuridicamente riferibili alla categoria (C.d.S., Sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8844).

L’interesse a ricorrere, dal canto suo, sussiste “ laddove vi sia una lesione della posizione giuridica del soggetto, ovvero se sia individuabile un’utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento e se non sussistano elementi tali per affermare che l’azione si traduca in un abuso della tutela giurisdizionale. Il ricorrente, proponendo ricorso in primo grado, aspira al vantaggio pratico e concreto che può ottenere dall’accoglimento dell’impugnativa, dovendosi postulare che l’atto censurato abbia prodotto in via diretta una lesione attuale della posizione giuridica sostanziale dedotta in giudizio. Come di recente ribadito da questo Consiglio, la lesione da cui deriva, ex art. 100 c.p.c., l’interesse a ricorrere deve costituire “una conseguenza immediata e diretta del provvedimento dell’Amministrazione e dell’assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, e deve persistere al momento della decisione del ricorso” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2019, n. 2732) ” (così C.d.S., Sez. II, 20 giugno 2019, n. 4233).

Tanto premesso in linea generale, ad avviso del Collegio deve considerarsi sussistente l’interesse del Consiglio Naz. dei Geometri, quale Ente esponenziale della ridetta categoria professionale, a tutelare la specificità della categoria stessa, sotto il profilo tecnico e giuridico, e l’infungibilità della relativa professione.

Vanno condivise, sul punto, le argomentazioni della difesa del Consiglio, la quale ha eccepito come dalla tesi degli appellanti, ove accolta, discenderebbe un vulnus al titolo di studio dei Geometri, che verrebbe snaturato e privato della specificità tecnica e legale ad esso immanente. Ciò, dal momento che prima della riforma del 2010 i percorsi scolastici di Perito e di Geometra si articolavano in due diversi indirizzi di scuola superiore e presentavano differenze sostanziali quanto alle materie oggetto di studio: per conseguenza, la frequenza dell’uno o dell’altro percorso forniva competenze diverse e specifiche, che preludevano allo svolgimento di professioni non sovrapponibili, ma tale dato sarebbe obliato ove si consentisse l’accesso alla professione di Geometra o Perito indistintamente a chi fosse in possesso di un diploma secondo il “vecchio ordinamento”, con conseguente inquinamento delle professionalità e abbassamento del livello di competenze di entrambe le categorie.

In senso analogo si è espresso il Ministero dell’Istruzione nella relazione depositata il 27 novembre 2021 come all. 2, dove viene precisato che, anteriormente alla riforma, il profilo del Perito Industriale Edile si differenziava da quello del Geometra per la sostanziale distinzione prevista dal Legislatore nei rispettivi ordinamenti (art. 16 del r.d. n. 275/1929 per i Periti Industriali Edili e art. 16 del r.d. n. 274/1929 per i Geometri): in questi il Geometra era concepito come tecnico topografico catastale, erede della precedente figura del Perito Agrimensore, mentre il Perito Industriale Edile era un tecnico concepito espressamente per le costruzioni e le tecnologie edilizie (si tornerà più diffusamente infra sulla questione).

La differenziazione delle figure professionali dei Geometri e dei Periti Industriali e delle competenze da essi acquisite in base ai rispettivi programmi formativi (di cui si trova traccia nell’ordinamento, ad es. nell’art. 2 della l. n. 1086/1971, in base al quale i Geometri e i Periti Industriali Edili iscritti negli Albi possono redigere il progetto esecutivo delle opere in conglomerato cementizio armato normale e precompresso ed opere a struttura metallica e possono dirigere l’esecuzione delle opere “ nei limiti delle rispettive competenze ”) implicava l’esistenza di due distinti ordini professionali e di due distinte modalità di accesso agli esami di Stato per l’abilitazione alle rispettive professioni.

Alla stregua di tali considerazioni, non può condividersi l’obiezione della giurisprudenza invocata dagli appellanti nella memoria conclusiva, secondo cui non vi sarebbe alcuna lesione della posizione degli iscritti all’Ordine dei Geometri nella possibilità di accedere ad un altro (e ulteriore) esame di abilitazione. Infatti, il presupposto di tale accesso è l’equipollenza non solo tra il diploma di Geometra “vecchio ordinamento” e i diplomi C.A.T., ma soprattutto quella tra i diplomi di Geometra e di Perito Industriale ambedue “vecchio ordinamento”, con conseguente promiscuità dei titoli di studio e delle professionalità da essi discendenti: e non può negarsi l’interesse del Consiglio Naz. dei Geometri a scongiurare una simile promiscuità.

Per il predetto Consiglio, dunque, il problema non è tanto quello della diminuzione del numero degli iscritti (che peraltro, se si traducesse in un calo drastico a causa di un massiccio travaso degli iscritti verso l’ordine dei Periti, porrebbe verosimilmente una questione di sopravvivenza dell’Ordine dei Geometri) quanto, invece, quello della promiscuità dei titoli di studio, con relativa perdita di prestigio della professione. La reciproca equipollenza dei titoli, infatti, come può portare all’ammissione dei Geometri con diploma del “vecchio ordinamento” all’esame di abilitazione alla professione di Perito, così può portare i Periti con diploma del “vecchio ordinamento” all’esame di abilitazione a Geometra, con il rischio, però, di uno svilimento dei contenuti specifici e delle rispettive competenze di ambedue le categorie professionali in discorso.

In altri termini, come eccepisce il Consiglio appellato nelle sue difese, ove si dovesse affermare che la contaminazione dei titoli di studio e, come conseguenza, dei titoli professionali, quindi in ultima battuta della professione, esula dai compiti cui sono preposti il Consiglio e i Collegi Provinciali, non è dato comprendere a quale altro soggetto dell’ordinamento potrebbe essere affidata la tutela di tale interesse professionale.

Inoltre, la lesione lamentata dal Consiglio è direttamente riconducibile agli atti impugnati, giacché è da questi che deriva l’affermazione dell’equipollenza dei titoli di studio e quindi la loro promiscuità e fungibilità, di cui si duole l’Ente esponenziale.

Da ultimo, ai fini della suddetta legittimazione deve ritenersi irrilevante che alcuni professionisti (gli odierni appellanti) possano beneficiare dei provvedimenti che il Collegio assume lesivi dell’interesse istituzionalizzato della categoria (C.d.S., Sez. III, n. 8844/2019, cit.;
Sez. V, 7 marzo 2001, n. 1339;
id., 3 giugno 1996, n. 624). Ed invero, come chiarito dall’Adunanza Plenaria con la sentenza 20 febbraio 2020, n. 6, l’omogeneità dell’interesse diffuso all’interno della categoria, pur essendo requisito consustanziale dell’interesse collettivo tutelato dall’ente esponenziale, non è scalfita dalla presenza di interessi a fruizione individuale, aventi ad oggetto beni della vita dei singoli, fra loro eventualmente non coincidenti. L’omogeneità va, infatti, ricercata nell’ambito dell’interesse a fruizione collettiva avente ad oggetto il bene indivisibile, non anche sul piano dell’interesse a fruizione individuale avente ad oggetto i beni della vita divisibili e facenti capo ai singoli. L’omogeneità, in altri termini, non è requisito che debba riferirsi anche ai plurimi interessi legittimi individuali, che restano ontologicamente distinti dall’interesse diffuso.

Donde, in conclusione, la complessiva infondatezza del terzo motivo d’appello.

Passando al quarto motivo di gravame, con esso viene dedotto che il giudice di prime cure avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso per la mancata impugnazione dei decreti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione – D.G. per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione prot. n. 1355 del 19 settembre 2019 e prot. n. 1521 del 16 ottobre 2019;
nello specifico, si tratta delle note con le quali il Ministero: I) ha nominato le Commissioni d’esame ed ha assegnato il numero dei candidati; II) ha disposto la costituzione e la composizione della Commissioni stesse e l’attribuzione dei relativi candidati.

In primo grado, infatti, era stata formulata al sul punto apposita eccezione, lamentandosi che i decreti in questione, quali atti presupposti immediatamente lesivi, avrebbero dovuto essere immediatamente impugnati.

Il T.A.R. ha respinto l’eccezione, in quanto l’art. 12 del d.m. n. 445/1991 (regolamento sull’esame di Stato dei Periti) assegna non già ai Collegi che formano gli elenchi dei candidati, né al Ministero che riceve gli elenchi trasmessi dai Collegi, ma alle Commissioni esaminatrici il compito di verificare il possesso in capo ai candidati dei requisiti previsti per l’ammissione agli esami e di annullare le prove o escludere da queste chi sia privo di tali requisiti. Non vale in contrario l’art. 6 del regolamento, che assegna ai Collegi adempimenti di tipo preliminare funzionali alla determinazione del numero delle Commissioni d’esame da nominare, i quali non involgono accertamenti sul possesso dei requisiti di forma, né valutazioni discrezionali circa l’equipollenza dei titoli.

Gli appellanti contestano le motivazioni del T.A.R., affermando che i decreti (o note) ministeriali non impugnati in primo grado non sarebbero dei meri adempimenti preliminari e invocando, a sostegno di tale affermazione, gli artt. 3, 6 e 12 del d.P.R. n. 445/1991.

Da tali disposizioni emergerebbe, infatti, che la verifica dei requisiti di ammissione spetterebbe non solo alle Commissioni esaminatrici, ma altresì al Collegio dei periti industriali, prima, e al Ministero dell’Istruzione, poi: gli atti ministeriali non impugnati, in particolare, confermerebbero la legittimità dell’ammissione dei candidati all’esame di abilitazione e presupporrebbero una verifica dei requisiti richiesti dall’ordinanza ministeriale e dalla normativa vigente per l’accesso alla professione di Perito Industriale, avendo essi attestato la “regolare” presentazione della domanda di ammissione all’esame da parte dei candidati.

Nel senso ora visto deporrebbe anche l’art. 2229, secondo comma, c.c., che demanda alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, “ l’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti ”. Orbene, nell’esercizio dei poteri previsti dall’art. 2229 c.c., il Consiglio Naz. dei Periti, con delibera n. 362/62 del 26 gennaio 2017, ha disposto l’equipollenza dei diplomi del vecchio ordinamento di Geometra, Perito Agrario, Agrotecnico e Perito Industriale ai nuovi diplomi di istruzione tecnica, di cui all’art. 6, comma 4, del d.P.R. n. 88/2010 ai fini dell’accesso all’esame di abilitazione: in forza di tale direttiva – che non ha formato oggetto di contestazioni a livello amministrativo o giudiziale – gli Ordini territoriali dei Periti Industriali hanno disposto l’ammissione agli esami di Stato dei candidati, compresi anche gli odierni appellanti, di tal ché la ricostruzione effettuata dal T.A.R. del ruolo “ancillare” svolto dall’Ordine dei Periti Industriali nel procedimento in esame sarebbe priva di fondamento.

La doglianza non può essere in alcun modo condivisa, urtando essa contro il chiaro dettato dell’art. 12, comma 1, del d.m. 29 dicembre 1991, n. 445 (“ regolamento per lo svolgimento degli esami di Stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di perito industriale ”), che così recita: “ Le commissioni esaminatrici verificano il possesso da parte dei candidati dei requisiti prescritti per l’ammissione agli esami e vigilano sul regolare svolgimento delle prove ”.

A sua volta, il precedente art. 6 non può intendersi nel senso preteso dagli appellanti, poiché esso al comma 1 così recita: “ Subito dopo il termine di scadenza per la presentazione delle domande stabilito dalla relativa ordinanza ministeriale, i collegi dei periti industriali verificano la regolarità delle domande ricevute ed utilmente prodotte e, compiuto ogni opportuno accertamento di competenza, trasmettono al Ministro della pubblica istruzione gli elenchi nominativi dei candidati in possesso dei requisiti, suddivisi per specializzazioni, ai fini della determinazione del numero delle commissioni esaminatrici da nominare ”.

La norma assegna ai Collegi di compiere gli accertamenti “ di competenza ” e, dunque, non la verifica del possesso dei requisiti prescritti per l’ammissione agli esami, che il successivo art. 12 attribuisce, come visto, alle Commissioni d’esame.

Si deve quindi condividere l’eccezione formulata sul punto dal Consiglio appellato, il quale sottolinea che l’art. 6 cit. pone a carico dei Collegi verifiche “ di regolarità ” e cioè controlli meramente formali sui requisiti di ammissione indicati dall’art. 2 dello stesso regolamento e dall’ordinanza ministeriale di indizione della sessione d’esame, ma non gli assegna il compito di identificare i titoli di studio che consentono l’ottenimento dell’abilitazione professionale, né tantomeno di stabilire l’equipollenza tra detti titoli, essendo queste ultime operazioni che spettano alle Commissioni esaminatrici, nel rigoroso rispetto della disciplina dettata dalla legge.

Analogamente, non può ritenersi che i decreti del Ministero, di cui gli appellanti lamentano la mancata impugnazione, contengano una presunta “validazione” o “ratifica” della valutazione che sarebbe stata compiuta dai Collegi, non recando gli stessi alcuna valutazione in ordine al possesso dei requisiti dei candidati, tantomeno con riguardo all’equipollenza tra diversi titoli posseduti. È palesemente forzata e, in definitiva, priva di fondamento, la pretesa di rinvenire una simile “validazione” o “ratifica” nelle tabelle allegate ai decreti in questione, nelle quali sono riportate le varie Commissioni nominate con l’indicazione del relativo Istituto Tecnico di insediamento e del numero dei candidati per le singole specializzazioni.

Anche a questo proposito deve essere condivisa l’eccezione dell’Ente appellato, secondo cui non è possibile ritenere che la valutazione della presunta equipollenza tra i due titoli di studio sia contenuta in una semplice tabella con la quale il Ministero altro non ha fatto che smistare i candidati alle diverse Commissioni, rimettendo a queste ultime la verifica del possesso del titolo richiesto dalla legge e dal bando.

Da ultimo, l’invocata delibera del Consiglio Naz. dei Periti n. 362/62 del 2017 è un atto avente ben diverso oggetto, trattandosi della direttiva sul praticantato e sul tirocinio;
in ogni caso, essa costituisce un mero atto interno che, analogamente ad altri (in specie: la nota del predetto Consiglio prot. n. 2440 del 2 agosto 2019, versata in atti), deve ritenersi totalmente inidoneo a disporre l’equipollenza tra i titoli di studio, per cui si richiede un’apposita previsione legislativa o almeno della lex specialis (v. infra ). Né, per vero, gli appellanti esplicitano una questione di (presunta) inammissibilità per omessa impugnazione di detta delibera, non sollevata neppure in primo grado.

In definitiva, perciò, il motivo è infondato.

Con il quinto motivo di gravame gli appellanti lamentano che il T.A.R. abbia respinto l’eccezione di improcedibilità formulata in primo grado sotto un duplice profilo.

In primo luogo, il T.A.R. avrebbe errato nell’escludere l’applicabilità alla fattispecie per cui è causa dell’art. 4, comma 2- bis , del d.l. n. 115/2005 (conv. con l. n. 168/2005), recante la regola dell’effetto irreversibile derivante dal superamento degli esami da parte del candidato per il quale l’ammissione agli esami, o la ripetizione della valutazione delle prove, dipenda da un provvedimento giurisdizionale ovvero di autotutela.

Aggiungono gli appellanti che, ove tale norma fosse stata correttamente applicata alla fattispecie dal T.A.R., ne sarebbe seguita la declaratoria dell’improcedibilità del ricorso, in ragione dell’intervenuto ottenimento dell’abilitazione ad opera dei controinteressati.

Il primo giudice ha rilevato, sul punto, che il presupposto per l’applicazione dell’art. 4, comma 2- bis , cit., è che il candidato ammesso fosse “ in possesso dei titoli ” per partecipare al concorso, mentre nel caso di specie tale presupposto inerisce proprio alla questione controversa.

Gli appellanti ribattono invocando la ratio della norma in discorso, che sarebbe quella di accordare “ una particolare tutela all’affidamento del cittadino che abbia conseguito l’abilitazione e che abbia in buona fede avviato la relativa attività professionale, ragionevolmente comprimendo il diritto di difesa dell’amministrazione nel processo amministrativo ”, come osservato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 108 del 9 aprile 2009. L’irreversibilità del provvedimento di ammissione, ove seguito dal superamento delle prove dell’esame di abilitazione, si giustificherebbe anche per l’esistenza di un limite alla retroattività dell’annullamento giurisdizionale di un atto, in rapporto alla sopravvenienza di circostanze non più reversibili (“ factum infectum fieri nequit ”), nonché all’intangibilità dei diritti soggettivi dei terzi di buona fede.

Il T.A.R. non avrebbe tenuto conto di tali principi e, in particolare, dell’affidamento degli appellanti, che, dopo essere stati ammessi agli esami di abilitazione ed averli superati con profitto, vedrebbero il loro affidamento compromesso dalla pronuncia gravata.

La doglianza è priva di fondamento.

L’art. 4 del d.l. n. 115/2005, al comma 2- bis (inserito dalla legge di conversione n. 168/2005), così recita: “ Conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela ”.

La norma è chiara nel suo tenore letterale: l’irreversibilità del superamento degli esami si produce in favore dei candidati “ in possesso dei titoli per partecipare ” all’esame. Nel caso ora in esame, invece, ciò che è contestato – osserva giustamente il T.A.R. – è proprio il possesso da parte dei candidati dei titoli per partecipare alla procedura e, pertanto, la disposizione non può essere applicata, difettando il presupposto per la sua applicazione (C.d.S., Sez. VI, 25 luglio 2012, n. 4232).

Trattandosi di una disposizione eccezionale, e quindi di stretta interpretazione e tale da non ammettere l’interpretazione estensiva, né quella analogica (cfr. C.d.S., Sez. V, 23 febbraio 2015, n. 883;
id., 17 ottobre 2012, n. 5292;
Sez. IV, 31 gennaio 2005, n. 251), non si può dilatarne la portata applicativa fino ad estenderla ai candidati privi dei titoli per partecipare alla procedura.

La tesi degli appellanti, del resto, non convince non solo sul piano letterale, ma nemmeno su quello logico: infatti, come eccepisce il Consiglio, tale tesi conduce al paradosso per il quale il superamento delle prove dell’esame di abilitazione sarebbe sufficiente allo svolgimento della professione, anche a prescindere dal possesso dei requisiti per l’ammissione all’esame stesso.

In secondo luogo, la sentenza appellata non avrebbe considerato la mancata impugnazione da parte del Consiglio dell’atto di iscrizione dei candidati all’Albo professionale dei Periti Industriali: detta circostanza avrebbe dovuto indurre il T.A.R. a dichiarare improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, non sussistendo tra l’abilitazione professionale e l’iscrizione all’Ordine alcun rapporto di invalidità caducante, tale che la caducazione dell’una faccia venir meno anche l’altra in modo automatico.

Anche la doglianza appena esposta è priva di fondamento, atteso che – come rilevato sul punto dalla sentenza di prime cure – la giurisdizione in materia di iscrizioni ad Albi professionali spetta al Giudice Ordinario poiché, nella specie, la posizione fatta valere si configura come diritto soggettivo (cfr., ex multis , Cass. civ., Sez. Un., 15 marzo 2017, n. 6821). Ne segue che il Consiglio non aveva l’onere di impugnare nella presente sede della giurisdizione di legittimità del G.A. gli atti di iscrizione degli appellanti (per vero: non tutti) all’Albo professionale.

In conclusione, perciò, il quinto motivo è nel suo complesso infondato, essendo infondate ambedue le doglianze in cui esso si articola.

Con il sesto motivo gli appellanti contestano la fondatezza nel merito del ricorso di primo grado sotto una pluralità di profili.

1) Innanzitutto, l’ammissione dei Geometri con diploma “vecchio ordinamento” all’esame di Stato sarebbe prevista dall’art. 2 dell’ordinanza n. 373/2019, in base al quale possono partecipare a detto esame i candidati “ in possesso del diploma afferente al settore “Tecnologico”, di cui al D.P.R. 15 marzo 2010, n. 88 ”, al quale sarebbe equiparato il diploma di Geometra, secondo la tabella contenuta nell’allegato D) del d.P.R. n. 88 cit.;
ciò, anche in ragione dell’art. 8, comma 1, e dell’art. 6, comma 4, del d.P.R. n. 88/2010, che salvaguarda “ il valore del diploma medesimo (il diploma “C.A.T.”) a tutti gli altri effetti di legge ”.

2) In secondo luogo, l’equipollenza discenderebbe dall’art. 55, comma 2, lett. d), del d.P.R. 7 agosto 2001, n. 328, recante la disciplina dei nuovi titoli di laurea triennale per l’accesso all’abilitazione per le professioni sia di Geometra che di Perito Industriale con specializzazione edilizia: l’accesso, infatti, sarebbe consentito a chi ha conseguito i diplomi di laurea nelle medesime classi 4,7 e 8. Non sarebbe comprensibile, allora, come si possa accedere alle due professioni ora citate con lo stesso diploma di laurea breve, ma non con un diploma relativo ad un ciclo di studi di istruzione secondaria superiore unificato e reso equivalente dal d.P.R. n. 88/2010.

3) In terzo luogo, l’equipollenza si ricaverebbe anche dalla costante giurisprudenza, la quale avrebbe considerato sovrapponibili le competenze professionali dei Geometri e dei Periti Industriali del settore edile fin da prima della riforma che ha unificato i due cicli di studio. La stessa si ricaverebbe, altresì, dall’art. 6, comma 10, del d.P.R. n. 137/2012, che ammette all’esame di abilitazione alla professione di Perito Industriale chi abbia svolto il periodo di praticantato presso un Geometra.

4) Ancora, il T.A.R. non avrebbe tenuto conto dell’impossibilità, per chi già possieda un diploma di Geometra o di Perito Industriale “vecchio ordinamento”, di conseguire il diploma di istruzione tecnica “C.A.T.”, non essendo possibile conseguire due volte il medesimo titolo di studio: dunque, l’opzione ermeneutica seguita dalla sentenza appellata contrasterebbe con gli artt. 1, 3, 4, 33, 34 e 35 Cost., in quanto escluderebbe irragionevolmente dall’accesso all’istruzione, alla formazione ed al lavoro una particolare categoria di soggetti, in violazione del principio di eguaglianza.

5) Il T.A.R. avrebbe poi omesso di valutare la nota del Consiglio Nazionale dei Geometri e Geometri Laureati prot. n. 10268 del 3 novembre 2015, in cui sarebbe stata riconosciuta l’equipollenza tra il diploma di Geometra “vecchio ordinamento” e il nuovo diploma “C.A.T.”, né avrebbe tenuto conto della giurisprudenza espressasi in tema di esame di abilitazione per l’esercizio della libera professione di Agrotecnico. Invero, sarebbe l’esame di abilitazione, e non il contestato requisito di ammissione, a determinare l’adeguatezza professionale dei candidati a svolgere la professione di Perito Industriale e, del resto, le prove d’esame previste per l’abilitazione alla professione di Perito Industriale per il 2019 sarebbero sovrapponibili a quelle per l’abilitazione alla professione di Geometra.

6) La sentenza appellata non avrebbe considerato neppure la disciplina di cui al d.l. n. 42/2016, conv. con l. n. 89/2016, in forza della quale l’accesso alla professione di Perito Industriale è consentito solo a chi abbia conseguito un diploma di laurea di cui all’art. 55, comma 1, del d.P.R. n. 328/2001 e, per un periodo di cinque anni dalla sua entrata in vigore (29 maggio 2021, termine di recente prorogato al 31 dicembre 2024), anche a chi abbia un titolo di studio valido secondo l’ordinamento previgente ai fini dell’accesso all’esame di abilitazione (art. 1- septies , comma 2, introdotto in sede di conversione dalla l. n. 89/2016). Anche in applicazione di tale disposizione transitoria, dunque, gli appellanti non potrebbero essere esclusi dall’esame di abilitazione, come erroneamente affermato dal primo giudice, in quanto – in attesa dell’entrata a regime della norma che richiede la laurea breve ex art. 55 del d.P.R. n. 328/2001 – tutti i soggetti diplomati ai sensi del d.P.R. n. 88/2010 che, comunque, si trovino nelle condizioni di cui all’art. 1- septies , comma 2, cit., dovrebbero poter partecipare all’esame di Stato per l’abilitazione a Perito Industriale.

7) Non sarebbe condivisibile l’affermazione del T.A.R. secondo cui dall’equiparazione dei diplomi di istruzione professionale “C.A.T.” con i corrispondenti diplomi del “vecchio ordinamento” non si potrebbe ricavare l’equipollenza inversa, poiché la giurisprudenza richiamata a sostegno di siffatta affermazione riguarderebbe una fattispecie diversa e cioè la partecipazione ai pubblici concorsi e non già agli esami di abilitazione professionale, e si riferirebbe all’equipollenza tra titoli di studio ancora esistenti e non soppressi o unificati in un nuovo titolo di studio (com’è nel caso di specie). Secondo la giurisprudenza, in realtà, anche in presenza di una specificità professionale che si riverberi sulle competenze e attribuzioni di ciascuna categoria, ai fini dell’ammissione all’esame di abilitazione non potrebbe acquisire decisivo rilievo il valore conferito ai rispettivi titoli di studio, tenuto conto del fatto che il predetto esame deve saggiare l’acquisizione dell’adeguato livello di specifica preparazione per l’esercizio dell’attività professionale (C.d.S., Sez. II, 20 giugno 2012 parere n. 4335/2012;
Sez. III, 10 marzo 1998, parere n. 195/1998, in materia di esercizio della professione di Agrotecnico): anche per la professione di Perito Industriale, il grado di adeguatezza della preparazione e delle competenze professionali sarebbe sufficientemente salvaguardato dall’esame di abilitazione, dal cui superamento dipende la successiva iscrizione all’Albo professionale.

8) L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha segnalato, in argomento, che “ i requisiti qualitativi all’accesso nelle professioni devono essere tali da evitare che per loro tramite vengano surrettiziamente introdotte restrizioni di tipo quantitativo ” e che, pertanto, occorre che le “ restrizioni all’accesso risultino necessarie e proporzionate all’obiettivo che queste desiderano raggiungere ”: nella fattispecie per cui è causa, invece, la barriera all’ingresso della professione di Perito frapposta dalla sentenza appellata non sarebbe né necessaria, né proporzionata, visto che i diplomi di Geometra e di Perito Edile sarebbero stati equiparati dal d.P.R. n. 88/2010 al nuovo diploma “C.A.T.”, che per l’accesso alle due professioni sarebbe previsto il medesimo titolo di studio ex art. 55 del d.P.R. n. 328/2001 e che le prove di esame per l’abilitazione alle professioni di Geometra e di Perito Industriale – settore edile sarebbero pressoché identiche.

9) Il primo giudice avrebbe operato un’inesatta ricostruzione della disciplina di riordino degli istituti tecnici di cui al d.P.R. n. 88/2010, che si collocherebbe sul percorso di riforma già delineato dal d.lgs. n. 226/2005. L’art. 10 di tale decreto legislativo già prevedeva l’indirizzo “C.A.T.” tra quelli del liceo tecnologico, a partire dal secondo biennio, la tabella dell’Allegato A) disponeva la confluenza dei titoli di studio di Geometra e di Perito Industriale – settore edile nell’indirizzo “C.A.T.” e la tabella di cui all’Allegato B) la corrispondenza dei due titoli di studio previgenti a quello relativo al nuovo e unico indirizzo “C.A.T.”. In tale contesto, il regolamento di riforma (d.P.R. n. 88/2010) ha individuato per gli istituti tecnici solo due settori (l’Economico e il Tecnologico), ed all’art. 8 ha disciplinato il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento a partire dall’anno scolastico 2010/2011, demandando alla tabella contenuta nell’Allegato D) le confluenze degli istituti tecnici di ogni tipo e indirizzo negli istituti tecnici disciplinati dal regolamento stesso. Detta tabella prevede espressamente la confluenza nell’unico indirizzo “C.A.T.” degli istituti tecnici per Geometri e degli istituti per Periti Industriali – settore edile, lasciando alla valutazione discrezionale della P.A. unicamente la determinazione della confluenza dei percorsi sperimentali. La riforma dà attuazione alla raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sulla costituzione del “ Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF) ”, allo scopo di garantire il confronto tra i sistemi nazionali di qualificazione: Geometri e Periti Industriali sono collocati nel medesimo livello di qualificazione professionale (IV), sicché anche sotto questo profilo la sentenza impugnata sarebbe erronea, perché non considererebbe l’omologazione anche a livello europeo dei titoli di studio.

10) Il primo giudice non avrebbe tenuto conto dello scopo della riforma del ciclo di istruzione tecnica di secondo grado, che sarebbe di perseguire l’unicità del percorso formativo, con il superamento di ogni differenza tra Geometri e Periti Industriali – settore edile, grazie all’unicità del titolo di studio e all’identità del ciclo di istruzione: sarebbe speciosa la distinzione introdotta dal T.A.R. tra il concetto di “ corrispondenza ” tra titoli di studio di cui al d.lgs. n. 226/2005 e quello di “ equipollenza ” dei nuovi titoli di studio ai vecchi, poiché il Legislatore avrebbe inteso unificare i due titoli di studio e, quindi, i relativi percorsi formativi, cosicché l’unificazione dei diplomi di Geometra e di Perito Industriale “vecchio ordinamento” nel nuovo indirizzo “C.A.T.” non richiederebbe un processo di valutazione comparativa di questi ultimi ( id est : di equipollenza), come avrebbe erroneamente sostenuto il giudice di prime cure. L’interpretazione restrittiva seguita dal T.A.R. determinerebbe una limitazione della libertà di iniziativa economica e di accesso alla professione, in violazione delle direttive comunitarie n. 2005/36/CE (sul riconoscimento delle qualifiche professionali) e n. 2006/123/CE (sui servizi nel mercato interno).

Le suesposte doglianze sono prive di fondamento, poiché esse si fondano sui seguenti presupposti, che, però, non possono essere condivisi:

A) il semplice richiamo della tabella di confluenza contenuta nell’allegato D) del d.P.R. n. 88/2010 da parte dell’ordinanza ministeriale che ha indetto la sessione di esami di Stato per il 2019 avrebbe il significato di affermare l’equipollenza del diploma di Geometra “vecchio ordinamento” con il nuovo diploma “C.A.T.”;

B) dalla suddetta equipollenza discenderebbe, altresì, la fungibilità del diploma di Geometra con il diploma di Perito Industriale, ambedue ottenuti in base al previgente ordinamento, potendo in questa prospettiva entrambi i diplomi giustificare l’ammissione agli esami di abilitazione, di tal ché la stessa distinzione tra le due professioni avrebbe perduto la ragion d’essere.

In merito al punto A) , il Collegio reputa che non possa attribuirsi al richiamo alla tabella contenuta nell’Allegato D) del d.P.R. n. 88/2010, effettuato in via meramente incidentale dall’art. 1, comma 2, dall’ordinanza ministeriale n. 373 del 24 aprile 2019 (ma non dal successivo art. 2, comma 1), il valore di una modifica profonda degli ordinamenti professionali delle categorie coinvolte, avendo tale ordinanza assolto al diverso e più limitato scopo dell’indizione per il 2019 della sessione di esami di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di Perito Industriale.

Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato formatosi in tema di concorsi a pubblici impieghi (estensibile al caso in esame), l’equipollenza di un titolo di studio ad un altro deve risultare da una norma di legge apposita, o deve essere comunque normativamente stabilita, restando escluso che sia rimesso alla P.A. di valutare volta per volta se il titolo posseduto e presentato dal candidato sia idoneo a consentire la partecipazione al concorso (C.d.S., Sez. III, 19 febbraio 2014, n. 767).

Recentemente, è stato affermato che “ l’equipollenza dei titoli di studio (…) può essere riconosciuta e determinata esclusivamente dalla legge (ovvero, in particolari circostanze, anche dalla pubblica amministrazione, mediante espressa e tassativa indicazione degli specifici titoli richiesti nel bando di concorso: in termini, Cons. Stato, V, 6 maggio 1997, n. 469), dovendosi contemperare, da un lato, il principio del loro valore legale – in base al quale spetta allo Stato stabilire la valenza delle diverse lauree – con quello dell’autonomia organizzativa delle singole amministrazioni, alle quali è consentito determinare le professionalità di cui ha bisogno la struttura, identificandole con il titolo di studio necessario.

Anche in questo secondo caso, tuttavia, in assenza di una precisa indicazione, da parte della lex specialis , di una specifica corrispondenza o rilevanza tra titoli diversi, l’equipollenza genericamente indicata non può essere apprezzata dall’amministrazione sulla base di una valutazione sostanziale, che tenga cioè conto dei contenuti e degli aspetti sostanziali dei titoli di studio, delle loro caratteristiche, del fatto che appartengono alla stessa classe o area e che le materie principali dei corsi di studio posti a confronto siano sostanzialmente coincidenti (Cons. Stato, V, 19 agosto 2009, n. 4994).

Dunque, in assenza di puntuali previsioni della lex specialis l’equipollenza può essere ritenuta nelle sole ipotesi in cui sia la stessa disposta dal legislatore (…..)” (così C.d.S., Sez. V, 5 marzo 2019, n. 1523).

Orbene, nulla di tutto ciò è rinvenibile nella fattispecie in esame.

Invero, anche a voler riconoscere in via di principio che l’ordinanza ministeriale, quale lex specialis della sessione di esami, potesse stabilire l’equipollenza pretesa dagli appellanti, tale equipollenza non si rinviene nel testo dell’ordinanza stessa.

In dettaglio, l’art. 1, comma 2, dell’ordinanza n. 373/2019 si limita a prevedere che il candidato Perito Industriale è “ il candidato in possesso del diploma di istruzione secondaria superiore di Perito Industriale capotecnico, del diploma di maturità tecnica di Perito Industriale, ai sensi dell’articolo 1 della Legge 2 febbraio 1990, n. 17, conseguito presso un istituto statale, paritario o legalmente riconosciuto, del diploma di istruzione superiore di cui al D.P.R. 15 marzo 2010, n. 88 afferente al settore “Tecnologico” secondo le confluenze di cui all’Allegato D, unitamente al possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2, comma 1, lettere A, B, C, D, E, F, G ed H della presente Ordinanza (…..)”.

L’art. 2, comma 1, dell’ordinanza, a sua volta, così recita: “ Alla presente sessione d’esami, e sino alla data del 29 maggio 2021, sono ammessi i candidati Periti Industriali in possesso del diploma di istruzione secondaria superiore di Perito Industriale capotecnico, del diploma di maturità tecnica di Perito Industriale, ai sensi dell’articolo 1 della Legge 2 febbraio 1990, n. 17, conseguito presso un istituto statale, paritario o legalmente riconosciuto, ovvero in possesso del diploma afferente al settore “Tecnologico” di cui al d.P.R. 15 marzo 2010, n. 88 citato in premessa che, alla data di presentazione della domanda: (segue l’elencazione dei vari titoli legati al tirocinio, alla pratica, alla formazione, ecc.)”.

Per poter accedere alle tesi degli appellanti sarebbe stato necessario, in base alla giurisprudenza sopra riportata, che la lex specialis avesse indicato in modo specifico e preciso la corrispondenza tra i diversi titoli di studio: ma nulla di tutto ciò si ritrova nel testo dell’ordinanza.

Ed invero, nell’art. 1, comma 2 – la disposizione invocata dagli appellanti – non c’è alcuna menzione dell’equipollenza del diploma di Geometra “vecchio ordinamento” rispetto al diploma di istruzione superiore del settore Tecnologico – indirizzo C.A.T. ed anzi, a ben guardare, il titolo di studio che legittima alla partecipazione all’esame di abilitazione è unicamente quello “Tecnologico” del nuovo ordinamento di cui al d.P.R. n. 88 cit. (oltre, ovviamente, al diploma di Perito Industriale “vecchio ordinamento”).

Del resto, se il riferimento alle “confluenze” recato dall’art. 1, comma 2, cit. avesse avuto il valore che gli attribuiscono gli appellanti, sarebbe stato del tutto inutile elencare, nello stesso art. 1, comma 2, il diploma di Perito Industriale “vecchio ordinamento” quale titolo di studio che consente di essere ammessi all’esame di Stato, essendo il suddetto diploma compreso tra i titoli che “confluiscono” nel diploma C.A.T. ai sensi della tabella di cui al riferito Allegato D).

Il successivo art. 2, comma 1, dell’ordinanza è poi ancora più esplicito nell’indicare che l’unico titolo di studio che legittima alla partecipazione all’esame è, oltre a quello di Perito Industriale del vecchio ordinamento, quello “Tecnologico” del nuovo ordinamento, e non anche il diploma di Geometra del vecchio ordinamento.

Quest’ultima annotazione è dirimente, perché anche a voler opinare (secondo una ricostruzione che il Collegio non condivide) che l’art. 1, comma 2, dell’ordinanza, nel riferirsi alle confluenze, abbia inteso “aprire” l’accesso all’esame ai Geometri con diploma “vecchio ordinamento”, tale presunta “apertura” sarebbe irrimediabilmente confutata dal chiaro tenore del successivo art. 2, comma 1 della medesima ordinanza.

Ad avviso del Collegio, neppure sono realmente significativi gli altri indici che si ritroverebbero nel corpo dell’ordinanza n. 373 cit. e che deporrebbero, secondo la giurisprudenza invocata dagli odierni appellanti, nel senso dell’inclusione dei Geometri con diploma del vecchio ordinamento nella platea dei partecipanti all’esame di Stato.

Non rileva, anzitutto, il riferimento nel preambolo dell’ordinanza al parere ministeriale del 16 giugno 2015, che – come si legge nel medesimo preambolo – “ riconosce l’accesso ai sopra citati esami per coloro che siano in possesso del diploma afferente al settore “tecnologico di cui al d.P.R. 15 marzo 2010, n. 88, secondo le confluenze di cui all’allegato D ”: in realtà tale parere ha tutt’altro contenuto, esprimendo esso un avviso favorevole all’equipollenza unidirezionale dei nuovi diplomi a quelli del vecchio ordinamento ai fini dell’accesso agli esami di abilitazione, senza necessità che a questi fini i possessori dei nuovi diplomi si muniscano altresì della laurea triennale (o di un percorso formativo equivalente a questa). Il predetto parere, dunque, non esprime un avviso favorevole all’equipollenza bidirezionale (e cioè all’equipollenza, oltre che dei nuovi diplomi ai vecchi, anche dei vecchi diplomi ai nuovi: v. infra ).

Nessun valore ha poi il fatto che nella nota 2 del fac-simile di domanda allegato all’ordinanza n. 373 cit. venga precisato che il candidato è tenuto a indicare se il titolo di istruzione secondaria superiore si riferisce “ al nuovo o al precedente ordinamento ”. Si è già visto, infatti, che tra i titoli di studio che consentono al candidato di partecipare all’esame di Stato vi è il diploma di Perito Industriale “vecchio ordinamento”: deve, perciò, ritenersi che la nota del fac-simile di domanda abbia inteso riferirsi a tale titolo di istruzione del precedente ordinamento, e non al diploma di Geometra.

Da ultimo, è irrilevante la circostanza della mancata impugnazione dell’ordinanza n. 373/2019, in quanto le regole da questa dettate non depongono, secondo il Collegio, per l’equipollenza dei diplomi invocata dagli appellanti: per il Consiglio, pertanto, non vi era alcun onere di impugnarla con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Venendo al punto B) , si è sottolineato più sopra che l’equipollenza del diploma di Geometra “vecchio ordinamento” rispetto al diploma C.A.T., asserita dagli appellanti, determinando l’ammissione dei candidati in possesso del citato diploma di Geometra all’esame di abilitazione per Perito Industriale, comporterebbe nel contempo, quale effetto ineludibile, un’equipollenza tra il medesimo diploma e il diploma di Perito Industriale, anch’esso “vecchio ordinamento”: ambedue i diplomi consentirebbero, infatti, l’ammissione all’esame di Stato e, in esito al suo superamento, l’abilitazione all’esercizio della professione di Perito Industriale e l’iscrizione al relativo Ordine.

Tale equipollenza, tuttavia, è del tutto priva di fondamento normativo ed anzi si pone in contrasto con la sussistenza di competenze diverse per le figure professionali dei Geometri e dei Periti Industriali, previste dai rispettivi ordinamenti professionali e precisamente dall’art. 16 del r.d. 11 febbraio 1929, n. 274 (regolamento per la professione di Geometra) e dall’art. 16 del r.d. 11 febbraio 1929, n. 275 (regolamento per la professione di Perito Industriale), le quali riflettono le differenze dei rispettivi programmi formativi.

Invero, già si è avuto modo di rilevare come il Ministero dell’Istruzione abbia sottolineato nella sua relazione che in tali ordinamenti la figura del Geometra veniva concepita come tecnico topografico catastale, erede della precedente figura del Perito Agrimensore, mentre il Perito Industriale Edile era un tecnico concepito per le costruzioni e le tecnologie edilizie: quest’ultimo doveva acquisire, perciò, conoscenze nei settori della Tecnologia delle costruzioni, Disegno e progettazione, Impianti Tecnici, Organizzazione e direzione del cantiere, che rimanevano, invece, estranei al percorso formativo dei Geometri.

La distinzione trova riscontro nel già ricordato art. 2 della l. 5 novembre 1971, n. 1086, il quale, nel consentire anche ai Geometri ed ai Periti Industriali la progettazione e direzione dei lavori per opere in cemento armato, fa espressamente salvi i limiti delle singole competenze professionali: il che sta a dire – secondo la giurisprudenza – che la determinazione delle competenze va fatta sulla base della normativa preesistente, la quale, per quanto riguarda i Geometri, è contenuta nell’art. 16 del r.d. n. 274/1929, integrato dagli artt. 56 e 57 della l. n. 144/1949 (cfr. Cass. civ., Sez. II, 28 luglio 1992, n. 9044;
id., 5 agosto 1987, n. 6728).

Del resto, quando la legge ha inteso unificare le competenze delle due diverse professioni, lo ha fatto con previsioni apposite, come per la “ progettazione e direzione di modeste costruzioni civili ”, indicata in termini identici nell’art. 16, primo comma, lett. m) , del r.d. n. 274/1929 per i Geometri e nell’art. 16, primo comma, lett. b) , del r.d. n. 275/1929 per i Periti Industriali Edili (cfr. Cass. civ., Sez. II, 17 marzo 2004, n. 5428).

La giurisprudenza ha ancora evidenziato che l’art. 65 della l. n. 889/1931 (recante il riordinamento dell’istruzione media tecnica), nell’elencare i diplomi di abilitazione tecnica alle diverse professioni, non parifica ad alcun fine quelli di Perito Industriale Capotecnico e di Geometra, sicché l’eventuale coincidenza di attività consentita a professioni diverse non elimina l’autonomia e la distinta rilevanza dei rispettivi titoli di studio (così C.d.S., Sez. V, 22 giugno 1991, n. 954, che ne ha tratto il corollario della legittimità dell’esclusione dei Periti Industriali da un pubblico concorso a posti di Geometra, se nel bando o in una specifica disposizione di legge non sia stabilita l’equiparazione con il diploma di Geometra).

Dunque, anche per questo verso le doglianze degli appellanti non colgono nel segno.

Le considerazioni da ultimo esposte vanno a confutare, altresì, gli argomenti che gli odierni appellanti pretendono di ricavare dall’art. 27, comma 1, lett. b) , del d.lgs. n. 226/2005 e dall’art. 2 del d.m. 28 dicembre 2005, che vi ha dato attuazione.

In particolare, l’art. 2 del d.m. 28 dicembre 2005 così recita: “ ai sensi e per gli effetti di cui al comma 1 lett. b) dell’art. 27 del d. lvo 17.10.2005, n. 226 i titoli di studio in uscita dai percorsi di istruzione secondaria di secondo grado dell’ordinamento previgente sono dichiarati corrispondenti ai titoli di studio in uscita dai percorsi liceali del secondo ciclo del sistema formativo di istruzione e formazione, previsto dal Capo II del medesimo decreto legislativo n. 226/2005 secondo la tabella B allegata al presente decreto di cui costituisce parte integrante ”.

La richiamata tabella B stabilisce la “ corrispondenza ” del diploma di Istituto Tecnico per Geometri al “ diploma di Liceo Tecnologico – indirizzo: Costruzioni, Ambiente e Territorio ”, ma anche a voler prescindere dalla questione se il termine “ corrispondenza ” sia sinonimo di “ equipollenza ” o abbia un altro e più ristretto significato, rimane fermo che nessuna equipollenza è ivi stabilita tra il diploma di Geometra e il diploma di Perito Industriale ambedue del “vecchio ordinamento”: mentre, come già visto, tale equipollenza è un presupposto ineludibile dell’ammissione dei possessori del diploma di Geometra “vecchio ordinamento” all’esame di Stato per Perito Industriale.

In ogni caso, l’art. 27, comma 1, del d.lgs. n. 226/2005 risulta abrogato, con decorrenza dal 16 giugno 2010, dall’art. 15 del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 89: per l’effetto, deve ritenersi venuto meno anche il d.m. 28 dicembre 2005, che vi aveva dato attuazione, con la relativa tabella B, sostituita dalla tabella contenuta nell’Allegato D) del d.P.R. n. 88/2010.

In conclusione, è erroneo sostenere che l’equipollenza dei titoli di studio sarebbe bidirezionale (ciò che comporterebbe – come sostengono il Consiglio Naz. dei Periti e gli Ordini dei Periti di Messina e di Reggio Calabria – che i candidati con titolo di studio “ diploma di maturità tecnica geometra ” sarebbero ammessi agli esami di Stato per Perito Industriale in edilizia non in quanto “Geometri”, ma quali possessori di un diploma di maturità corrispondente all’unificato diploma di istruzione tecnica “C.A.T.” ai sensi del d.P.R. n. 88/2010).

In realtà, l’equipollenza è unidirezionale: in altri termini, essa serve a precisare che i nuovi diplomi di indirizzo “C.A.T.” equivalgono ai diplomi del vecchio ordinamento ai fini dell’accesso all’esame di abilitazione, senza che a tale scopo occorra, in aggiunta, l’ottenimento anche della specifica laurea triennale (così il parere dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del 16 giugno 2015, più sopra citato).

Alla stregua di quanto esposto risultano infondate, in primo luogo, le doglianze di cui ai punti 1), 2), 9) e 10) sopra riportati. Emerge l’infondatezza, altresì, delle doglianze di cui ai punti da 3) a 8), dal momento che:

- la fungibilità delle categorie professionali per i possessori dei diplomi del previgente ordinamento trova smentita nell’esistenza di due distinte discipline dei rispettivi ordinamenti professionali (il r.d. n. 274/1929 per i Geometri e il r.d. n. 275/1929 per i Periti). Del resto, l’art. 16, primo comma, lettere da a) a q) , del r.d. n. 274/1929 riserva ai Geometri una competenza più estesa, l’equiparazione ad essi dei Periti restando limitata al caso, poc’anzi ricordato, della “ progettazione e direzione di modeste costruzioni edili ” (v. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 18 aprile 2018, n. 2541). L’omologazione a livello anche europeo dei titoli di studio, se vale de futuro , non può valere di per sé sola altresì per il passato, in presenza delle differenziazioni suesposte;

- la possibilità di svolgere il tirocinio di Perito Industriale, per la specializzazione “edilizia”, presso un professionista con titolo di Geometra, ammessa dal regolamento sul tirocinio approvato ai sensi dell’art. 6, comma 10, del d.P.R. n. 137/2012, nulla dice sull’equipollenza bidirezionale dei titoli di studio;

- la questione (che comunque esula dalla presente controversia) dell’impossibilità, per i possessori del diploma di Geometra “vecchio ordinamento”, di conseguire altresì un diploma C.A.T. presuppone una sostanziale identità nei contenuti dei rispettivi programmi formativi, di cui non vi è alcuna prova in atti;

- la nota del Consiglio Nazionale dei Geometri e Geometri Laureati prot. n. 10268 del 3 novembre 2015 (all. 9 all’appello) ha un oggetto tutt’affatto diverso (l’accesso alla professione di Geometra e non alla professione di Perito Industriale) e si limita a effettuare una ricognizione del vigente quadro normativo. In ogni caso, essa non stabilisce alcuna equipollenza tra i diplomi di Geometra e di Perito Industriale “vecchio ordinamento”, né avrebbe potuto in alcun modo farlo, in difetto di un’apposita previsione normativa: ad essa, in definitiva, non è possibile attribuire alcuna rilevanza ai fini che qui interessano;

- la tesi che sarebbe l’esame di abilitazione, e non il contestato requisito di ammissione, a determinare l’adeguatezza professionale dei candidati a svolgere la professione di Perito Industriale, prova troppo, nel senso che – come già osservato a confutazione del motivo fondato sulla violazione dell’art. 4, comma 2- bis del d.l. n. 115/2005 – essa conduce all’inaccettabile paradosso per cui il superamento delle prove dell’esame di abilitazione sarebbe sufficiente allo svolgimento della professione, anche a prescindere dal possesso dei requisiti per l’ammissione all’esame stesso;

- l’art. 1- septies , comma 2, del d.l. n. 42/2016 (introdotto dalla legge di conversione n. 89/2016 e poi modificato dal d.l. n. 77/2021, conv. con l. n. 108/2021), all’ultimo periodo stabilisce che fino al 31 dicembre 2024 “ conservano il diritto di accedere all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione (di Perito Industriale) anche i soggetti che conseguono un titolo di studio valido a tal fine ai sensi della normativa previgente ”. Detta norma non può essere intesa nel senso che essa riconosca la possibilità, per i Geometri con diploma “vecchio ordinamento”, di partecipare all’esame di abilitazione alla professione di Perito Industriale, poiché l’espressione “ titolo di studio valido a tal fine ( id est : ai fini dell’ammissione all’esame) ai sensi della normativa previgente ” non stabilisce alcuna equipollenza del diploma di Geometra “vecchio ordinamento” al diploma di Perito “vecchio ordinamento” o al diploma “C.A.T.” ai fini dell’accesso all’esame;

- analogamente, nessuna equipollenza è stabilita dal precedente periodo dell’art. 1- septies , comma 2, del d.l. n. 42 cit., ai sensi del quale “ conservano efficacia ad ogni effetto di legge (……) i titoli di studio maturati e validi ai fini dell’ammissione all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione ”;

- da ultimo, il richiamo degli appellanti, sopra riportato al punto 8), alla segnalazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, è fuorviante, dovendosi escludere, per tutto quanto finora detto, che nel caso di specie ci trovi innanzi ad una barriera all’ingresso della professione di Perito non necessaria, né proporzionata. Per la medesima ragione, non è condivisibile il richiamo a pretese violazioni della normativa comunitaria contenuto nei punti 9) e 10) sopra citati.

In conclusione, pertanto, l’appello è nel suo complesso infondato e deve essere respinto, meritando la sentenza appellata di essere confermata.

Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio d’appello, attese la complessità e la novità delle questioni affrontate.

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