Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-01-02, n. 201800017

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-01-02, n. 201800017
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800017
Data del deposito : 2 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/01/2018

N. 00017/2018REG.PROV.COLL.

N. 02388/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 2388/2015, proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo - MIBACT, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

contro

il Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv.ti A D M ed A B, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria di questa Sezione in Roma, p.za Capo di Ferro n. 13,

per la riforma

della sentenza del TAR Campania – Salerno, sez. II, n. 1431/2014, resa tra le parti e concernente il vincolo archeologico apposto su taluni beni immobili di proprietà del Comune di Salerno;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 20 luglio 2017 il Cons. S M R e uditi altresì, per le parti, l’Avvocato dello Stato Aiello e l’avv. Di Lieto (per delega dell'avv. A B);

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. – Con i decreti n. 1846 e n. 1448 del 12 settembre 2013, notificati il successivo 10 ottobre, la Dir. reg. BCP per la Campania ha apposto il vincolo archeologico sui due locali ubicati in via Mecenate n. 59 e, rispettivamente, sul p.t. dell’edificio di via Grimoaldo n. 7, entrambi siti in Salerno e di proprietà del Comune di Salerno.

Secondo la Direzione regionale, la relative aree di tutt’è due gli edifici sono interne al perimetro della colonia marina di Salernum , prossime ad uno dei decumani principali della città romana di età imperiale. Esse s’estendevano verso il mare, superando la cinta muraria di età repubblicana e furono variamente popolate fino in età medievale.

2. – Il Comune di Salerno ha allora impugnato siffatti due decreti, denunciandone vari profili d’illegittimità.

L’adito TAR Salerno, con sentenza n. 1431 del 29 luglio 2014, ne ha accolto il ricorso. Ad avviso del TAR, l’apposizione di tal vincolo è stata certo frutto d’una valutazione tecnico-discrezionale, anche se impinge sulle facoltà dominicali del titolare del bene vincolato. Tuttavia, non v’è stata nella specie un’adeguata istruttoria, ché i pareri presupposti a tali decreti si son limitati ad affermare la mera collocazione degli edifici stessi all’interno della colonia marittima di Salernum ed a render nota la evoluzione delle loro vicende storiche, ma senza fornire pure una spiegazione sulla loro concreta rilevanza archeologica.

Ha appellato quindi il MIBACT, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della sentenza qui gravata, che non ha colto tutti i dati particolari contenuti nei citati pareri, né tampoco la ragionevole presunzione dell’esistenza di cose da tutelare in loco , sulla scorta di precisi richiami bibliografici e d’archivio, confermati da importanti ritrovamenti per la colonia marittima di Salernum . Resiste nel presente giudizio il Comune intimato, contestando che: a) l’area de qua non ha formato oggetto di indagini scientifiche, di scavi o di ritrovamenti;
b) i decreti di vincolo hanno coinvolto gli immobili indicati sol perché di proprietà comunale.

Alla pubblica udienza del 20 luglio 2017, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

3. – L’appello è meritevole d’accoglimento.

Com’è noto, la l. 1° giugno 1939 n. 1089 e, oggidì, il Dlg 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) disciplinano il procedimento amministrativo per dichiarare d’interesse culturale di beni specificamente indicati, i poteri di vigilanza e controllo del Ministero competente, le modalità di protezione diretta dei beni stessi. La giurisprudenza di questo Consiglio, già sotto l’imperio della l. 1089/1939 ed ancora di recente (cfr. per tutti, Cons. St., VI, 1° marzo 2005 n. 805;
id., 28 gennaio 2016 n. 334) ha rilevato che, ai fini della tutela vincolistica archeologica, l'effettiva esistenza delle cose da tutelare può esser dimostrata anche per presunzione, essendo a tal scopo non rilevante ex se che i materiali da tutelare siano stati già portati alla luce o siano ancora interrati. A tal riguardo, infatti, basta che il complesso delle aree archeologiche risulti adeguatamente definito e che la misura adottata col vincolo appaia adeguata alla finalità di pubblico interesse cui esso è preordinato. Inoltre, la Sezione ha precisato esser misura proporzionata e congruente con i predetti scopi l’apposizione del vincolo archeologico, quale misura di tutela complessiva di un’area abitata nell'antichità, anche se non cinta da mura, giacché le esigenze di salvaguardia concernono non solo i reperti in sé e solo se addossati gli uni agli altri, ma tutta la complessiva superficie destinata in illo tempore all'insediamento umano (arg. ex Cons. St., VI, 29 gennaio 2013 n. 522;
id., 9 aprile 2013 n. 1906;
cfr. pure id., 15 dicembre 2014 n. 6152, sulla legittimità di sottoporre a vincolo archeologico un'intera zona, considerata come complesso archeologico, purché dalla motivazione del relativo atto e dall'attività istruttoria svolta emergano le concrete ragioni che giustificano la valutazione unitaria di tale area).

Calando tali principi nella fattispecie, anzitutto il Comune, i cui tre immobili di sua proprietà sono stati oggetto dell’impugnato vincolo, non è stato il solo destinatario d’un siffatto provvedimento, in tal caso scolorando ogni sospetto di sviamento dell’azione del MIBACT (cfr. pag. 4 della memoria di costituzione) e, anzi, evidenziandosi la volontà di regolare in modo uniforme e complessivo tutta l’area sita fuori dalla cinta muraria di tarda età repubblicana della antica Salernum .

In secondo luogo, le relazioni scientifiche allegate ai decreti di vincolo descrivono certo anche il contesto storico-urbanistico delle aree in cui i tre immobili si situano. Ma tal descrizione non è fine a se stessa, ma evidenzia, quanto ai due locali di via Mercanti n. 59, come essi siano la risultante dell’inizio del processo di frazionamento, nel corso del sec. III d.C., delle grandi domus di età imperiale in piccole unità residenziali. Analogamente, per l’edificio sito al p.t. di via Grimoaldo n. 7, la relazione si sofferma sull’occupazione degli immobili del luogo, ad uso artigianale nell’alto Medioevo (sec. VIII), qual effetto, dapprima, di destrutturazione degli antichi edifici pubblici e con riuso, poi e nel medesimo periodo, a sepoltura, probabilmente nelle vicinanza di luoghi di culto o lungo la viabilità cittadina. Nell’un caso, come nell’altro, le relazioni partono dai rispettivi contesti storici citati per meglio definire l’uso nel tempo dei locali vincolati per usi fondamentali nei periodi della città antica ed altomedievale, onde esprimono non mere descrizioni, ma giudizi di valore ai fini storico-archeologici.

4. – Ora, questi ultimi, poiché implicano l'applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche proprie di certi settori disciplinari (della storia, dell'arte e dell'architettura), sono connotati da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa e, quindi, sono caratterizzati da ampi margini di opinabilità.

Tanto come tutte le valutazioni tecniche basate su apprezzamenti sì rigorosi, ma con un certo grado di opinabilità o, recte , soggetti a continui aggiornamenti man mano che evolve la consapevolezza storica sui beni e sul loro contesto urbano. Ne consegue che l'apprezzamento compiuto dalla P.A. preposta alla tutela, da esercitare in rapporto al principio fondamentale dell'art. 9 Cost., è sindacabile, in questa sede giudiziale, solo sotto i profili di logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, fermo, però, restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 14 ottobre 2015 n. 4747). Sicché tal sindacato, lo ribadisce pure il Ministero appellante, può effettuarsi in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l'inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta.

Ebbene, non solo le relazioni de quibus forniscono una valutazione dotata di un significativo grado di plausibilità tra le premesse storiche, la descrizione fisica attuale di ogni immobile e le necessità di tutela. Ma soprattutto esse sfuggono alle censure sulla vaghezza (a causa del difetto di specifica istruttoria), per un verso e sulla non necessità del vincolo, per altro verso, in quanto non è vero che essi si limitino a descrivere per sommi capi la storia urbana del sito (anzi, da essa la P.A. muove per giustificare come ciascun locale sia parte integrante e necessaria, quindi non meramente casuale di quella storia) e neppure è vero che il vincolo non sia necessario, servendo piuttosto a preservare l’integrità dei locali stessi in una con gli altri dell’area sottoposta a vincolo.

Né può esser condivisa l’affermazione del Comune secondo cui, per salvaguardare i suoi pur giusti interessi alla dismissione di detti beni, il MIBACT avrebbe dovuto apporvi il vincolo di tipo storico -architettonico, sia perché si tratta d’una deduzione sul merito tecnico, sia perché nella specie i beni stessi son vincolati non per il loro pregio architettonico, bensì per il loro valore archeologico come descritto nelle rispettive relazioni.

5. – In definitiva, l’appello va accolto nei sensi fin qui visti, con il conseguente rigetto del ricorso di primo grado. Giusti motivi suggeriscono comunque la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del doppio grado di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi